SUBIACO
(lat. Sublaqueum)
Cittadina del Lazio, in prov. di Roma, principale centro della media e alta valle dell'Aniene.
Il nome antico di Sublaqueum ('sotto i laghi') fa riferimento ai Simbruina stagna creati da Nerone sbarrando il corso dell'Aniene ai piedi dei monti Simbruini, a specchio dei quali l'imperatore fece erigere una grandiosa villa (Tacito, Annales, XIV, 22). La vitalità della zona, ancora in età tardoimperiale, è testimoniata dal restauro della via Sublacensis sotto Costantino e Valentiniano e dalla menzione di Sublaqueum nella Tabula Peutingeriana (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 324; Tomei, 1997).Le origini e lo sviluppo vero e proprio del centro abitato di S. si legano tuttavia alla figura di s. Benedetto da Norcia e alla fondazione, nella valle sublacense, di una serie di cenobi. La principale fonte in tal senso è costituita dal secondo libro dei Dialoghi di s. Gregorio Magno, che attesta come s. Benedetto da Norcia, della famiglia degli Anici, abbandonata Roma, avesse scelto di condurre vita eremitica ritirandosi per tre anni in una grotta del monte Taleo, presso S., e come ben presto la fama della sua esperienza avesse attirato intorno a lui un gran numero di seguaci, spingendo il santo a uscire dal romitorio per gettare le basi delle prime forme di vita cenobitica, istituendo nella valle dell'Aniene dodici primi insediamenti, facenti capo al cenobio da lui stesso fondato e retto prima della partenza per Montecassino nel 529.I dati archeologici hanno ormai dato piena conferma alla tradizione secondo la quale tale cenobio, dedicato a s. Clemente, si sarebbe insediato su un nucleo della villa neroniana, un padiglione aperto direttamente sulle rive del lago inferiore, sulla sponda destra dell'Aniene, i cui resti mostrano aggiunte e rifacimenti databili, appunto, al 6° secolo. Il Chronicon Sublacense attesta la sua esistenza fino al sec. 13°, quando fu distrutto da un terremoto (Sublaqueum-Subiaco, 1995). Tuttavia, già a partire dal sec. 9°, esso doveva aver perso il carattere di preminenza, passando in secondo piano rispetto al cenobio di S. Scolastica, la cui importanza, viceversa, conobbe un continuo, costante incremento, in particolare tra 11° e 13° secolo.La rocca che sovrasta l'abitato venne costruita fra il 1073 e il 1077 dall'abate di S. Scolastica Giovanni V, quale residenza abituale degli abati. Oggi caratterizzata dalle radicali trasformazioni del sec. 18°, essa si impone su un nucleo abitato, il rione detto della Valle, che, malgrado le lacerazioni sofferte dal tessuto urbanistico di S. durante il secondo conflitto mondiale, presenta ancora l'assetto medievale, in parte riconoscibile anche nel tracciato viario che circonda la chiesa di S. Pietro, fondazione duecentesca completamente ricostruita dopo i bombardamenti, che della facies medievale conserva il campanile, aperto da due piani di bifore.Poco più della menzione delle fonti rimane della maggior parte delle antiche parrocchiali, scomparse o riedificate in epoca moderna, come nel caso della chiesa di S. Maria della Valle, una fabbrica neoclassica eretta in sostituzione dell'omonima parrocchiale medievale, ai piedi della rocca; al suo interno è conservata la Madonna del Perpetuo Soccorso, un gruppo ligneo con la Vergine e il Bambino in trono databile all'inizio del Duecento, fin dalle origini conservata nella residenza degli abati secondo un'ipotesi avanzata per prima da Toesca (1964).Va ricordato, inoltre, il ponte di S. Francesco, raro esempio conservato di ponte fortificato medievale: a schiena d'asino, fu eretto nel 1358 dall'abate Ademaro, con torre sulla spalla prospiciente il centro abitato, e restaurato nel 1789 per volere di papa Pio VI (1775-1799). Al di là di esso, sulla sponda opposta dell'Aniene, è la chiesa di S. Francesco, costruita nel 1327: a una navata, coperta da tetto a capriate, presenta un arco trionfale che immette nel profondo presbiterio, concluso da un coro quadrato.Appena fuori dal centro abitato di S. sorgono, a poca distanza l'uno dall'altro, i due monasteri benedettini di S. Scolastica e del Sacro Speco, o di S. Benedetto, fra i più imponenti e significativi luoghi di culto dell'Italia centrale, direttamente in rapporto con le origini stesse dell'Ordine benedettino, costituendo il primo il più antico cenobio conservatosi dell'Ordine, il secondo il santuario sorto intorno al nucleo delle sacre grotte che, secondo il racconto agiografico, accolsero il periodo eremitico della vita di s. Benedetto.Il monastero di S. Scolastica, il più antico dei due complessi dal punto di vista architettonico, nell'assetto attuale si mostra perlopiù frutto, per quanto riguarda le strutture monastiche, della grande campagna di lavori promossa alla fine