sulfamidici
I farmaci che bloccano i batteri
I sulfamidici (o solfammidici) sono un gruppo di farmaci attivi nei confronti di microrganismi quali gli stafilococchi, gli streptococchi, gli pneumococchi, e altri. Essi sono in grado di bloccare la riproduzione dei batteri, e pertanto si dice che hanno un’azione batteriostatica
La scoperta dei sulfamidici risale al 1935, quando il medico tedesco Gerhard Domagk individuò capacità antibatteriche nel Prontosil rosso, un colorante utilizzato nell’industria tessile. Domagk, pur avendo inizialmente ottenuto risultati negativi lavorando in vitro – cioè in provetta e non sull’animale vivente – somministrò tale sostanza a topi e a conigli infettati con lo streptococco e vide che dopo alcuni giorni gli animali guarivano dall’infezione.
I suoi studi furono ripresi in altri paesi. Alla fine del 1935 il medico francese Daniel Bovet e i suoi collaboratori dell’Istituto Pasteur di Parigi, Jacques e Thérèse Tréfouël e Federico Nitti, individuarono nella sulfanilamide il componente attivo della sostanza colorante. Scoprirono anche che questo principio attivo incolore – perciò fu chiamato Prontosil bianco – si forma nell’organismo vivente dal Prontosil rosso per effetto del metabolismo. Nel 1936 il Prontosil bianco venne messo sul mercato e ridusse drasticamente la mortalità da infezioni. Nel 1939 la commissione di Stoccolma assegnò il premio Nobel a Gerhard Domagk per la scoperta del primo efficace antibatterico della storia della medicina, ignorando il contributo di Bovet e collaboratori. Per ironia della sorte, il governo nazista impedì a Domagk di andare a Stoccolma a ritirare il premio Nobel e molti medici tedeschi dimostrarono un notevole scetticismo sulla efficacia di questo farmaco.
Il nome sulfamidici fu attribuito alla classe di farmaci derivanti dal capostipite sulfanilamide. I sulfamidici comprendono una famiglia molto ampia di farmaci; oggi si calcola che i prodotti disponibili siano oltre 5.000, anche se poi il numero di quelli realmente impiegati nella pratica clinica è di gran lunga inferiore. La differenza tra un sulfamidico e l’altro deriva da una diversa posizione degli atomi di azoto contenuti nella molecola della sulfanilamide.
I sulfamidici sono stati utilizzati per molti anni, e con successo, per curare infezioni molto gravi quali quelle del sistema nervoso centrale, oltre a quelle dell’apparato urinario e gastroenterico. Tuttavia il loro impiego spesso inopportuno (antibiotici) ha causato lo sviluppo di batteri resistenti a questa classe di farmaci, riducendone di conseguenza l’utilizzo. Oggi, infatti, questi farmaci vengono usati principalmente come terapia di prevenzione piuttosto che per curare una malattia in fase acuta.
L’azione antibatterica dei sulfamidici deriva dalla capacità di bloccare i microrganismi in fase di crescita (azione batteriostatica). I sulfamidici, infatti, bloccano l’azione di un enzima che è importante nella formazione dell’acido folico. Quest’ultimo è un acido fondamentale per l’uomo e per i batteri; con la differenza che l’uomo ricava l’acido folico dagli alimenti, mentre numerosi tipi di batteri non sono capaci di utilizzare l’acido folico dall’esterno e devono sintetizzarlo autonomamente. In assenza di acido folico i microrganismi muoiono.
I sulfamidici si possono assumere per via orale oppure per via parenterale (iniezioni intramuscolo oppure endovena). La loro azione è così rapida che già dopo sei ore dalla somministrazione si trovano distribuiti nel plasma.
I sulfamidici rientrano tra i farmaci che hanno numerosi effetti tossici collaterali che portano ad anemia, ad alterazioni della funzionalità del fegato e del rene, a stati di sonnolenza con difficoltà di concentrazione e così via. Inoltre, numerose sono le reazioni allergiche che si possono verificare in corso di terapia sulfamidica. Queste però sono molto più frequenti in soggetti che hanno una predisposizione genetica e che hanno carenza di alcune sostanze come l’acido folico.