SUONO
. Lo sviluppo storico dell'acustica presenta caratteristiche peculiari tanto dal lato applicativo quanto da quello puramente scientifico. Le applicazioni dell'acustica, appartenendo al campo artistico, portano un'impronta di tradizionalità (provocata forse da necessità pratiche) e sono caratterizzate da una viva resistenza a giovarsi dei risultati scientifici; resistenza che, se recentemente è stata superata nei problemi della trasmissione e della riproduzione dei suoni, è ancora tenace nei problemi della produzione dei suoni stessi. Nell'acustica non è stata quasi mai la teoria a suggerire l'esperienza, ma piuttosto questa a provocare nuovi sviluppi di quella; basta pensare agli studî sulla teoria delle vibrazioni elastiche, sulla propagazione dei moti vibratorî, sulla risonanza e su tante altre questioni che hanno avuto importanza capitale anche in altri campi della fisica. Invece di procedere per scoperte fondamentali di nuovi fatti, si progredì quasi sempre più modestamente precisando e misurando fatti già noti.
Le prime ricerche acustiche sembrano essere state di Pitagora e della sua scuola; difficile è sapere quanto spetti veramente a lui e ai suoi discepoli, e quanto venne loro attribuito di poi. È certo che Pitagora studiò la scala che porta il suo nome, aggiunse alla lira una corda che dava l'ottava del tono più basso, e dimostrò che, per ottenere che un tubo o una corda diano questa ottava, la loro lunghezza deve essere, a parità di altre condizioni, la metà di quella corrispondente al primo tono. Teone e Nicomaco affermano che inoltre i Pitagorici studiarono i suoni emessi da corde di diverse lunghezze e sottoposte a diverse tensioni, nonché quelli emessi da uno stesso bicchiere percosso, contenente successivamente diverse quantità d'acqua, ma non sembra che da queste ricerche siano risultati dati numerici concreti. Si possono, forzando il significato delle frasi, trovare in Aristotele concetti quasi esatti sulla produzione e propagazione del suono; ma sembra più ragionevole ammettere con Bacone che le parole dello Stagirita rappresentino soltanto nozioni vaghe e generalizzazioni superficiali, poiché non si può negare che la conoscenza dello speciale moto dell'aria, attraverso la quale si propaga il suono, era fuori delle possibilità degli antichi filosofi; Aristotele sapeva solo che i corpi sonori sono in moto e ammetteva che il suono si generasse per l'urto tra quelli e l'aria. Questa nozione suggerì a Vitruvio la celebre analogia tra la propagazione del suono e il moto delle onde su una superficie d'acqua (quando vi sia un centro d'urto), che ancora oggi si utilizza a scopo didattico. Sembra doversi a Plinio il Vecchio la prima constatazione che il suono si propaga con velocità molto minore di quella della luce e a Tolomeo il primo tentativo di far dipendere l'altezza del suono emesso da una sorgente dalle proprietà meccaniche di questa. Citeremo ancora: alcune esperienze di Boezio sulle corde e sui tubi d'organo, che però non diedero più di quanto era già noto ai Pitagorici, l'uso introdotto da Guido d'Arezzo del monocordo a cavalletto mobile, limitante la lunghezza della corda, per dare l'intonazione ai cantori e finalmente lo studio di Cecco d'Ascoli in cui si precisa meglio il concetto, già noto ad Aristotele e a Vitruvio, dell'eco considerata come un fenomeno di riflessione. Si ricordi infine come Leonardo abbia indicato con grande precisione le condizioni nelle quali si verifica, nelle campane e nelle corde, il fenomeno della risonanza all'unisono.
Lo studio sperimentale preciso dei fenomeni acustici s'inizia con Galileo. Studiando gl'intervalli di quarta, di quinta e di ottava egli riconosce per primo, seguito da M. Mersenne e da P. Gassendi, che l'altezza di un suono dipende dal numero di vibrazioni che in un dato tempo compie il corpo sonoro, sostituendo così al criterio fisiologico il criterio, fisicamente definito, di frequenza. Galileo accenna alle principali leggi delle corde vibranti, estese poi da N. Aggiunti; trova la risonanza per le corde non solo all'unisono, ma anche all'ottava e alla quinta e inoltre per altri corpi "disposti" ai suoni eccitanti; assimila il fenomeno della risonanza a quello dei pendoli simpatici e ne attribuisce la causa all'azione dell'aria; scopre gli armonici nel suono delle corde, dei quali poi Noble e Pigot confermarono l'esistenza; dà l'idea del metodo diretto per determinare la velocità del suono nell'aria, idea che verrà poi realizzata da M. Mersenne, da G. A. Borelli e V. Viviani, da P. Gassendi e da altri.
Quasi contemporanea all'opera di Galileo è quella di G. Benedetti, che nel 1599 studia lo schiocco della frusta tentandone una spiegazione molto vicina al vero, del Sagredo che nel 1615 dimostra che l'aria è il mezzo trasmettente il suono all'orecchio, di M. Mersenne e P. Gassendi; il Mersenne fissa sperimentalmente le leggi complete delle corde vibranti, di cui enumera i primi armonici (di questi darà la teoria D. Bernoulli un secolo dopo) e realizza per primo l'idea di Galileo per la misura della velocità del suono nell'aria (trovando però un valore troppo alto); il Gassendi svolge idee abbastanza esatte sulla propagazione del suono e dimostra che la velocità di questo nell'aria non dipende dall'altezza. Intanto O. di Guericke (1663) dimostra direttamente che il suono si propaga non solo nell'aria, ma anche nei solidi e nei liquidi e che l'aria stessa è necessaria alla trasmissione dei suoni all'orecchio; le misure della velocità c del suono nell'aria si moltiplicano: Borelli e Viviani (1656) dimostrano che c è costante e ne trovano un valore quasi esatto; G. Derham (1705) scopre l'influenza del vento su c e l'indipendenza di questa dalla direzione di propagazione, sia questa orizzontale che verticale; C. F. Cassini, Maraldi e Lacaille (1738) fanno le famose esperienze per incarico dell'Accademia delle scienze di Patigi; il Bianconi (1740) scopre infine l'aumento di c al crescere della temperatura, confermato poi da La Condamine (1744). Dopo le misure di Borelli e Viviani, Newton (1687) riusciva a dare una formula teorica per il calcolo di c, deducendo il modulo di comprimibilità dell'aria dalla legge di Boyle; ma il valore di c così calcolato riusciva troppo basso di fronte ai valori ottenuti sperimentalmente. Ne nacque una serie di lavori contraddittorî intesi a dare una spiegazione di questa discrepanza, finché Lagrange (1759) riusciva a dare una dimostrazione rigorosa della formula di Newton indicando come causa di quella discrepanza la non applicabilità, in questo caso, della legge di Boyle, e Laplace (1816) dava la formula esatta.