del Cinquecento dall'abate Cirillo da Montefiascone e, per quanto riguarda l'interno dell'abbaziale, della riedificazione neoclassica realizzata fra il 1769 e il 1776 dall'architetto Giacomo Quarenghi. Quanto si è tuttavia conservato e quanto è stato possibile accertare dagli scavi effettuati nel 1962 al di sotto della pavimentazione dell'abbaziale, consente di ricostruire per l'epoca medievale una storia edilizia del cenobio distinta grosso modo in cinque momenti salienti.Una prima fase, in accordo con quanto tramandato dalle fonti, si identifica nei resti di una primitiva basilica al di sotto dell'od. chiesa, resti di un edificio che l'esame delle murature individua come altomedievali e pertinenti a un impianto eretto accanto all'originario oratorio del sec. 6° con ogni probabilità già entro la prima metà del 9°, a favore del quale sarebbero da ascriversi interventi promossi da papa Gregorio IV (827-844) e da papa Leone IV (847-855). Giovannoni (1904) riconobbe pertinente all'allestimento dell'arredo interno della chiesa la lastra con due cervi affrontati ai lati di un cantaro, oggi murata nel portico antistante l'abbaziale e recante sulla cornice un'iscrizione letta in rapporto, appunto, a lavori di abbellimento (Pani Ermini, 1985). Sulla medesima lastra, una seconda iscrizione incisa sul dorso del cervo di sinistra, inserita a evidenza in un momento posteriore alla realizzazione del rilievo, attesta la riedificazione a fundamentis della chiesa abbaziale e la relativa riconsacrazione nel 980, all'epoca di papa Benedetto VII (974-983). Va probabilmente riferita a questa seconda campagna costruttiva, peraltro non circostanziata da alcuna ulteriore fonte, l'erezione, al centro della facciata, dell'imponente torre campanaria che ancora oggi dà accesso al santuario: fin dalle origini concepita in funzione di ingresso monumentale, ma con caratteri di natura difensiva (Betti, 1999). Riconoscibile nell'impianto primitivo solo per quanto concerne la parte basamentale, nelle sue forme attuali la torre risale - fatta eccezione per gli ultimi due piani, più elaborati e pertinenti a un intervento della fine del Duecento - ai lavori promossi nel cenobio dall'abate Umberto nel 1053, celebrati da un'epigrafe murata sulla facciata della chiesa.Intervento di ampio respiro, la campagna promossa, giusta l'interpretazione di un'iscrizione oggi murata nel c.d. atrio gotico, dall'abate Romano, si riconosce nel lato meridionale del chiostro detto cosmatesco, che reca la firma "Magister Iacobus Roman(us) fecit hoc op(us)", mentre gli altri tre lati, come cita la relativa iscrizione, vennero condotti a termine dal figlio di questi Cosma e dai nipoti Luca e Iacopo, intorno al 1240, al tempo dell'abate Lando, utilizzando il marmo di Carrara delle fabbriche neroniane che la distruzione dell'antico cenobio di S. Clemente aveva reso disponibili. Oltre all'impiego di un diverso materiale - un calcare appositamente predisposto per l'opera ma, come indicano i segni lapidari, verosimilmente lavorato altrove e successivamente montato sul posto -, il lato più antico, che Iacopo dovette realizzare ancora entro il sec. 12°, si caratterizza, rispetto agli altri tre, per una maggiore regolarità d'impianto, una rigorosa scansione delle aperture che disegna tre esafore strette fra pilastri; assai vicino nell'insieme all'esempio di S. Lorenzo f.l.m. a Roma, esso si presenta privo di inserti mosaicati, privilegiando una scultura decorativa insolitamente ricca, forse ispirata (Claussen, 1987) agli esiti dello stile romanico c.d. internazionale. Alle botteghe cosmatesche attive al chiostro va con ogni probabilità attribuita anche la realizzazione di arredi nell'abbaziale. Pochissimi lacerti, alcuni frammenti mosaicati e parte di un candelabro pasquale, oggi inserito nell'atrio gotico, sono quanto rimane di un allestimento che doveva trovar posto nel coro, rinnovato dallo stesso abate Lando.Dell'ultima significativa fase costruttiva, che vide il rinnovo in forme gotico-cistercensi della chiesa, restano testi chiave l'involucro esterno dell'od. abbaziale, il portale e parte del rosone aperto sulla testata del transetto. L'impianto - fatta eccezione per una serie di cappelle erette nel Quattrocento lungo la navata -, conservatosi pressoché inalterato fino alla ricostruzione settecentesca, era caratterizzato da un'unica ampia navata con archi trasversi segnati all'esterno da contrafforti, alto transetto e coro quadrato. Da ascriversi all'epoca dell'abbaziato di Enrico (1245-1273), nell'icnografia come nei particolari della plastica superstite si qualifica quale significativo esempio di ricezione del lessico architettonico diffuso nel Lazio meridionale dai cantieri cistercensi (Giovannoni, 1904; Giumelli, 1982).
