Sudan
(XXXII, p. 944; App. II, ii, p. 928; III, ii, p. 866; IV, iii, p. 541; V, v, p. 330)
Geografia umana ed economica
di Alberta Migliaccio
Popolazione
Secondo stime delle organizzazioni internazionali la popolazione del S. nel 1998 ammontava a 28.292.000 abitanti. La crescita demografica continua a essere molto sostenuta: nel periodo 1990-95 il tasso di natalità si aggirava attorno al 40‰ (nel 1970-75 era del 45‰), mentre quello di mortalità, nello stesso periodo, si attestava sul 13‰ (era del 17‰ nel corso degli anni Settanta). La speranza di vita alla nascita risulta ancora piuttosto bassa e raggiunge a malapena i 56 anni.
La grande maggioranza della popolazione vive nelle regioni rurali (il 75% nel 1995) e una parte non trascurabile, specialmente nelle aree nord-orientali, conserva il genere di vita nomade. La maggiore concentrazione di abitanti si ha nella sezione centro-orientale del paese, in corrispondenza della confluenza fra il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco, dove si fronteggiano le tre principali città del S.: la capitale, Khartum (924.500 ab. nel 1993), Omdurman (1.267.100) e Khartum North (879.100). Densità relativamente elevate si hanno poi nella regione settentrionale della Nubia. Altre città superano i 200.000 ab.: Porto Sudan (305.400), Kassalā (234.300), Niyālā (228.800), al-Ubayyiḍ (228.100).
Condizioni economiche
Il S. è un paese povero, prevalentemente rurale, in cui le prospettive di sviluppo sono limitate da fattori naturali, antropici ed economici. L'instabilità politica e i disordini interni, insieme a un ritmo di accrescimento demografico troppo elevato, alla siccità, a un'elevata inflazione e a un enorme debito estero, hanno reso particolarmente difficile la ripresa economica del paese. Il processo di islamizzazione inoltre ha contribuito ad alienare - con la sola eccezione di alcuni paesi arabi - le simpatie di molti creditori internazionali. Si sono così dovute interrompere due iniziative ritenute dal governo importanti per il futuro del S.: la costruzione del canale Jonglei, indispensabile per il potenziamento dell'irrigazione, e le campagne di esplorazione del sottosuolo alla ricerca di risorse petrolifere.
Fino ai primi anni Settanta il S. era un paese in condizioni di forte arretratezza, ma la sua economia era sostanzialmente in equilibrio. La caduta dei prezzi del cotone e di altri prodotti agricoli sui mercati internazionali, il lungo periodo di siccità che ha colpito questa parte del continente africano, oltre a un dispendioso programma di sviluppo intrapreso dal governo, hanno provocato un crescente squilibrio nei conti con l'estero. Alla fine degli anni Novanta la bilancia commerciale era fortemente deficitaria e il peso del debito estero era divenuto sempre più gravoso; con il trascorrere degli anni l'aggravarsi della crisi politica e il perdurare di condizioni climatiche sfavorevoli hanno reso il paese sempre più dipendente dagli aiuti internazionali.
L'economia sudanese è rimasta incentrata sull'agricoltura. Questo settore produttivo, oltre a occupare ben più della metà della popolazione attiva, alimenta la massima parte delle modeste attività industriali e contribuisce per meno del 50% alla formazione del PIL. Nel complesso il paese non è autosufficiente dal punto di vista alimentare e deve pertanto ricorrere all'importazione di grandi quantità di viveri, la cui distribuzione nelle diverse regioni dell'interno è ostacolata dall'insufficienza e dal cattivo stato delle vie di comunicazione. Inoltre, nelle regioni meridionali il persistere della guerra civile rende praticamente impossibile l'approvvigionamento alimentare della popolazione.
Accanto alle coltivazioni destinate all'autosostentamento (sorgo, miglio, mais, frumento, patate, manioca ecc.), nell'agricoltura sudanese sono presenti numerosi prodotti industriali o, comunque, destinati alle esportazioni. Principale coltura delle regioni irrigue è il cotone che, nonostante la riduzione della superficie coltivata, continua a rappresentare un quinto circa delle esportazioni del paese. Tra gli altri prodotti si ricordano il sesamo (in parte destinato anche al consumo interno) e le arachidi (di cui il S. è il quarto produttore in Africa). Dal patrimonio forestale il S. ricava la gomma arabica, della quale è il primo produttore mondiale; la domanda internazionale di questo prodotto subisce tuttavia notevoli fluttuazioni per l'entrata sul mercato di nuovi produttori.
