Abstract
Si offre una visione relativa all’imposta sulle successioni e donazioni, reintrodotta nel nostro ordinamento per effetto del d.l. 3.10.2006, n. 262 dopo la temporanea soppressione ad opera della l. 18.10.2001, n. 383. Il tributo in esame colpisce il trasferimento di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito, nonché la costituzione di vincoli di destinazione. Sono previste franchigie ed aliquote differenti a seconda del rapporto di parentela esistente tra il beneficiario e il de cuius o donante, da applicare al valore dei beni trasferiti.
Il trasferimento di beni e diritti per causa di morte è preso in considerazione quale evento tassabile da tempo immemorabile (per una ampia ricostruzione storica: Cardarelli, S., Tributi successori, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 153, che rinviene l’antesignano nell’antico Egitto, VII sec. a.C. nonché, soprattutto per la evoluzione più recente: Fedele, A., Riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni come esito dell’evoluzione storica del tributo, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, 39; FEDELE, A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni, II, Padova, 2010, 575 e ss.). Trattasi di fattispecie nella quale si ravvisa una capacità economica riconducibile, secondo le possibili ricostruzioni, al de cuius, ovvero ai beneficiari dell’evento successorio. Secondo la prima visione, si ha quindi riguardo all’emersione del patrimonio accumulato in vita dal soggetto defunto, per cui il tributo si caratterizzerebbe quale imposta indiretta sul patrimonio; nel secondo caso viene valorizzato l’arricchimento di cui gli eredi e legatari beneficiano, sì da considerare il tributo come imposta diretta, sulla ricchezza che il beneficiario riceve.
Analogo il ragionamento logico che ha portato all’imposizione delle donazioni e liberalità, fattispecie dalle quali emergono, a seconda dei punti di vista, la ricchezza già del donanteovvero quella che perviene ai beneficiari e che, per di più, possono essere concepite come anticipazioni del trasferimento successorio, come il codice civile le qualifica (Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, trust e patti di famiglia, Padova, 2008, 21; Bosello, F., L’imposta sulle successioni e donazioni, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, IV, Padova, 2001, 214).
Nell’ordinamento italiano l’imposta sulle successioni compare all’indomani della unificazione, per effetto della l. 21.4.1862, n. 585, che collocò tale imposizione entro la disciplina dell’imposta di registro, assumendo quale parametro il valore netto dell’asse ereditario, quale differenza tra attivo e passivo in esso contenuti ed applicandovi una serie di aliquote variabili unicamente in base al rapporto tra de cuius ed eredi, disegnando quindi un sistema impositivo semplicemente proporzionale.
La prima disciplina dell’imposta sulle successioni autonoma da quella di registro si deve al R.d. 30.12.1923, n. 3270, ispirato, secondo le politiche demografiche fasciste, ad un favor per la successione nell’ambito del nucleo familiare.
Per effetto del R.d.l. 4.5.1942, n. 434, viene poi introdotta l’imposta sul valore globale dell’asse ereditario, con la quale vennero colpite anche le donazioni e liberalità mediante una imposizione progressiva applicata sul valore netto dell’intero patrimonio, e detraibile dalla imposta sulle successioni gravante sulle singole quote, che trovava applicazione in un momento successivo.
La medesima imposizione venne mantenuta nella delega per la riforma tributaria contenuta nella l. 9.10.1971, n. 825, benché incorporata nell’imposta sulle successioni, fino a giungere alla previsione, con il d.P.R. 26.10.1972, n. 637, di un tributo unico.
Tale disciplina venne sostanzialmente riprodotta nel d.lgs. 31.10.1990, n. 346 e fu soltanto con la l. 21.11.2000, n. 342, che si giunse alla definitiva eliminazione di un prelievo fondato sul valore globale dell’asse ereditario.
L’attrazione delle liberalità inter vivos nello stesso regime delle successioni, operata con la riforma degli anni 1971-1972 sottraendo tali atti alla imposta di registro, si spiega alla luce della caratteristica del tributo successorio di colpire gli incrementi patrimoniali (Fedele, A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, cit., 579). Conseguentemente le liberalità, stante la loro idoneità a produrre modificazioni quantitative nel patrimonio, trovano più adeguata e razionale collocazione nell’ambito dell’imposizione delle successioni.
