Abstract
Il rinnovato quadro normativo ad opera sia della l. 10.12.2012, n. 219 che del d.lgs. 28.12.2013, n. 154 ha dato vita a nuovi e profondi mutamenti nel microsistema del diritto successorio. È stato recepito l’attuale modello familiare, un condensato di matrimonio, di stabile convivenza e di relazione occasionale che amalgama l’unicità dello stato giuridico della filiazione ed il definitivo superamento delle residue distinzioni categoriali fra i figli.
Il presupposto della successione legittima è racchiuso nell’art. 457, co. 2, c.c. laddove il legislatore ha stabilito che non si fa luogo a successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Dunque, solo ricorrendo l’oggettivo bisogno di supplire alla mancanza (totale o parziale) o alla incompletezza della manifestazione di ultima volontà da parte del de cuius interviene in sostituzione l’articolato sistema in esame. Scatta l’automatismo dell’immediata e diretta chiamata dei soggetti deputati e viene stabilito a chi debba essere devoluta l’eredità, nel rispetto di un blindato e precostituito criterio di legge della parentela, mitigato dal concetto del concorso.
Sempre a tenore dell’art. 457 c.c., la funzione suppletiva della devoluzione dell’eredità ex lege non può essere rimessa alla mera scelta del chiamato all’eredità; questi, infatti, non può in alcun modo ignorare la delazione derivante dalla legge per invocare quella testamentaria, poiché violerebbe anche l’incontestabile principio in base al quale non si può possedere una cosa per due titoli nello stesso tempo. Detta scelta, quindi, è rimessa esclusivamente al de cuius unico depositario del diritto di procedere alla redazione del testamento con l’effetto di decidere sulla modalità di devoluzione dei suoi beni, fermo restando il limite posto dall’art. 457, co. 3, c.c.
Il rinnovato quadro normativo ad opera sia della l. 10.12.2012, n. 219 che del d.lgs. 28.12.2013, n. 154 ha dato vita a nuovi e profondi mutamenti nel microsistema del diritto successorio con riguardo sia alle successioni legittime che alla disciplina della cd. successione necessaria (Palazzo, A., La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., 2013, I, 245 ss.; Sesta, M., L’unicità dello status di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231 ss.; Romano, C., I riflessi successori della riforma della filiazione naturale, in Notariato, 2013, 131 ss.; Magnani, A., Il principio di unicità dello stato giuridico di figlio. Il nuovo concetto di parentela. Riflessi successori, in Riv. not., 2013; Delfini, F., Riforma della filiazione e diritto successorio, in Corr. giur., 2013, 545 ss.).
L’evoluzione storica ha avuto inizio con il codice del 1942 il quale ha privilegiato la concezione della famiglia patriarcale, basata sui vincoli di sangue a cui hanno fatto eco: la devoluzione del patrimonio ereditario ai parenti in linea retta, il riconoscimento al coniuge superstite del cd. usufrutto uxorio su porzioni del patrimonio del de cuius, l’attribuzione ai figli legittimi di una quota di riserva pari al doppio di quella riconosciuta ai figli illegittimi e, comunque, non inferiore al terzo del patrimonio ereditario.
Sotto il vigore della riforma del 1975 lo scenario è mutato. Il centro di riferimento è divenuto la famiglia fondata sul matrimonio ed è emersa definitivamente la centralità del coniuge dalla posizione marginale cui era stato relegato. L’iter codicistico ha visto, altresì, l’abolizione del termine «figlio illegittimo» e l’equiparazione nei rapporti genitore-figlio della condizione dei figli legittimi con i figli naturali la cui filiazione sia stata riconosciuta o accertata giudizialmente (art. 258 c.c.). Ciò nonostante, l’imponente sforzo normativo ha negato ai figli naturali riconosciuti qualsivoglia legame parentale giuridicamente rilevante con la famiglia del genitore, con ciò ribadendo la necessità del vincolo matrimoniale tra i genitori quale fonte per il conseguimento dello status familiare (Dossetti, M., L’adeguamento delle terminologia legislativa e della sistematica del codice, in Dossetti, M.-Moretti, C., La riforma della filiazione, Bologna, 2013, 76 ss.).
A distanza di quasi mezzo secolo ed a seguito di un lungo processo evolutivo sia dottrinario che giurisprudenziale, è intervenuta con vigore la l. n. 219/2012 con la quale è stato recepito l’attuale modello familiare: un condensato di matrimonio, di stabile convivenza e di relazione occasionale che amalgama l’unicità dello stato giuridico della filiazione e consacra il definitivo superamento delle residue distinzioni categoriali fra i figli.