Allo scopo di diminuire la dipendenza dalle importazioni è stata introdotta la canna da zucchero, a cui sono collegate alcune raffinerie a capitale pubblico. Le prospettive di potenziamento del settore primario sono legate all'ampliamento delle zone irrigue e dipendono dagli accordi con l'Egitto per l'uso dell'acqua del Nilo: attualmente risultano irrigati quasi 2 milioni di ha, la metà dei quali nella regione della Gezira (compresa fra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro). L'allevamento costituisce un'importante voce delle esportazioni e, nonostante la siccità abbia limitato le capacità espansive del settore, il patrimonio zootecnico è in aumento.
Nel quadro dell'economia sudanese il settore industriale riveste un ruolo ancora marginale, e il suo contributo alla formazione del PIL è modesto (circa un settimo). Le produzioni più importanti riguardano la lavorazione del cotone (prevalentemente concentrata nella Gezira) e delle arachidi, e la raffinazione dello zucchero. Il settore ha attraversato un periodo di crisi dopo le nazionalizzazioni del 1971; a partire dal 1988 è stato dato l'avvio a un programma di privatizzazione e di riconversione finanziati dal FMI e dalla Banca mondiale. Il processo ha avuto un momento di accelerazione nei primi anni Novanta, in concomitanza con l'apertura del paese agli investimenti internazionali e all'istituzione di quattro zone franche (Porto Sudan, Ǧūbā, al-Ǧanayya e Malūṭ).
Sono numerose le risorse minerarie, ma la scarsità di capitali, l'ostilità verso le compagnie occidentali e la guerra civile hanno reso difficile il loro sfruttamento. Giacimenti di petrolio sono stati localizzati in varie parti del paese (nel Sud-Ovest, ai confini meridionali con la Libia e nella valle del Nilo); sulla costa, presso Suwākin, sono stati rinvenuti giacimenti di gas naturale. Tra le altre risorse minerarie vanno ricordati marmo, mica, gesso e cromite, in prossimità del confine con l'Etiopia. Alcune compagnie straniere sono interessate alla riapertura delle miniere d'oro di Hassai (sui rilievi che si affacciano sul Mar Rosso).
bibliografia
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Storia
di Silvia Moretti
In S. la guerra civile ha presentato un carattere endemico sin dai mesi che precedettero la proclamazione dell'indipendenza del paese nel gennaio 1956. All'origine del conflitto si poneva lo storico abbandono del Sud del paese, una regione deliberatamente emarginata dai governi civili e militari che si sono succeduti al potere negli ultimi quarant'anni, sostenuti dalla componente araba e islamica della popolazione, componente maggioritaria nel paese e residente nelle regioni del Nord. La sottomissione della popolazione del Sud, a maggioranza nera e cristiana, in lotta per la propria autonomia contro la dominazione culturale, politica e religiosa del Nord, ha provocato lo scoppio di numerosi conflitti che hanno accentuato il secolare antagonismo tra le due regioni. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta il riacutizzarsi dei combattimenti causò una tragedia di vaste dimensioni: oltre un milione e mezzo di morti, quattro milioni di abitanti fuggiti dalle loro terre, più di mezzo milione di rifugiati in altri paesi e una popolazione sull'orlo della fame per la siccità e le carestie. In particolare, dopo il colpo di Stato del giugno 1989 il regime militare di ῾Umar Ḥasan Aḥmad al-Bašīr avviò un drastico processo di islamizzazione forzata del paese, che provocò la recrudescenza nel Sud delle iniziative armate a opera dello SPLA (Sudan People's Liberation Army) comandato da J. Garang, ala militare dello SPLM (Sudan People's Liberation Movement). Nei primi anni Novanta si verificarono i primi infruttuosi tentativi di arrivare a un accordo tra le parti: l'insuccesso dei colloqui di Nairobi, nel 1994, fu sancito all'inizio dell'anno successivo dal rimpasto governativo che vide un potenziamento della componente islamista legata al Fronte nazionale islamico (FNI) di Ḥasan al-Turābī, espressione diretta dell'organizzazione fondamentalista dei 'Fratelli musulmani'. In assenza di un'autentica dialettica politica, le elezioni legislative e presidenziali del marzo 1996, le prime dopo il colpo di Stato, videro l'ovvia affermazione di al-Bašīr con il 75,7% dei voti e il successo del FNI, il cui leader al-Turābī fu eletto presidente dell'Assemblea nazionale. Al Sud i combattimenti impedirono il naturale svolgimento del turno elettorale. Nel corso del 1997 la concretizzazione dell'alleanza dello SPLA con il Northern Democratic Alliance (NDA), l'organizzazione che raccoglieva numerose forze di opposizione al regime, attiva nel Nord-Est del paese e con base ad Asmara (Eritrea), determinava un'avanzata strategica dei ribelli nel Sud e l'intensificarsi della guerriglia nel paese. Nel maggio 1998, dopo i ripetuti tentativi di accordo falliti negli anni precedenti, i colloqui di pace di Nairobi tra le forze di governo e i rappresentanti dei ribelli registrarono un primo significativo successo: nell'intesa siglata dalle parti il 6 maggio si riconosceva la necessità di indire un referendum per l'autodeterminazione del Sud. Non veniva indicata, però, alcuna data. Sempre nel mese di maggio, con il 96,7% dei consensi, registrati anche nelle regioni meridionali, veniva approvata per referendum una nuova Costituzione in cui venivano riconosciute, almeno in forma teorica, libertà di espressione, di culto e di associazione politica. Ma la libera attività politica, bandita nel paese dopo il colpo di Stato, veniva ripristinata solo nel gennaio 1999 con l'approvazione di una legge considerata troppo restrittiva dalle forze politiche meno vicine al regime.
