Vedi Sudafrica dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La storia del nuovo Sudafrica ha inizio con la fine del regime dell’apartheid, che aveva privato di ogni diritto civile e politico la maggioranza nera condannando il paese all’isolamento, sia sul piano continentale che sul piano internazionale. Le prime elezioni democratiche a suffragio universale si sono tenute nel 1994; nel 1990 il governo aveva dichiarato finita l’era del razzismo liberando Nelson Mandela, leader dell’Anc (African National Congress), dopo ventisei anni di prigionia e legalizzando i partiti del movimento antirazzista. Le elezioni hanno fatto registrare la piena vittoria dell’Anc e l’elezione di Mandela alla presidenza della repubblica.
A Mandela è toccato il compito di guidare il paese in un difficile processo di transizione politica e di riconciliazione nazionale. Uno degli elementi fondamentali è stata la creazione di una Commissione per la verità e la riconciliazione, che è riuscita nell’intento di creare un clima di collaborazione e a porre le basi per una reale pacificazione. Durante la sua presidenza, Mandela ha basato l’immagine internazionale sulla diplomazia dei diritti, tanto che il Sudafrica è stato mediatore in molte crisi continentali e internazionali. Nel 1996 il Sudafrica si è dotato di una Costituzione all’avanguardia nel campo dei diritti civili, dell’uguaglianza e del rispetto delle minoranze.
Il ruolo di leader morale globale ottemperato dal paese si è trovato spesso in tensione con quello di potenza continentale. Nel 1995, per esempio, la decisione di Mandela – e di molte potenze occidentali – di ritirare l’ambasciatore in Nigeria in seguito alla condanna a morte dell’attivista Ken Saro-Wiwa scatenò rimostranze da parte di molti governi africani.
A partire dall’invasione del Lesotho nel 1998 – avvenuta dietro richiesta del governo dello stesso Lesotho alla Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc) dopo i disordini seguiti alle elezioni – lo status del Sudafrica ha iniziato ad appannarsi e la Realpolitik – contrapposta alla rivendicazione di posizioni più vicine al nazionalismo africano e all’attivismo terzomondista – si è fatta strada anche nella condotta del ministero degli esteri.
La presidenza di Thabo Mbeki, succeduto a Mandela nel 1999, ha improntato le relazioni internazionali del paese verso il rafforzamento della posizione del Sudafrica come leader panafricano e portavoce dei paesi in via di sviluppo. Nel 2001 Mbeki, insieme ai presidenti di Nigeria, Algeria e Senegal, nel contesto della sua visione del ‘Rinascimento africano’, ha lanciato il Nepad (New Economic Partnership for Africa’s Development), un piano africano per lo sviluppo del continente. Mbeki è stato uno degli architetti delle istituzioni continentali africane, tra cui l’Unione Africana (Au) e il Meccanismo africano di revisione tra pari (Aprm). Se la politica di Mandela cercava di operare in chiave universalista, quella di Mbeki era profondamente radicata nelle dinamiche del continente, assumendo talvolta posizioni controverse (come la strategia di quiet diplomacy nei confronti dello Zimbabwe durante le contestazioni sulla regolarità delle elezioni). L’insistenza di Mbeki sulle radici africane è degenerata anche in posizioni estreme, come nel caso della critica agli antiretrovirali per la cura dell’hiv in quanto prodotto della medicina occidentale a vantaggio dei grandi complessi farmaceutici.
Le elezioni del maggio 2009 sono state un punto di svolta nella storia del paese. Nel 1999 Zuma era stato nominato vicepresidente, predestinato dunque a diventare il successore di Mbeki, ma le strade di Mbeki e Zuma si divisero, anche per alcuni casi di corruzione in cui incorse Zuma. L’ala sinistra del partito aveva continuato ad appoggiare Zuma, come anche le organizzazioni giovanili dell’Anc, il sindacato Cosatu (Congress of South African Trade Unions) e il Partito comunista sudafricano (Sacp), fino a determinare la sua vittoria nel congresso del partito di governo a Polokwane nel 2007.
Dopo aver tentato di resistere con l’appoggio di coloro che vedevano in Zuma una deriva in senso populista-socialista, Mbeki si dimise dalla carica di presidente nel 2008. In seguito allo scontro fra Mbeki e Zuma l’Anc ha subito una scissione che ha dato vita alla formazione del Cope (Congress of the People).