La normativa in esame è intervenuta transitando in modo incisivo nel diritto di famiglia, dapprima, nell’art. 74 c.c. stabilendo che «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite» ed è proseguita con la ridefinizione del contenuto dell’art. 258 c.c. con l’effetto di estendere gli effetti del riconoscimento anche ai parenti del genitore da cui fu fatto.
L’affermazione del principio cardine di cui all’art. 315 c.c. in virtù del quale «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» – norma anch’essa modificata dalla l. n. 219/2012 – ha determinato il duplice risultato di abbandonare, da una parte, i riferimenti a «figli legittimi» e «figli naturali» e, dall’altra, di riformare il rigido modello istituzionale di famiglia fondata sul matrimonio per introdurre le contemporanee forme mobili di convivenza quali la famiglia di fatto e la famiglia ricomposta a seguito di separazione o divorzio (Sesta, M., L’unicità dello status di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. dir., 2013, 231 ss.). Assumono, dunque, nuova tutela successoria le relazioni del figlio naturale riconosciuto con la famiglia del genitore con l’effetto di determinare la formazione di un diverso nucleo nel quale partecipano sia i figli nati nel precedente matrimonio che quelli scaturiti dalla nuova unione.
Il mutato quadro normativo introdotto ad opera della l. n. 219/2012 ha riformato, come si è detto, l’art. 74 c.c. ed ha ridefinito il contenuto dell’art. 258 c.c. estendendo gli effetti del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio anche ai parenti del genitore da cui fu fatto.
La norma che più di tutte è intervenuta a modificare la disciplina della devoluzione patrimoniale mortis causa è appunto l’art. 74 c.c. laddove, nel testo novellato dalla l. n. 219/2012, dispone che «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti». L’attuazione nel nostro ordinamento del principio di unicità dello stato di filiazione è stata, altresì, accompagnata dalla sostituzione in tutta la legislazione vigente della dicotomia figli legittimi/figli naturali con quella di figli nati nel matrimonio/figli nati fuori del matrimonio.
Superato il principio di relatività ed affermata, pertanto, la parentela del figlio nato fuori dal matrimonio con gli altri componenti della famiglia, è riformulato il significato di quelle disposizioni che da tale vincolo fanno discendere il prodursi della successione o la determinazione delle categorie di successibili.
Il riconoscimento della parentela naturale ha spiegato i primi effetti sulle categorie dei successibili legittimari (vocatio ab intestato) che nell’originaria formulazione del 1975 erano: il coniuge, i figli legittimi, legittimati e adottivi –con equiparazione ad essi dei figli naturali – i discendenti dei figli che succedono in luogo del loro genitore per rappresentazione, gli ascendenti legittimi, con inclusione dei figli adottivi (art. 536 c.c.).
Sulla base di tale disposizione ed in merito al piano della vocatio in ius, si rammenta il pensiero della dottrina la quale aveva individuato quattro classi di successibili ex lege. La prima classe cd. iure familiae, era individuata nei parenti legittimi ai quali venivano equiparati gli adottivi; la seconda classe, cd. iure coniugii, era composta dal coniuge legittimo ed eventualmente putativo; la terza classe, cd. iure sanguinis, era formata dai parenti naturali ed, infine, la quarta classe, cd. iure imperii, vedeva lo Stato.
In merito, non è ovviamente mancato l’intervento significativo della Corte costituzionale la quale ha inciso con diverse sentenze in tema dei diritti successori in relazione ai vincoli naturali tra il figlio ed il genitore naturale ed, in linea collaterale, tra fratelli e sorelle naturali (solo in mancanza di altri successibili legittimi entro il sesto grado e prima dello Stato) (C. cost., 12.5.1977, n. 76; C. cost., 4.7.1979, n. 55; C. cost., 12.4.1990, n. 184; C. cost., 7.11.1994, n. 377).
Come anticipato, a seguito della riforma del 2012 ed in particolare a norma dell’art. 1, co. 11, l. n. 219/2012, le parole «figli naturali» e «figli legittimi» sono state ovunque sostituite nel codice civile con il termine «figli» ed il rinnovato disposto dell’art. 74 c.c. ha cancellato il discrimen fra parentela e consanguineità, affermando l’ingresso dei consanguinei nella categoria dei parenti.
