SUARDI, Bartolomeo detto Bramantino
– Nacque presumibilmente intorno al 1465 a Bergamo, da Alberto e da Pietrina, da Sulbiate; ebbe una sorella, Caterina. Il padre era già morto l’8 dicembre 1480, quando la madre collocò Bartolomeo a Milano, per sei anni, presso l’orafo Francesco de Caseris (Sironi, 1988, p. 42, doc. 5; Romano, 2011a). Si è supposto che un evento eccezionale – forse l’apparizione della cosiddetta Incisione Prevedari (1481), realizzata dall’orafo Bernardo Prevedari su disegno del pittore e architetto Donato Bramante – abbia spinto il giovane a dedicarsi alla pittura e probabilmente alla miniatura, come sembra suggerire la meticolosa stesura che accomuna le sue opere più antiche. A partire da uno spunto di Wilhelm Suida è stato ipotizzato che abbia svolto tale tirocinio con il trevigliese Bernardino Butinone, il cui eccentrico stile filoferrarese ha molto in comune con quello dell’esordiente Suardi (Romano, 2003). Da qui l’idea che possa avere partecipato alla realizzazione di alcune opere, già segnate dalla nuova monumentalità bramantesca, eseguite da Butinone e dal suo conterraneo Bernardo Zenale (Romano, 2011a, pp. 203 s.), o le abbia almeno influenzate (Ballarin, 2010c).
Le prime prove autonome, databili tra il 1485 e il 1490, di dimensioni contenute e destinate alla committenza privata, sono la Madonna col Bambino del Museum of fine arts di Boston – prima di una serie che conta i più tardi esemplari di New York (Metropolitan Museum) e Columbia (Museum of art and archaeology, University of Missouri) –, la favola ovidiana di Filemone e Bauci del Wallraf Richartz Museum di Colonia e l’Adorazione del Bambino nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
In quest’opera dai panneggi scheggiati, che hanno un parallelo nello stile diffuso in scultura, soprattutto alla Certosa di Pavia, da Giovanni Antonio Piatti e Giovanni Antonio Amadeo (Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 90-99; Cairati, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014; Natale, ibid., pp. 126-132), sono già presenti alcuni tratti della poetica dell’artista: scelte iconografiche non convenzionali o ispirate a fonti meno frequentate; tagli compositivi audaci e ambigui; presenza incombente di architetture, artificiali e naturali.
A non molta distanza di tempo si collocano i due frammenti del Musée Jacquemart-André di Parigi con coppie di Santi oranti (Tanzi, 2009).
Il 12 settembre 1487 prese in affitto dal miniatore Percivalle Negri, operoso per la Certosa di Pavia, un’abitazione confinante con le proprietà di Lazzaro Palazzi (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, p. 299, doc. 2). Il primo documento che si riferisce alla professione di pittore lo vede impegnato in un cantiere diretto da Bramante, S. Maria presso S. Satiro; in un resoconto del 31 dicembre 1489 è per la prima volta menzionato – lo è ancora negli anni 1490 e 1505-09, senza che tuttavia rimangano tracce della sua attività in loco – con il soprannome Bramantino: «Magistro Bertholameo Brabantino depinctore» (Sannazzaro, 1993). L’adozione dello pseudonimo, impiegato per tutta la vita, lascia supporre che abbia trascorso un periodo piuttosto lungo accanto a Bramante, probabilmente collaborando alle imprese da lui dirette (Romano, 2011b, p. 214, 2007, pp. 65 s.): tra queste gli Uomini d’arme e l’Eraclito e Democrito già in casa del poeta Gaspare Visconti (1487-88 circa; Milano, Pinacoteca di Brera) o, verso il 1495, la decorazione del castello di Vigevano (Giordano, 2012).