Jacob Zuma vinse le elezioni del 2009, pressoché con la solita maggioranza di circa due terzi dei voti, e il suo governo ha ribaltato molte delle posizioni di Mbeki, a partire dalle pressioni su Mugabe per un sistema di cogestione del potere in Zimbabwe e dall’impegno nella lotta all’hiv. I propositi di nazionalizzazione sono stati accantonati e l’entrata di esponenti del Cosatu e del Sacp nell’esecutivo è stata controbilanciata dall’istituzione di un ufficio di coordinamento affidato all’ex ministro delle finanze Trevor Manuel, molto amato dai mercati. La presidenza Zuma ha coinciso con l’aggravarsi della crisi economica mondiale, che non ha permesso al governo di prestare fede all’impegno di rilanciare la lotta all’ineguaglianza e alla povertà, limitandosi a non ridurre la spesa sociale. I lavoratori, soprattutto quelli di origine nera, hanno visto nella politica di Zuma un tradimento delle promesse elettorali: il culmine delle proteste è stato raggiunto nell’agosto 2012, quando si sono verificati scontri presso la miniera di Marikana tra minatori in sciopero e polizia, e 45 minatori hanno perso la vita.
Gli eventi di Marikana sono stati un segno inquietante dell’incrinarsi della fiducia nella base dell’Anc nei confronti dei suoi rappresentanti, della delusione e del malcontento della maggioranza nera verso la stessa élite al potere, accusata di perseguire le stesse politiche della leadership bianca. Gli scioperi sono continuati anche nel 2013, benché le tensioni siano state ridotte a causa della ripresa economica che ha avuto ricadute positive sull’occupazione. Dal canto suo, il governo si è impegnato per l’approvazione di misure come l’Employment Tax Incentive Bill, che prevede incentivi per le imprese che assumono giovani, la fascia della popolazione più colpita dalla disoccupazione. Le prossime elezioni presidenziali sono previste per il 2014 e Zuma è deciso a ricandidarsi, dopo essere stato rieletto leader dell’Anc nel congresso del 2012. Nel 2012 i primi born free, cioè i sudafricani nati dopo l’abrogazione dell’apartheid, hanno raggiunto la maggiore età, potendo esprimere il loro voto e partecipare attivamente alla vita politica. Il Sudafrica guarda con speranza alle nuove generazioni, apparentemente immuni dal retaggio gravoso dell’apartheid, ma comunque segnate dalle fratture economico-sociali che attraversano il paese. Ad oggi il comportamento di voto degli elettori continua a essere leggibile a partire dai quattro population groups, le categorie razziali su cui si basava il regime dell’apartheid. L’ANC continua a essere il partito più inclusivo, anche se ha subito numerose evoluzioni al suo interno (di cui l’ultima ha portato all’ascesa e poi all’espulsione di Julius Malema, leader della sezione giovanile), mentre i tre gruppi etnici minoritari (bianchi, meticci o coloureds, e indiani, circa il 20% dell’elettorato) tendono a sostenere i partiti di opposizione.