Il tributo sulle successioni è stato quindi soppresso con l. 18.10.2001, n. 383, che ha contemporaneamente disposto la soggezione dei “trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi” alle ordinarie imposte gravanti sui trasferimenti a titolo oneroso, salve franchigie attinenti l’ambito familiare.
Per effetto del d.l. 3.10.2006, n. 262, convertito dalla l. 24.11.2006, n. 286 con rilevanti modificazioni (sulle quali si veda Fedele, A., Il regime fiscale, cit., 590) che portarono infine al sovvertimento dell’originaria intenzione di ricondurre la tassazione delle vicende traslative mortis causa nell’ambito dell’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni fu “re-istituita” sul «trasferimento di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione» (art. 2, co. 47, d.l. n. 262/2006). Il citato decreto ha però precisato come l’imposta sia istituita “secondo le disposizioni” del testo unico previgente, di cui al d.lgs. n. 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, le quali trovano dunque applicazione per tutto quanto non disciplinato dai commi da 48 a 54 dell’art. 2 del d.l. n. 262/2006 ed in quanto compatibili. Analogamente, tornano ad essere applicati i risultati interpretativi precedentemente raggiunti (Fedele, A., Il regime fiscale, cit., 592).
Secondo la dottrina maggioritaria il co. 47 dell’art. 2 del d.l. n. 262/2006, adottando una formula differente da quella già contenuta nel 1° comma dell’art. 1 del d.lgs. n. 346/1990, ha sostituito, abrogandola tacitamente, la precedente definizione dei presupposti del tributo (Boria, P., Il sistema tributario, Milanofiori Assago, 2008, 794; Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, trust e patti di famiglia, Padova, 2008, 120).
Per quanto riguarda specificamente l’imposizione delle successioni, nel nostro sistema essa trova riferimento nell’art. 42, co. 4 Cost., che prevede la individuazione con legge dei diritti dello Stato sulle eredità, ossia quello di partecipare all’eredità come coerede, come pure di applicare una imposta sul valore di un determinato asse ereditario (lavori dell’assemblea costituente, in Camera dei deputati – Segretariato generale, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'assemblea costituente, II, Roma, 1976, 1680), come esattamente avveniva fino alla soppressione del prelievo sul valore globale netto. Si è rilevato che la disposizione costituzionale nominata, pur giustificando l’esistenza del tributo in esame, non potrebbe incidere sulle scelte politiche di definizione del sistema tributario, né consentirebbe di sottrarre l’imposizione medesima al rispetto dei criteri, principi e limiti derivanti dagli altri principi costituzionali, in particolare da quelli espressi dagli articoli 3 e 53 Cost. (Fedele, A., L’oggetto dell’imposta (art. 1 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346), in Mariconda, G.-Fedele, A.-Mastroiacovo, V., (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014, 600).
L’eliminazione del prelievo sul valore globale dell’asse e la sua sostituzione con un tributo gravante sulle singole quote ereditarie portano a ritenere che il diretto legame dell’imposta con l’art. 42 Cost. sia venuto meno.
Con la reintroduzione del tributo, oltre ad essere confermata l’imposizione dei “trasferimenti di beni e diritti per causa di morte” alla precedente espressione attinente quelli «per donazione o altra liberalità tra vivi» è stata sostituita quella «per donazione o a titolo gratuito» ed aggiunta, in via del tutto innovativa, la formula «e sulla costituzione di vincoli di destinazione». Se si esclude, per il momento, la costituzione di vincoli di destinazione (su cui v. infra, § 2.4), la vicenda traslativa che assume rilievo ai fini dell’imposta in commento si caratterizza (rispetto all’oggetto dell’imposta di registro) per il fatto di trovare titolo, specificamente, nella morte di un soggetto (v. infra, § 2.2) ovvero in una fattispecie a carattere non oneroso (v. infra, § 2.3).