Apparterrebbero a questa fase di maggior vicinanza al maestro il frammentario Compianto su Cristo morto (1489 circa; Milano, Pinacoteca Ambrosiana; Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 100-109; Natale, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, p. 29, con una datazione intorno al 1500) già sulla facciata della chiesa del S. Sepolcro, un tour de force prospettico e illusionistico ammirato da Giorgio Vasari (1550, III, 1971, p. 260), e il lunare Cristo che mostra le piaghe (1490 circa; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), di cui si ignora la provenienza, ma che nel 1586 era probabilmente nella Certosa di Pavia, ed è da leggere in stretta relazione con il Cristo alla colonna di Bramante ora a Brera (1485-90 circa; Albertini Ottolenghi, 2010, pp. 122 s.; Agosti, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 32 s.; Agosti - Stoppa, ibid., pp. 81 s.; Natale, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 106-111). Spetta forse all’intercessione di Bramante la commissione verso il 1489-90 dell’Argo, affrescato in un’architettura illusionistica sopra la porta della sala del Tesoro nel castello di Porta Giovia (ora Sforzesco); il murale, deturpato dall’abbassamento delle volte, fu occultato prima del settembre del 1499 (Cavalieri, 2005, pp. 140-149; Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 110-121; Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, p. 47, ipotizza che committente dell’opera – in questo caso eseguita entro il settembre del 1489 – sia stato il pavese Filippo Eustachi). Gli effetti dirompenti della comparsa degli Uomini d’arme e dell’Argo, restituito correttamente a Bramantino da Roberto Longhi (1916, 1961) – più dibattuta è l’entità del possibile contributo ideativo di Bramante –, a Milano, polo artistico di richiamo europeo, sono stati ravvisati nelle opere dei pittori lombardi (Romano, 2011b, pp. 210, 213 s., 228 n. 2).
Nel 1490 Caterina Suardi sposò il pittore Cristoforo Volpi, presente lo stesso anno alla Certosa di Pavia; Bartolomeo si fece carico della dote della sorella, saldata il 19 aprile 1494 (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 300-301, docc. 9-10). Anche Giovan Pietro Volpi, figlio della coppia, fu pittore (per un profilo dei Volpi: Cairati, in Bramantino e le arti..., 2017). Tra il 1494 e il 1495, e poi almeno fino al 1501, Bramantino fu in affari con membri delle famiglie Retondi da Saronno e Mantegazza, che contavano nelle loro fila scultori e orafi (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 301-304, docc. 11-19, 22-23, 25, 27).
Del 1495-1500 circa è l’Adorazione dei Magi della National Gallery di Londra (Gallori - Natale, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014). Allo scadere del secolo si data il monumentale Noli me tangere (Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’arte antica), staccato nel 1865 da un pilastro della chiesa di S. Maria del Giardino, e parte di un ciclo di figure di santi dipinti anche dal bresciano Vincenzo Foppa (Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 124-131; Natale - Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 178-184, con una data di poco successiva). Di questo momento è anche il disegno con il Martirio di s. Sebastiano (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi), unica composizione grafica autonoma conosciuta dell’artista, forse pensata per la trasposizione a fresco (Agosti, 2001). Le altre prove grafiche sono studi di figure isolate, solo in parte riconducibili a opere note (Litta, 2007-09; Litta - Mazzotta, in Bramantino a Milano, 2012; Rossi, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014).
Ancora nel corso del Quattrocento deve essersi svolto presso la bottega di Bramantino l’alunnato del pittore Giovanni Agostino da Lodi, poi attivo tra Milano e Venezia, quasi sicuramente da identificare con l’«Agostino di Bramantino» ricordato da Giovanni Paolo Lomazzo (1584, 1974, p. 236). Il magistero bramantiniano influenzò poco dopo, anche fuori del Ducato di Milano, lo sviluppo di artisti più giovani, come Gerolamo Romanino e Altobello Melone (Ballarin, 2006, pp. 127 s., 135, 142) o Bernardino Luini.
Con la caduta del Moro e la presa del potere dei francesi anche Bramantino si adeguò, apparentemente senza traumi, al mutato corso politico. Tra il 1499 e il 1503 decorò con aiuti, per Luigi di Lussemburgo conte di Ligny, tre stanze nel castello di Voghera. Qui dipinse gli spettacolari affreschi, oggi lacunosi, della sala delle Muse e la Madonna, ospitata in una stanza attigua, con il Bambino coperto di piaghe secondo una rara iconografia di origine francese (Binaghi Olivari, 1997 e 2003; Paganin, 2005, 2009 e in Bramantino e le arti..., 2017). Ligny commissionò a Bramantino l’8 settembre 1502, ad Asti, pitture non specificate, per la cui esecuzione l’artista chiese di essere liquidato il seguente 31 maggio; il ridotto compenso pattuito, di soli venticinque scudi, rende problematica l’identificazione di tali opere con quelle vogheresi (Sironi, 1988, p. 42, doc. 2).
Prima del 18 novembre 1502 Suardi sposò Elisabetta della Chiesa, da cui ebbe la figlia Giulia. Due anni più tardi ne ottenne la dote, comprendente terreni agricoli situati a est di Milano (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 300, 304 s., 322, docc. 6, 33, 145).