Sul finire degli anni Novanta l'intensificarsi della guerra civile, il peggioramento delle condizioni economiche e il rischio latente di carestie minarono fortemente le capacità di resistenza della popolazione, e in particolare di quella residente al Sud, vessata dalle violenze e dalle sistematiche violazioni dei diritti umani da parte del regime militare e dalle continue sottrazioni di risorse alimentari compiute dalle forze ribelli. Tra il 1998 e il 1999 l'organizzazione delle Nazioni Unite ha più volte ribadito che nel Sud del paese la fame metteva a repentaglio la sopravvivenza di oltre due milioni e mezzo di persone: le zone più colpite dalla tragedia erano nella provincia di Baḥr al-Ġazāl, dove risiede la maggioranza del popolo Dinka, il gruppo etnico che domina lo SPLA. La guerra tra il Sud e il Nord minacciava anche la sopravvivenza dei Nūba, il popolo di fede musulmana asserragliato sui monti a sud di Khartum, ignorato dalla macchina internazionale degli aiuti umanitari e aggredito dalle forze governative perché insediato in zone particolarmente fertili e strategicamente importanti.
In politica estera l'orientamento integralista del regime di al-Bašīr ha caratterizzato la politica delle alleanze del S. nella regione e nei conflitti internazionali. L'appoggio dato a Ṣaddām Ḥusayn durante la guerra del Golfo e gli stretti legami mantenuti con Iraq, Iran e Libia posero il S. tra i principali paesi ritenuti responsabili, in particolare dagli Stati Uniti, di fomentare il terrorismo islamico e di perseguire una politica di destabilizzazione dei paesi confinanti. Il sostegno fornito dal governo sudanese ai movimenti di guerriglia antigovernativa in Uganda, Etiopia ed Eritrea, e le accuse dell'Egitto di un coinvolgimento sudanese nel tentato assassinio del presidente egiziano M. Mubārak ad Addis Abeba (giugno 1995), portarono a un drammatico peggioramento dei rapporti con questi paesi e all'isolamento del S. sul piano regionale. In particolare il presidente ugandese Y. Museveni si schierava contro il regime sudanese per preservare l'identità culturale dell'Africa nera, non lesinando la sua solidarietà e il suo appoggio ai ribelli dello SPLA che si opponevano da sempre alla penetrazione araba e dell'Islam 'militante' nella regione.
Il 20 agosto 1998, a conferma della convinzione degli Stati Uniti che il S. rappresentasse una delle centrali mondiali del terrorismo islamico insieme all'Iran e all'Afghānistān, il presidente B. Clinton, in risposta agli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dār al-Salām del 7 agosto, ordinò il bombardamento degli stabilimenti di un'industria farmaceutica di Khartum, la Shifa, dove si riteneva venissero fabbricate armi chimiche. Sul piano dei rapporti internazionali un netto miglioramento si è registrato invece nei rapporti tra il S. e l'Egitto, che nel febbraio 1998, dopo oltre quattro anni di interruzione, restaurarono reciproci scambi commerciali lungo il Nilo.
A sorpresa, nel febbraio 1999, il presidente al-Bašīr dichiarava che il governo era pronto a trattare con i ribelli la questione dell'autonomia del Sud pur di porre fine alla guerra che da oltre quindici anni lacerava il paese. Nel mese di luglio si aprivano a Nairobi (Kenya) i colloqui di pace con i ribelli dello SPLA. Sul finire del 1999 si scatenava nel paese uno scontro ai vertici dello Stato tra il presidente al-Bašīr e il potente ideologo del regime fondamentalista, il presidente del Parlamento al-Turābī, che era stato il principale sostenitore di al-Bašīr in occasione del colpo di Stato del 1989. Nel mese di dicembre il presidente scioglieva il Parlamento e dichiarava lo stato di emergenza nel paese, procedendo alla formazione di un nuovo governo di suoi fedelissimi.
bibliografia
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G.N. Anderson, Sudan in crisis: the failure of democracy, Gainesville (Fla.) 1999.
D. Petterson, Inside Sudan: political Islam, conflict and catastrophe, Boulder (Colo.) 1999.