Tale avvenimento deve quindi risolversi in un “trasferimento”, inteso come fattispecie comprensiva di ogni modificazione patrimoniale per effetto della quale si verifichi l’incremento di un patrimonio con decremento di un altro e non quale semplice modificazione soggettiva nella titolarità di una posizione (Fedele, A., L’oggetto, cit., 604). Il tributo in esame attiene dunque le vicende che importano trasmissione di qualsiasi situazione giuridica (anche negativa, stante l’assunzione di un criterio di tassazione “al netto” di oneri e passività) dalle quali derivi un’attribuzione patrimoniale (su cui Nicolò, R., Attribuzione patrimoniale, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 283), quale incremento patrimoniale per il soggetto destinatario, derivante da fattispecie con effetti derivativo-costitutivi o estintivi, ma anche dalla mera costituzione di rapporti obbligatori (Fedele, A., Il regime, cit., 595).
La dottrina prevalente pone in evidenza che il trasferimento di beni e diritti assume rilievo ai fini dell’imposta in esame soltanto in quanto produttivo di vantaggi patrimoniali (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 24; Fedele, A., Il regime, cit., 600). Da ciò deriva che esso non costituisce di per sé l’indice di capacità contributiva che giustifica l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ma individua il mezzo tipico per conseguire un risultato al quale, effettivamente, l’imposta afferisce (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 24), rappresentato dall’incremento patrimoniale netto che il beneficiario consegue per effetto di esso, oltre che il criterio per riferire l’obbligo di contribuzione al soggetto che ne approfitta (Gaffuri, G., Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni, in Rass. trib., 2007, 454).
Il riferimento ai trasferimenti “per causa di morte” attiene le vicende traslative (ampiamente intese, v. retro, § 2.1) che trovano titolo in una successione mortis causa, per tali intendendosi anche quelle che originino dalla dichiarazione di morte presunta, come pure la immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente e comprese la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni (cfr. art. 1, co. 2-3, d.lgs. n. 346/1990).
Il tenore letterale del d.l. n. 262/2006, letto nel suo complesso ed in coordinazione con il t.u., rende ora evidente che l’imposta intende colpire l’arricchimento effettivo di cui l’erede o legatario beneficia (Cardarelli, S., Tributi, cit., 160; Gaffuri, G., L’imposta, cit., 56; Falsitta, G., Manuale di diritto tributario,Parte speciale, Padova, 2010, 845; Fedele, A., Il regime fiscale, cit., 600).
La giurisprudenza e la dottrina risalenti (Serrano, F., Le imposte sulle successioni, Torino, 1961; Altana, E.-Silvestri, L., L’imposta sulle successioni e donazioni nel Testo Unico, Milano, 1993, 8; Micheli, G.A., Corso di diritto tributario, Torino, 1989, 527) ritenevano che l’imposta fosse dovuta per effetto della semplice chiamata all’eredità (posizioni critiche in Cardarelli, S., Tributi, cit., 157; Gaffuri, G., Successione: VI) Imposta sulle successioni, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993, 2). Tale teoria è oggi sovvertita dall’impostazione teorica dominante (v. retro, § 2.1), che pone in luce come la sola accettazione determini l’effettivo arricchimento del successore, nonché dal dato normativo del più recente testo unico in tema di obblighi di pagamento del chiamato e rimborso (v. infra, § 3.1 e 4.2). La normativa vigente chiarisce che il concorso del chiamato al pagamento dell’imposta sulle successioni avviene a titolo provvisorio, in coerenza con la provvisorietà della condizione di tale soggetto dal punto di vista civilistico (Gaffuri, G., Successione, cit., 2), quale semplice anticipazione (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 58) e per di più è legato esclusivamente alla disponibilità dei beni ereditari. Ciononostante, un persistente orientamento dell’Amministrazione finanziaria ritiene che in caso di trasmissione del diritto di accettare l’eredità, l’imposta trovi applicazione una prima volta sulla prima chiamata ereditaria, e che nell’asse destinato agli eredi del chiamato originario debbano nuovamente essere inclusi i beni facenti parte della prima successione apertasi (Ris. 20.12.1990, n. 350795 e 24.08.2009, n. 234/E).