Il 23 febbraio e il 26 giugno 1503, a conferma del credito raggiunto, l’artista partecipò con altri esperti di pittura e architettura alle riunioni della Fabbrica del duomo di Milano concernenti l’erezione della porta verso Compedo (Annali..., 1880, pp. 124-126; Repishti, in Bramantino e le arti..., 2017, pp. 189-194). Forse già nello stesso anno, o poco dopo, eseguì l’affresco monocromo, oggi deperito, raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Giacomo Maggiore e Luigi di Francia nella lunetta del portale della sagrestia nel chiostrino di S. Maria delle Grazie; il completamento della sagrestia fu finanziato da Étienne Poncher, vescovo di Parigi e cancelliere di Milano (Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, p. 83; Buganza, 2016, pp. 340 s.). Il 29 maggio 1503 Antoine Turpin, tesoriere generale del re di Francia Luigi XII, gli commissionò una copia su tela – non si sa se mai eseguita – dell’Ultima cena dipinta da Leonardo nel refettorio dello stesso convento (Sironi, 1988, p. 41, doc. 1; Jestaz, 2003, p. 299; per Ballarin 2010b, p. 789, il vero committente potrebbe essere stato il cardinale Georges d’Amboise).
L’accresciuta influenza di Leonardo si avverte tuttavia chiaramente nelle opere successive dell’artista. Sono conservate a Brera la Sacra Famiglia già dell’arcivescovo Cesare Monti e la pressoché coeva grande tela con la Crocifissione, documentata in pinacoteca dal 1805. Gli studiosi divergono sulla data dei due dipinti, precedente o successiva al documentato soggiorno romano dell’artista (Agosti - Stoppa, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 136-151, appoggiano la proposta, formulata nel 1985 da Giovanni Romano, 2011b, di datare la Crocifissione sul principio del Cinquecento, in stretta consonanza con la genesi degli arazzi Trivulzio, e la collocano nel 1503-04 circa; l’ipotesi alternativa, avanzata da Germano Mulazzani nel 1974, che ne fissa l’esecuzione al 1510-11, legandone la genesi alle istanze dottrinali del Concilio scismatico di Pisa-Milano, è stata ripresa da Natale, 2006; Robertson, 2012; De Marchi, 2013; Rossetti, 2013, il quale ipotizza che il dipinto, richiesto probabilmente dal cardinale spagnolo Bernardino López de Carvajal, provenga dalla chiesa milanese di S. Girolamo dei Gesuati).
Si colloca con certezza nel 1505 la Madonna tra i ss. Ambrogio e Michele arcangelo (cosiddetto Trittico di S. Michele) della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, eseguita per l’oratorio dei disciplini di S. Michele in Porta Nuova (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, p. 307 doc. 46; Agosti - Stoppa, ibid., pp. 164-179); il dipinto si completava in alto con le immagini di Dio Padre e dello Spirito Santo e ai lati con le sculture dell’Annunciazione (Robertson, 2012).
Al principio del secolo il maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio commissionò a Suardi i cartoni preparatori per gli arazzi dei Mesi (Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’arte applicata), tessuti a Vigevano da Benedetto da Milano e collaboratori, probabilmente dal 1504; di questa impresa, di cui sfuggono tempi e modi del coinvolgimento di Bramantino, si conservano soltanto gli ultimi pagamenti agli arazzieri (dal 3 febbraio al 31 dicembre 1509), che fanno esplicito riferimento ai panni di Novembre e Gennaio (Suida, 1953, pp. 168-170, doc. XVI; Sacchi, 2000; Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 310 s., doc. 68).
In questo frangente, per breve tempo, Suardi si recò a Roma, dove dipinse per papa Giulio II nelle Stanze Vaticane affreschi narrativi (Vasari, 1550, III, 1971, p. 259; IV, 1976, pp. 165 s.). Documentato ancora a Milano il 3 novembre, il 4 dicembre 1508 era nell’Urbe, dove ricevette un anticipo di centotrenta ducati per le pitture ancora da eseguire al fianco di Sodoma e Lorenzo Lotto (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, p. 310, doc. 65). Gli affreschi, mutati i progetti del pontefice, furono atterrati non molto dopo la loro esecuzione per consentire a Raffaello di dipingere «la prigione di San Piero et il miracolo del Corporale di Bolsena» nella futura Stanza di Eliodoro (Vasari, 1550, III, 1971, p. 259). Giulio Romano copiò alcuni ritratti ivi presenti, ma le repliche approdate nel Museo Gioviano di Como non ci sono pervenute. Sopravvive tuttavia, celata tra le pitture di Sanzio, una Figura allegorica riferibile all’équipe bramantiniana (Nesselrath, 1993, cui si deve l’individuazione dell’opera, identifica il soggetto con Mosè che regge le tavole della legge; Agosti, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 55-57).