Poiché il Sudafrica è stato meta di diverse ondate migratorie che si sono stratificate nel tempo, la composizione della sua popolazione è ricca e complessa. Secondo i dati del censimento 2011, poco meno dell’80% della popolazione è registrata come di origine nera africana, l’8,7% della popolazione è bianca, il 9,5% è di origine coloured, mentre il restante 2,4% è di origine indiana e asiatica in generale. Fra le popolazioni autoctone vi sono i Nguni (di cui fanno parte gli Zulu, i Xhosa, i Ndebele e gli Swazi), i Sotho-Tswana, gli Tsonga, i Venda e gli ultimi discendenti non bantu noti come Khoi-San, originari della regione del Capo; i bianchi sudafricani discendenti di olandesi, tedeschi e francesi ugonotti che giunsero in Sudafrica a cominciare dal 17° secolo, di lingua afrikaans (boeri o afrikaner), degli inglesi che arrivarono in Sudafrica nel 19° secolo a seguito dell’imposizione del dominio del Regno Unito e degli immigrati da diversi paesi europei, fra cui greci, portoghesi, ungheresi, italiani e molti cittadini dell’Europa orientale di fede ebraica. I cosiddetti coloured, una denominazione residuale che equivale a meticcio o sangue-misto, che in maggioranza parlano afrikaans e risiedono nella zona del Capo, hanno appunto origini miste, risalenti a asiatici o africani importati con uno statuto di semi-schiavitù, ai Khoi-San e ai discendenti delle unioni fra boeri e donne indigene. Gli indiani, in parte indù e in parte musulmani, furono fatti venire dal Regno Unito e risiedono in maggioranza nel Zwa Zulu-Natal. Prima di dedicarsi alla lotta per l’emancipazione dell’India, Gandhi operò a lungo in Sudafrica nella difesa dei diritti degli indiani, lasciando in eredità le pratiche della non violenza. La comunità cinese è in aumento. Negli ultimi anni si è intensificata l’immigrazione di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da Zimbabwe, Somalia, Congo, Angola, Mozambico, Burundi, Ruanda ed Etiopia. Le tensioni derivanti dalle profonde disuguaglianze e dalle dinamiche di esclusione sociale hanno avuto una forte ripercussione sui diritti dei migranti africani, tanto che nel maggio 2008 violenze xenofobe hanno provocato almeno 60 morti e fenomeni simili, anche se di entità molto minore, si sono verificati anche nel 2012. Al tempo stesso, la fine dell’apartheid ha generato flussi di emigrazione dal paese – verso Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada o Europa – di bianchi, spinti dal timore per la criminalità crescente ed eventuali misure governative intese a ridurre i loro privilegi. La popolazione bianca è diminuita tra il 1996 e il 2001 di 150.000 unità, per poi aumentare di 300.000 unità nei dieci anni successivi.
Nonostante la Costituzione garantisca un ampio spettro di diritti civili individuali, incluso il diritto alla non discriminazione in base all’orientamento sessuale, permane una situazione di profonda diseguaglianza, in cui la minoranza bianca gode di risorse economiche, opportunità e diritti di fatto negati alla maggior parte della popolazione nera, che continua ad avere scarso accesso alle posizioni direttive, al capitale economico e a un’istruzione di qualità – un rapporto sull’ineguaglianza delle opportunità della Banca mondiale ha evidenziato come, anche nel 2012, la situazione non sia sostanzialmente cambiata e come i bambini appartenenti alla maggioranza nera abbiano molte meno opportunità di ultimare gli studi e vivere in un ambiente salubre. La disoccupazione è al 25,49% e la percentuale di occupati neri è di almeno dieci punti inferiore rispetto agli altri gruppi. Il paese è al 123° posto su 187 per Indice di sviluppo umano, con un’età media di vita di soli 52 anni. L’accesso all’acqua e all’elettricità riguarda il 90% della popolazione, un record positivo attribuibile all’impegno dei governi postapartheid, anche se continuano a esistere quartieri in cui lo standard di vita è fortemente inadeguato.
Grazie agli sforzi del governo Zuma, costretto a riparare ai danni della controversa politica di Mbeki (che secondo uno studio dell’Università di Harvard avrebbe provocato 330.000 morti tra il 2000 e il 2005), il tasso di prevalenza dell’HIV è sceso al 17,4% (con il 56% dei contagi riguardanti le donne), rimanendo comunque il quarto a livello mondiale. Oggi il 66% delle persone sieropositive ha accesso al trattamento antiretrovirale e la prevalenza del virus è in diminuzione nei giovani fra i 15 e i 29 anni (passando dal 13% nel 2008 all’8% nel 2011), segno che le campagne di sensibilizzazione e le terapie si stanno rivelando efficaci.
Negli ultimi anni il rapporto con la Sabc (South African Broadcasting Corporation, ancora indipendente dal governo) e alcune proposte legislative, mai approdate in parlamento, che limiterebbero la libertà di cronaca, hanno fatto temere restrizioni alle libertà civili. Il New Secrecy Bill, che condiziona l’accesso alle informazioni considerate sensibili, probabilmente non supererà la prova della Corte costituzionale. La situazione giuridica di Jacob Zuma, che, coinvolto in due processi per corruzione e in un processo per stupro, non è mai stato condannato, ha creato elementi di tensione e pretesti per possibili interferenze politiche nell’attività giudiziaria. Tuttavia, nell’agosto 2013, dopo ripetuti rinvii, è stata creata una commissione di inchiesta per indagare su un caso di traffico di armi risalente agli anni Novanta in cui lo stesso Zuma sarebbe coinvolto in prima persona.