Il sistema della successione legittima è stato profondamente innovato per effetto dell’estensione del riconoscimento a tutti i parenti del genitore che lo ha effettuato. I diritti dei successori legittimi sono, dunque, riconosciuti non solo tra parenti matrimoniali e non matrimoniali, ma anche tra la sola parentela non matrimoniale per entrambi i lati genitoriali, ivi compresa l’unilateralità (Dossetti, M., L’adeguamento delle terminologia, cit., 121 ss.; Romano, C., I riflessi successori, cit., 136 ss.).
Le novità introdotte dal legislatore delegato esprimono i loro effetti:
- sull’art. 565 c.c. il quale, nel tracciare i confini delle categorie dei successibili ex lege, prevede che «Nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo», dunque, con palese esclusione di ogni richiamo ai parenti legittimi ed ai legami naturali;
- sull’art. 566 c.c., eliminando il richiamo al co. 3 dell’art. 737 c.c. in punto di commutazione ed eliminando il riferimento ai figli legittimi o naturali;
- sugli artt. 578 e 579 c.c., sulla successione dei genitori naturali, con effetto abrogativo.
Modifiche meramente nominali sono state, altresì, apportate agli artt. 581 e 582 c.c. sul concorso dei coniugi con i figli e del coniuge con ascendenti e fratelli e sorelle. Il decreto legislativo ha mantenuto, invece, la disposizione di cui all’art. 567 c.c. ove ai figli sono equiparati quelli adottivi.
Da ultimo, in ragione dell’intervenuta riforma deve essere reinterpretata anche la norma di cui all’art. 570 c.c., distinguendo la posizione dei fratelli, unicamente dal carattere unilaterale o bilaterale del legame, a seconda che siano germani ovvero uterini o consanguinei, ma senza alcun richiamo alle condizioni di parentela legittima o naturale. Ed invero, a colui che muore senza lasciare prole, né genitori, né altri ascendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali. I fratelli e le sorelle unilaterali conseguono però la metà della quota che conseguono i germani.
La genesi dell’istituto della rappresentazione trova origine nel lontano 1942 laddove il beneficio era riconosciuto, in via esclusiva, solo in favore dei discendenti legittimi di figli o fratelli e sorelle del de cuius. Nel 1975 la norma è transitata nel perimetro riformatore del diritto di famiglia per effetto del quale il vantaggio è stato riconosciuto, in linea retta, a favore dei discendenti legittimi e naturali nel luogo e nel grado dei figli legittimi e naturali del defunto e, in linea collaterale, in favore dei discendenti nel luogo e nel grado di fratelli o sorelle del de cuius. Oggi, la norma accoglie anche i discendenti dei fratelli naturali del defunto la cui comune paternità o maternità sia stata riconosciuta o accertata giudizialmente (art. 468 c.c.) (Beccia, V., La rappresentazione, in Tratt. Bonilini, I, Milano, 2009, 1112 ss.; Romano, C., I riflessi successori, cit., 137 ss.; Grassi, C., Operatività della rappresentazione a favore dei discendenti di fratelli naturali, in Familia, 2003, 240).
La definitiva riscrittura del principio parentale ha posto in evidenza – da una parte – i rapporti del figlio naturale con la famiglia del genitore che ha effettuato il riconoscimento e – dall’altra – gli effetti di detto legame giuridico tanto sulla successione in linea retta, quanto in quella collaterale. Dunque, il figlio naturale riconosciuto potrà succedere a fratelli o sorelle del genitore che ha effettuato il riconoscimento, nonché ad altri parenti entro il sesto grado.
Pertanto, in applicazione del principio di unicità di status è stata estesa la categoria della parentela a tutti i nati fuori del matrimonio (art. 74 c.c.); i fratelli e le sorelle naturali del de cuius – la cui comune paternità o maternità è stata riconosciuta o accertata giudizialmente – sono stati collocati tra i parenti collaterali fra i quali sono compresi i fratelli adottivi, fermo restando i dovuti distinguo in merito agli adottati maggiorenni ex art. 44 l. 4.5 1983, n. 184.