Continuavano intanto gli studî sulle corde: J. Sauveur (1710) mette in evidenza i nodi e i ventri di una corda vibrante, già intravvisti da J. Wallis (1674); B. Taylor (1713) dà le formule complete e cerca di rappresentare la forma di una corda mentre vibra; a esso seguono, nel campo teorico, J. Bernoulli, Eulero, D'Alembert e D. Bernoulli. Le ricerche sperimentali e teoriche si moltiplicano anche in altri campi: Stancari (1706), realizzando un'idea di Hooke (1681), usa una ruota dentata per determinare l'altezza di un suono; Sauveur (1710) scopre i battimenti e li utilizza per le misure di frequenza; Tartini (1714) scopre i suoni di differenza dei quali Lagrange (1759) dà una parziale spiegazione; lo stesso Lagrange (1762) dà, quasi contemporaneamente a D. Bernoulli, la teoria dei tubi sonori; G. Riccati (1786) enuncia le leggi di vibrazione delle membrane tese e delle verghe a estremità libere.
Finalmente, nel sec. XIX, l'introduzione, per lo studio delle vibrazioni, del metodo stroboscopico da parte di Lissajous (1855) e del metodo grafico dovuto a E. L. Scott (1870), i lavori sperimentali dello Chladni e del Savart, le ricerche teorico-sperimentali di Helmholtz e di Rayleigh, l'invenzione del fonografo ad opera di Edison e del microfono ad opera di D. E. Hughes, contribuiscono a dare all'acustica uno sviluppo notevole, al quale ha recentemente dato nuovo possente impulso lo sfruttamento, proposto e iniziato da A. G. Webster, delle cosiddette analogie elettroacustiche.
1. Introduzione. - Diciamo sonori tutti i fenomeni fisici percepibili con l'orecchio; questo fino a non molto tempo fa era l'unico mezzo d'indagine, specialmente per i suoni di debole intensità. Oggi, come vedremo, si possono studiare le questioni relative al suono con strumenti di misura completamente oggettivi, indipendenti cioè dal fattore fisiologico, con il vantaggio di una maggiore precisione nei concetti e nei risultati, e di un'estensione delle possibilità di misure ad uno spettro acustico esteso dagli infrasuoni, frequenze non ancora percettibili dall'orecchio (minori di 16 Hertz ossia di 16 vibrazioni al secondo), agli ultrasuoni a frequenze non più udibili (maggiori di 20.000 Hertz). La percezione di un suono ci indica l'esistenza di un corpo (corpo sonoro) il quale compie rapidi moti periodici e la sensazione sonora viene eccitata dalle onde aeree longitudinali che colpiscono l'orecchio e derivano direttamente o indirettamente dal corpo sonoro.
Un moto periodico semplice sinusoidale dà un suono puro (un diapason, non fortemente eccitato, dà in generale un suono puro), ma di solito i suoni emessi dalle comuni sorgenti sonore corrispondono a moti periodici molto più complessi. Infatti, anche se consideriamo un corpo sonoro unico, una corda, per es., noi vedremo che in generale i moti dei suoi singoli punti non sono sinusoidali semplici, ma molto complicati, e si possono considerare come risultanti dalla sovrapposizione di tutte le oscillazioni semplici compatibili con la struttura del corpo sonoro e con le condizioni nelle quali esso è costretto a vibrare. Fra queste vibrazioni ve ne è una (fondamentale), che con la sua frequenza caratterizza l'altezza che l'orecchio attribuisce al suono emesso, mentre le altre (parziali) servono, come vedremo, a fissarne quello che si dice il timbro. I suoni che in musica vengono considerati "belli", risultano in generale da moti molto complessi e i corpi musicalmente sonori vengono, sempre che sia possibile, scelti in modo che nel suono emesso i parziali siano armonici con il fondamentale.
Si parla di suono quando la sensazione, e quindi il processo che la genera, si svolge sotto ogni riguardo senza variazioni rapide né di frequenza, né d'intensità. C'è però tutta un'altra serie di sensazioni uditive me noi chiamiamo rumori: il rimbombo del tuono, il sibilo del vento, il mormorio dell'acqua scorrente, ecc. Fra suono e rumore non c'è una distinzione fisicamente precisa; in ogni rumore un osservatore abile e attento può distinguere uno o più suoni. Così nell'ululo del vento si può rilevare un suono che varia di altezza in dipendenza dalla velocità del vento stesso; così, facendo cadere varie asticciuole di legno sul suolo si può, nello schiocco dell'urto, distinguere un suono di altezza dipendente dalle loro dimensioni. Possiamo dunque dire che i rumori non sono altro che miscugli di suoni aventi frequenze che non sono in alcun rapporto mutuo definito e per di più variano in modo del tutto irregolare le loro caratteristiche: durata, frequenza, intensità.
2. Velocità del suono nei gas. - La velocità di propagazione di un suono in un gas si può calcolare dalla formula di Laplace:
ove p e ρ sono rispettivamente la pressione e la densita del gas e γ è il rapporto dei suoi calori specifici a pressione costante e a volume costante. Se il gas contiene del vapore acqueo, la velocità del suono è diversa; per es. nell'aria, alla temperatura t, alla pressione p e con un'umidità assoluta s la velocità del suono è data da
ove c0 = velocità del suono nell'aria secca alla pressione p e a 0°. In condizioni medie ordinarie si può anche porre:
oppure, più semplicemente:
Per dare un'idea delle differenze che si hanno usando queste tre formule, diremo che, per aria alla pressione di 76 cm. di Hg, alla temperatura di 15° e con s = 15 mm., si ha con la prima (la più esatta) c = 342,2; con la seconda c = 342,3; e con la terza c = 341,7 m./sec.
La formula
dà per l'argo c = 308, per l'anidride carbonica c = 258 e per l'idrogeno c = 1260 m./sec. in buon accordo con i risultati sperimentali ottenuti nei tubi con il metodo di Kundt (v. sotto).
Si sa che la velocità del suono nell'aria all'aperto si determina sparando da una stazione A un colpo di arma da fuoco e determinando in una stazione B l'intervallo di tempo fra la percezione visiva della vampata del colpo e la percezione uditiva della detonazione; la velocità cercata si ottiene dividendo la distanza fra A e B per questo intervallo di tempo, con che si trascura, come è perfettamente lecito, il tempo impiegato dalla luce a percorrere la distanza AB di fronte al tempo impiegato dal suono nello stesso percorso. Ma in misure di tal genere occorre tener presente l'influenza di due fattori importanti: l'azione eventuale del vento e le variazioni delle condizioni fisiche dell'aria da punto a punto specie a varie altezze; quest'ultimo fattore si fa sentire molto se, per es., A e B sono ad altezze notevolmente diverse.
