SUCCESSIONE (XXXII, p. 923)
Il codice civile 1942 non ha introdotte riforme rilevanti sul tema della successione che ha mantenuto inalterate le linee fondamentali ispirate alle concezioni romanistiche; tuttavia non sono mancate modifiche, specie in ordine a singoli istituti. Una prima modifica riguarda la collocazione del libro delle successioni nel sistema del nuovo codice. Infatti quello del 1865 dedicava alla materia il tit. II del libro III, che trattava "dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose"; collocazione errata essenzialmente perché la successione non attua sempre un trasferimento. Il legislatore della riforma ha posto il libro delle successioni, che forma un libro a sé, subito dopo quello, il I, delle persone e della famiglia, col quale il libro delle successioni ha un legame maggiore che non con quello delle obbligazioni.
In tema di principî generali, va rilevata subito l'enunciazione esplicita che l'eredità si acquista con l'accettazione, nella duplice sua forma: espressa o con il compimento di atti implicanti la cosiddetta gestio pro herede. Si conclude così legislativamente la disputa, vivace sotto il cod. del 1865, relativa al momento dell'acquisto dell'eredità da parte del chiamato, in quanto, secondo l'opinione predominante, nel chiamato passava ipso iure e in die mortis il solo possesso dei beni, mentre la proprietà si acquistava a seguito dell'accettazione.
Strettamente connesso con il problema dell'acquisto dell'eredità si presenta l'altro del passaggio del possesso dei beni ereditarî nel chiamato con la conseguenza che questi ha diritto di esercitare le azioni a difesa del possesso medesimo. Anche sulle dispute, cui esso aveva dato origine, il nuovo codice ha posto fine, accordando, con norma esplicita, al chiamato la facoltà - autonoma, perché svincolata dai presupposti e della continuazione del possesso e dell'acquisto dell'eredità - di esercitare una serie di atti cautelativi e conservativi dei beni ereditarî.
Dei due anzidetti problemi il secondo, soltanto soppresso e non risolto, ha lasciato ancora alla dottrina il compito di precisare la figura giuridica del chiamato durante lo spatium deliberandi, figura che, senza dubbio, è quella di un curatore di diritto dell'eredità, il quale, più che da un acquisto e impossessamento dei beni ereditarî, deriva tale sua qualità dalla posizione in cui verso i medesimi si trova per il mandato conferitogli dalla legge.
Anche sulla capacità di retinere hereditatem, ossia sull'assenza nel chiamato di cause che ne determinino l'incapacità a succedere, il nuovo codice, pur mantenendo fermo il concetto del diritto romano per quanto riguarda l'indegnità, ha colmato le lacune del vecchio codice, risolvendo dibattute questioni, allargando la portata giuridico-sociale dell'istituto, contemplando, a tal fine, accanto alle antiche, altre cause di indegnità, adeguandole alla coscienza del nostro tempo ed alla vigente legge penale.
Sempre con riflesso all'accettazione dell'eredità, è d'uopo segnalare la nuova disciplina che dell'istituto della sostituzione legale (cioè della cosiddetta rappresentazione) ha dato il codice 1942, e che è caratterizzata da innovazioni di forma (riunione nei medesimi articoli delle norme relative e alla successione legittima e alla successione testamentaria) e di sostanza (ampliamento del campo di applicazione dell'istituto, sì da comprendere oltre l'impossibilità anche la rinuncia dell'ascendente di accettare l'eredità o il legato).
Modifiche rilevanti al vecchio sistema si riscontrano in quella parte del codice che disciplina gli effetti dell'accettazione dei rapporti sia tra i coeredi reciprocamente, sia tra gli stessi e i creditori. Sotto il primo aspetto è d'uopo segnalare una più minuta disciplina delle norme relative alla divisione ereditaria, e ciò si spiega considerando la rilevanza che questa può avere - e in certi casi ha - sull'economia non tanto privata, quanto pubblica. Sempre in tema di divisione il nuovo codice ha esplicitamente riconosciuto il carattere dichiarativo della medesima, già affermato peraltro dalla prevalente dottrina sotto il codice del 1865. Istituto nuovo è la divisio testatoris (v. testamento, in questa App.).
Più lungo cenno richiedono le modifiche introdotte dal codice nella disciplina degli effetti dell'aditio nei confronti dei creditori sia dell'erede sia del defunto. Come si sa, quando l'aditio è pura e semplice, l'effetto suo è la confusione del patrimonio del defunto con quello dell'erede.
In contrapposto a tale confusio - che vuol dire, in sostanza, responsabilità illimitata per i debiti - il nuovo codice ha conservato il sistema della non confusione dei patrimonî. Però questo, pur significando limitazione della responsabilità dell'erede, ha subìto - per ragioni anche qui d'ordine morale - notevoli trasformazioni. Per il vecchio sistema l'erede beneficiato aveva facoltà di soddisfare i debiti del de cuius secondo un suo criterio di preferenza, salvi i diritti di proprietà, fino all'esaurimento delle sostanze ereditarie; ne seguiva che tacitati potevano essere taluni creditori, i preferiti, insoddisfatti restavano gli altri.