Giova evidenziare l’argomento con un effetto pratico al fine di evincere le nuove ipotesi di concorso: Tizio, celibe e senza figli, al quale sono premorti il fratello legittimo Sempronio (padre di Primo e Secondo) ed il fratello naturale riconosciuto Mevio (padre di Filano), muore senza aver redatto testamento, lasciando a sé superstite solo il fratello legittimo Caio. Prima della riforma del 2012, nell’impossibilità di applicare l’istituto della rappresentazione a beneficio del figlio del fratello naturale (Mevio) del de cuius che fosse a questi premorto, l’eredità si sarebbe devoluta a Caio, Primo e Secondo, mentre alcun diritto successorio sarebbe spettato a Filiano, figlio di Mevio. A seguito della riforma, la rappresentazione risulta pienamente operante, determinando la successione nel luogo e nel grado del figlio del fratello (Mevio) del de cuius e, dunque, l’eredità di Tizio si devolverà, per la quota di 1/3 a Caio, per la quota di 1/6 ciascuno a Primo e Secondo, per la quota di 1/3 a Filano iure repraesentationis.
Altro interessante tassello da ascriversi al d.lgs. 28.12.2013, n. 154, in attuazione della delega al Governo di cui all’art. 2 l. n. 219/2012, è la riscrittura dell’istituto della commutazione prevista dall’art. 537 c.c. e l’abrogazione del co. 3 del medesimo articolo.
Nell’originaria formulazione la norma in commento, oltre a prevedere e regolamentare il diritto di commutazione in esame (co. 3), disponeva che, nell’ipotesi di concorso all’eredità di figli legittimi e naturali, agli uni e agli altri erano attribuiti in eguale misura i medesimi diritti successori (co. 1 e 2). Tale disposizione aveva recentemente superato anche il vaglio della Corte costituzionale con la sentenza 18.12.2009, n. 335. Questa aveva ritenuto la disposizione in parola conforme ai dettami dell’art. 30, co. 3, Cost. secondo il quale la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, ferma restando, tuttavia, la compatibilità della tutela accordata con i diritti dei membri della famiglia legittima.
L’abrogato diritto di commutazione rappresentava uno dei pochi elementi residui di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali rimasti dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975. Ora, per effetto della piena eguaglianza di stato tra i diversi status di figli, è intervenuta l’opportuna riscrittura dell’art. 537 c.c. che ha escluso qualsivoglia soggiacenza dei figli naturali rispetto ai figli legittimi sia sul piano del trattamento successorio che su quello divisionale. È stata, dunque, riconosciuta ai figli naturali la riserva di una quota del patrimonio del de cuius di pari entità ed in analoghi diritti in caso di apertura della successione ab intestato.
La disciplina della successione del coniuge è stata modificata dalla legge del 1975 ed era ispirata, come è noto, sia alla centralità della famiglia nucleare fondata sul matrimonio che all’eguaglianza tra i suoi membri. Tale costruzione ribaltava lo schema successorio previgente del 1942 e, dunque: la concezione patriarcale della famiglia basata sui vincoli di sangue, la devoluzione delle sostanze a beneficio dei parenti in linea retta ed il riconoscimento in favore del coniuge esclusivamente di un diritto di godimento su frazioni del patrimonio del de cuius, cd. usufrutto uxorio.
I rinnovati principi successori sono formalmente sanciti dal nuovo testo degli artt. 536 e 565 c.c. riguardanti, rispettivamente, la successione dei legittimari e la successione legittima, che collocano il coniuge al primo posto nell’elenco dei successibili, innanzi ai discendenti, in luogo dell’ultimo posto ove era stato dapprima relegato.
Sul piano del concorso si distinguono le seguenti metodiche: nella successione necessaria il coniuge, in mancanza di figli, concorre con gli ascendenti (art. 544 c.c.); mentre nella successione intestata il concorso si attua anche con i fratelli e le sorelle del defunto (art. 582 c.c.), fermo restando sia il limite ai parenti entro il secondo grado (art. 583 c.c.) che l’ammontare della quota di spettanza, la quale in ogni caso deve essere doppia rispetto a quella dovuta ai parenti (artt. 544 e 582 c.c.).
Ulteriore trattamento normativo riservato dalla legge in favore del coniuge è quello inerente la disciplina della collazione, alla quale è parimenti assoggetto per effetto della posizione di erede (art. 737 c.c.), ma con un diverso onere rispetto ai figli, poiché il coniuge è esonerato dal conferimento delle donazioni di modico valore (art. 738 c.c.).