Se il vento spira proprio secondo la congiungente A e B si ottiene un risultato indipendente da esso, se si lanciano i segnali contemporaneamente dalle due stazioni e si divide la distanza AB per la media dei soliti intervalli di tempo registrati in ciascuna; se il vento soffia obliquamente con un angolo ϕ sulla retta AB, allora, chiamando r la distanza AB e t1, t2 le differenze di tempo fra percezione luminosa e percezione sonora nelle due stazioni, si ha la velocità c in aria quieta con la formula:
Un metodo molto preciso per determinare c nell'aria aperta è quello di Hebb: si dispongono due grandi specchi parabolici S1 e S2 come nella fig. 1; nel fuoco di S1 si ponga una sorgente sonora K capace di dare un sibilo acuto di frequenza costante e nota n e vicinissimo ad essa un microfono M1; nel fuoco di S2 un secondo microfono M2, identico al primo. Il suono di K, giungendo sui due microfoni produce rispettivamente nei loro circuiti C1 e C2 due correnti alternate di frequenza n. Queste due correnti passano nelle due metà identiche P1 e P2 del primario di un trasformatore, il cui secondario S è chiuso su un telefono T. È chiaro che se le due correnti in P1 e in P2 sono in opposizione di fase e le loro intensità sono uguali (il che si potrà sempre ottenere variando opportunamente la resistenza R), nel telefono si avrà silenzio. Supponiamo di aver raggiunta, con una conveniente distanza fra S1 e S2 questa opposizione di fase; allora, allontanando progressivamente S2 da S1 dovremo avere in T delle variazioni periodiche d'intensità e i minimi si ripeteranno ogni qualvolta la distanza S1 S2 varierà di una lunghezza d'onda λ del suono dato da K, di guisa che questa λ potrà essere determinata; allora ricaveremo la velocità c dalla formula: c = nλ.
3. Propagazione del suono nell'aria atmosferica. - La propagazione del suono nell'aria atmosferica, oltre ai fenomeni dipendenti dalla propagazione rettilinea e dalle leggi della riflessione e della rifrazione, presenta un altro fenomeno della massima importanza e precisamente un assorbimento dell'energia sonora; questo assorbimento è da attribuirsi in primo luogo all'attrito interno dell'aria e poi, essendo la propagazione del suono un fenomeno adiabatico, a trasmissione di calore per conduzione e per irraggiamento fra strati alternativamente compressi (e quindi riscaldati) e rarefatti (e quindi raffreddati) dell'aria. Per onde piane l'intensità I decresce con la distanza z dalla sorgente sonora secondo la relazione I = I0 e-αz il coefficiente α è sensibilmente proporzionale al quadrato della frequenza n del suono; per frequenze udibili α è piccolissimo, ma per n = 136.000 Hz l'intensità sonora si riduce a 1/100 del suo valore iniziale dopo uno spazio di soli 37 m., e la stessa riduzione si ha dopo 6 mm. per n = 3.400.000 Hz. Nel CO2 l'assorbimento è molto maggiore che nell'aria atmosferica; a 23° e per n = 100.000 è 4 volte più grande, e per n = 200.000, circa 80 volte.
Ma se consideriamo i suoni di frequenze udibili, la causa più importante dell'indebolimento del suono con la distanza, per onde piane, è l'inomogeneità dell'atmosfera, che può esser dovuta a varie cause. La prima di queste è la presenza nell'aria di fiocchi di neve cadenti, di pioggia, di nebbia che, come provocano una diminuzione nella visibilità, producono anche una diminuzione nell'udibilità del suono emanante da una sorgente, perché creano una vera e propria torbidezza acustica nell'aria. Ma più importante, come causa d'inomogeneità, è la distribuzione irregolare delle proprietà elastiche dell'aria come quella che è spesso provocata dall'irregolare distribuzione della temperatura. Alle superficie di contatto fra masse d'aria a differenti temperature si possono produrre riflessioni e rifrazioni dell'energia sonora che, data la forma sempre irregolare di quelle, sono alla lor volta certamente irregolari e quindi producono una diffusione dell'energia sonora, la quale diffusione ha come effetto un indebolimento dell'energia stessa propagantesi in una determinata direzione e quindi equivale ad un assorbimento. Queste superficie di discontinuità nella temperatura e anche nello stato igrometrico (che, come vedemmo, influenza anch'esso la velocità del suono) sono la causa di riflessioni multiple nello scoppio del fulmine le quali, alla loro volta, dànno origine al rombo prolungato del tuono. Si badi che se talora si osserva, entrando in un banco di nebbia, una migliore trasmissione del suono, ciò è da attribuirsi al fatto che nei banchi di nebbia l'aria è ordinariamente più calma e quindi le superficie di discontinuità sono più rare ed hanno un andamento meno irregolare.
Nell'atmosfera la temperatura diminuisce di regola con l'altezza sul suolo; in alto, dunque, la velocità del suono è minore, e l'aria si comporta come un mezzo avente un indice di rifrazione crescente con l'altezza; ne risulta perciò un incurvamento dei raggi sonori verso gli strati più freddi, cioè, di solito, verso l'alto. È noto però come spesso si verifichino nell'atmosfera delle inversioni del gradiente di temperatura e allora naturalmente il raggio s'incurva verso il basso; si comprende quindi come, in determinate condizioni, si possano verificare fenomeni di miraggio sonoro, analoghi a quelli del miraggio ottico.
Abbiamo visto che il vento esercita un'influenza sulla velocità del suono a seconda della sua intensità e della sua direzione rispetto a quella della propagazione sonora; quindi il vento è anch'esso una causa perturbatrice. Poiché la velocità del vento aumenta con l'altezza sul suolo, il trascinamento dell'onda sonora è più forte in alto che in basso con conseguente deformazione della superficie d'onda per cui i raggi sonori si piegheranno verso terra nei punti sottovento cioè nei punti ove il vento spira dalla sorgente verso l'osservatore e si piegheranno verso l'alto nei punti sopravento ove cioè il vento spira dall'osservatore verso la sorgente; ne segue che sottovento si sente a distanze maggiori che non sopravento.
Con deviazioni dei raggi sonori dalla rettilineità si è cercato di spiegare il fenomeno delle zone di silenzio, cioè il fatto che, a distanze molto grandi dal luogo di un'esplosione, il rumore non si percepisce più, mentre lo si percepisce di nuovo a distanze più grandi nella stessa direzione. Se il rumore si sente di nuovo a una distanza maggiore, bisogna ammettere che dei raggi sonori abbiano seguito un cammino più lungo e convenientemente incurvato. Però non sembra si tratti esclusivamente di una vera e propria riflessione totale a uno strato molto alto; piuttosto è da ritenersi che, a causa di fenomeni occasionali (come correnti ascendenti calde e umide), i raggi sonori possano subire rifrazioni irregolari per cui quelli diretti, per es., verso l'alto vengano deviati verso terra; infatti le zone di silenzio non sono né simmetriche, né fisse rispetto alla sorgente sonora. Forse le due cause accennate possono agire simultaneamente complicando il fenomeno.