La seconda fattispecie presa in considerazione dal tributo in esame è quella dei trasferimenti a titolo gratuito. Trattasi di categoria più ampia di quella relativa agli atti semplicemente non corrispettivi, coincidente piuttosto con quella degli atti non onerosi. L’onerosità è infatti genus comprendente la corrispettività, che si caratterizza per la produzione di attribuzioni con sopportazione di un sacrificio economico da parte di entrambi i soggetti agenti. Specifica della sola corrispettività è invece la sussistenza di un nesso sinallagmatico tra le prestazioni considerate.
In termini di onerosità o gratuità si possono qualificare gli effetti di un atto, e non già l’atto medesimo, sicché il trasferimento di cui al d.l. n. 262/2006 può definirsi “a titolo gratuito” solo in quanto determini effetti gratuiti, ossia di arricchimento di un patrimonio con detrimento di un altro, senza che quest’ultimo benefici di una movimentazione economica di riequilibrio (l’atto stesso viene definito gratuito per estensione, in virtù dei suoi effetti).
Tra gli atti a titolo gratuito si collocano le liberalità, qualificate dall’intento di beneficiare un terzo, delle quali la donazione costituisce specie (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 105 e ss.). Attenta dottrina ha tuttavia rilevato che non sembra possibile individuare “trasferimenti a titolo gratuito” produttivi di incremento patrimoniale – quindi rilevanti ai fini della presente imposta – diversi dalle attribuzioni liberali, sicché l’indice di capacità contributiva assunto, nonostante la più ampia formulazione letterale impiegata nel d.l. n. 262/2006, si sarebbe mantenuto sostanzialmente immutato (Fedele, A., Il regime, cit., 598).
Sono pertanto soggetti al tributo tutti i negozi tipici produttivi di attribuzioni liberali (per una elencazione, Fedele, A., L’oggetto, cit., 607; contra Gaffuri, G., Successione, cit., 2, che considera soggetto al tributo qualsiasi atto non oneroso), compresi quelli aventi ad oggetto la costituzione di diritti reali di godimento, nonché di rendite o pensioni, ma non gli atti o rapporti a titolo meramente gratuito che, pur tipizzati (comodato, trasporto gratuito, ecc.), non attribuiscono un immediato incremento patrimoniale al beneficiario (Fedele, A., Il regime, cit., 598). Si escludono allo stesso modo le liberalità inidonee a determinare significativi incrementi patrimoniali, ovvero “doverose” secondo il comune apprezzamento sociale (Fedele, A., L’oggetto, cit., 615), da cui la previsione contenuta nell’art. 1, co. 4 del t.u., inerente le fattispecie di cui agli artt. 742 e 783 c.c.
Tra i negozi liberali si comprende anche il patto di famiglia, nel quale la liberalità è costituita dalle attribuzioni in favore dell’assegnatario (Circ. Ag. Entrate n. 18/E del 2013), con imponibile decurtato delle attribuzioni agli altri legittimari (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 498; Fedele, A., Il regime, cit., 610, che pure prospetta una qualificazione in termini “onerosi” dell’assegnazione di beni propri dell’assegnatario in favore degli altri legittimari).
Imponibili sono anche le “altre liberalità” (cd. “liberalità indirette”), quelle realizzate, cioè, mediante percorsi e strumenti giuridici (negozi, atti, procedimenti o comportamenti in sé) alternativi a quelli appositamente previsti dall’ordinamento (quindi, in specie, differenti dalla donazione), di per sé inidonei a determinare una attribuzione, e quindi un effetto liberale, ma di fatto ordinati a produrli (Fedele, A., Il regime, cit., 605). Secondo parte della dottrina, sulla base del disposto dell’art. 1, co. 4-bis del d.lgs. n. 346/1990, le liberalità indirette sarebbero soggette al tributo soltanto in quanto risultanti da atti soggetti a registrazione (Falsitta, G., Manuale, cit., 865; Gaffuri, G., L’imposta, cit., 141; contra Cardarelli, S., Tributi, cit., 210).