La vitalità della società civile e delle esperienze associative maturate durante gli anni dell’apartheid rende l’opinione pubblica particolarmente vigile e attiva rispetto alla tutela dei diritti.
La Repubblica Sudafricana si conferma uno degli stati leader del settore minerario nonostante l’esigua crescita. Nel 2010 il Sudafrica ha raggiunto il 75% della produzione mondiale di platino (di cui è il maggior esportatore a livello mondiale), più del 30% della produzione mondiale di cromo, zinco, vanadio, quasi il 20% di ilmenite e manganese, l’8% dell’oro e il 3% di nickel. Possiede il 95% delle riserve mondiali di minerali platinoidi. La maggior parte dei giacimenti sudafricani è di proprietà privata: le attività estrattive di diamanti e oro, contrariamente ad altri paesi africani, sono interamente esercitate da grandi compagnie. Nel 2010 l’industria mineraria ha rappresentato l’8,6% del pil. In Sudafrica si svolge il Mining Indaba, uno dei maggiori eventi dedicati agli investimenti nel settore minerario. Il numero di occupati nel settore (488.141) non è aumentato negli ultimi anni a causa della scarsa crescita economica e degli scioperi indetti dai lavoratori per protestare contro le politiche sociali. La produzione di oro è in calo (dopo avere toccato il 16% della produzione mondiale, oggi è all’8%). Tra le cause vi sono la difficoltà di estrarre a grandi profondità e la mancanza di potenza energetica sufficiente.
Il Sudafrica vanta una buona rete infrastrutturale, ma è costretto a confrontarsi con la scarsa potenza energetica. Il settore minerario richiede un enorme fabbisogno in termini di energia. L’impossibilità di avere una fornitura costante ha quindi contribuito a far decrescere la produzione nel settore e ha riorientato le imprese minerarie verso lo sviluppo dell’estrazione di materiali a minor consumo energetico. La relativamente recente costruzione del porto di Richard Bay ha facilitato un accesso diretto al mare senza dover passare necessariamente o per la lontana Città del Capo o per il territorio del Mozambico.
Allo scopo di attrarre un maggior numero di investitori stranieri, il Sudafrica ha recentemente riformato il codice di sfruttamento delle risorse minerarie, introducendo criteri ambientali (con l’approvazione dei progetti da parte di commissioni governative) e l’integrazione di misure compensative per le comunità locali. Alcuni passi avanti, seppure minimi, sono stati compiuti anche in merito alla difesa dei lavoratori impiegati nel settore minerario (anche per questo motivo l’estrazione dell’oro ha subito un rallentamento). Rimangono comunque aperte le questioni della sicurezza sul lavoro, del diritto a un lavoro dignitoso dei minatori, del lavoro minorile in miniera e i problemi legati ai diritti delle comunità de localizzate e reinsediate per cause economiche e alla protezione dell’ambiente.
Il Sudafrica aderisce agli accordi di applicazione di certificazione internazionale sui diamanti grezzi, detto Kimberley Process, che attesta la provenienza lecita dei diamanti allo scopo di prevenirne il contrabbando o l’utilizzo come fonte di finanziamento dei conflitti. Nel 2013 il Sudafrica ricopre la presidenza di questa iniziativa.
Il rigore della politica macroeconomica, delineata nel piano chiamato Gear (Growth, Employment and Redistribution), è sempre stato oggetto di discussione tra l’ala di maggioranza dell’Anc e le componenti di sinistra dell’Alleanza tripartita (Anc, Cosatu, Sacp). Smentendo i dubbi della comunità internazionale e degli avversari politici, il governo sta riuscendo a contenere l’inflazione e a garantire la stabilità del paese, anche a fronte di tassi di crescita non incoraggianti rispetto alla media subsahariana (2% negli ultimi anni). Questi esigui tassi di crescita, dati dal rallentamento della produzione del settore estrattivo, dagli strascichi della crisi internazionale e da carenze infrastrutturali, non hanno raggiunto i risultati sperati in termini di occupazione, né supplito al deficit strutturale delle partite correnti.
