suffissi
I suffissi sono ➔ affissi (tecnicamente, morfi legati), cioè elementi non liberi con funzione flessiva oppure derivazionale che nel formare una parola si aggiungono alla parte finale di una radice o di un lessema (➔ formazione delle parole; ➔ morfologia).
I suffissi sono il tipo di affisso più usato nelle lingue. La lingua italiana utilizza i suffissi sia per formare parole nuove (suffissi derivazionali) sia per distinguere le forme flesse di una stessa parola (suffissi flessivi). La suffissazione derivazionale prevale nettamente sulla prefissazione sia per numero di parole, in uso, sia per la percentuale di ➔ neologismi, sia nella formazione di alterati (diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi e peggiorativi; ➔ alterazione; cfr. Iacobini & Thornton 1992; Peša Matracki 2006, per considerazioni quantitative sulla formazione delle parole dell’italiano nel corso del XX secolo; De Mauro 2005: 146-156, per dati sul lessico italiano contemporaneo, riguardanti anche l’impiego di ciascun suffisso derivazionale).
L’inventario dei suffissi è numericamente superiore a quello dei prefissi: i prefissi dell’italiano sono circa ottanta (cfr. Iacobini 2004), i suffissi derivazionali (compresi gli alterativi) sono più del doppio (cfr. Grossmann & Rainer 2004: 189-491, per una descrizione dei suffissi derivazionali). La stessa asimmetria si può riscontrare anche nelle altre lingue romanze.
La grandissima maggioranza delle parole dell’italiano comprende un suffisso flessivo. L’appartenenza dell’italiano al tipo morfologico fusivo o flessivo (➔ morfologia; ➔ lingue romanze e italiano) fa sì che uno stesso suffisso flessivo possa avere più di una funzione, veicolando più significati: c’è quindi una forte tendenza a che l’informazione flessiva si concentri su di un unico suffisso in ciascuna parola.
Ciò vale sempre per i nomi e per gli aggettivi: per es., negli aggettivi un suffisso esprime sia ➔ genere sia ➔ numero (buon-o masch. sing., buon-a femm. sing., buon-i masch. plur., buon-e femm. plur.). Nei verbi (➔ coniugazione verbale), la prima persona singolare del presente indicativo si esprime tramite l’aggiunta di un solo suffisso monovocalico identico per le diverse coniugazioni (am-o, tem-o, prend-o, sent-o); solo nelle forme dell’imperfetto indicativo si può individuare una sequenza di tre suffissi flessivi con funzioni chiaramente distinte (am-a-v-o, tem-e-v-o, prend-e-v-o, sent-i-v-o) (➔ coniugazione verbale). Molte parole dell’italiano sono costruite con un suffisso derivazionale. Sono derivate con suffissi circa il 30% delle circa settemila parole del vocabolario di base (De Mauro 199111). La percentuale di parole suffissate si espande notevolmente se si prende in considerazione una porzione più ampia del lessico: per es., circa il 50% delle parole formate nel corso del XX secolo riportate nei dizionari dell’uso sono derivate con suffissi. Anche nel caso della ➔ derivazione, la maggior parte delle parole ha un solo suffisso (fiduci-oso, segn-ale, fior-aio). Sono però abbastanza numerose e frequenti anche le parole con due suffissi (fals-ifica-bile, modern-izza-zione), mentre le parole con tre suffissi derivazionali sono poche e di norma limitate ai registri più tecnici e formali, e sono dunque di bassa frequenza (per es., man-eggia-bil-ità, loc-al-izza-zione); le parole con quattro suffissi derivazionali sono rare e sono usate quasi esclusivamente nello scritto (per es., costitu-zion-al-izza-bile, istitu-zion-al-izza-zione). Nella struttura della parola i suffissi derivazionali occupano una posizione più vicina alla radice, mentre i suffissi flessivi occupano la posizione finale (per es., part-igian-o).
La grande maggioranza dei suffissi derivazionali italiani proviene dal latino, sia per tradizione diretta (per es., -aio < lat. -ariu(m): libraio; -evole < lat. -ibile(m): pieghevole; -mento < lat. -mentu(m): cambiamento) sia per tradizione dotta (per es., -ario < lat. -ariu(m): librario; -bile < lat. -bile(m): piegabile; -iano < lat. -ianu(m): kantiano).