Tra gli atti soggetti al tributo figura inoltre la rinunzia a diritti reali o di credito, purché qualificabile come non “onerosa”, neppure per collegamento, in quanto vicenda patrimoniale espressamente equiparata al trasferimento (Fedele, A., Il regime, cit., 608). La fattispecie in esame è soggetta all’imposta in quanto idonea a determinare l’arricchimento del soggetto che “beneficia” della rinuncia (sul cui patrimonio il diritto rinunciato insisteva quale onere), con contestuale impoverimento del rinunciante. Non pare condivisibile la posizione dell’Amministrazione finanziaria (Circ. Ag. Entrate n. 18/E del 2013), che considera la rinunzia a diritti reali sempre soggetta all’imposta sulle donazioni, se priva di corrispettivo (Fedele, A., L’oggetto, cit., 614; in tema Mastroiacovo, V., La rilevanza delle vicende abdicative nella disciplina sostanziale dei tributi, Torino, 2012, 136 e ss. nonché Burelli, S., La rinuncia (a diritti reali ) tra imposta sulle donazioni e imposta di registro, in Riv. dir. trib., 2008, I, 279), potendosi individuare ambiti di residua applicazione dell’imposta di registro (Fedele, A., Il regime, cit., 607 e ss.).
Dalla fattispecie anzidetta esula invece la rinuncia all’eredità o al legato, atto meramente abdicativo (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 154), tranne che nel caso in cui espressamente compiuta “a favore” di altro soggetto (Fedele, A., L’oggetto, cit., 614).
L’inclusione, tra i fatti di rilievo per l’imposta sulle successioni e donazioni, della costituzione di vincoli di destinazione operata dall’art. 2, co. 47, del d.l. n. 262/2006 sembrerebbe individuare un autonomo oggetto di imposizione, tale per cui il mero isolamento di beni con costituzione del vincolo determinerebbe l’obbligo di corrispondere l’imposta. Si è tuttavia rilevata l’impossibilità di riconoscere nella mera costituzione di un vincolo di destinazione un indice di capacità contributiva rilevante ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni (Fedele A., Il regime, cit., 594; circ. Agenzia delle Entrate 22.1.2008, n. 3/E), dovendosi più correttamente procedere ad un’analisi circa l’esistenza di un effetto traslativo in favore dei beneficiari del vincolo, effetto che tuttavia ricondurrebbe la fattispecie in commento ad un trasferimento di beni e diritti, eventualmente a titolo gratuito.
In tema di trust, si rinviene una peculiare interpretazione, tale per cui l’affidamento di beni al trustee da parte del settlor, per l’effetto segregativo che ne consegue, o stante una “entificazione” del trust, giustificherebbe in ogni caso l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, a prescindere da ulteriori verifiche (circ. Ag. Entr. n. 3/E del 2008). La ricostruzione della ratio del tributo e dei suoi presupposti (retro, § 2.1) richiede anche in questo caso la verifica della sussistenza di un arricchimento (Fedele, A., Il regime, cit., 594 e ss.), che peraltro la dottrina maggioritaria sembra rinvenire già nella mera devoluzione prospettica dei beni ai destinatari finali, attuata, con la trasmissione del compendio al trustee. Invero, l’effetto di arricchimento considerato dall’imposta non può determinarsi che in esito al complessivo svolgimento del negozio, ossia nel momento in cui i beni segregati vengono effettivamente devoluti ai beneficiari in attuazione di un disegno liberale.
La disciplina territoriale è simile ai criteri accolti per le imposte personali sui redditi. Nel caso in cui il dante causa del trasferimento considerato fosse residente nel territorio nazionale al momento di esecuzione della liberalità o di apertura della successione, l’imposta si applica su tutti i beni e diritti che ne costituiscono oggetto. Diversamente, il tributo viene applicato unicamente sui beni e diritti esistenti in Italia. La dottrina rileva l’incoerenza di tale metodo con l’intenzione di colpire l’arricchimento del beneficiario, che avrebbe dovuto suggerire l’adozione di un criterio connesso alla residenza del beneficiario del trasferimento (Fedele, A., Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000, le definizioni della ratio del tributo, i rapporti con l’imposta di registro, in L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, 77; Gaffuri, G., L’imposta, cit. 218). La nozione di residenza rilevante ai fini del tributo in discorso sembrerebbe essere quella civilistica (Fedele, A., L’oggetto, cit., 618).