Il Sudafrica fa parte di tre raggruppamenti economici regionali: la Southern Africa Development Community (Sadc), la Southern Africa Customs Union (Sacu) e la Common Market Authority. All’interno del gruppo regionale della Sadc, il Sudafrica gioca un ruolo molto importante: le esportazioni da parte del paese ammontano al 44% delle esportazioni all’interno del gruppo e al 40% delle importazioni. Nonostante questo, il peso del commercio intraregionale sul totale del commercio sudafricano è ridotto, e ciò malgrado il paese abbia un livello di produzione industriale e manifatturiera molto avanzato rispetto agli altri paesi della regione.
La questione della terra ha un forte valore simbolico anche nel Sudafrica post-apartheid. Il Native Lands Act del 1913, che confinava gli africani nelle riserve definite dal governo (pari al 13% della superficie del paese), è stato uno dei pilastri dell’apartheid e la restituzione delle terre ai proprietari che le detenevano prima dell’insediamento dei bianchi compariva tra i primi obiettivi dell’Anc. Il processo di redistribuzione della terra è stato effettivamente avviato dal nuovo governo, secondo il principio del ‘willing seller, willing buyer’: il trasferimento della proprietà agraria presuppone non solo la volontà del compratore (stato o privati), ma anche della disponibilità del venditore (il proprietario). La redistribuzione procede molto lentamente, anche perché i benefici economici della riforma agraria (con la formazione di una piccola proprietà contadina diffusa, a scapito della più redditizia grande proprietà) sono oggetto di discussione tra gli economisti. Secondo la Development Bank of Southern Africa (Dbsa) nel 2001 il 44% della terra era in mano a proprietari bianchi, il 20% ad africani, il 9% a coloureds, mentre il 27% era di proprietà delle autorità municipali. Nel 2003 e nuovamente nel 2006 il governo ha annunciato l’intenzione di abbandonare il principio ‘willing seller’ e d’introdurre la possibilità dell’esproprio in base a indennizzi proporzionati al valore di mercato. Il precedente dello Zimbabwe funge da deterrente nel timore che si apra una crisi di fiducia con i bianchi, per molti motivi essenziali per il funzionamento del Sudafrica.
Il settore energetico è stato fortemente determinato sia dalle ricchezze minerarie del Sudafrica, sia dalla vicenda storica del regime dell’apartheid che, a causa delle sanzioni economiche internazionali, ha cercato di rendersi il più autosufficiente possibile nella produzione di energia. Il carbone è la principale fonte energetica del paese (nel 2011 il 69,4% dell’offerta energetica derivava da questo minerale): il Sudafrica è l’ottavo produttore al mondo di carbone, con 28 miliardi di tonnellate di riserve, mentre l’impresa Sasol è il primo produttore mondiale di petrolio dal carbone. Il 14% del fabbisogno energetico del Sudafrica proviene dal petrolio, che è importato ma viene raffinato direttamente: il paese possiede infatti impianti per la raffinazione del petrolio che in Africa sono secondi solo a quelli dell’Egitto. Eskom è l’impresa che produce la maggior parte dell’energia elettrica sudafricana (il 95%) e regionale (il 60%, esportata in Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Swaziland e Zimbabwe). Il governo sta cercando di moltiplicare gli investimenti in questo settore poiché l’offerta supera la domanda, generando malfunzionamenti nell’erogazione. Il paese è firmatario del Protocollo di Kyoto, a cui ha aderito nel 2002 ma, essendo considerato una nazione in via di sviluppo, non è tenuto a ridurre le proprie emissioni.
Mentre il programma nucleare militare è stato smantellato dopo la fine del regime bianco (la rinuncia alla bomba e l’abolizione della pena di morte furono i primi due atti simbolici della presidenza Mandela), il nucleare civile continua a produrre energia. Oggi i due reattori della centrale di Koeberg, situata a 30 chilometri da Città del Capo, producono il 2,5% del fabbisogno energetico del Sudafrica.
