suicidio
Epidemiologia e prevenzione del suicidio
Ogni anno nel mondo circa un milione di individui perde la vita a causa del suicidio, mentre un numero di individui 10÷20 volte più grande tenta il suicidio: in media una morte per suicidio ogni 40 secondi e un tentativo di suicidio ogni 3 secondi. Questo ci porta a concludere che muoiono ogni anno più persone a causa del suicidio che per i conflitti armati, gli attentati e le catastrofi naturali. Stando ai dati e all’analisi dei tassi di morte per suicidio nel mondo, nel 2020 le vittime potrebbero salire a un milione e mezzo. In tutte le nazioni, il suicidio è attualmente tra le prime tre cause di morte nella fascia di età 15÷34 anni; nel passato il fenomeno predominava tra gli anziani, ma oggi è più allarmante tra i giovani, in un terzo delle nazioni.
I tassi di suicidio sono andati aumentando negli ultimi decenni. I governi di tutto il mondo sono impegnati nella lotta contro il suicidio promuovendo la consapevolezza e migliorando gli interventi e le tecniche preventive. L’OMS ha evidenziato un’evoluzione dei tassi mondiali di suicidio nel periodo 1950-1995, causata principalmente dall’aumento dei tassi mondiali nella popolazione maschile. Vi sono differenze nei tassi di suicidio dei vari continenti e delle varie nazioni. Nel recente passato i maggiori tassi di suicidio erano riconoscibili in Ungheria e nei Paesi scandinavi; mentre attualmente (2009) sono i Paesi dell’ex Unione Sovietica a presentare tassi più elevati. Anche in Asia è presente un elevato tasso di suicidio. L’America settentrionale presenta tassi di rilievo, anche se meno allarmanti dell’Asia, mentre in America meridionale sono meno elevati. Stando ai dati forniti dall’Istituto superiore di sanità, in Italia su circa 4.000 persone morte per suicidio nel 2002, ben 3.000 erano uomini. Analizzando le tre macroaree del nostro Paese, nord, centro e sud-Isole si evidenzia chiaramente un gradiente nord-sud, tanto per gli uomini quanto per le donne, con livelli di mortalità più alti al nord. Livelli particolarmente elevati di mortalità per suicidio si osservano nelle province del nord-est, e quelle dell’arco alpino. Nel centro Italia le province del Lazio e quella dell’Aquila hanno tassi di suicidio significativamente più bassi della media nazionale. La Sardegna rappresenta una nota dissonante nel contesto dell’area sud-insulare, e in particolare i suicidi fra gli uomini sono fra i più alti in Italia, superando anche le province del nord-est e raggiungendo oltre il 75% in più della media nazionale.
Ogni individuo può fare qualcosa per ridurre il numero di persone che considerano il suicidio come soluzione del loro dolore mentale. La prevenzione nasce infatti a opera di volontari come nel caso della Salvation Army e dei Samaritans a Londra oppure come risultato di un servizio di assistenza nelle ventiquattro ore come nel caso del Los Angeles Suicide Prevention Center, primo vero centro al mondo per la prevenzione del suicidio. Le campagne di prevenzione si distinguono in: universali, ossia strategie o iniziative rivolte a tutta la popolazione per aumentare la consapevolezza del fenomeno e fornire indicazioni sulle modalità di aiuto; selettive, ossia strategie preventive dirette ai gruppi a rischio; indicate, dirette a individui con segni precoci di alto rischio suicidario. La prevenzione del suicidio dovrebbe ispirarsi alle campagne fatte negli ultimi decenni per ridurre la mortalità per patologie cardiovascolari. I messaggi reiterati nel tempo e con campagne ad hoc hanno portato la popolazione a prendere coscienza di comportamenti poco salutari e quindi a cercare rimedi. Il fenomeno dei comportamenti suicidari è sottostimato e misconosciuto. Sono molto più comuni miti e false credenze che fatti sostenuti da una base scientifica. La misura preventiva principale è fare domande direttamente sul suicidio, cosa che incute terrore e reticenza. Vi è la naturale paura di dare al paziente idee di suicidio, ma non esiste alcuna prova che sostenga tale timore. Il suicidio è un atto serio e cosciente che necessita molto di più di un singolo colloquio per essere agito. Parlarne con onestà e franchezza, senza timori, aiuta notevolmente coloro che lo hanno meditato. Particolarmente importanti sono i segnali d’allarme del suicidio, come affermare che la vita non ha più senso, parlare della morte, disfarsi di cose care, mostrare un improvviso miglioramento frutto dell’aver preso la decisione finale di morire, oppure i cambiamenti delle abitudini del sonno, dell’appetito o della cura della persona. Non si dovrebbe mai sottovalutare la comunicazione circa l’intenzione suicida; molti infatti comunicano il loro intento prima dell’atto. Ascoltare senza giudicare il soggetto in crisi è fondamentale per un aiuto efficace. Si dovrebbe indagare l’intenzione del gesto, quando il soggetto ha deciso di farlo e con cosa. Il restringimento dei metodi letali è un rimedio di primo ordine per la prevenzione. Attualmente due soli farmaci, il litio e la clozapina, hanno mostrato effetti certi sulla riduzione del rischio di suicidio, rispettivamente nei disturbi dell’umore e nella schizofrenia. I farmaci antidepressivi, oggetto di numerose analisi, sembrano non condurre a prove univoche sulla loro azione antisuicidaria anche se ci sono prove sull’azione contro il rischio di suicidio. Tra i numerosi approcci psicoterapeutici, gli unici che annoverano prove sulla riduzione del rischio di suicidio sono quelli cognitivo-comportamentali. In partic., la terapia dialettico-comportamentale possiede efficacia certa per la riduzione dei gesti suicidari tra i pazienti affetti da disturbo borderline di personalità. Tuttavia, ogni approccio psicoterapeutico, se orientato alla comprensione della sofferenza del soggetto e alle emozioni negative che alimentano il rischio di suicidio, può essere un valido elemento di aiuto.