Circa la donazione effettuata per atto formato all’estero emergono problemi a causa del riferimento, nell’art. 55, co. 1-bis, d.lgs. n. 346/1990, ai beneficiari dell’atto, residenti nello Stato, che induce la dottrina a ritenere che in tal caso si debba considerare superato il criterio territoriale di cui all’art. 2, co. 2, d.lgs. n. 346/1990, ed operativo quello di residenza del beneficiario della disposizione (sul punto Denora, B.-Puri, P., Studio n. 194-2009/T, Consiglio nazionale del notariato, in www.notariato.it/files/studio194-2009-t.pdf).
I soggetti passivi del tributo sono identificati dall’art. 5 del t.u. in via del tutto coerente con la individuazione del presupposto nell’incremento patrimoniale del beneficiario dell’attribuzione successoria o liberale (Fedele, A., Soggetti passivi (art. 5 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346), in Mariconda, G.-Fedele, A.-Mastroiacovo V., (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014, 632). La disposizione richiamata si riferisce agli “eredi e legatari” per le successioni, con ciò confermando l’impossibilità di considerare evento imponibile la mera apertura della successione, con assunzione della qualità di chiamato all’eredità. È quindi ben possibile che i soggetti individuati diventino contribuenti in momenti differenti, in base al consolidamento della posizione di ciascuno. Non è considerato invece un vero e proprio soggetto passivo il chiamato nel possesso dei beni ereditari (Cardarelli, S., Tributi, cit., 169), tenuto al pagamento nei limiti del valore dei beni ereditari posseduti, dato che la applicazione dell’imposta in suo confronto avrebbe natura di mera “anticipazione” (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 67).
Per le donazioni ed i trasferimenti a titolo gratuito si ha infine riguardo ai “beneficiari”, con equiparazione ad essi dei soggetti individualmente determinati in favore dei quali siano stabiliti oneri a carico del donatario, ai sensi dell’art. 58, co. 1, d.lgs. n. 346/1990.
Le regole per la determinazione dell’imponibile sono volte ad individuare in termini monetari l’incremento patrimoniale di ciascun beneficiario.
Nello specifico, esse prevedono che il valore globale netto dell’asse ereditario, da suddividersi poi secondo le quote di spettanza, sia costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data di apertura della successione, dei beni e diritti che compongono l’attivo ereditario, ed il complessivo ammontare delle passività considerate deducibili e degli altri oneri, diversi da quelli che si risolvono in prestazioni in favore di soggetti terzi individualmente determinati (considerati disposizioni in favore del beneficiario).
Sull’attivo ereditario, a titolo di presunzione legale, si applica una maggiorazione forfettaria pari al 10% relativa al valore di beni la cui esistenza risulterebbe difficilmente accertabile (quali denaro, gioielli e mobilia), peraltro suscettibile di prova contraria mediante redazione di inventario analitico.
I criteri per la stima dei singoli beni variano in funzione della natura di questi, ma sono tendenzialmente volti a stimare il loro valore venale (cfr. il criterio residuale, art. 19, d.lgs. n. 346/1990). Tuttavia, per gli immobili (esclusi i terreni edificabili), l’art. 34, co. 5, d.lgs. n. 346/1990 preclude la rettifica da parte dell’Amministrazione in caso di assunzione di un valore pari almeno a quello risultante dai criteri di “valutazione automatica” ivi descritti, basati sulla rendita catastale.
Ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili, il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati deve essere maggiorato di un importo corrispondente al valore attuale delle donazioni (ora, ai trasferimenti a titolo gratuito) effettuate dal defunto agli eredi e legatari, sì da evitare una attribuzione anticipata dei beni ereditari mediante donazioni rientranti nella franchigia (Falsitta, G., Manuale, cit. 856).