Anche il complesso del Sacro Speco, così come oggi si presenta, appare il frutto di un'incessante serie di lavori di ampliamento e ristrutturazione che, in particolare fra i secc. 15° e 18°, in ragione di un adeguamento alle necessità della comunità di monaci ivi insediatasi, ridisegnarono, mutandolo radicalmente, l'assetto assunto nel Medioevo dall'antico romitorio di s. Benedetto. Il nucleo intorno al quale gli edifici monastici crebbero nel corso dei secoli è infatti rappresentato dalle due grotte in cui il santo si raccolse nei tre anni di vita eremitica: la grotta della Preghiera e quella nota come grotta dei Pastori, presso la quale s. Benedetto accoglieva gli abitanti della valle sublacense che salivano ad ascoltare il suo insegnamento, entrambe aperte sul costone roccioso del monte Taleo e unite da un breve scosceso sentiero.Una prima, significativa trasformazione del sito da ambiente 'naturale' a complesso architettonicamente definito si ebbe sotto l'abbaziato di Romano e per diretto intervento di papa Innocenzo III (1198-1216). Tra la fine del sec. 12° e i primi anni del 13°, l'accesso dal fondovalle, in corrispondenza del fianco della grotta dei Pastori, venne dotato di facciata, al di là della quale il sentiero che dalla prima grotta saliva allo speco di s. Benedetto venne trasformato in scala, la Scala Santa, oggi riconoscibile solo in un breve tratto, e proseguito, in un complesso articolarsi di rampe e accessi ormai pressoché perduti, a collegare le due grotte con una serie di ambienti eretti in corrispondenza e al di sopra della grotta della Preghiera (atrio, cappella di S. Gregorio, cappella della Madonna, vano biabsidato designato come cappella di S. Romano), fino al livello oggi occupato dalla chiesa inferiore e costituito in origine da una sorta di pianerottolo - ideato come raccordo fra il santuario vero e proprio e il piccolo monastero che in alto raccoglieva la comunità di monaci - al centro del quale venne realizzato l'affresco celebrativo della bolla con cui Innocenzo III, nel 1202, concedeva speciali privilegi ai monaci del Sacro Speco. Concepito quale sorta di involucro degli ambienti rupestri, così come emerge dalle indagini condotte sulle attuali strutture (Righetti Tosti-Croce, 1982a), il santuario innocenziano si qualificava in ambito occidentale quale vero e proprio unicum, anomalo sia per quanto riguarda l'architettura monastica sia per quanto concerne i santuari rupestri, che trova i più stringenti termini di confronto nei modelli di culto orientali rappresentati (Righetti Tosti-Croce, 1982a) dagli edifici eretti a celebrazione di eventi singoli della vita e della passione di Cristo o della vita della Vergine.Quanto emerge dall'analisi degli elementi superstiti testimonia peraltro come la trasposizione del modello si realizzasse secondo un lessico formale tutto occidentale, aggiornato, nel caso della facciata verso il fondovalle, agli esiti raggiunti in ambito regionale dalla diffusione della cultura architettonica cistercense e, per quanto riguarda la plastica o gli elementi di decorazione, direttamente legato alle botteghe di marmorari impegnati a Roma nei cantieri innocenziani. Pochi decenni dopo la costruzione di Innocenzo III la struttura del santuario conobbe una radicale trasformazione, che segnò in qualche modo il recupero dell'impianto ai canoni della tradizione architettonica occidentale. Sulla scorta delle fonti documentarie e della cronologia di massima assegnata agli affreschi che ne ricoprono le pareti, la costruzione della c.d. basilica inferiore si può di fatto circoscrivere agli anni di governo dell'abate Enrico, cui con ogni probabilità va attribuita anche l'organizzazione, in forme più conformi, degli edifici monastici: l'intera operazione comportò lo stravolgimento completo dell'impianto innocenziano, in una sorta di 'regolarizzazione' del percorso architettonico, annullato nel suo asse di sviluppo verticale dalla creazione di ampi spazi orizzontali sia per quanto concerne gli ambienti destinati alla comunità di monaci sia per quanto riguarda il santuario vero e proprio, a fulcro del quale venne allora a porsi l'aula rettangolare della chiesa inferiore, coperta con tre volte a crociera ed estesa a inglobare l'originario pianerottolo, collegata sia al monastero sia alle grotte da un nuovo sistema di accessi che si impose, annullandolo, sull'antico.