Una volta aperta la successione legittima, al coniuge superstite spetta la quota di eredità a titolo di successibile secondo la compagine familiare esistente al tempo di apertura della successione (artt. 581, 582, 583 c.c.). A tale attribuzione devono essere aggiunti, in ogni caso, i diritti di abitazione sulla casa familiare e di uso dei mobili che la corredano (art. 540 c.c.), diritti che, in certe condizioni, possono sommarsi, almeno in parte, alla quota già spettante al coniuge, e addirittura andare ad intaccare la riserva dei figli.
L’applicazione della disciplina di cui all’art. 540 c.c. alla successione legittima ha suscitato in giurisprudenza un interessante dibattito che si è protratto per diversi anni prima di essere tacitato. Ed invero, Cass., 13.3.1999, n. 2263 ha proposto due diverse soluzioni, entrambe possibili e plausibili: con la prima, ha ritenuto l’apertura della successione legittima sul residuo «assegnati, anzitutto, al coniuge i diritti di abitazione e di uso»; con la seconda, ha negato nella successione legittima l’applicazione dei suddetti diritti, poiché «essi debbono comprendersi nella quota spettante a titolo di successione legittima».
Ed ancora, Cass., 6.4.2000, n. 4329 ha ribadito la negazione di tali diritti nella disciplina recata dagli artt. 581 e 582 c.c. e, dunque, l’aggiunta alla quota intestata spettante al coniuge. I giudici di legittimità, in questo frangente, muovendo dalla distinzione fra la disciplina della successione necessaria e quella della successione legittima – intesa la prima non già come terzium genus, ma come disciplina di tutela di determinati soggetti rispetto alla seconda ed a quella testamentaria – hanno specificato che la riserva «rappresenta il minimo, che il legislatore vuole assicurare ai più stretti congiunti, anche contro la volontà del defunto» ed hanno individuato che i diritti di cui all’art. 540, co. 2, c.c. «fanno parte di quel minimo e che l’attribuzione di tali diritti costituisce un legato ex lege a favore del coniuge, e che, dunque, quest’ultimo può invocarne l’acquisto ipso iure, ai sensi dell’art. 649, co. 1, c.c., senza dover ricorrere all’azione di riduzione».
La perdurante distonia fra le diverse sezioni semplici della Corte è stata definitivamente sanata con da Cass., S.U., 27.2.2013, n. 4847 che stringe il tema del rapporto tra i diritti di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano. Le Sezioni Unite hanno affermato questo principio di diritto: «nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’art. 540, co. 2; il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall’asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato».
Tale decisione, come si vedrà, ha dato vita ad un’importante statuizione con impatto restrittivo tanto della disciplina sulla successione necessaria quanto dell’autonomia testamentaria, poiché nei fatti stabilisce che i diritti di abitazione e di uso debbano gravare, indistintamente, sulla quota di tutti i successibili.
Ciò nonostante, è opportuno rilevare il palese contrasto con C. cost., 5.5.1988, n. 527 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 581 c.c., nella parte in cui – contrariamente alla disciplina per il coniuge putativo di cui all’art. 584 c.c. – non attribuiva al coniuge chiamato all’eredità in concorso con altri eredi i diritti di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che la corredano. A dire della Corte, l’omesso richiamo dell’art. 540, co. 2, c.c. da parte degli artt. 581 e 582 c.c. «vale unicamente ad escludere che i diritti in argomento competano al coniuge autonomamente e cioè si cumulino con la quota riconosciutagli dagli articoli medesimi». Dunque – nei fatti – nella successione ab intestato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare ed il diritto di uso sui mobili che la corredano sarebbero spettati in aggiunta alla quota di spettanza del coniuge non già nella sua qualità di erede legittimo, bensì nella sua qualità di erede necessario.
Assorbito tale aspetto, occorre spostare l’attenzione in merito al requisito soggettivo in forza del quale i diritti di cui all’art. 540, co. 2, c.c. sono riservati al coniuge superstite.
Il titolo successorio è costituito dal rapporto di matrimonio, purché sussista al momento dell’apertura della successione, e la prova deve essere data mediante presentazione dell’atto di matrimonio (art. 130 c.c.) o, in mancanza, nei modi indicati dagli artt. 132 e 133 c.c. L’onere della prova grava sul coniuge che agisca per far valere i propri diritti successori, mentre l’onere di provare l’esistenza di una separazione per colpa o con addebito – che determina esclusione dalla successione (art. 548, co. 2, c.c.) – resta a carico di chi la invoca. Medesima tutela è riservata al coniuge superstite di matrimonio invalido qualora ricorrano le condizioni di efficacia del matrimonio putativo (art. 584 c.c.). Nessun diritto successorio spetta, invece, al coniuge nell’ipotesi che il matrimonio venga dichiarato inesistente, a nulla rilevando i tempi dell’intervenuta pronuncia, prima ovvero dopo dell’apertura della successione: in tal caso, infatti, si esclude anche l’applicazione degli effetti del matrimonio putativo.