L’esercito sudafricano ha subito una radicale riforma dopo la fine dell’apartheid. Parallelamente alla rinuncia al programma di offesa nucleare, il governo dell’Anc ha integrato le fila dell’esercito del regime separazionista con soldati provenienti dall’Umkhonto we sizwe (il braccio armato dell’Anc), dall’Azanian People’s Liberation Army (l’ala militare del Pan Africanist Congress) e dalle unità di auto protezione dell’Inkhata Freedom Party. Il 70% dei soldati sono quindi neri, indiani e coloureds, mentre più del 60% degli ufficiali è bianco. Il Sudafrica vanta uno degli eserciti più moderni, efficienti e meglio equipaggiati di tutta l’Africa subsahariana.
La criminalità è uno degli elementi al centro del dibattito sulla sicurezza interna dal 1994, da quando, cioè, gli episodi di illegalità a sfondo politico si sono trasformati in episodi criminali. Nelle classifiche dell’United Nations Office on Drugs and Crime, condotte sui paesi in grado di fornire dati attendibili, il Sudafrica risulta ai primi posti per l’incidenza pro capite di omicidi, rapine a mano armata e stupri. Altri dati appaiono invece meno eccezionali, se confrontati con quelli dei paesi in via di sviluppo. L’incidenza di questi reati registra la dualità sudafricana: l’attenzione alla tutela dei diritti sessuali e riproduttivi si scontra con femminicidi e violenze sessuali perpetrate ai danni di persone omosessuali; le frequenti rapine e aggressioni restituiscono l’immagine di una società disuguale, in cui malessere psicosociale, frustrazione e condizioni economiche inadeguate generano atteggiamenti criminosi.
Il Sudafrica post-apartheid ha intrecciato relazioni molto strette con Swaziland, Lesotho, Botswana e Namibia, quest’ultima territorio sudafricano fino all’indipendenza nel 1990: l’istituzione di aree di libero scambio e di cooperazione economica ha favorito progetti di collaborazione anche in grandi opere infrastrutturali, fra cui le grandi dighe del Lesotho Highlands Water Project. Anche per difendere questi impianti, nel 1998 il Sudafrica prese parte all’operazione concordata in sede SADC per sedare i disordini seguiti a elezioni contestate. Tutti i membri della SACU, con l’eccezione del Botswana, fanno parte di un’area monetaria comune, le cui valute sono ancorate al rand sudafricano. Il Sudafrica ha istituito una buona collaborazione anche con il Mozambico, che si è tradotta nel Maputo Development Corridor e nella Trilateral Spatial Development Initiative con lo Swaziland. Tra Mozambico e Sudafrica esiste anche un forum bilaterale di collaborazione economica che coordina i progetti strategici tra i due stati (il 100% del gas importato da Pretoria proviene dal Mozambico). Sia Mbeki che Zuma sono stati investiti di un ruolo di mediazione durante la crisi in Zimbabwe. Ma mentre Mbeki, nonostante le pressioni internazionali, ha assunto posizioni molto tiepide nei confronti degli abusi imputati a Mugabe, sollecitando una soluzione africana della disputa fra governo e opposizione, Zuma è invece intervenuto con più energia, coinvolgendo anche il presidente dell’Angola dos Santos nel ruolo di mediazione in seno alla SADC e premendo per l’accettazione di tutte le parti in conflitto del Global Political Agreement. Il Sudafrica si proietta nel mondo multipolare sia come portavoce del continente africano nei consessi internazionali, sia come potenza economica emergente, rinnovando i suoi rapporti con le potenze occidentali e consolidando l’unione programmatica con i nuovi attori internazionali del Sud del mondo. ll Sudafrica è stato membro non permanente del Consiglio di sicurezza UN tra il 2007 e il 2009 e di nuovo tra il 2011 e il 2013. Il paese è membro del G20, come unico stato africano, e partecipa a fora influenti quali IBSA (India, Brasile e Sudafrica) e BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il gruppo dei BRICS mira a controbilanciare la forza del G8 e la sua agenda politico-economica è discretamente dettata dalla leadership di Cina e Russia. I BRICS puntano a una riforma del sistema della finanza e del commercio mondiale che avvantaggi le economie emergenti. All’interno di IBSA, BRICS e G20 Pretoria gioca di doppio ruolo: oscilla infatti tra la rappresentazione degli interessi di tutto il continente africano (spesso negli interventi al G20 Zuma ha parlato a nome dell’Africa), rivaleggiando con Nigeria ed Etiopia, e la necessità di giungere ad accordi e relazioni, per esempio in campo commerciale, che avvantaggino prima di tutto lo stesso Sudafrica. A differenza delle altre potenze emergenti, tuttavia, il raggio d’azione del Sudafrica non oltrepassa i confini del continente d’appartenenza. L’impegno di Pretoria a occuparsi più da vicino delle sorti interne al continente, e non solo di rappresentarlo sullo scenario internazionale, è stato sancito dall’elezione nel 2002 dell’ex moglie di Zuma, Nkosazana Dlamini-Zuma, a presidente della Commissione, il massimo organo esecutivo dell’Unione Africana. Nel 2010 il Sudafrica e gli USA hanno firmato l’US-South Africa Strategic Dialogue, che prevede anche l’istituzione di un forum bilaterale annuale. Nell’agosto 2012 il segretario di stato Hillary Clinton ha visitato il Sudafrica puntando al rafforzamento della cooperazione economica ed è stato firmato un nuovo Trade and Investment Framework Agreement (TIFA). Sudafrica e Stati Uniti sono legati anche dall’Africa Contingency Operations Training and Assistance (ACOTA), un accordo di cooperazione per il rafforzamento delle competenze del Sudafrica nel campo della difesa, e da un accordo per la ricerca nel settore dell’energia nucleare. Una frizione tra i due stati è rappresentata dalle pressioni americane sul Sudafrica perché riduca il suo import di petrolio dall’Iran, che rappresenta però un quarto del fabbisogno sudafricano, ed è quindi una risorsa a cui Pretoria non vuole rinunciare. Nel 2012 Zuma ha guidato la delegazione sudafricana al Forum di cooperazione Cina-Africa di Pechino (FOCAC). Le relazioni fra Sudafrica e Cina possono essere definite meno asimmetriche rispetto alla situazione di altri paesi africani: infatti, se è vero che la Cina è il primo partner commerciale del Sudafrica (malgrado il problema insito nell’importazione di manufatti cinesi a prezzi molto competitivi rispetto a quelli prodotti in loco), è altrettanto vero che il Sudafrica è riuscito a penetrare il mercato cinese, verso cui dirige il 5% del suo export. Inoltre, relazioni forti con la Cina permettono al Sudafrica di giocare un ruolo internazionale come economia emergente nel gruppo dei BRICS. Il Sudafrica ha stretto accordi commerciali, che si vanno estendendo a diversi settori, con Regno Unito, Germania e Francia.
In previsione delle elezioni del 2014, l’ANC si presenta come un partito attraversato da numerose tensioni e in transizione permanente, che continua a contare sull’alleanza tripartita con SACP e COSATU, senza perdere la sua posizione unificatrice di partito moderato e inclusivo. Nel post-apartheid i suoi leaders hanno cercato un compromesso fra giustizia sociale e attenzione all’attrattività dell’economia, emancipazione della maggioranza nera e uguaglianza di tutti i cittadini. Anche quando le ali più conservatrici temevano per la possibile virata a sinistra nel 2008, Zuma ha rassicurato le forze produttive del paese, adottando politiche paradossalmente più vicine agli interessi degli investitori che alla base elettorale del partito. Julius Malema, ex presidente della ANC Youth League e giovane delfino di Zuma, ha fatto leva proprio sullo scollamento crescente fra la base e i suoi rappresentanti, generato dal moltiplicarsi di casi di corruzione all’interno dell’ANC e dall’incapacità del vertice di dare risposte soddisfacenti a disoccupazione e disuguaglianza diffusa. Le posizioni radicali di Malema, che ha anche infranto alcuni tabù, come quello di mettere apertamente a confronto il regime della proprietà della terra in Sudafrica e in Zimbabwe, venendo accusato di incitamento all’odio razziale verso i bianchi, gli sono costate l’espulsione dal partito nel 2012 (aggravata poi da un processo per evasione fiscale). Le critiche di Malema, comunque, toccano un nervo scoperto con cui il partito dovrà obbligatoriamente fare i conti. Nel futuro l’ANC dovrà decidere se insistere su una linea politica moderata, assecondando le tensioni sociali come effetti collaterali, o assumere posizioni più forti nel campo delle politiche redistributive, che potrebbero costargli il progressivo allontanamento della classe media e degli imprenditori.
