Sulla competenza all’emissione del mandato d’arresto europeo
L’art. 28 della legge sul mandato di arresto europeo, che disciplina l’emissione della richiesta di consegna da parte dell’autorità giudiziaria italiana, ha introdotto un inedito criterio di attribuzione della competenza. La formulazione letterale della previsione, tuttavia, ha determinato l’insorgere di un dissidio interpretativo sull’individuazione del soggetto chiamato a spiccare l’euromandato finalizzato a dare esecuzione a una misura cautelare custodiale. Tale contrasto è stato risolto dall’intervento delle Sezioni Unite, che hanno ricomposto le fratture esegetiche, elaborando un principio che armonizza il sistema dell’euromandato con le regole dettate dal codice in tema di misure cautelari.
La giurisdizionalizzazione delle procedure di consegna delle persone ricercate per l’esecuzione di un provvedimento cautelare o di una sentenza di condanna definitiva, con la parallela compressione del ruolo del potere esecutivo, era uno dei principali obiettivi della decisione quadro 2002/584/GAI, istitutiva del mandato d’arresto europeo1.
Nell’attuare l’indicazione del legislatore europeo, la l. 22.4.2005, n. 69 ha seguito criteri differenti in ragione della posizione assunta dal nostro Stato nella dinamica cooperativa: da un lato, nel disciplinare la procedura passiva di consegna, ha riproposto i rodati meccanismi estradizionali, individuando l’organo competente nella corte d’appello; dall’altro lato, nel disciplinare la procedura attiva, ha introdotto un inedito sistema di competenza “diffusa” e non più concentrata nella figura del procuratore generale.
L’art. 28, infatti, affida la competenza al giudice che ha applicato la misura custodiale, nel caso di euromandato “processuale”, e al p.m. presso il giudice dell’esecuzione che ha emesso l’ordine di esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, nel caso di euromandato “esecutivo”.
Particolarmente problematica è stata la declinazione pratica della prima ipotesi, la cui formulazione sembrerebbe lasciare la competenza in capo al giudice che ha emesso la misura custodiale, anche qualora il procedimento a carico del ricercato sia progredito ulteriormente, dipanandosi lungo fasi e gradi successivi.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si era andata attestando su posizioni contrastanti.
Un primo indirizzo, teorizzando un’interpretazione di tipo logico-sistematico, affermava la necessità di coordinare il tenore letterale del dato legislativo con le previsioni codicistiche in tema di misure cautelari, in particolare con gli artt. 279 c.p.p. e 91 disp. att. c.p.p., e riteneva, così, che la competenza all’emissione dell’euromandato seguisse l’evolvere del procedimento e fosse di volta in volta affidata al giudice materialmente detentore del fascicolo2.
Al contrario, altro indirizzo, orientato da criteri esegetici rigorosamente letterali, predicava una competenza “ultrattiva” del giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare sull’assunto che l’emissione di un euromandato è attività di carattere burocratico-amministrativo, che non implica valutazioni particolarmente approfondite3.
A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite4 che, condividendo la prima tesi interpretativa5, hanno affermato che la competenza all’emissione del mandato di arresto europeo spetta al giudice che procede.
Il caposaldo argomentativo della decisione poggia sul rilievo che l’adozione di un euromandato, comportando la proiezione del titolo restrittivo oltre i confini nazionali, costituisce, di fatto, esercizio del potere cautelare, attività che esclude qualsiasi automatismo e richiede, al contrario, un’approfondita conoscenza della vicenda processuale.
A ben vedere, infatti, l’organo chiamato a compilare la richiesta di cooperazione giudiziaria deve avere contezza dell’attualità del titolo restrittivo, dell’evoluzione del procedimento e della presenza del ricercato nel territorio dell’UE o in un determinato Stato membro, così come deve essere in grado di offrire tutte le altre informazioni che devono corredare, sotto il profilo formale, l’euromandato e di valutare l’opportunità di attivare i canali della cooperazione interstatuale nel rispetto dei limiti generali di ragionevolezza e proporzionalità che orientano l’azione comune dell’Unione Europea.