I trasferimenti a titolo gratuito scontano un prelievo esattamente corrispondente a quello che subirebbero qualora avessero luogo per causa di morte, comprese le disposizioni sul cd. “coacervo” delle donazioni precedentemente effettuate.
Sulla base imponibile così individuata si applicano poi i criteri di determinazione del tributo di cui all’art. 2, co. 48-50, d.l. n. 262/2006, che prevedono aliquote e franchigie differenziate (rispettivamente: dal 4 all’8%, e da un milione di euro a centomila euro) in funzione del rapporto di parentela esistente tra il de cuius o il dante causa del trasferimento a titolo gratuito, e gli eredi e legatari o beneficiari della disposizione. Una franchigia pari ad un milione e mezzo di euro è pure prevista in caso di trasferimento mortis causa o a titolo gratuito in favore di soggetti portatori di handicap grave.
In caso di successione per causa di morte, l’imposta viene determinata considerando quali eredi i chiamati che non abbiano rinunciato.
Nel caso di apertura di una successione entro cinque anni da altra successione o da una donazione avente ad oggetto i medesimi beni, l’imposta è ridotta in ragione di un decimo per ogni anno o frazione.
Dall’applicazione dell’imposta sono “esclusi” i trasferimenti in favore dello Stato, di enti pubblici territoriali, nonché di determinati enti benefici, in considerazione della destinazione, in quest’ultimo caso, al perseguimento di scopi particolarmente meritevoli.
Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti attinenti determinate tipologie di beni, specificamente individuate. In primo luogo, l’imposta non trova applicazione in confronto dei trasferimenti, realizzati anche mediante patti di famiglia, di aziende o rami di esse, nonché di quote sociali o azioni idonee a conseguire il controllo dell’ente ai sensi dell’art. 2359, co. 1, n. 1, c.c. (condizione non necessaria nel caso di trasferimento di quote di società di persone, che attribuisce l’esercizio diretto dell’impresa), quando disposti in favore dei discendenti e del coniuge del dante causa. Il beneficio è subordinato all’assunzione dell’impegno alla continuazione dell’attività o al mantenimento della partecipazione di controllo, per almeno cinque anni dal trasferimento, ed è fruibile rendendo apposita dichiarazione. La violazione dell’obbligo determina la decadenza dall’agevolazione, con recupero dell’imposta ed applicazione della sanzione di cui all’art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471 e degli interessi di mora dalla data in cui il versamento avrebbe dovuto essere eseguito.
Specifiche agevolazioni riguardano inoltre il trasferimento di beni culturali, esclusi dall’attivo ereditario se all’apertura della successione risultino sottoposti a vincolo culturale e regolarmente conservati e protetti e sotto condizione che vengano mantenuti per cinque anni dall’apertura della successione. Il trasferimento per atto donativo (“a titolo gratuito”, per effetto del disposto del d.l. n. 262/2006) relativo agli stessi beni, sconta invece l’imposta in misura fissa.
Del tutto esente da imposta è invece il trasferimento, per atto mortis causa o a titolo gratuito, di titoli del debito pubblico, nonché di beni mobili registrati in pubblici registri.
Per l’applicazione dell’imposta, la successione deve essere dichiarata al Fisco entro un anno dalla sua apertura, con indicazione dei suoi elementi rilevanti, inclusi i soggetti in essa coinvolti ed il suo contenuto patrimoniale. Trattasi di dichiarazione di scienza (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 339 e ss.), rettificabile fino alla notifica dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta, o comunque entro due anni dal pagamento dell’imposta medesima (Ris. Ag. Entrate 13.01.2012, n. 8/E). La dichiarazione va presentata all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente in relazione all’ultima residenza del defunto, se residente in Italia. Diversamente, si ha riferimento all’Ufficio competente per l’ultima residenza nota in Italia, ovvero, in difetto, a quello di Roma.
Obbligati alla presentazione della dichiarazione sono, solidalmente (dunque purché uno di essi vi provveda): tutti i chiamati (siano o meno nel possesso dei beni ereditari) e legatari, i loro legali rappresentanti, i curatori dell’eredità, gli esecutori testamentari, coloro che succedono per effetto della dichiarazione di morte presunta o che vengono immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente. Nel caso in cui la devoluzione ereditaria muti dopo la presentazione della dichiarazione, è fatto obbligo di presentare una dichiarazione sostitutiva o integrativa.