Un ulteriore intervento, per quanto concerne la storia medievale del Sacro Speco, fu segnato dalla sopraelevazione di un piano del complesso monastico e dalla costruzione, al di sopra dell'aula, della chiesa superiore, con scala di raccordo fra le due strutture e nuova disposizione di accessi. Le vistose incongruenze che l'impianto mostra, in pianta come in alzato, attestano a evidenza una realizzazione protrattasi nel tempo e di fatto rimasta incompiuta: avviata con ogni probabilità in concomitanza con i lavori di ampliamento del monastero promossi dall'abate Bartolomeo II nel terzo decennio del sec. 14°, essa può dirsi conclusa in concomitanza con la stesura, al di sopra delle murature, del ciclo di affreschi realizzato dai pittori senesi chiamati al Sacro Speco dall'abate Bartolomeo da Siena (1363-1369). Agli inizi del sec. 14°, piuttosto che al Duecento come proposto da Giovannoni (1904), va verosimilmente riferita l'esecuzione del pulpito, pressoché unico resto autenticamente medievale dell'arredo della chiesa, nella cui resa plastica, più carnosa rispetto agli esempi duecenteschi abruzzesi chiamati a confronto dallo studioso, vanno piuttosto riconosciuti gli esiti della scultura trecentesca laziale (Righetti Tosti-Croce, 1982a).
Bibl.:
Fonti. - Gregorio Magno, Dialogi, a cura di A. de Vogüé, in SC, CCLI, CCLX, CCLXV, 1978-1980; Chronicon Sublacense (A. 593-1369), a cura di R. Morghen, in RIS2, XXIV, 6, 1927, pp. 3-46.
Letteratura critica. - G. Giovannoni, L'architettura, in I monasteri di Subiaco, Roma 1904, I, pp. 263-402: 298-313; D. Federici, Primordi benedettini e origini comunali in Subiaco, Subiaco 1938; M. Accascina, Note sul campanile di S. Scolastica di Subiaco, "Atti del V Convegno nazionale di storia dell'architettura, Perugia 1948", Firenze 1957, pp. 257-264; I. Toesca, La Madonna di S. Maria della Valle a Subiaco, BArte, s. IV, 49, 1964, pp. 218-223; R. Perrotti, La chiesa e il campanile di S. Scolastica in Subiaco: recenti ritrovamenti, Palladio, n.s., 16, 1966, pp. 137-147; D.F. Glass, Studies on Cosmatesque Pavements (tesi), Baltimore 1968; C. D'Onofrio, L'abbazia di S. Scolastica, in C. D'Onofrio, C. Pietrangeli, Abbazie del Lazio, Roma 1970, pp. 60-61; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe 'a la fin du XIIe siècle (BEFAR, 221), 2 voll, Roma 1973, pp. 408-409; L. Pani Ermini, Subiaco all'epoca di S. Benedetto. Note di topografia, Benedictina 28, 1981, pp. 69-80; C. Giumelli, L'architettura dell'abbazia di Santa Scolastica, in I monasteri benedettini di Subiaco, a cura di C. Giumelli, Milano 1982, pp. 11-67; M. Righetti Tosti-Croce, L'architettura del Sacro Speco, ivi, 1982a, pp. 75-94; id., Il Sacro Speco di Subiaco e l'architettura dei Crociati in Terra Santa, in Il Medio Oriente e l'Occidente nell'arte del XIII secolo, "Atti del XXIV Congresso di storia dell'arte. C.I.H.A., Bologna 1979", a cura di H. Belting, II, Bologna 1982b, pp. 129-135; Il convento di S. Francesco in Subiaco, Subiaco 1984; L. Pani Ermini, Note sull'architettura monastica del Lazio meridionale nell'Alto Medioevo, in Antichità paleocristiane e altomedievali del Sorano, "Atti del Convegno, Sora 1984", a cura di L. Gulia, A. Quacquarelli, Sora 1985, pp. 19-40; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum, I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14) Stuttgart 1987; L. Caronti, G. Orlandi, L. Priori, La rocca di Subiaco, Subiaco 1989; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia romanica, 13), Milano 1992; Sublaqueum-Subiaco. Tra Nerone e s. Benedetto, a cura di M.G. Fiore Cavaliere, Roma 1995; M.A. Tomei, s.v. Subiaco, in EAA, suppl. II, V, 1997, pp. 480-482; F. Betti, Da Subiaco a Montecassino. Origine e diffusione della torre di facciata in alcuni edifici religiosi protoromanici del Lazio Meridionale, in Arte d'Occidente. Temi e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, Roma 1999, I, pp. 71-81.M.C. Rossini