La preminenza ormai riconosciuta a Bramantino, anche dopo il ritorno di Leonardo a Milano nel 1506, trova conferma nel testamento di Giovanni Antonio Castiglioni (19 marzo 1509), banchiere e sovrintendente della Zecca ducale dal 1474 al 1497, che avrebbe desiderato per la sua cappella in S. Pietro in Gessate una scultura di Cristoforo Solari e una pala di Suardi; il dipinto avrebbe preso a modello il Compianto su Cristo morto di Foppa, allora nella stessa chiesa, distrutto a Berlino nel 1945 (Frattini, 1983; Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 43 s.).
Bramantino era nuovamente a Milano il 1° novembre 1509, quando partecipò a una riunione della Scuola di S. Luca; due anni dopo appoggiò la fronda guidata da Zenale contro il priore Giovanni Pietro da Corte; il 3 maggio 1511 fu eletto dai transfughi, tra cui molti dei principali pittori attivi in città, a capo di un sodalizio alternativo, di cui Zenale fu designato tesoriere (Shell, 1982 e 1993; Longoni, 1998). Dovrebbe essere questo il momento, successivo al ritorno da Roma, in cui cominciano ad apparire quei panni «molli e rilassati» biasimati da Lomazzo (1584, 1974, p. 395), la Madonna col Bambino in trono tra due angeli (cosiddetta Madonna Soli Deo, 1509-10 circa; Milano, Pinacoteca di Brera); per l’affresco, importante per Gaudenzio Ferrari (Romano, 2011b, p. 225), è stata ipotizzata la committenza da parte del generale delle finanze, il biellese Sebastiano Ferrero, e la provenienza dal suo palazzo in città, dove tuttora sussistono lacerti di scuola bramantiniana (Tanzi, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 262-271; Rossetti, 2013, pp. 224 s., ipotizza che siano stati eseguiti nello stesso periodo, dalla bottega dell’artista, affreschi celebranti la vittoria di Agnadello, ricordati in una stanza dell’edificio), o in alternativa dai locali attigui al vicino palazzo della Ragione (Natale - Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 262 s.). Cade probabilmente in questo punto della storia di Bramantino l’esecuzione del S. Giovanni Evangelista a Patmos, il cui originale è stato non concordemente identificato con una tela in collezione Borromeo (Natale, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 214-218, con una datazione al 1505-08 circa). Altre celebri composizioni, come la Lucrezia e una variante del Compianto su Cristo morto, sono note grazie ad antiche copie (Agosti, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 51 s.; Agosti - Stoppa, ibid., 2012, pp. 84 s.).
Intorno al 1512 Bramantino dipinse la Pentecoste e il Compianto su Cristo morto, ora in S. Stefano a Mezzana di Somma Lombarda. Le due tavole furono probabilmente eseguite per le cappelle dello Spirito Santo e del Corpo di Cristo di patronato di Battista Visconti, già ai piedi del tramezzo nell’antica chiesa milanese di S. Angelo (Rossetti, 2011, pp. 108-111; Tanzi, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 278-287; Natale - Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 238-248).
Il 28 settembre 1513 partecipò a una riunione del capitolo di Chiaravalle, nella quale i cistercensi decisero di corrispondergli ottanta ducati per un dipinto già consegnato al monastero (l’artista li recuperò tutti soltanto il 27 febbraio 1515; Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 314 s., 316 s., docc. 91, 96, 104, 108, 109); l’«anchoneta», raffigurante il Compianto su Cristo morto con santi e altre figure, di cui si ignora l’esatta data di esecuzione, fu inviata nel 1514 a Roma al monastero di S. Saba per essere plausibilmente fin dall’origine destinata alla basilica di S. Croce in Gerusalemme, di cui era titolare il probabile committente Carvajal (Agosti, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 62-66; Rossetti, 2013, pp. 201 s.). Il dipinto, riprodotto in un’incisione di Matthäus Greuter su disegno di Giovanni Maggi, e noto da repliche, entrò poco dopo il 1625 nelle collezioni del cardinale Francesco Barberini e poi degli eredi, dov’è registrato fino al 1711 (Romano, 2011b, p. 220, e 1990; Gallori, in Bramantino e le arti..., 2017).