Ultima notazione in tema, trae origine dagli effetti della trascrizione tardiva del matrimonio canonico su iniziativa del coniuge superstite e ciò in forza di Cass., S.U., 4.6.1992, n. 6845 la quale ha definito la querelle delle sezioni semplici affermando il principio che la tardività della trascrizione non pregiudica i diritti successori anteriormente acquisiti dagli eredi del coniuge defunto.
Si è detto che al coniuge superstite sono riservati i diritti di abitazione sulla casa famigliare e il diritto di uso sui mobili che la corredano, i quali presentano un’estensione anche maggiore di quelli dei figli.
Tralasciando ogni ulteriore indagine in merito al favor legislativo, l’analisi deve proseguire con riferimento al titolo posto alla base della delazione.
La dottrina nel corso degli anni ha dato luogo ad un virtuoso dibattito che ha visto confrontarsi la tesi della vocazione anomala per «essere eccezione al principio di unità della successione e al suo corollario espresso nella regola di eguaglianza dei coeredi in proporzione delle rispettive quote» (Mengoni, L., Successioni per causa di morte, pt. spec., Successione legittima, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, XLIII, 1, V ed., Milano, 1993, 165 ss.), con quella della vocazione a titolo universale, per essere i beni considerati come quota di eredità, e con l’ulteriore tesi della vocazione a titolo particolare, per un’attribuzione patrimoniale a causa di morte priva del carattere dell’universalità (Ravazzoni, A., I diritti di abitazione e di uso a favore del coniuge superstite, in Dir. fam., 1978, 224 ss.; Vicari, G., I diritti di abitazione e di uso riservati al coniuge superstite, ivi, 1978, 1314).
Fra le molteplici argomentazioni ha riscosso maggiore successo la tesi che ha ritenuto i diritti di cui all’art. 540, co. 2, c.c. un’attribuzione a titolo particolare avente il carattere di un acquisto costitutivo ed automatico a far tempo dall’apertura della successione.
Secondo tali autori, il riconoscimento in parola configurerebbe un legato ex lege il quale – essendo di specie – verrebbe acquistato automaticamente dal coniuge, fermo restando l’onere in capo a quest’ultimo di domandare all’onerato il possesso della cosa legata (Bonilini, G., Legato di immobili, e domanda del relativo possesso, in Fam. pers. e succ., 2011, 205 ss.). Tale legato – prosegue la dottrina in esame – competerebbe al coniuge superstite anche in caso di rinunzia all’eredità, atteso che il rinunziante può sempre domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della quota disponibile e salva le disposizione in tema di legato in sostituzione di legittima (art. 521 c.c.) (Ravazzoni, A., I diritti di abitazione e di uso, cit., 224 ss.; Vicari, G., I diritti di abitazione e di uso, cit., 1314; Bonilini, G., Il legato, in Tratt. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 400).
Detto legato ex lege esplica i propri effetti sia in presenza di una vocazione testamentaria che in caso di assegnazione in sede di divisione ereditaria. Ci si chiede, allora, se tali diritti rappresentino in ogni caso un potenziamento alla quota di riserva del coniuge, con la conseguenza che, se non possono costituirsi, la riserva deve essere integrata con il loro valore (riserva anche quantitativa); oppure se il coniuge non abbia diritto ad alcuna aggiunta quando l’interesse all’abitazione sia già stato soddisfatto (riserva meramente qualitativa) (Gargano, A., Il coniuge superstite: un erede scomodo? I diritti di uso e di abitazione, in Riv. not., 1980, III, 1620 ss.).