Sia l'abbazia di S. Scolastica sia il Sacro Speco conservano imponenti testimonianze dell'opera di frescanti di diversa formazione figurativa e provenienza, che coprono un arco cronologico assai ampio.Una delle testimonianze più antiche è costituita da un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino tra due santi, su una parete della grotta dei Pastori al Sacro Speco, databile approssimativamente verso la fine del sec. 9° o agli inizi del successivo e che sembra presentare qualche somiglianza con gli affreschi del c.d. tempio della Fortuna virile (S. Maria in Gradellis) a Roma.Il primo nucleo affrescato del nuovo Speco fu la cappella di S. Gregorio, la cui datazione può essere collocata con forte probabilità tra il marzo e il luglio del 1228 (Bianchi, 1980) per la presenza di un'epigrafe dipinta, che ricorda il soggiorno di papa Gregorio IX (1227-1241) presso lo Speco e la decorazione della cappella durante il secondo anno di pontificato (marzo 1228-marzo 1229), e per quella del famoso ritratto di S. Francesco d'Assisi sulla parete a destra dell'ingresso, raffigurato senza aureola né stimmate - queste ultime manifestatesi nel 1224 - e quindi del tutto verosimilmente precedente alla sua canonizzazione, proclamata il 16 luglio 1228 e ufficializzata il 19 dello stesso mese. Non del tutto attendibile sembra la notizia, per la prima volta riferita dalla Cronaca del monaco Cherubino Mirzio (1628), di una visita nel 1222 di Ugolino dei Conti di Segni, il futuro papa Gregorio IX, assieme a Francesco, di cui il ritratto sarebbe stata la memoria voluta dal pontefice.Il ciclo iconografico della cappella di S. Gregorio è incentrato sulla glorificazione della personalità del pontefice committente, protagonista della scena con la consacrazione della cappella, sulla parete orientale verso l'ingresso. Una figura di S. Michele Arcangelo con un turibolo è rivolta verso la scena della consacrazione e, nella lunetta sovrastante la finestra, un angelo benedice un non meglio identificato frate Oddo. Sulla parete di fondo, quella dell'abside, è affrescata una Crocifissione; all'interno dell'absidiola, sopra la finestra, è un'immagine di Cristo Pantocratore e al di sotto, ai lati della finestra, S. Pietro e S. Paolo. Sulla parete esterna della cappella si trova, infine, un pannello raffigurante S. Gregorio e Giobbe, dovuto probabilmente allo stesso maestro che nella cappella affrescò la scena della consacrazione e l'immagine di S. Francesco d'Assisi; a un secondo pittore sembrano invece spettare la Crocifissione e la decorazione della volta. Dal punto di vista stilistico sono state osservate (Aggiornamento scientifico, 1988) nette somiglianze con i modi pittorici caratterizzanti la bottega del Terzo Maestro della cripta del duomo di Anagni (v.), tanto da far pensare a una vera e propria identità di matrice culturale tra le due opere, sia pure con presenze fluttuanti di singoli pittori.Sempre nella chiesa inferiore, un affresco, che presenta i segni della picchettatura dovuta alla sovrapposizione di un altro strato di intonaco, mostra un'iscrizione relativa ai privilegi concessi (1202) da papa Innocenzo III al cenobio sublacense, sorretta ai lati da s. Benedetto - davanti al quale è inginocchiato l'abate Romano - e da papa Innocenzo III; il dipinto è agevolmente databile agli anni del pontificato di quest'ultimo, ritratto con il nimbo quadrato dei viventi. Sullo strato più recente di intonaco, databile alla fine del Duecento, è invece il busto, sempre di Innocenzo III, che sovrasta l'iscrizione stessa.Le pareti e le volte dei tre vani che collegano la Scala Santa alla cappella superiore - e che costituiscono la chiesa inferiore - sono quasi interamente ricoperte da pitture la cui datazione è concordemente fissata agli ultimi anni del 13° secolo. Sulla sinistra della scala che dalla chiesa superiore conduce al primo vano, in una nicchia è affrescata una Madonna in trono con il Bambino tra angeli, firmata da magister Conxolus, al quale tradizionalmente è stata riferita l'intera decorazione. Questa si articola attorno a un ciclo di Storie di s. Benedetto dipinte sulle pareti e collegate tra loro da motivi architettonici dipinti (colonne tortili, serie di archetti su mensole, specchiature marmoree) di marcato gusto cosmatesco. Sulle volte nel primo ambiente è raffigurato l'Agnello mistico con i simboli dei quattro evangelisti; nel secondo, al centro, un