L'ordinaria teoria della propagazione del suono nell'aria e la formula di Laplace, che ne deriva, valgono soltanto quando le ampiezze di vibrazione dell'aria (e le corrispondenti variazioni di pressione) sono molto piccole. Quando queste variazioni di pressione sono invece rilevanti, quali si hanno nel caso di rumori molto intensi (per es. detonazioni), una teoria molto complicata, svolta da Riemann, da Earnshaw, da Hugoniot, ecc. mostra che la propagazione diventa anomala in quanto l'onda acustica muta rapidamente di profilo nel procedere, la velocità c′ di propagazione è maggiore di quella normale c, e la differenza c′ − c cresce al crescere della variazione di pressione in modo diverso a seconda dell'altezza. Si comprende che queste anomalie sono sensibili soltanto entro distanze non molto grandi intorno al centro di scuotimento, poiché presto, allontanandoci da questo, le variazioni di pressione diminuiscono fino ad assumere il valore al disotto del quale la trasmissiome diventa normale. Con il brillamento di una mina contenente 1500 kg. di esplosivo, il Wolff ha potuto determinare i seguenti valori di c′ in corrispondenza alle distanze r dalla mina:
Questi valori sono in discreto accordo con la teoria.
Quest'onda di esplosione (detta anche onda di bocca, se si tratta di un pezzo d'artiglieria sparante a salve) è sferica ed è dovuta a due processi distinti: in primo luogo alla produzione brusca di un enorme volume di gas ad elevatissima temperatura, che dà luogo a un'"onda di detonazione" che noi percepiamo per la sensazione di rumore che accompagna sempre l'arrivo all'orecchio di qualsiasi brusca variazione di pressione; in secondo luogo al riflusso dell'aria ambiente nello spazio ove è avvenuta l'esplosione, il che provoca la formazione di onde infrasonore che seguono immediatamente l'onda di detonazione. A queste onde infrasonore, impercettibili all'orecchio, poche di numero, sono dovuti i fenomeni di vibrazione delle porte e delle finestre vicine al luogo dell'esplosione. Anche per le esplosioni nell'acqua, e sempre nelle immediate vicinanze del centro di scuotimento, si è trovato che la velocità di propagazione è più grande dell'ordinaria e di tanto maggiore quanto più grande è l'intensità.
Molto più complicato, e non ancora del tutto chiarito, è il fenomeno acustico che si verifica quando un cannone spara lanciando un proiettile. Allora, oltre al rumore dell'onda di bocca, si ha un colpo secco e lacerante, dovuto all'arrivo all'orecchio della cosiddetta onda balistica, provocata dal moto del proiettile. Questo genera continuamente delle successive onde di compressione (che richiamano alla mente quelle che genera il tagliamare di una nave procedente in acqua tranquilla); l'inviluppo di esse dà quell'onda balistica secca, dirompente. Per renderci ragione del come all'incirca possano andare le cose, consideriamo (figura 2) le posizioni ... P4 P3 P2 P1 assunte dal proiettile in un certo numero di secondi successivi sulla sua traiettoria che supporremo, per semplicità, rettilinea e percorsa con velocità costante v; i cerchi descritti con i centri rispettivamente in P2 P3 P4 ... e con i raggi c, 2 c, 3 c, ... rappresentano le onde che il proiettile provoca nel suo moto nell'aria quali si presentano nell'istante in cui esso è in P1; il loro inviluppo è un cono di semiapertura α = arc sen c/v. In quell'istante in cui il proiettile è in P1, un osservatore in O percepisce l'onda balistica come proveniente da B, punto variabile a seconda del posto ove trovasi l'osservatore lungo la traccia del cono (per es. B′ corrisponderà ad O′; se O si trova fuori del cono, l'osservatore non percepirà l'onda balistica che più tardi e precisamente quando la superficie conica dell'inviluppo lo avrà raggiunto. In realtà le cose sono più complicate, perché la velocità v del proiettile non è costante e la traiettoria non è rettilinea; però si comprende che, in ogni caso, se v 〈 c, in O si udrà prima l'onda di bocca e poi quella balistica; se invece v > c, può darsi che la somma dei tempi impiegati rispettivameme dal proiettile e dal suono, perché si realizzino le condizioni necessarie per l'audizione dell'onda balistica in O, sia minore di quello che impiega il suono per andare direttamente dal pezzo in O e allora qui si percepirà prima l'onda balistica e poi quella di bocca. Con registratori cronografici delle variazioni di pressione le due onde sono ben rilevabili anche perché nell'onda di bocca le variazioni di pressione sono molto più grandi che nell'onda balistica.
4. Velocità del suono nei solidi e nei liquidi. - Se si tratta dei solidi, la teoria dell'elasticità insegna che si deve distinguere il caso in cui il solido è una verga nella quale il suono si propaghi lungo l'asse e le cui dimensioni trasversali siano piccole rispetto alla lunghezza d'onda del suono, e il caso del solido indefinito. Nel primo caso la velocità c del suono è data (per onde longitudinali) dalla relazione c = √−E−/ρ, dove E è il modulo di Young del materiale della verga e ρ è la sua densità. Così, per esempio, per un'asta di nichelio abbiamo:
quindi potremo calcolare:
Come per i gas, anche in questo caso i valori teorici e quelli sperimentali concordano sufficientemente; eccone alcuni: nel sughero, c = 430÷530 a seconda della compattezza; nel piombo, c = 1320; nell'alluminio, c = 5105; nel vetro, c = 5190÷5950 m./sec. a seconda della composizione. Se il solido è indefinito, la formula che dà c è molto più complicata e precisamente:
ove E e ρ hanno il solito significato e σ è il numero di Poisson della sostanza considerata; questo caso presenta un grande interesse per la sismologia, ma scarso per l'acustica ordinaria.
La stessa teoria dell'elasticità assegna per la velocità del suono nei liquidi l'espressione: c = √−1−/−kρ, dove ρ è la densità del liquido e k il suo modulo di compressibilità. Per es., nel benzene, per il quale ρ = 0,89 e k = 85,8 • 10-6 cmc./kg. avremo:
Anche in questo caso i valorì dati dalla teoria concordano sufficientemente con i risultati sperimentali ottenuti con il metodo di Kundt. Ecco alcuni valori: nel petrolio, c = 1326; nel nitrobenzene: c= 1506; nel cloroformio c = 983 m./sec.