Il 5 dicembre 2013, all’età di 95 anni, Nelson ‘Madiba’ Mandela, primo presidente del Sudafrica liberato, è morto per un’infezione polmonare, lascito della tubercolosi contratta nei diciotto anni di prigionia trascorsi a Robben Island. All’imponente cerimonia funebre hanno preso parte diversi capi di stato e rappresentanti politici e molti comuni cittadini hanno celebrato a lungo il lutto, soprattutto a Johannesburg e Qunu, villaggio natale di Madiba. Mandela, un tempo considerato un pericoloso soggetto eversivo, è stato ricordato con funerali di stato e con riti informali, collettivi e condivisi. Il presidente Zuma, parlando alla nazione subito dopo la morte di Mandela, ha ricordato la lotta per l’eguaglianza, la giustizia e la democrazia del padre del nuovo Sudafrica, esortando la popolazione a camminare nel solco da lui tracciato, e rinnovando la promessa della costruzione di una società in cui nessuno possa dirsi sfruttato o oppresso. Il discorso di Zuma, con cui di fatto il presidente ha ribadito la sua diretta discendenza dal leader dell’ANC quanto ad etica ed appartenenza politica, è stato l’ennesima dimostrazione di come i dirigenti sudafricani si trovino a doversi confrontare con l’eredità di Mandela, in una competizione da cui difficilmente è possibile uscire vincitori. Nonostante molto sia stato detto e scritto, anche evidenziando i limiti di Madiba sia come uomo politico che nella vita privata, e sfatando così le rappresentazioni più riconducibili al mito, Mandela continua ad essere l’ispiratore e il custode ideale di una prassi politica che è riuscita a fare della riconciliazione una vera e propria strategia, in grado di porre le basi per una reale convivenza e integrazione di tutte le fasce della popolazione, senza tuttavia censurare o rileggere il passato. Madiba è il simbolo della cultura del compromesso, capace di conciliare gli interessi opposti e di abbandonare, senza ripudiare, il radicalismo della lotta, in nome di un progetto comune di emancipazione e sviluppo. Nonostante gli aggiustamenti in chiave meno universalista dei presidenti che gli sono succeduti e l’emergere di tensioni sociali sempre più scoperte, il Sudafrica si riconosce ancora come una ‘nazione arcobaleno’, portatrice di una diplomazia dei diritti esemplificata in una Costituzione all’avanguardia a livello internazionale. Più i dirigenti si allontanano da questo modello e più la società civile li richiama alla coerenza con gli impegni presi dall’ANC negli anni della lotta all’apartheid. La società egualitaria immaginata da Mandela sopravvive quindi come il riferimento ultimo, e più alto, in base al quale l’opinione pubblica valuta l’operato della politica.
Nel tentativo di sanare le discriminazioni alla base della struttura segregazionista dell’economia sudafricana dell’epoca dell’apartheid, il governo Mandela lanciò un’ambiziosa politica di ‘discriminazione positiva’ chiamata Black Economic Empowerment, poi estesa anche ad altri gruppi svantaggiati, non solo per ragioni razziali, presenti in Sudafrica (da cui il nome Broad-Based Black Economic Empowerment o BBBEE). Il BBBEE prevede un sistema stringente di quote, da attuarsi in qualche decina di anni, sia per l’accesso alle università che ai posti pubblici, e soprattutto per il trasferimento della proprietà e della gestione delle imprese private nelle mani delle minoranze precedentemente discriminate. Il BBBEE è stato ampiamente criticato in quanto, lontano dal ridurre le disuguaglianze, ha invece favorito la creazione di un’élite nera (che rappresenta un quarto del 4% della popolazione sudafricana con un guadagno di oltre cento volte maggiore rispetto a un salario medio). Si è inoltre venuto a creare un sistema in cui il diritto d’accesso ha quasi azzerato la meritocrazia e la competizione, disincentivando una formazione specializzata e un continuo aggiornamento da parte di funzionari e imprenditori neri. Anche se il BBBEE ha subito numerose revisioni, sempre più incentrate sullo sviluppo e il trasferimento delle competenze e sull’espansione delle imprese, i suoi detrattori argomentano che un intervento radicale sull’educazione nazionale porterebbe a risultati migliori e meno controproducenti.