Sono di poco successivi il Compianto su Cristo morto (1510-15 circa; Bucarest, Museo nazionale di arte rumena; Natale, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 270-274), la Sacra Famiglia già in casa Silva (Calvagese della Riviera, Museo d’arte Sorlini; Romano, 1990), con antichi problemi di conservazione, e la pala Trivulzio-Contini Bonacossi, raffigurante la Madonna con il Bambino e otto Santi (1513-15 circa; Firenze, Gallerie degli Uffizi). Questo affollato dipinto, che proverrebbe dalla chiesa di S. Martino a Lacchiarella, potrebbe essere stato richiesto a Bramantino da Giovanni del Conte, deputato del Luogo Pio della Misericordia di Milano (Natale - Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 280-284). Il tratto più avanzato dell’attività pittorica bramantiniana – 1515-20 circa – comprende la Fuga in Egitto (Orselina, Madonna del Sasso; Tanzi, 2011), unico dipinto che ne porti la firma (giudicata apocrifa da Calderari, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014), e il S. Sebastiano Rasini (Milano, collezione privata; Tanzi, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 288-295), estremo omaggio al Cristo alla colonna bramantesco, opere in cui la rappresentazione della natura assume un ruolo senza precedenti nel percorso di Bramantino: il languoroso martire cristiano, prototipo di tanti turbati del Seicento lombardo, apre ormai la strada a morbidezze epidermiche correggesche.
Dal secondo decennio del Cinquecento Bramantino sembra affiancare con continuità alla realizzazione di dipinti la vera e propria progettazione architettonica (un suo libro di disegni, di proprietà di Valerio Belli, è ricordato da Vasari, 1568, V, 1984, p. 432; per un riesame della questione ‘Bramantino architetto’: Repishti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, e in Bramantino e le arti..., 2017). L’unico edificio, il cui progetto pare riferibile con qualche certezza all’artista, è la cappella, dedicata alla Madonna di Lonigo, che il maresciallo Trivulzio fece erigere accanto alla basilica di S. Nazaro in Brolo a Milano. Il complesso, comprendente il sacello e i locali per i cappellani, è menzionato per la prima volta nel testamento del 1507; già iniziato nel 1512, e in costruzione nel 1517, fu ultimato anni dopo la morte dell’artista per volere di Gian Francesco Trivulzio, nipote del Magno, con modifiche al progetto iniziale. Gli unici tre pagamenti conosciuti a Bramantino, per consulenze date sul cantiere, si scalano tra il 29 ottobre e il 10 dicembre 1519 (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, p. 324, doc. 156). Nel frattempo l’artista fu coinvolto nei lavori per l’erezione della chiesa ottagona di S. Maria del Pilastrello che Paolo Somenza volle nel territorio di Binasco, come attestano due atti, uno del 29 agosto 1514 e l’altro del 6 maggio 1518, stilato all’interno della cappella Trivulzio (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 322 s., doc. 146; Rossetti, in Bramantino. L’arte nuova..., 2014, pp. 65 s.; Repishti, in Bramantino e le arti..., 2017, pp. 197 s.). Il 19 maggio 1519 l’artista intervenne a una riunione dei deputati della Fabbrica del duomo, che decisero di fare costruire un grande modello ligneo della cattedrale, la cui supervisione fu poi affidata a Zenale (Annali..., 1880, p. 208; Repishti, in Bramantino e le arti..., 2017, pp. 195 s.). Infine disegnò e diresse il progetto per la tomba di Pietro Foppa in S. Marco a Milano; commissionata il 7 gennaio 1520, avrebbe dovuto essere ultimata entro il seguente 11 novembre dallo scultore Giovanni Antonio Oggioni (Shell, 1996).