5. Campo sonoro. - Si abbia una sorgente sonora in un mezzo qualunque; l'energia di vibrazione emessa da quella si propaga nello spazio circostante (campo sonoro) con la velocità c del suono. Nel mezzo che riempie questo campo sonoro si produrranno delle variazioni di pressione periodiche nello spazio e nel tempo, il cui valore istantaneo in un punto determinato indicheremo con p. Ogni unità di volume del campo sonoro conterrà una certa quantità di energia che potremo chiamare densità δ dell'energia sonora, mentre chiameremo intensità sonora oggettiva J la quantità di energia che incide in un secondo su una superficie unitaria normale alla direzione di propagazione del suono. Per onde progressive piane o quasi piane questa intensità corrisponde alla quantità di energia contenuta in un cilindro di sezione unitaria lungo c, cioè J = δc. Per calcolare δ cerchiamo di valutare l'energia di tutte le particelle vibranti contenute in un elemento di volume Δv del campo così piccolo che, nella direzione di propagazione, abbia dimensioni trascurabili rispetto alla lunghezza d'onda λ del suono che si propaga. Allora potremo ammettere che in questo volume Δv tutte le particelle del mezzo passino contemporaneamente per la loro posizione di equilibrio in cui la loro velocità istantanea u ha il valore massimo u0 e allora l'energia contenuta in Δv, che in questo caso sarà tutta cinetica, vale 1/2 ρu02 Δv, se ρ è la densità del mezzo; quindi avremo δ = 1/2 ρu02. Ma noi possiamo anche ragionare così: in un tale Δv tutte le particelle passeranno contemporaneamente per la posizione in cui u = 0, dove quindi la variazione istantanea di pressione p nel mezzo ha il suo valore massimo p0; allora l'energia è tutta potenziale e avremo: δ = p02/2 ρc2. Poiché d'altronde in un'oscillazione sinusoidale x = x0 sen ωt, fra u0 e l'elongazione massima x0 vale la relazione u0 = ωx0, potremo scrivere anche: δ = 1/2 ρω2 x02. Con che è chiaro che per un suono di altezza nota noi potremo valutare δ e quindi J se sapremo misurare una qualunque delle tre quantità: u0, p0, x0. Dalle espressioni per δ su riportate si ricava subito p0 = u0 • cρ e p0 = x0 • cρω; le quantità cρ e cρω si chiamano rispettivamente: la resistenza acustica (o sonora) e la durezza acustica del mezzo in cui si propaga il suono. Nei mezzi a grande durezza, e quindi a grande resistenza acustica, elongazioni anche piccole provocano forti variazioni di pressione, quindi durezza e resistenza sono quantità molto importanti per la trasmissione dell'energia sonora in un mezzo. Ecco alcuni valori della durezza acustica in unita assolute CGS: aria a 0° e 76 cm., 43; acqua, 146.000; calcestruzzo di cemento, 330.000; vetro comune, 1.350.000; ferro, 3.900.000. Come vedremo appresso, alcuni dispositivi sperimentali anziché fornire i valori massimi u0 e p0 delle quantità u e p ne dànno i valori medî quadratici ū e ä; allora nel caso di onde piane o quasi piane, poiché dalle equazioni: J = δc, δ = 1/2 ρu02, δ = p02/2 ρc2 si ricava: J2 = 1/4 u02 p02, e poiché: ū = u0/√−2 e ä = p0/√−2 avremo: J = äū. Per onde sferiche bisogna tener conto della differenza di fase ϕ fra p ed u, e allora, analogamente a quanto si scrive nella teoria delle correnti elettriche alternate sinusoidali, avremo: J = äū cos ϕ. Siccome, chiamando r la distanza del punto del campo che si considera dal centro della sorgente sonora, si ha tang ϕ = ± λ/4 πr, si vede che alla distanza r = λ è ϕ = 9°3′ e quindi cos ϕ = 0,987. Ne segue che per suoni di frequenze elevate (λ relativamente corte) il fattore cos ϕ può essere, entro la precisione dell'1%, posto uguale all'unità anche per distanze r relativamente piccole, mentre per un suono di 32 Hz ciò non sarà permesso che per r > 10 m. Se misuriamo la ä, allora: J = ä2/cρ indipeńdentemente dalla forma dell'onda. Nel caso di onde stazionarie, la pressione p0 e la velocità massima u0 sono separate spazialmente e spostate una rispetto all'altra di ¼ λ; allora come misura dell'energia si adotta la densità sonora: E = 1/2 ρu02 = 1/2 p02/ρc2.
Se esprimiamo le p in dine/cmq., ossia in barie, le u in cm./sec., la J risulterà in erg/cmq. sec., che potremo anche esprimere in microwatt/cmq. se teniamo presente che 1 μ W = 10 erg/sec. Così per es., se consideriamo un suono propagantesi nell'aria (c = 33.200 cm./sec., ρ = 0,001293) a una ä = 1 dina/cmq. corrisponderà una intensità J = 0,023 = 2,3 • 10-2 erg/cmq. sec. = 2,3 • 10-3 μW/cmq. Per riunire in un quadro completo le relazioni che intercedono fra le quantità p0, u0, x0, y, δ nell'aria per suoni comuni si riporta la tabella in calce (Davis), dove nella metà superiore sono riportate le relazioni suddette e nella metà inferiore i valori numerici minimi, medî e massimi di quelle quantità nell'ordinaria trasmissione sonora.
Ad ulteriore chiarimento riportiamo alcuni valori di J, in unità pratiche, riferentisi a casi comuni: voce umana nel parlare ordinario: J = 7,4 • 10-6 Watt/cmq.; violino nel "fortissimo": J = 10-3 Watt/cmq.; cornetta nel "fortissimo": J = 5 • 10-3 Watt/cmq.; altoparlanti energici fino a 102 Watt/cmq.