A siffatta procedura il vigente codice ha innovato in due modi: 1) l'erede cui incombe sempre l'onere di amministrare i beni ereditarî può o soddisfare i creditori e legatarî man mano che a lui si presentano, salvi comunque i loro diritti di priorità, o liquidare, a favore dei medesimi, e tutti in concorso, i beni ereditarî; 2) egli è tenuto ad iniziare questa liquidazione concorsuale se un'opposizione al libero pagamento dei crediti gli sia stata notificata da un creditore o da un legatario. Tanto se volontaria, quanto se obbligatoria, alla liquidazione l'erede procede con l'assistenza di un notaio e il rispetto delle norme del codice, la cui inosservanza porta alla dichiarazione di decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario. In tal caso la liquidazione concorsuale può proseguirsi dagli stessi creditori e legatarî.
Oltre che liquidare i beni ereditarî nell'interesse dei creditori e legatarî, l'erede il quale intenda sottrarsi anche a quell'onere, può rilasciare a favore dei medesimi tutti i beni che vengono dal pretore affidati in amministrazione a un curatore, il quale liquida il patrimonio, secondo le regole della procedura concorsuale, e consegnando all'erede - che ha, per il rilascio, perduto il possesso e non la proprietà - le attività residue.
Da ultimo - sullo stesso piano degli effetti dell'aditio nei confronti dei creditori e legatarî - occorre far cenno della notevole modifica dell'istituto della separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede. Per il codice del 1865 questo apprestava ai creditori del defunto e ai legatarî un mezzo inteso ad evitare che sui beni ereditarî avessero potuto concorrere, e forse anche prevalere, i creditori dell'erede. Contenuta in articoli non sistematicamente a posto - infatti vi si dedicava il tit. XXIV del libro III, subito dopo il titolo relativo alle ipoteche, sull'unica giustificazione, sembra, che gli effetti della separazione apparivano analoghi a quelli di un'ipoteca - le norme relative agll'effetti di tale istituto si limitavano tra l'altro ad enunciare un vantaggio per coloro che l'avevano domandato. Di qui la teoria, prevalente, che i separatisti avevano diritto ad essere preferiti ai non separatisti e che, quindi, costoro, solo quando i primi si erano soddisfatti, potevano avanzare pretese sui beni ereditarî.
Il codice vigente ha risolto la controversia nel senso suddetto, ma a quest'effetto fondamentale e, può dirsi, logico dell'istituto, esso ha posto una limitazione che, secondo la relazione del guardasigilli, dovrebbe costituire un giusto temperamento dell'applicazione dell'anzidetto principio: se la parte del patrimonio, che non è stata separata, era sufficiente al soddisfacimento dei creditori e dei legatarî non separabili, questi sono esclusi dal concorrere sul ricavato della separazione domandata dal separatista. Ma, se all'opposto, il valore separato da un creditore assorbe o l'intero compendio ereditario o tanta parte da lasciare incapienti i creditori non separatisti, la preferenza del primo a danno dei secondi non ha luogo: in tal caso, è irrilevante l'inattività dei creditori non separabili, poiché se questi avessero esercitato la separazione, non avrebbero potuto vincolare che beni già separati da altri. Questo il sistema del codice di fronte al quale si pone l'interrogativo in qual modo la separazione venga a tutelare coloro che l'hanno esercitata, se proprio nell'unico caso in cui può servire, la preferenza è negata, mentre nell'altro, essendovi beni capaci di soddisfare i rimanenti creditori e legatarî, essa si appalesa superflua.
Tutto quanto si è esposto riflette la parte del diritto successorio comune a entrambe le due specie di successioni: legittima (necessaria e ab intestato) e testamentaria. Da questa parte generale passando a quella speciale, modifiche notevoli sono da segnalare specie per la cosiddetta successione legittima (ab intestato e necessaria) e la successione testamentaria.
Ove ad una persona succedano il coniuge, discendenti legittimi, ascendenti legittimi e figli naturali riconosciuti, la legge attribuisce a costoro (anche in concorso, che è reciproco, fatta eccezione per gli ascendenti esclusi dai discendenti) un diritto, che è di usufrutto per il coniuge superstite, di proprietà per gli altri successori. Questo diritto costituisce la così detta quota indisponibile, tale però solo nella terminologia, poiché non sussistendo un divieto legale di disporre in vita dei proprî beni a tutela dei futuri eventuali diritti dei successibili, non può parlarsi di quota indisponibile; questa si risolve, in buona sostanza, in una parte che dal patrimonio (relictum più il donatum) del defunto la legge vuole sia prelevata, in die mortis, e attribuita a quelle persone che intendano succedere.