Alcuni suffissi di origine latina risalgono a loro volta al greco (per es., -ico < lat. -icum < gr. -ikós: storico; -ismo < lat. -ismu(m) < gr. -ismós: marxismo; -ista < lat. -ista(m) < gr. -istḗs: pianista; -izzare < lat. tardo -izare < gr. -ízō: socializzare).
I suffissi di formazione italiana sono in maggioranza originati da materiali di origine latina (per es., -ata, panciata; -ato, fortunato); è di formazione italiana un certo numero di suffissi alterativi (per es., -occio, figlioccio, -accione, spendaccione). Fra i suffissi di formazione italiana ce ne sono anche alcuni di origine non toscana (per es., -aro, gruppettaro; -ozzo, predicozzo) o non fiorentina (per es., -arello / a, bustarella, pennarello).
La maggior parte dei suffissi di origine straniera proviene dal francese (per es., -aggio < fr. -age dal lat. -(a)ticu(m): lavaggio; -iere < fr. -ier dal lat. -ariu(m): gondoliere; -eria < fr. -erie, femm. del suffisso -ier: gelateria); sono di origine francese anche alcuni suffissi della terminologia chimica (per es., -ene, etilene; -ide, anidride; -uro, cloruro); vengono dal germanico con la mediazione latina medievale -esco (romanesco) e -ingo (solingo).
I suffissi esprimono significati più astratti e generali rispetto ai significati che possono essere veicolati dai morfemi lessicali. A differenza di questi ultimi, costituiscono una lista tendenzialmente chiusa, che difficilmente si può arricchire di nuovi elementi. È quindi possibile identificare i tipi di significato espressi dai suffissi.
Una delle funzioni principali dei suffissi è quella di modificare la parte del discorso della base: grazie, per es., ai suffissi -zione e -mento si può esprimere tramite un nome l’azione (e spesso il risultato della stessa) lessicalizzata per mezzo di un verbo (per es., coltivare → coltivazione, ingrandire → ingrandimento; ➔ deverbali, nomi; ➔ azione, nomi di). Lo stesso risultato si può ottenere anche con il processo di ➔ conversione. La tab. 1 mostra con l’aiuto di alcuni esempi i cambiamenti della parte del discorso che si possono ottenere in italiano tramite suffissazione.
Si può notare come la suffissazione interessi solo le parti principali del discorso (nomi, aggettivi, verbi e in parte avverbi): da un nome si può formare un aggettivo o un verbo, da un verbo un aggettivo o un nome, da un aggettivo un nome, un verbo o un avverbio. Gli avverbi non si prestano di norma a essere basi di derivazione (ma cfr. sotto).
Per quanto riguarda la suffissazione che non determina un cambiamento nella parte del discorso, solo nei nomi i suffissi possono determinare un importante mutamento semantico, per es., modificando il tratto di animatezza in un verso (arte → artista) o nell’altro (cane → canile). Nel caso degli aggettivi e dei verbi la suffissazione che non determina cambiamento di parte del discorso si limita all’alterazione (per es., cattivo → cattivello, piccolo → piccoletto, cantare → canticchiare, parlare → parlottare). Tale procedimento è possibile anche per i nomi, che sono anzi la categoria lessicale in cui l’alterazione è più comune e conta un maggior numero di suffissi diversi (per es., verme → vermino / vermetto / vermicello / vermaccio / vermone / vermiciattolo / vermastro / vermiciattolino / vermuccio / vermettone, ecc.); anche gli avverbi sono marginalmente interessati alla suffissazione alterativa (per es., bene → benino / benone, male → malino / malaccio).
I principali significati espressi dai suffissi dell’italiano sono riportati nella tab. 2, in cui sono indicate anche le categorie lessicali delle basi più usate, i suffissi più frequentemente impiegati per l’espressione di ciascun significato e alcuni esempi di parole derivate.
De Mauro, Tullio (199111), Guida all’uso delle parole, Roma, Editori Riuniti (1a ed. 1980).
De Mauro, Tullio (2005), La fabbrica delle parole. Il lessico e problemi di lessicologia, Torino, UTET.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Iacobini, Claudio (2004), Prefissazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 97-163.
Iacobini, Claudio & Thornton, Anna M. (1992), Tendenze nella formazione delle parole nell’italiano del ventesimo secolo, in Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo. Atti del XXV congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991), a cura di B. Moretti, D. Petrini & S. Bianconi, Roma, Bulzoni, pp. 25-55.
Peša Matracki, Ivica (2006), Linee di tendenza nella formazione delle parole nell’italiano contemporaneo, «Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia» 51, pp. 103-146.