6. Corpi vibranti usati in acustica. - I corpi vibranti più comunemente usati per produrre direttamente o indirettamente suoni sono: le corde, corpi filiformi (quindi di diametro molto piccolo rispetto alla lunghezza), flessibili, tesi fra due punti fissi, ed eccitati a vibrare trasversalmente rispetto alla loro lunghezza; le verghe, prismi o cilindri di materiale elastico, eccitati a vibrare trasversalmente o longitudinalmente; le membrane, fogli sottili di materiale flessibile, a contorno di varia forma (per lo più circolare), tesi, fissati ai bordi ed eccitati a vibrare trasversalmente ossia normalmente alla loro superficie; le piastre, lamine di materiale elastico, di spessore e di forma varî, eccitate a vibrare trasversalmente come le membrane.
a) Corde. - Sono i corpi vibranti (insieme con i tubi sonori che studieremo più tardi) di maggiore importanza nella produzione del suono e perciò su di esse ci fermeremo di più che non sulle verghe, le membrane e le piastre, che hanno minore importanza e il cui funzionamento richiede d'altronde uno studio molto lungo e complicato. Consideriamo una corda di densità lineare (massa dell'unità di lunghezza) uniforme m, soggetta a una tensione T e fissata in due punti posti alla distanza l. L'asse delle x sia disposto secondo la posizione d'equilibrio della corda e sia y lo spostamento trasversale di un punto della corda di ascissa x al tempo t. Supponiamo che gli spostamenti y siano così piccoli da poter trascurare le variazioni della tensione T durante le vibrazioni. L'equazione del moto di un elemento dx della corda si può ricavare scrivendo che la forza d'inerzia di dx è eguale alla componente secondo y della differenza delle tensioni agenti agli estremi di dx e cioè:
ove α è l'angolo che la tangente alla corda forma con l'asse x. Data la piccolezza di y e quindi di α, possiamo scrivere:
cosicché l'equazione del moto diventa:
con la condizione che per x = 0 e per x = l deve essere y = 0. Una soluzione normale di questa equazione è la seguente:
ove s è un numero intero qualunque e Cs, εs sono costanti arbitrarie da determinarsi con le eondizioni iniziali, ossia in base alla forma che avrà la corda nell'istante t = 0. I modi normali (parziali) di vibrazione di una corda di lunghezza finita sono dunque infinitamente numerosi e l'importanza di ciascuno di essi dipende dalla costante Cs corrispondente, il cui valore dipende a sua volta, come si è detto, dalle condizioni iniziali e quindi dal modo di eccitazione. Il parziale a frequenza più bassa (fondamentale), che è anche il più importante dal punto di vista acustico, corrisponde a s = 1; e quella frequenza è data da:
Per esempio, una corda che pesi 1,2 grammi per metro lineare, che sia lunga 65 cm. e sia tesa da una forza di 13 kg. vibrerà con una frequenza fondamentale:
I parziali hanno frequenze che sono multiple secondo numeri interi: 1, 2, 3, ... della fondamentale e perciò sono armoniche con essa. Se la lunghezza della corda non è grandissima rispetto al diametro, allora si deve tener conto della sua rigidità, la quale rende il tono fondamentale, e specialmente i parziali superiori, più acuti.
b) Verghe. - Consideriamo il caso più frequente in pratica, e cioè di verghe incastrate a un estremo e libere all'altro. Se la verga ha la sezione circolare, il suono fondamentale ha la frequenza:
ove d è il diametro della sezione, l la lunghezza, E il modulo di Young e ρ la densità del materiale costituente la verga. Se questa è a sezione rettangolare e h è la lunghezza del lato che sta nel senso dello spostamento nella vibrazione (l'altro non ha importanza) allora:
Tanto per le verghe a sezione circolare quanto per quelle a sezione rettangolare le frequenze dei primi tre suoni parziali si hanno sostituendo al numero 1,8751 successivamente i numeri: 4,6941; 7,8548; 10,9955; esse non sono dunque armoniche con la fondamentale.
Per produrre dei suoni quasi puri di determinata frequenza si usano verghe vibranti a sezione rettangolare, piegate ad U e fissate, nel loro punto di mezzo, ad uno stilo, i cosiddetti diapason (fig. 3). Un diapason compie vibrazioni trasversali fra posizioni estreme come sono segnate tratteggiate nella figura; nei punti N1 N2 si formano dei nodi (punti a spostamento trasversale nullo), alle estremità AB dei rebbî e nel punto O di mezzo fra N1 e N2 si formano dei ventri (punti a spostamento trasversale massimo). Lo stilo quindi oscilla come un tutto nel senso della sua lunghezza e trasmette le sue vibrazioni a una parete della sua cosiddetta cassetta di risonanza. I parziali del diapason sono completamente trascurabili di fronte al fondamentale, perciò i diapason sono usati per ottenere suoni puri. Per un diapason d'acciaio avente i rebbî lunghi l mm. e dello spessore (nel senso della vibrazione) di h mm., la frequenza del fondamentale si può avere, con buona approssimazione, dalla formula empirica:
Il diapason, una volta eccitato, emette un suono la cui intensità decresce esponenzialmente con il tempo a causa dello smorzamento che l'ampiezza delle oscillazioni dei rebbî subisce sia per la resistenza al loro movimento offerta dall'aria, di cui una parte è dovuta all'irradiazione sonora, sia per l'attrito interno del materiale costituente il diapason. In parecchi casi occorre invece che il suono emesso conservi costante la sua intensità e allora conviene far uso dei diapason cosiddetti elettromagnetici, nei quali le perdite d'energia del sistema vibrante vengono compensate con un'opportuna somministrazione di energia sotto forma elettromagnetica. La figura 4 mostra un tipo moderno di questi diapason eccitato da un conveniente circuito a valvola termoionica (la parte elettrica del dispositivo è rappresentata in scala più piccola che non il diapason); le estremità dei rebbî si trovano di fronte a due piccoli elettromagneti LL′ inseriti nel circuito griglia-placca di una valvola V a tre elettrodi, i nuclei di LL′ sono polarizzati magneticamente da un magnete permanente M. In tal modo le vibrazioni si eccitano appena chiuso il circuito, senza urti, e si evitano contatti elettrici ai rebbî; con tale dispositivo si possono adoperare anche diapason a frequenza discretamente alta, cosa impossibile con i vecchi diapason elettromagnetici nei quali il circuito veniva chiuso ritmicamente da uno dei rebbî stessi; infatti per diapason ad elevata frequenza la piccolezza degli spostamenti dei rebbî non può più garantire l'interruzione netta e sicura della corrente alimentatrice.
Oltre che trasversalmente, le corde e le verghe possono vibrare anche longitudinalmente, ma, mentre le vibrazioni longitudinali delle corde non hanno alcuna importanza pratica, quelle delle verghe presentano molto interesse specialmente dopo l'introduzione nella pratica radiofonica degli oscillatori e dei ricevitori a quarzo piezoelettrico. Nel caso di una verga di lunghezza l, fissata agli estremi, o nel suo punto di mezzo, le frequenze dei varî modi di vibrazione sono date dalla formula:
ove s è, al solito, un numero intero della serie: 1, 2, 3, ..., ed E e ρ hanno il solito significato; quindi i parziali sono armonici con il fondamentale (s = 1).
c) Membrane circolari fisse all'orlo (come nei timpani). - La frequenza del suono fondamentale è data dalla formula:
ove T è la tensione uniforme, r il raggio, μ la massa per unità di superficie della membrana. Il suono emesso da una membrana è ricchissimo di parziali, d'intensità niente affatto trascurabili, e non tutti armonici. Basti pensare che nelle prime tre ottave sul fondamentale si trovano ben 43 parziali.
d) Piastra circolare fissa all'orlo (come nel telefono). - La frequenza del fondamentale è data dalla formula:
ove E e ρ hanno il solito significato, σ è il numero di Poisson del materiale costituente la piastra, s è lo spessore ed r il raggio della piastra stessa.