clipeo con il busto di s. Benedetto e altre figure di santi; nel terzo, un clipeo con il busto del Salvatore e figure di angeli e santi. Nonostante le estese ridipinture di quasi tutte le volte e di parte delle pareti, che non ne consentono una lettura del tutto agevole dal punto di vista dello stile, appare senz'altro opportuno staccare - anche se non necessariamente in termini di cronologia - l'esecuzione delle volte da quella delle pareti e distinguere le opere riferibili a Consolo e bottega da quelle di uno o più pittori, senza dubbio aggiornati sulle novità elaborate dai maestri romani nel cantiere della chiesa superiore di S. Francesco ad Assisi e per certi aspetti collegati alla lezione torritiana (Bellosi, 1985; Aggiornamento scientifico, 1988; Romano, 1992). Tra secondo e terzo vano si verifica infatti un cambiamento della visione spaziale che presiede all'impaginazione degli affreschi, nel senso di una più accentuata resa prospettica, soprattutto dei motivi di incorniciatura architettonica. Risale ai primi del Duecento, ma venne probabilmente ridipinta alla fine del secolo nel corso della campagna di Consolo e bottega, la lunetta nel secondo vano raffigurante S. Tommaso Becket, tra i ss. Stefano e Nicola.Nel corso del sec. 14° l'attività di decorazione del Sacro Speco proseguì, interessando la Scala Santa, la cappella della Madonna e la chiesa superiore. Si tratta di tre nuclei diversi, il primo dei quali, la Scala Santa, presenta sulla parete destra una grande composizione raffigurante la Cavalcata della Morte e sulla parete opposta l'Incontro dei tre vivi e dei tre morti, mentre sulla volta sono affrescate le figure dei Ss. Francesco, Agostino, Bernardo e Domenico. Negli spazi adiacenti sono svolte Storie dell'Infanzia di Cristo (Battesimo, Fuga in Egitto, Strage degli innocenti) con varie immagini di santi; nella cappella della Madonna sono invece presenti Storie della Vergine (tra le quali la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Dormitio Virginis) con altre figure di santi. Si tratta di gruppi di affreschi sostanzialmente omogenei dal punto di vista stilistico, pur nell'ovvia presenza di mani di diversi esecutori; essi sono stati più volte riferiti a Meo di Guido da Siena, pittore attivo a Perugia tra il secondo e il quarto decennio del Trecento, o a frescanti della sua cerchia o seguaci (I monasteri di Subiaco, 1904; Toesca, 1951; Offner, 1962; Boskovits, 1973; Cristiani Testi, 1982). Todini (1989), seguendo un'indicazione di Zeri (1948) riguardante il Maestro dei Dossali di Subiaco (questi ultimi conservati nella sacrestia), ha distinto gli affreschi in due gruppi, uno facente capo a questo pittore, l'altro al Maestro dei Dossali di Montelabate. Gli affreschi sublacensi, pur essendo assai vicini ai modi di Meo di Guido da Siena, sembrano però opera di stretti seguaci del maestro, attivi con tutta probabilità entro la metà del secolo (Romano, 1992).Nel monastero di S. Scolastica le più antiche testimonianze pittoriche sono negli intradossi degli arconi orientale e occidentale del campanile; nel primo si trova la mano benedicente dell'Eterno entro un clipeo e nell'altro gli evangelisti Giovanni e Luca e due figure del Tetramorfo, il leone e l'angelo, stilisticamente dipendenti dalle opere del Maestro Ornatista attivo nella cripta del duomo di Anagni e quindi databili ai primi decenni del sec. 13° (Aggiornamento scientifico, 1988, p. 296).Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento si ebbe una nuova fase decorativa che interessò la facciata della chiesa e le volte e la parete del lato occidentale del chiostro cosmatesco. Sulla facciata e su parte del muro del campanile si svolge un ciclo di Storie benedettine su due registri; al di sopra del portale corre un loggiato dipinto ad archetti trilobi, all'interno dei quali sono raffigurati al centro Cristo benedicente, affiancato dalla Vergine e da s. Scolastica, e altre figure di santi. Dovuti a mani diverse ma sostanzialmente omogenee, gli affreschi della facciata sembrano di qualche anno posteriori a quelli del Sacro Speco, del cui milieu stilistico sono comunque derivazione. Sono state ipotizzate affinità