Vedi Sud Sudan dell'anno: 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Comprehensive Peace Agreement (Cpa) firmato il 9 gennaio 2005 tra governo sudanese e il Sudan People’s Liberation Movement (Splm) ha posto fine al conflitto che da decenni lacerava il paese. La nuova Costituzione transitoria ha istituito il Government of National Unity (Gnu) e un semiautonomo Government of Southern Sudan (Goss), prevedendo elezioni a tutti i livelli e un referendum sulla possibile secessione del Sud Sudan alla fine del periodo transitorio di sei anni. Nonostante una parte della dirigenza del Splm rivendicasse la secessione, ufficialmente la posizione del movimento durante le trattative è stata in favore di un solo Sudan, federale e democratico.
Il 9 gennaio 2011 il Sud Sudan ha votato per la propria indipendenza sulla base del Cpa (il sì all’indipendenza si è imposto con il 98% dei voti espressi). Sei mesi dopo, il 9 luglio 2011, il 54° stato africano ha visto la luce in una cerimonia a cui hanno preso parte tutti i leader della regione, a partire dal presidente sudanese Omar al-Bashir. La guerra civile sudanese aveva coinvolto a vario titolo i principali attori regionali, spesso non in posizione neutrale, ma a fianco dell’una o dell’altra parte. Anche l’Unione Africana, impegnata nella missione di pace in Darfur (Unamid), e le Nazioni Unite (presenti con la United Nations Mission in South Sudan, Unmiss, e con la United Nations Interim Security Force for Abyei, Unisfa) svolgono un ruolo fondamentale per il futuro del paese e della regione.
Con la nascita dello stato, l’Splm è diventato il partito di governo. Salva Kiir Mayardit, che ne ha guidato l’ala armata, è stato eletto presidente nel 2011. La transizione del Splm da gruppo armato a partito politico ha assunto caratteri complessi. Buona parte del movimento, per esempio, ha concorso alla formazione dell’esercito nazionale, uno dei più numerosi (210.000 unità) rispetto alla popolazione per quanto riguarda l’Africa.
Da quando i due Sudan si sono separati, la situazione non è però migliorata: ci sono stati altri scontri, che hanno provocato la morte di centinaia di persone. Il principale motivo del contendere riguarda la spartizione delle risorse energetiche e minerali. Con la separazione del Sud Sudan, Khartoum ha perso l’accesso a gran parte dei giacimenti petroliferi, i cui proventi rappresentavano il pilastro dell’economia sudanese. Il Sud controlla l’85% delle aree di estrazione e per lungo tempo non ha riconosciuto al Nord la quota di servizio richiesta per l’utilizzo delle raffinerie e degli oleodotti presenti sul suo territorio. La sospensione della produzione di petrolio nel gennaio 2012 come ritorsione contro Khartoum, durata quasi dieci mesi, ha messo in difficoltà più il governo di Omar al-Bashir che quello di Kiir, e ha anche dimostrato quanto i due stati siano interdipendenti. Solo nell’aprile 2013 si è giunti a un accordo, ma altre questioni correlate restano irrisolte.
Un’altra disputa riguarda lo status di Abyei, la regione al confine tra i due stati, ricca di idrocarburi e, pertanto, contesa da entrambi. La decisione è stata affidata alla popolazione residente, che si è espressa con un referendum nel novembre 2013. Il test alle urne è stato però annullato per via dell’indeterminatezza circa la questione di chi abbia effettivamente diritto al voto: nella fattispecie, sono state escluse dalle urne alcune comunità nomadi che tradizionalmente vivono nelle zone di confine tra i due paesi.
Oltre alla regione di Abyei anche quella del Sud Kordofan, inglobata nel Sudan di Omar al-Bashir, crea problemi di confini. La coalizione ribelle del Fronte rivoluzionario del Sudan (Sfr) che si contrappone a Khartoum in Sud Kordofan e nello Stato del Nilo Azzurro, reclama da tempo l’annessione a Juba, capitale del Sud Sudan. Bashir ha accusato Juba di sostenere i ribelli e ciò ha provocato un altro casus belli e intensi combattimenti nell’area.
Al di là dei rapporti con Khartoum, il Sud Sudan mantiene grazie alle sue risorse petrolifere buone relazioni sia con la Cina sia con gli Usa.
L’indipendenza dal Nord arabofono ha creato uno stato a sua volta profondamente segnato da grandi differenze etniche. Se nel sud i Dinka (l’etnia a cui appartiene anche il presidente) sono la popolazione più numerosa, vi sono molte altre minoranze (Shilluk, Nuer, Azande, Bor, Acholi e Lotuhu) che lamentano un’eccessiva concentrazione dei posti di potere nelle mani dei Dinka e dei Nuer (l’etnia del vicepresidente Riek Machar). La lingua ufficiale è l’inglese, anche se non è parlato dalla maggior parte della popolazione. Il cristianesimo e i culti animisti sono le due religioni più diffuse.
La popolazione del Sud Sudan conta più di 10 milioni di abitanti. La maggior parte vive in condizioni di estrema precarietà: si calcola che circa metà della popolazione vada avanti con meno di un dollaro al giorno, che il 48% dei bambini sia malnutrito e solo il 48% dei cittadini sappia leggere e scrivere. L’unica città del paese è Juba, la capitale. Ci sono soltanto 120 medici e circa cento infermieri in tutta la nazione.
Anche dal punto di vista delle libertà politiche e civili l’arretratezza è profonda: l’approvazione di una Costituzione di transizione monopartitica ha limitato l’organizzarsi di forze politiche alternative, tanto che il Sud Sudan viene classificato come uno stato non libero.
L’economia del Sud Sudan è totalmente dipendente dal petrolio: il 98% delle esportazioni deriva dagli idrocarburi. La sospensione della produzione a causa della disputa con il Sudan ha avuto un impatto devastante sul pil, che nel 2012 è diminuito di almeno il 55%. Il Sud Sudan, comunque, non è ricco solo di petrolio, ma possiede una delle aree agricole più fertili d’Africa, con abbondanti riserve idriche. Il paese ha beneficiato inoltre di più di 4 miliardi di dollari in aiuti esteri concessi in gran parte da Regno Unito, Stati Uniti, Norvegia e Paesi Bassi, a partire dal 2005.
Dopo l’indipendenza, la Banca centrale del Sud Sudan ha emesso una nuova moneta, il Sud Sudan pound, inserito con soltanto un breve periodo di tolleranza della vecchia valuta.
Il Sud Sudan dovrebbe iniziare ora un percorso di industrializzazione e diversificazione della propria economia, recuperando il ritardo accumulato, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti, durante il periodo del conflitto. Le dimensioni ridotte della popolazione, lo stato pessimo delle infrastrutture, la difficoltà a gestire le risorse rendono la sfida particolarmente difficile.