subito (agg.)
È vocabolo di uso limitato alla Commedia, fuori della quale ricorre due volte nel Convivio, in esempi uno dei quali è d'incerta interpretazione, mentre l'altro può essere stato suggerito dalla fonte cui D. attinge; di norma, l'idea d'immediatezza, prontezza o repentinità che esso esprime in prosa è resa mediante la locuzione avverbiale di ‛ subito ' (cfr. voce seguente).
Il suo valore fondamentale è quello di " improvviso ", " repentino ", " che avviene o si manifesta d'un tratto e inaspettatamente ". È perciò riferito a fenomeni luminosi intensi e istantanei, quali la caduta di una meteora (Pd XV 14 per li seren tranquilli e puri / discorre ad ora ad or sùbito foco) o il guizzare di un lampo (XXX 46 Come sùbito lampo che discetti / li spiriti visivi).
Anche riferito alle luci vivissime e abbaglianti che appaiono a D. nel Paradiso terrestre (Pg XXIX 16 Ed ecco un lustro sùbito trascorse / da tutte parti per la gran foresta) o nell'alto dei cieli: Pd XIV 77 Oh vero sfavillar del Santo Spiro! / come si fece sùbito e candente / a li occhi miei...! (è la terza corona circolare di spiriti sapienti apparsi a D. nel cielo del Sole); XXV 81 dentro al vivo seno / di quello incendio [nell'interno della luce che fasciava lo spirito di s. Giacomo] tremolava un lampo / sùbito e spesso a guisa di baleno, scintillava " a guizzi improvvisi e frequenti " (Torraca). Analogamente: If XIX 78 'l sùbito dimando, la domanda " precipitosa "; XXI 27 paura sùbita; Pg XXIV 134 sùbita voce, " che risuona all'improvviso "; Pd XXVI 20 sùbito abbarbaglio, la " repentina " cecità che ha colto D.; la sùbita vigilia (v. 74) è un " improvviso " risveglio.
In due esempi sostituisce l'avverbio corrispondente, come avviene in latino per gli aggettivi che enunciano determinazioni temporali: Pg VII 11 Qual è colui che cosa innanzi sé / sùbita vede ond'e' si maraviglia, che " inaspettatamente " scorge innanzi a sé qualcosa; Pd XIV 4 ne la mia mente fé sùbito caso / questo ch'io dico, questo fenomeno mi tornò " prontamente " alla memoria.
Altre volte il suo uso è suggerito da una brevità espressiva concettosa e stringata: If XVI 73 La gente nuova e i sùbiti guadagni / orgoglio e dismisura han generata, / Fiorenza, in te: le ricchezze accumulate " in breve tempo " (cfr. Cv IV XII 9 che altro... pericola e uccide le cittadi... tanto quanto lo nuovo raunamento d'avere appo alcuno?); Pd VII 9 essa [l'anima di Giustiniano] e l'altre mossero a sua danza, / e quasi velocissime faville / mi si velar di sùbita distanza, " mi furono sottratte alla vista dal loro velocissimo [e, sembra opportuno aggiungere, ‛ improvviso '] allontanarsi " (Chimenz).
In due esempi è riferito a persona e vale " sollecito ", " che agisce con prontezza ": Pg XXI 14 Noi ci volgemmo sùbiti (sùbito nel Moore; v. Petrocchi, ad l.); Pd XIV 61 Tanto mi parver sùbiti e accorti / e l'uno e l'altro coro a dicer " Amme! ", / che...: " accorti significa solitamente pronti, intelligenti, abili; qui indica quella prontezza nel sentimento che è causa della prontezza nell'atto, espressa dal sùbiti " (Porena).
Rimangono i due esempi del Convivio. Nel primo (II X 3 ogni subito movimento di cose non avviene sanza alcuno discorrimento d'animo) l'aggettivo compare in traduzione da Boezio (Cons. phil. II I 6 " Verum omnis subita mutatio rerum non sine quodam quasi fluctu contingit animorum "), e quindi in un'occorrenza poco significativa per un'esatta definizione dell'uso dantesco. Il secondo esempio ricorre in II IX 2 l'anima mia... dice parole lamentandosi, quasi come si maravigliasse de la subita trasmutazione; il Fiammazzo registra l'occorrenza sia come forma dell'aggettivo sia come participio passato di ‛ subire '. Nel loro commento il Pederzini e il Fraticelli optano per la prima ipotesi; nulla dicono sul passo i commentatori più recenti.
Più probabile la prima interpretazione, tenuto anche conto che sarebbe questo l'unico esempio di ‛ subire ' nel D. volgare. Per If XXII 142 e Pg XIV 135, cfr. voce seguente.