Il suono emesso è, anche in questo caso, ricchissimo di parziali non armonici con il fondamentale.
7. Suoni di taglio. - Nei fluidi si possono verificare fenomeni di moto periodici con frequenze acustiche senza l'intervento di sorgenti sonore propriamente dette, cioè di corpi in vibrazione. Ciò può accadere, per esempio, quando correnti gassose di grande velocità rasentino i bordi di un ostacolo, quando un corpo di forma allungata si sposta rapidamente in seno al fluido in cui è immerso, quando un veloce getto di gas esce da una fenditura stretta, oppure finalmente (e questo è il caso più importante, come vedremo, nella acustica pratica) quando un getto di gas uscente, come nel caso precedente, da una fenditura va a battere contro il tagliente, parallelo alla fenditura, di lamine solide foggiate a cuneo più o meno acuto.
Se si sposta un cilindro sottile nell'aria o nell'acqua normalmente alla sua lunghezza con una velocità V sufficientemente grande, si osserva che il fluido, nelle immediate vicinanze del cilindro, viene trascinato nel senso del moto di quello con una velocità v (minore di V), dando luogo così a correnti che, per attrito con il fluido in quiete circostante, provocano la formazione di due serie di vortici laterali, alternati dalle due parti, con gli assi (fig. 5) paralleli all'asse del cilindro in moto, e procedenti nel senso di questo con una velocità u anch'essa minore di V. I vortici di ciascuna parte ruotano tutti nello stesso senso e i loro assi sono equidistanti, come pure è costante la distanza fra gli assi dei vortici delle due serie. Appena l'ultimo vortice formato viene a trovarsi, per essere u minore di V, distanziato dal precedente di un tratto eguale alla semidistanza fra due vortici consecutivi dello stesso lato, se ne forma un altro dal lato opposto; ne nasce così un fenomeno periodico cui si deve far risalire l'origine del suono che si percepisce, la cui frequenza dipende dall'intervallo di tempo fra la comparsa di due vortici di ugual segno dietro l'oggetto in moto ed è quindi proporzionale alla differenza V − u e inversamente proporzionale alla distanza fra gli assi dei vortici. Naturalmente l'associazione fra le due file di vortici (i quali non sono indefiniti, ma aperti agli estremi) non si ha che nel caso in cui l'oggetto in moto sia sottile. Da ragioni di questo genere dipende il fischio dei proiettili, il sibilo di uno scudiscio, il lamento delle raffiche del vento, ecc. Da quanto si è detto si comprende che la frequenza dei suoni di taglio sia tanto maggiore quanto maggiore è la velocità con cui il corpo solido si muove nel fluido, come si può facilmente verificare spostando rapidamente un bastone sottile nell'aria. Così il sibilo del vento che batte contro gli angoli dei muri, che filtra nelle fessure delle finestre, che s'insinua nei camini, che passa fra i rami e fra le foglie degli alberi, è tanto più acuto quanto più veloce è il vento stesso.
Un fenomeno dello stesso tipo si ha se una corrente d'aria investe un filo teso di sufficiente lunghezza.
Nel caso in cui una corrente d'aria, uscente da una fenditura, investe un cuneo sottile con il tagliente parallelo alla fenditura, la corrente, per un moto vorticoso del tipo descritto, compie delle oscillazioni periodiche portandosi ora da una parte ora dall'altra del tagliente, e dando origine così a un suono; la frequenza di questo è tanto più piccola quanto maggiore è la distanza fra la fenditura e il cuneo e quanto minore è la velocità dell'efflusso.
8. Sorgenti sonore e radiatori. - Per renderci conto di alcune caratteristiche importanti delle sorgenti sonore, consideriamo la sorgente teoricamente più semplice: una sfera pulsante radialmente in modo che tutti i punti della sua superficie oscillino con la stessa ampiezza e nella stessa fase (sorgente sonora di ordine zero). Il campo sonoro ha, in questo caso, evidentemente una simmetria sferica e le amplitudini delle variazioni di pressione e delle particelle del mezzo circostante a una distanza grande r dal centro della sfera saranno
ove V0 è l'amplitudine delle variazioni di volume della sfera. Tanto p0 quanto v0 sono dunque inversamente proporzionali ad r e per conseguenza l'intensità sonora oggettiva, per quanto si è detto al n. 5, sarà inversamente proporzionale ad r2. Se indichiamo con dS un elemento di superficie di un'onda e se, come già facemmo al n. 5, indichiamo con
l'intensità sonora oggettiva, la potenza irraggiata dalla sfera sarà:
l'integrale essendo esteso a una sfera concentrica con la sfera pulsante. Effettuando il calcolo si trova che:
se δR è la variazione del raggio della sfera nel vibrare e R il raggio della sfera stessa in quiete. La W può anche essere seritta così:
la quantità
si chiama resistenza d'irraggiamento della sfera ed è una caratteristica importante della sorgente sonora, perché dà la relazione fra la potenza irraggiata e l'amplitudine della velocità dei punti della superficie oscillante.
Non si sono ancora realizzate sorgenti sonore di questo tipo, ma una piastrina circolare che vibri come uno stantuffo in un foro praticato in una parete piana molto estesa (cioè tale che le sue dimensioni siano in ogni direzione sempre maggiori di λ/2 del suono emesso), sempre che questa λ sia molto maggiore del diametro della piastrina, può essere assimilata a una sorgente di ordine zero. Ad una certa distanza, per suoni non molto acuti, il campo ha la simmetria sferica con il centro nel centro della piastrina. Se il foro è chiuso posteriormente da una capsula e se R0 (raggio della piastrina) è molto piccolo rispetto a λ/2 π, la resistenza di irraggiamento di questa sorgente è Rs = ρπR04 ω2/2 π, proporzionale dunque a ω2; se R0 non è molto piccolo rispetto a λ/2 π, allora Rs è rappresentata da una espressione più complicata; non è più proporzionale a ω2 e, al diminuire di λ, tende verso il valore limite: Rs = 4 πcρR2, indipendente quindi da ω.