In seguito alla presentazione della dichiarazione, l’Ufficio competente provvede alla liquidazione dell’imposta, correggendo gli errori materiali e di calcolo ed escludendo le componenti negative non spettanti, mentre gli eredi e legatari devono, entro il termine per la dichiarazione medesima, spontaneamente eseguire il pagamento delle imposte ipotecarie e catastali dovute per gli immobili ed i diritti reali immobiliari compresi nell’asse ereditario.
In funzione antievasiva sono previsti divieti a carico di terzi (quali impiegati dello Stato e degli enti territoriali e pubblici ufficiali, esclusi giudici ed arbitri), che devono astenersi da determinate attività se non abbiano la prova della avvenuta presentazione della dichiarazione di successione, ovvero il contribuente non dichiari l’insussistenza del relativo obbligo.
Soggetti tenuti al pagamento dell’imposta, da eseguire entro sessanta giorni dalla notifica della liquidazione sono in primo luogo gli eredi, solidalmente per quanto di competenza di essi e dei legatari. La previsione di tale responsabilità solidale appare un residuo della imposizione del fenomeno successorio quale vicenda unitaria, riferibile collettivamente a tutti gli eredi (Fedele, A., Soggetti obbligati al pagamento (art. 36, D.Lgs. 31.10.1990, n. 346), in Mariconda, G.-Fedele, A.-Mastroiacovo, V., (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014, 727). La solidarietà in esame si qualifica inoltre come dipendente, sicché il singolo erede assume la qualità di responsabile per la quota relativa all’acquisto di coeredi, legatari e destinatari di prestazioni a carico di coeredi e legatari (Fedele, A., Il regime, cit., 603), potendo peraltro surrogarsi all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. 26.4.1986, n. 131.
I legatari, ma anche coloro che ricevono prestazioni a carico di eredi e legatari, sono invece tenuti nei limiti dell’imposta relativa alle attribuzioni ricevute, senza previsione di alcuna solidarietà neppure da parte del legatario per il tributo sul sub-legato.
L’Ufficio, al fine di evitare il rinvio della percezione del tributo allo scadere del termine decennale di cui all’art. 480 c.c., ha facoltà di chiedere la fissazione di un termine per l’accettazione, come pure la nomina di un curatore dell’eredità giacente.
L’art. 42 del d.lgs. n. 346/1990 prevede infine la possibilità di rimborso dell’imposta pagata in una serie di ipotesi, considerate non tassative (Gaffuri, G., L’imposta, cit., 188), riconducibili comunque alla situazione in cui essa si riveli ex post non dovuta per effetto di elementi sopravvenuti che privano di fondamento la sua avvenuta percezione. Il caso di maggiore interesse è quello inerente il sopravvenuto mutamento della devoluzione ereditaria, anche per fatto non accertato con sentenza passata in giudicato (ris. Min. 10.3.1976, n. 321104), a fronte del quale il d.lgs. n. 346/1990 ha previsto l’integrale rimborso dell’imposta che si riveli non dovuta. Tale disposizione innova il suo diretto antecedente (art. 47, d.P.R. n. 637/1972), che prevedeva il solo rimborso dell’imposta “percetta in più”, con ciò corroborando le tesi che vedevano già nella chiamata all’eredità la manifestazione di capacità contributiva considerata dal tributo in discorso.
Artt. 3, 42 e 53 Cost.; artt. 480, 742, 783, 2359 c.c.; l. 21.04.1862, n. 585; R.d. 30.12.1923, n. 3270; R.d.l. 4.5.1942, n. 434; l. 9.10.1971, n. 825; d.P.R. 26.10.1972, n. 637; d.lgs. 31.10.1990, n. 346; art. 13, d.lgs. 18.12.1997, n. 471; l. 21.11.2000, n. 342; l. 18.10.2001, n. 383; d.l. 3.10.2006, n. 262; l. 24.11.2006, n. 286.
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