È evidente che simile giudizio può essere svolto efficacemente soltanto qualora si abbia la materiale disponibilità del fascicolo processuale.
In questa prospettiva, nelle ipotesi in cui tra l’emissione della misura cautelare e quella dell’euromandato si verificasse un progresso del procedimento, in forza del quale il giudice “che ha emesso la misura” non corrispondesse a quello “che procede”, il criterio della competenza “ultrattiva” affiderebbe l’adempimento a un soggetto che non disporrebbe più del necessario supporto conoscitivo.
Dunque, l’interpretazione letterale deve cedere il passo a quella di carattere logico-sistematico che risulta essere, peraltro, l’unica idonea a risolvere situazioni, invero peculiari, nelle quali il titolo cautelare originariamente emesso abbia subito in itinere modificazioni.
La decisione delle Sezioni Unite suggerisce due ulteriori direttrici di indagine, relative al ruolo del p.m. nella fase di emissione dell’euromandato processuale e alla natura dell’attività dal giudice.
Quanto al primo aspetto, un intervento della pubblica accusa non è espressamente contemplato dalla l. n. 69/2005. In via interpretativa, tuttavia, si è sostenuto che l’ufficio del pubblico ministero può svolgere un’attività di stimolo nei confronti del giudice procedente, soprattutto nei casi in cui sia necessario comunicargli notizie utili per la decisione6, come, ad esempio, quella circa l’avvenuta localizzazione del ricercato in un determinato Stato membro ovvero sul territorio dell’UE.
Dunque, in questi casi, poiché la ricerca dei soggetti attinti da un provvedimento cautelare è attività svolta dagli organi inquirenti, la pubblica accusa assume un ruolo di raccordo tra gli investigatori e il giudice.
Quanto al secondo aspetto, pur avendo la Corte qualificato l’emissione dell’euromandato come esercizio di fatto del potere cautelare, si deve escludere che possa configurarsi come un’inedita iniziativa ufficiosa giudiziale de libertate.
Il mandato di arresto europeo, infatti, ha natura strumentale rispetto al provvedimento cautelare che veicola oltreconfine, e non costituisce un autonomo titolo coercitivo, come testimonia anche l’art. 31 l. n. 69/2005.
D’altro canto, l’inoltro dell’euromandato non comporta, nello Stato chiamato a prestare la propria cooperazione, l’automatica restrizione del soggetto ricercato.
Alla luce di tali considerazioni, si può affermare che l’emissione di un mandato di arresto europeo, pur essendo legata all’esercizio di un potere cautelare, richiede che un provvedimento de libertate sia già stato adottato secondo il paradigma codicistico e conduce alla conclusione che il giudice, attivando il canale di cooperazione giudiziaria, senza incidere in maniera autonoma sulla libertà personale del ricercato, si limita a dare impulso a un ulteriore segmento della fase esecutiva, dopo che questa si è esplicata senza esito positivo sul piano nazionale.
1 Chelo, A., Il mandato di arresto europeo, Padova, 2010, 31.
2 Cass. pen., 29.4.2008, n. 26635, e, pur con sfumature diverse, Cass. pen., 19.4.2006, n. 16478.
3 Cass. pen., 26.3.2009, n. 15200; Cass. pen., 16.4.2009, n. 18569; Cass. pen., 17.6.2011, n. 2907.
4 Cass. pen., S.U., 28.11.2013, n. 2850.
5 Le SezioniUnite, in precedenza, erano già state investite della questione, che, tuttavia, per ragioni procedurali, non fu esaminata (Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 12321). Sul punto, De Amicis, G., Competenza all’emissione del mandato di arresto europeo, in Libro dell’anno del diritto 2013, 649, e Bene, T.,Mandato d’arresto europeo: le Sezioni unite non decidono, in Dir. pen. e processo, 2012, 1286.
6 Iuzzolino, G., La procedura attiva, in Spangher, G., Trattato di procedura penale, Torino, 2009, 542.