Nel 1520 Pasquier Le Moyne, nel resoconto a stampa della spedizione francese del 1515 per riconquistare Milano, ricordò con ammirazione i grandi cavalli dipinti nelle scuderie di Galeazzo Sanseverino; la storiografia successiva (Vasari, 1550, III, 1971, p. 260; Lomazzo, 1584, 1974, p. 165), considerandoli opera di Bramantino, ne lodò l’ingannevole illusionismo (Amerigo, in Bramantino e le arti..., 2017; Rossetti, 2013, pp. 225 s., ricorda che l’edificio appartenne, dal 1507 almeno, al governatore di Milano Charles d’Amboise, altro possibile committente dell’opera). Sempre a Vasari spetta la menzione di un ciclo di storie romane e mitologiche che Bramantino affrescò nel palazzo del segretario ducale Marchesino Stanga (1550, III, 1971, p. 260). Tra le altre perdute opere milanesi lo storiografo aretino, nella seconda edizione delle Vite, menziona la Natività di Cristo nel cortile della Zecca, la Natività della Vergine sul tramezzo di S. Maria di Brera, dove erano anche ante d’organo con Profeti, e le facciate dipinte delle case di Giovan Battista Latuada e Bernardo Scaccabarozzi (1568, V, 1984, pp. 432 s.). Cesare Cesariano nel 1521 rammentò Bramantino nel suo commento a Vitruvio insieme a Zenale e Luini, soprattutto come freschista, in una lista di artisti lombardi scesi a Roma (Vitruvio, 1521). Secondo Marcantonio Michiel, autore tra il 1525 e il 1532 di una descrizione di Bergamo, Bramantino, con Zenale, Troso da Monza e altri, avrebbe fornito i cartoni per gli stalli del coro nella chiesa dei Ss. Stefano e Domenico (ora in quella di S. Bartolomeo della stessa città), intarsiati da fra Damiano Zambelli (Michiel, 1521-1543, 1884, p. 133; un’ipotesi d’identificazione della parte spettante a Suardi è in Agosti, in Bramantino a Milano, 2012, p. 55).
L’ultima impresa pittorica documentata sono gli scomparsi affreschi della cappella dei Magi in S. Eufemia a Milano, eseguiti per volontà di Gian Giacomo Lambrugo (21 maggio 1519), per i quali Bramantino fu pagato fino al 1524 (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 324-329, docc. 158, 164, 167, 173, 189, 194, 196, 198; proposte di derivazione da queste pitture sono in Agosti - Stoppa - Tanzi, 2011a, pp. 43 s., 2011b, p. 28). Il 22 gennaio 1525 i francesi, rientrati brevemente a Milano, inclusero Bramantino in una lista di cittadini banditi dalla città perché di fede sforzesca e lo esiliarono per pochi giorni a Susa. Con il definitivo ritorno degli Sforza dopo la battaglia di Pavia, l’artista, che era riuscito nel frattempo a far dimenticare i trascorsi filofrancesi, ottenne da Francesco II, il seguente 1° maggio, la nomina a pittore e architetto ducale, ufficiale e cortigiano e il riconoscimento di un salario per i servizi resi alla casata e per avere contribuito alla difesa di Milano (Cara, in Bramantino a Milano, 2012, pp. 330 s., docc. 201, 206). Una delle testimonianze più tarde che riguardano Suardi, del 20 aprile 1527, lo vede in contatto con il pittore Bernardino De Donati, membro della nota famiglia di intagliatori milanesi (p. 332, doc. 215).
Bramantino morì, probabilmente a Milano, nel 1530, prima del 23 marzo, quando la vedova si fece rappresentare in una lite giudiziaria dal genero Gian Giacomo da Monza, il quale aveva sposato prima del 2 ottobre 1525 Giulia Suardi, con la quale generò Francesco e Pietro Paolo (p. 331, doc. 208).
Fonti e Bibl.: Vitruvio, De Architectura libri dece traducti de latino in vulgare, a cura di C. Cesariano, Como, Gottardo Da Ponte, 1521, c. XLVIIIv; M. Michiel, Notizia d’opere di disegno pubblicata e illustrata da D. Jacopo Morelli (1521-1543), a cura di G. Frizzoni, Bologna 1884, p. 133; G. Vasari, Le vite... (1550 e 1568), a cura di P. Barocchi - R. Bettarini, III, Firenze 1971, pp. 259 s., IV, 1976, pp. 165 s., V, 1984, pp. 432 s.; G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura (1584), in Id., Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, II, Firenze 1974, pp. 165, 236, 395; G.B. Cavalcaselle, Bramante e Bramantino (ante 1871), in Concorso. Arti e lettere, I (2007), pp. 71-142; Annali della Fabbrica del Duomo di Milano, III, Milano 1880, pp. 124-126, 208; W. Suida, Ein verloren geglaubtes Werk Bramantinos, in Monatsberichte über Kunstwissenschaft und Kunsthandel, II (1902), pp. 94-96; Id., Die Jugendwerke des B. 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