suffragio
Manifestazione della propria volontà in un’assemblea, in consultazioni elettorali ecc., mediante un voto soprattutto in quanto partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica, con la libera espressione del loro voto per le elezioni dei rappresentanti del popolo negli organi legislativi e amministrativi (Parlamento, consigli regionali, provinciali e comunali), o per un referendum. Nell’antica Roma, il diritto di s. (ius suffragii) era il diritto di votare nei comizi. Esso spettava in primo luogo al cittadino optimo iure (la plebe fu ammessa a partecipare ai comizi attraverso la creazione dei comizi centuriati e dei comizi tributi, ma solo se il votante era proprietario di immobili; con l’equiparazione dei plebisciti alle leggi comiziali si venne al pareggiamento dei due ordini anche in questo campo). I latini presenti a Roma il giorno della votazione erano ammessi a votare in una tribù estratta a sorte. Lo ius suffragii fu esteso agli italici dopo la concessione della cittadinanza, subordinandolo alla loro presenza a Roma il giorno della votazione. Decaduto l’uso del termine s. col significato di «voto» con la fine delle istituzioni romane, esso è ricomparso in Età moderna con l’affermarsi dei regimi rappresentativi. Il s. può essere diretto o indiretto, a seconda che l’espressione del voto dia luogo all’elezione di un determinato organo oppure di un più ristretto numero di elettori che procederanno poi alla designazione definitiva dei membri dell’organo. Può essere a base territoriale, quando si fa valere il principio di «un uomo, un voto», e l’unica distinzione per la rappresentanza degli interessi è quella dei collegi territoriali, ovvero a base funzionale o corporativa, quando si introducono criteri di rappresentanza che attengono allo status socio-professionale dell’elettorato attivo e passivo. Il s. è ristretto quando il diritto di voto è attribuito solo a limitate categorie di cittadini, determinate con criteri vari, quali il censo, il possesso di un certo grado di istruzione ecc. Si ha invece s. universale quando il diritto di voto è attribuito a tutti i cittadini che abbiano raggiunto una determinata età (di solito la maggiore età), senza essere subordinato ad altre condizioni di carattere economico o culturale. Tuttavia, anche il s. universale prevede casi di esclusione dal voto, determinati, se non altro, da ipotesi di incapacità legale o indegnità morale. Il s. universale è stato considerato già nel 19° sec. come fondamento essenziale dei sistemi democratico-rappresentativi, nei quali viene a identificarsi con i diritti di cittadinanza politica. Il progressivo allargamento del s. è quindi strettamente correlato con il processo di democratizzazione degli Stati moderni e con l’espansione della sfera di cittadinanza politica a segmenti sempre più numerosi del corpo elettorale. Le tappe fondamentali di questo processo seguono il passaggio dal s. censitario a quello capacitario, che presuppone il possesso di alcuni requisiti minimi di capacità intellettuali (per es. l’alfabetizzazione), piuttosto che il possesso di beni economici – caso tipico è quello del Reform act inglese del 1832 – e via via verso forme sempre più ampie di s. universale. Fu la Francia, nel 1848, il primo Paese a concedere il s. universale a tutti i cittadini di sesso maschile: e questo divenne l’obiettivo del movimento radicale e operaio nel 19° sec., cui si aggiunse successivamente la richiesta del voto femminile. Con le Costituzioni degli Stati contemporanei, fra il primo e il secondo dopoguerra, questo obiettivo è stato raggiunto nella maggior parte dei sistemi politici nel mondo (compresi i sistemi non competitivi): negli USA nel 1920, in Gran Bretagna nel 1928, in Germania nel 1945, in Francia nel 1946. In Italia il s. universale è stato adottato progressivamente, in primo luogo con la riforma elettorale Giolitti del 1912, che concedeva il voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 30 anni e a coloro che, avendo compiuto i 21 anni, fossero in possesso di particolari requisiti. Nel dic. 1918 il diritto di voto fu concesso indistintamente a tutti i cittadini maschi maggiorenni. Una prima parziale estensione ai cittadini di sesso femminile fu operata nel 1925, limitatamente alle elezioni amministrative, ma la soppressione del carattere elettivo dei consigli comunali e provinciali impedì l’effettiva applicazione della riforma. Soltanto nel 1945 fu accordato alle donne il diritto di voto, esercitato per la prima volta in occasione delle elezioni della primavera del 1946. Un ulteriore allargamento del s. può essere considerato l’abbassamento nel 1975 della soglia di maggiore età dai 21 ai 18 anni e la conseguente inclusione nelle liste elettorali per la Camera dei deputati dei giovani appartenenti a questa fascia di età.