L’accertata incidenza quantitativa e qualitativa dei diritti di abitazione e di uso determina, sul piano teorico, una mobilità della composizione della quota di riserva spettante al coniuge superstite – la quale deve essere almeno pari alla quota di patrimonio che la legge riserva al coniuge superstite e deve comprendere il legato ex lege – mentre, sul piano pratico, diviene strumento per determinare l’esistenza di un’eventuale lesione, avendo a riguardo due distinte valutazioni, peraltro, non fungibili né di supplenza l’una per l’altra: quella afferente il quantum complessivo calcolato sommando alla quota di patrimonio ereditario il valore dei legati ex art. 540, co. 2, c.c. ed il quomodo, ossia lo specifico legato ex lege (Ravazzoni, A., I diritti di abitazione e di uso, cit., 236; Vicari, G., I diritti di abitazione e di uso, cit., 1316; Perego, E., I presupposti della nascita dei diritti di abitazione e di uso a favore del coniuge superstite, in Rass. dir. civ., 1980, 553).
Tale accertamento investe anche il tema della tutela riconosciuta al coniuge superstite per riparare la lesione subita. In dottrina, all’esito di un ampio dibattito che ha visto patrocinare le tesi dell’accertamento di nullità della disposizione lesiva e dell’azione di rivendica, è opinione prevalente ritenere che la lesione è qualitativa e non già quantitativa e che, pertanto, l’azione di tutela del coniuge superstite sia l’azione di riduzione.
L’indagine condotta sulla natura della lesione ha avuto riflessi anche sul bersaglio dell’azione stessa. Il coniuge superstite non potrà agire in riduzione verso tutte le donazioni indistintamente effettuate dal de cuius, ma dovrà limitare la propria azione a quella che ha formato oggetto dei diritti a lui riservati e non deve essere anteriore al tempo dell’apertura della successione. Sul lato del beneficiario soccombente, la letteratura in commento ritiene che questi debba essere indennizzato proporzionalmente dagli altri eredi e legatari di modo tale che il pregiudizio venga ripartito su tutti gli altri per far sì che tutte le disposizioni mantengano la medesima proporzione di valore (Schiavone, G., I diritti di abitazione e di uso attribuiti al coniuge superstite nella successione ab intestato, in Fam. dir., 1997, 155).
Da ultimo – sul piano della rinuncia – assunta la qualificazione della vocazione ai diritti di abitazione e di uso come legato ex lege e, ritenuta indipendente rispetto alla vocazione a titolo universale nella quota, si attesta il seguente scenario:
- la rinunzia all’eredità da parte del coniuge non implica rinunzia ai diritti ex art. 540 c.c. e, viceversa;
- la rinunzia ai due diritti non esclude che possa venire all’eredità;
- nell’eventualità in cui agisca in riduzione può ugualmente rinunziare all’eredità e chiedere solo il legato;
- può rinunziare all’eredità e trattenere i due legati nei limiti però della sola disponibile.
Il coordinato disposto degli artt. 580 e 594 c.c. non ha subito alcuna modifica a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 219/2012 e, pertanto, a tenore del primo, ai figli non riconoscibili è previsto il diritto ad un «assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta»; l’assegno è capitalizzato, a loro richiesta, in denaro o, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari. L’art. 594 c.c. prevede che «gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli di cui all’articolo 279, un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’articolo 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno».
L’ambito operativo della norma in commento è rivolto ai figli incestuosi, i cui genitori sono legati da un vincolo di parentela anche solo naturale, in linea retta all’infinito o in line collaterale nel secondo grado, ovvero da un vincolo di affinità in linea retta.
Tralasciando ogni ulteriore aspetto, non essendo questa la sede opportuna, preme tuttavia rilevare la nuova formulazione dell’art. 251 c.c. che consente il riconoscimento dei figli incestuosi previa autorizzazione del giudice, la cui ratio risiede nell’interesse di non arrecare un maggiore pregiudizio che deriverebbe dal mancato riconoscimento (Porcelli, M., Note preliminari allo studio sull’unificazione dello stato giuridico dei figli, in Dir. fam., 2013, 654 ss.).
In mancanza di altri successibili, l’eredità è devoluta allo Stato (art. 586 c.c.). Per dovere si rammenta che lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquisiti, che l’acquisto ha luogo senza bisogno di accettazione e che non può rinunziare all’eredità.
Fonti normative
Artt. 74, 130, 132, 133, 251, 258, 294, 315, 457, 468, 521, 535, 536, 537, 540, 544, 553, 565, 566, 567, 570, 578, 579, 580, 581, 582, 583, 586, 649, 737, 738 c.c.; art. 1 e 2 l. 10.12.2012, n. 219; d.lgs. 28.12.2013, n. 154.
Bibliografia essenziale
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