con le opere di Memmo di Filippuccio (Bellosi, 1985) e di Segna di Bonaventura (Romano, 1992), tutte nella direzione di un riferimento alla diffusione nell'Italia centrale dei modi elaborati nel cantiere della basilica di S. Francesco ad Assisi.Nel braccio occidentale del chiostro cosmatesco le volte accolgono clipei entro cui sono raffigurati l'Agnello mistico e i simboli degli evangelisti, mentre sulla parete sono dipinti veri e propri 'paesaggi' che riproducono i possedimenti dell'abbazia.Alcuni aspetti 'moderni' di questa complessa decorazione permettono di ipotizzare per la datazione degli affreschi un riferimento ai primi decenni del Trecento, pur senza vincolarla necessariamente alla notizia della Cronaca di Cherubino Mirzio, secondo cui quell'ala del chiostro sarebbe stata ricostruita sotto il governo dell'abate Bartolomeo II (1318-1348), esattamente quarant'anni dopo il terremoto che nel 1298 aveva distrutto le strutture adiacenti, ovvero nel 1338. Per quanto riguarda l'aspetto stilistico, l'attribuzione a Filippo Rusuti (v.) dell'angelo nella seconda volta, sia pure stimolante sul piano del raffronto qualitativo (Bellosi, 1985), non sembra reggere al confronto con l'unica opera certa del pittore, la fascia alta del mosaico di facciata di S. Maria Maggiore a Roma (Aggiornamento scientifico, 1988; Romano, 1992). Il pittore del chiostro sublacense, pur partendo da modelli tardoduecenteschi romani, si mostra più attento ai temi della resa prospettica degli elementi di incorniciatura architettonica, che tratta con singolare complessità. Da questo particolare punto di vista colpisce la somiglianza di sistema tra le mensolette prospettiche che incorniciano il clipeo con il leone di s. Marco e analoghi motivi intorno ai clipei racchiudenti le figure degli apostoli Filippo e Giacomo nella cappella di S. Aspreno nel duomo di Napoli; affreschi, questi ultimi, segnati dall'influsso di Pietro Cavallini (v.) ma non direttamente riferibili all'autografia del maestro (Tomei, 1996).
Nella Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica a S. - nella quale, tra la fine del sec. 14° e gli inizi del 16°, confluì anche quella del Sacro Speco - si conservano oltre cinquanta manoscritti miniati, alcuni dei quali prodotti nello scriptorium attivo nell'abbazia. Il Chronicon Sublacense, nella parte redatta nel sec. 12°, riferisce che gli abati Pietro II (992-1003) e Giovanni, il cui governo si colloca durante il pontificato di Clemente II (1046-1047), fecero approntare libri in S. Scolastica, così come altri abati nel corso del secolo successivo. Il più antico manoscritto miniato conservatovi è la Vita Sanctae Euphrosinae (CLX, inv. Allodi 163), un passionario-sermonario contenente anche la Regula sancti Benedicti. Tradizionalmente considerato come prodotto dello scriptorium sublacense tra i secc. 9° e 10°, è stato accostato da Supino Martini (1987) all'ambito cassinese, da cui in effetti certe soluzioni stilistiche di alcune miniature (Vergine con il Bambino in braccio, c. 36v) sembrano derivare.A Roma (Vallicell.) si conservano, provenienti da S. Scolastica, un Sacramentarium Sublacense (B. 24) e i Libri Sententiarum di Isidoro di Siviglia (B. 40); il primo, trascritto a Subiaco nel 1075 dal monaco Guittone, presenta iniziali a intreccio fitozoomorfo, che trovano rispondenza nella coeva produzione romana; il secondo ha iniziali più semplici, ma tipologicamente accostabili a quelle del Sacramentarium. A questo gruppo va poi aggiunta l'Expositio in Epistulas Pauli di Aimone di Auxerre (Roma, BAV, Vat. lat. 653).Nella Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica si trova invece un altro importante manoscritto dello stesso periodo (inv. Allodi 249 bis), un salterio con ricche iniziali a nastri intrecciati e qualche inserto zoomorfo; analoghe iniziali, numerosissime, si riscontrano in un salterio conservato a Roma (BAV, Chigi D.VI.79), che presenta anche motivi antropomorfi.Tra gli altri manoscritti riferibili all'area sublacense nei secc. 11° e 12° vanno ricordati almeno i due breviari conservati a Roma (BAV, Chigi C.VI.177) e a Montecassino (Bibl., 420), le Epistulae Pauli (Subiaco, Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica, CXXXIII, inv. Allodi 136) e un innario conservato a Zurigo (Zentralbibl., Rh.91; Supino Martini, 1987).Intorno alla metà del sec. 13° fu eseguito per il monastero sublacense di S. Maria Maddalena a Morra Feronia un Missale monasticum (Subiaco, Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica, XVIII, inv. Allodi 19), che presenta notevoli iniziali con ornati di gusto francesizzante e in sintonia con il channel style (Contardi, 1980): a c. 108r presenta l'unica miniatura figurata, una Crocifissione all'inizio del Te igitur, più tarda, probabilmente eseguita nell'area sublacense verso la fine del Duecento.Altri manoscritti furono prodotti nello scriptorium nel corso del Duecento, come alcuni lezionari (Subiaco, Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica, IV, inv. Allodi 4; XXII, inv. Allodi 24; CCLXIX, inv. Allodi 274) che presentano iniziali ornate a motivi fitomorfi, zoomorfi o fitozoomorfi, ricalcanti i modelli del secolo precedente.Altri codici della Bibl. del Monumento Naz. di S. Scolastica furono acquisiti soprattutto nel corso del sec. 14°, come si evince da alcune note di possesso, per es. quelle delle bibbie francesi (LXXVIII, inv. Allodi 80; LXXIX, inv. Allodi 81), acquistate la prima nel 1379 e la seconda nel 1394, rispettivamente per tre e quaranta ducati d'oro.
Bibl.:
Fonti. - Chronicon Sublacense (A. 593-1369), a cura di R. Morghen, in RIS2, XXIV, 6, 1927, pp. 3-46: 7-9; Cronaca sublacense del p. d. Cherubino Mirzio da Treveri monaco nella protobadia di Subiaco, a cura di P. Crostarosa, L. Allodi, Roma 1885.
Letteratura critica. - L. Allodi, Inventario dei manoscritti della biblioteca della Badia di Subiaco, in G. Mazzatinti, Inventarii dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, I, Forlì 1890; I monasteri di Subiaco, 2 voll., Roma 1904; F. Zeri, Catalogo della IV mostra di restauri dell'Istituto centrale del restauro, Roma 1948; Toesca, Trecento, 1951; G. Salvi, Documenti sul pittore Consolo, BArte, s. IV, 45, 1960, pp. 366-367; R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, IV, 1, New York 1962; C. D'Onofrio, C. Pietrangeli, Abbazie del Lazio, Roma 1970; M. Boskovits, Pittura umbra e marchigiana tra Medioevo e Rinascimento. Studi sulla Galleria Nazionale di Perugia, Firenze 1973; H. Belting, Die Oberkirche von S. Francesco in Assisi. Ihre Dekoration als Aufgabe und die Genese einer neuen Wandmalerei, Berlin 1977; M. Boskovits, Gli affreschi del Duomo di Anagni: un capitolo di pittura romana, Paragone 30, 1979, 357, pp. 3-41; A. Bianchi, Una proposta per l'inquadramento storico degli affreschi della cappella di S. Gregorio al S. Speco di Subiaco, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, "Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, Roma 1978", a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, II, pp. 5-14; B. Contardi, Un codice di area romana della metà del Duecento, ivi, pp. 77-83; U. Baldini, Gli affreschi dell'abbazia di Santa Scolastica, in I monasteri benedettini di Subiaco, a cura di C. Giumelli, Milano 1982, pp. 67-74; M.L. Cristiani Testi, Gli affreschi del Sacro Speco, ivi, pp. 95-202; id., Consolo: il Maestro del busto di Innocenzo III e i collaboratori negli affreschi del S. Speco di Subiaco, in Roma anno 1300, "Atti della IV Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1980", a cura di di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 403-411; L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino 1985; P. Leone de Castris, Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze 1986; P. Supino Martini, Roma e l'area grafica romanesca (secoli X-XII), Alessandria 1987; Aggiornamento scientifico all'opera di G. Matthiae. Pittura romana del Medioevo, II, a cura di F. Gandolfo, Roma 1988; F. Todini, La pittura umbra. Dal Duecento al primo Cinquecento, Milano 1989, I; S. Romano, Eclissi di Roma. Pittura murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma 1992; A. Tomei, Roma senza papa: artisti, botteghe, committenti tra Napoli e la Francia, in Roma, Napoli, Avignone. Arte di curia, arte di corte 1300-1377, Torino 1996, pp. 11-53.A. Tomei