Ora riguardo a siffatta successione legittima (necessaria può pur qualificarsi, in quanto e solo in quanto opera contro la volontà del de cuius e persino contro la stessa legge come nel caso in cui morendo taluno ab intestato ed aprendosi la successione per legge, devono essere assicurati, con riduzione delle quote di quei successori che non sono legittimarî [collaterali], i diritti di questi ultimi), il codice in vigore ha innovato e non in una parte soltanto. Innanzi tutto, per la unicità e sistematica delle norme legislative nel cod. 1865 mancava la prima: la seconda poi ne soffriva, perché, mentre alcuni articoli erano contenuti nel capo delle successioni testamentarie sotto la sezione "della porzione di cui si può disporre per testamento", il nuovo codice ha collocato le relative norme disciplinatrici subito dopo la parte generale, intendendo così quasi attribuire ad esse una preminenza che non si può negare e che deriva e dalla fonte e dallo scopo cui sono preordinate.
Le categorie dei legittimarî sono rimaste quali già per il cod. del 1865; nuova, invece, l'abolizione di ogni distinzione formale rispetto ad essi, che da quel cod. erano indicati ora eredi legittimi (discendenti ed ascendenti legittimi), ora riservatarî (coniuge superstite e figli naturali). Oggi la differenza tra i varî legittimarî è data solo dalla natura del diritto.
Fermo sul principio che il successibile più vicino - nella parentela - al de cuius, esclude quello che lo è meno, con il correttivo della sostituzione ex lege (cosiddetta rappresentazione), il nuovo codice ha modificato nei riguardi dei discendenti il criterio determinatore della loro quota, che da fissa, qual'era sotto il cod. del 1865 - metà del patrimonio - è divenuta variabile e proporzionale al numero - però limitato nel massimo a due - e allo stato dei figli; di guisa che se al genitore succeda un sol figlio legittimo la quota a questi riservata è della metà del patrimonio, laddove se a succedere a quello sono due o più di questi la quota è di due terzi; se il figlio è naturale la quota al medesimo riservata è di un terzo; della metà se i figli naturali sono più a succedere.
Miglioramento delle condizioni economiche dei figli legittimi e, ancor più dei figli naturali. Anzi la posizione di questi ultimi era già stata migliorata e sensibilmente con la riforma (possibilità di riconoscimento dei figli adulterini ed incestuosi sia pure con le necessarie cautele), contenuta nel libro I. A siffatto miglioramento morale ed economico del loro status naturale, si sono adeguate le norme relative al diritto successorio, le quali, considerate in breve, ci dicono che i figli illegittimi succedono in tutta l'eredità in mancanza di discendenti legittimi, di ascendenti e del coniuge del genitore; che pur in concorso con i discendenti, gli ascendenti ed il coniuge, conseguono più giuste quote di eredità; che da ultimo ai naturali, non riconosciuti (ma riconoscibili) o affatto riconoscibili, è stato attribuito, ove il genitore non avesse disposto a loro favore, il diritto ad un assegno vitalizio, il cui ammontare è stabilito sulla porzione disponibile, in proporzione delle sostanze del genitore, del numero e della qualità degli eredi, assegno che può essere anche eguale all'ammontare della rendita della quota cui il figlio naturale - ove fosse stato riconosciuto - avrebbe avuto diritto.
Il nuovo codice ha mostrato più umana comprensione - rispetto al codice del 1865 - verso il coniuge superstite, al quale, se non vi sono successori entro il 4° grado (che per il cod. del 1865 era, invece, il 10° e poi il 6°) si devolve tutta l'eredità; laddove in presenza dei medesimi, a lui spettano i tre quarti dell'eredità; e se succede con ascendenti legittimi, fratelli e sorelle del de cuius, consegue la metà, e un terzo se concorre con figli naturali; tutto in proprietà. Un diritto di usufrutto, invece, al coniuge sopravvissuto è attribuito nel solo caso che con lui succedano figli legittimi; e l'entità di tale diritto è della metà se erede è un sol figlio, di un terzo se i figli eredi sono più. Anche nella sua posizione di legittimario - giacché il sin qui detto riflette l'altra di successore ab intestato - il coniuge superstite ha visto migliorato il proprio diritto che, pur sempre in usufrutto, è però di due terzi del patrimonio del de cuius se non concorre con figli legittimi, ascendenti legittimi e figli naturali, variando in siffatte ipotesi la misura di quel diritto secondo le disposizioni degli articoli, che considerando i diversi casi di concorso hanno, con un calcolo aritmetico, giuridico ed umano, regolato ad un tempo i diritti del coniuge superstite e come questi anche di quanti vengano a succedere ad un comune de cuius.
Il sin qui detto concerne la successione legittima sulle due sue forme: necessaria o dei legittimitarî e ab intestato. Ma pur notevoli riforme sono state dal codice introdotte nella successione che trae la sua origine dalla volontà del de cuius, ossia dal testamento. Per essa v. testamento, in questa App.