suggetto (subietto; agg.)
Come aggettivo, qualifica l'individuo il quale ontologicamente ‛ non può non ' agire se non rispettando la legge naturale insita in sé o nelle cose (v. SUGGETTO); qualifica anche l'individuo che si trovi nella ‛ disposizione ' di subiezione, o subordinazione, cioè di dipendenza, sul piano dell'operazione, da un altro diverso da sé al quale la sua azione è ordinata e dal quale perciò esso mutua la norma dell'agire. Si trova sempre costruito nel sintagma ‛ essere s. ' e occorre solo nel Convivio.
Nella prima accezione il termine occorre in I I 1 tutti naturalmente al suo [della scienza] desiderio semo subietti; ciascun uomo infatti tende naturalmente alla propria perfezione (e di conseguenza alla felicità) che consiste nel conseguimento della scienza.
Nell'accezione più comune il termine si trova in quei contesti nei quali si precisa il rapporto che deve avere il commento rispetto alle canzoni da commentare, o il rapporto che bisogna tenere nei riguardi dell'imperatore; in quest'ultimo caso si precisano gli ambiti entro i quali si è s. all'autorità di lui mediante il confronto con quanto avviene nel dominio dell'arte e con i limiti della ‛ subiezione ' propri del discepolo nei riguardi del principe e maestro dell'arte stessa.
Ma prima ancora, in I V 5, si precisa il senso dell'‛ esser s. ' per rapporto al servire: colui che è ordinato a l'altrui servigio dee avere quelle disposizioni che sono a quello fine ordinate, sì come subiezione, conoscenza e obedienza, sanza le quali è ciascuno disordinato a ben servire; perché, s'elli non è subietto in ciascuna condizione, sempre con fatica e con gravezza procede nel suo servigio e rade volte quello continua. ‛ Subiezione ', distinto da, e correlato con, ‛ conoscenza ' e ‛ obedienza ', viene a precisarsi come il momento più propriamente ontologico del servigio. Al § 6 conviene questo comento ... essere subietto a quelle [le canzoni] in ciascuna sua [condi]zione, ed essere conoscente del bisogno del suo signore e a lui obediente, si sostiene che il commento dev'essere in volgare; se fosse in latino, non sarebbe stato subietto a le canzoni, ma sovrano (§ 15; cfr. VI 1). Al fine di mostrare che, nel caso della definizione della nobiltà, non è debitamente a la imperiale maiestà subietto (IV VIII 16), D. si propone di precisare i limiti dell'autorità imperiale, mediante il confronto con il mondo dell'arte. In IV IX 10 si afferma che solo nell'ambito di ciascuna arte e di ciascuno mestiere li artefici e li discenti sono, ed esser deono, subietti al prencipe e al maestro di quelle; al di fuori di essi non è ‛ dovuta ' più alcuna subiezione (cfr. § 21); nelle cose in cui è instrumento de la natura, l'arte è meno autenticamrnte arte, e perciò in esse sono meno subietti li artefici a loro prencipe (§ 12; cfr. § 13), perché devono ‛ subiezione ' in primo luogo alla natura piuttosto che all'arte. Nello stesso modo, si è s. all'imperatore solo nell'ambito in cui si esercita senza limiti l'efficacia della legge positiva che da lui promana (IX 9 e 14), mentre in altri ambiti si è solo parzialmente s., come in quello in cui operano leggi che siano quasi seguitatrici di natura (§ 15), o non si è affatto s., come appunto nel caso della definizione della nobiltà (§ 16, due volte); v. PRIVAZIONE. In Pd VIII 74 occorre la locuzione popoli suggetti, feriti da mala segnoria.