Per lo studio del comportamento di una sorgente sonora è importante conoscere, oltre ad Rs, la massa della parte del mezzo che vibra insieme con la sorgente sommandosi quindi alla massa vibrante di questa, abbassandone, per conseguenza, la frequenza. Se R0 è molto piccolo rispetto a λ/2 π, la teoria assegna a questa massa convibrante ms, nel caso di una piastrina, il valore ms = 4 πρR03, che nei mezzi a grande densità (p. es., nelle sorgenti sonore subacquee) può avere un valore rilevante. Per suoni acuti si ha:
Se invece di una piastrina si ha una membrana flessibile con gli orli fissi, allora la sua area efficace come sorgente non è più πR02, ma τπR02, dove τ è un fattore che dipende dal tipo di vibrazione che essa compie e nelle formule su esposte converrà sostituire a R0 il valore R0 √−τ; i valori di τ si trovano nei trattati speciali. Nell'acqua, con una piastra di 50 cm. di diametro si possono irraggiare potenze sonore fino a 0,5 kW.; nell'aria si possono realizzare radiatori efficaci con mezzi più modesti. I radiatori a potere irraggiante più piccolo sono le estremità aperte dei comuni tubi sonori, specie se questi sono corti e larghi, e soprattutto le corde; proprio dunque i corpi vibranti più in uso negli strumenti musicali. Per aumentare l'efficienza di un corpo vibrante occorre trasmettere le sue oscillazioni a dei buoni radiatori (casse di risonanza, tavole armoniche, ecc.) mediante connessioni meccaniche opportune (ponticelli, stili, ecc.).
Si distinguono due specie di radiatori: i primarî, i quali emettono direttamente suoni di spettro acustico determinato; così, p. es., ogni strumento musicale emette un suono complesso di composizione caratteristica, cui corrisponde fisiologicamente ciò che noi chiamiamo timbro di quel suono. I secondarî invece devono irraggiare le vibrazioni ad essi trasmesse o meccanicamente (come nel grammofono) o elettricamente (come negli altoparlanti) possibilmente senza alterare i rapporti d'intensità dei singoli componenti, cioè senza distorsione.
Se il campo di un radiatore di ordine zero è sfericamente simmetrico, molto diverso è quello di un radiatore di ordine uno, cioè di una sfera rigida il cui centro oscilli armonicamente lungo una retta intorno a una certa posizione di equilibrio. Si capisce facilmente che nel piano normale alla congiungente le posizioni estreme del centro nel suo punto di mezzo, non ci deve essere radiazione sonora; le due oscillazioni, destate secondo l'asse, si elidono per interferenza in quel piano; viceversa nella direzione dell'asse di oscillazione si ha il massimo irraggiamento. Le cose sono più complicate ancora, ma analoghe, per radiatori di ordine superiore.
Abbiamo visto che per un dischetto oscillante, finché la λ del suono corrispondente è grande rispetto al diametro, e per distanze dal disco di alcune λ, il campo è ancora simmetrico intorno al centro. Per suoni acuti, e quindi per λ corte, il campo d'irraggiamento si restringe intorno alla normale al disco e si hanno fenomeni analoghi a quelli che si osservano nella diffrazione della luce a un foro molto piccolo; le esperienze e la teoria mostrano che il primo minimo, dovuto all'interferenza, si ha quando l'angolo α fra la normale al centro del disco e la direzione da questo al punto che si considera è tale che sen α = o,61 λ/R0. Siccome i massimi laterali sono molto deboli, si può dire che quasi tutta la radiazione sonora è praticamente contenuta in un cono di apertura 2 α. Dalla formula su riferita si deduce che, se si vuole evitare un restringimento eccessivo del cono d'irraggiamento, p. es., di un altoparlante, occorre non aumentare troppo la superficie emittente; viceversa questo aumento è necessario, quando si voglia avere un fascio sonoro bene stretto e definito, come occorre nel caso, che vedremo più tardi, dei sondaggi marini.
Le proprietà direttive degl'imbuti si possono spiegare in modo analogo; nel piano dell'apertura di un imbuto relativamente lungo e di bocca non troppo grande, le onde arrivano dal vertice praticamente in fase; l'aria dunque alla bocca vibra come l'aria adiacente alla piastrina o alla membrana e, di conseguenza, gli effetti d'interferenza nel campo degl'imbuti sono simili a quelli che vedemmo verificarsi nei campi sonori delle piastrine o delle membrane e anzi sono più accentuati (α minore) in quanto il raggio dell'apertura dell'imbuto è sempre maggiore di quello del vero e proprio radiatore al vertice. L'uso dell'imbuto aumenta la resistenza di irraggiamento, e questa può essere ulteriormente aumentata se il diametro del vertice dell'imbuto è minore di quello del radiatore, come nella fig. 6 che rappresenta schematicamente un radiatore sonoro a membrana M, munito di capsula C e d'imbuto I con avanti alla membrana una camera d'aria di volume V; la resistenza d'irraggiamento è data da:
ove S è la sezione iniziale dell'imbuto e F la superficie della membrana. Se, come si cerca di realizzare ordinariamente, (ωV/Sc)2 è una quantità piccola di fronte all'unità, cioè se la camera d'aria è sottile, si può scrivere: Rs = ρc (τF) τF/S. Gl'imbuti servono dunque ad aumentare la Rs di piccole superficie; questa proprietà è sfruttata negli altoparlanti elettromagnetici con piccole membrane. Si noti che è più utile usare imbuti la cui sezione cresca, lungo l'asse, secondo una legge esponenziale perché quelli conici comuni hanno delle risonanze proprie marcate che producono distorsioni nel suono da irraggiare, mentre i cosiddetti imbuti esponenziali (v. fig. 7) ne sono quasi privi. Certamente un'azione direzionale, oltre che con gl'imbuti, si potrebbe conseguire anche con specchi riflettori, ma l'uso di questi non è sempre possibile perché, affinché avvenga una riflessione regolare (e quindi utile), occorre abbiano dimensioni grandi rispetto a λ.
Nell'emissione della voce umana, oltre all'azione direttiva d'imbuto della cavità boccale, si ha l'azione direttiva dovuta all'effetto di schermo acustico prodotto dalla testa; nell'insieme l'azione direttiva, in questo caso, come si comprende da quanto si è detto, è marcata per i suoni contenenti parziali prevalentemente a frequenze elevate (come nel suono della consonante s) ed è minima per i suoni che contengono parziali a frequenze basse (come nel suono della vocale u).
A seconda della forma di energia che si usa per farli funzionare, noi possiamo anche dividere i radiatori sonori in meccanici ed elettrici; al primo gruppo appartengono quasi tutti gli strumenti musicali, alcuni segnalatori acustici (sirene ad aria compressa o a vapore) e l'apparato vocale; al secondo appartengono gli apparecchi per la trasmissione del suono e i dispositivi elettroacustici per segnali in aria e in acqua.
a) Radiatori meccanici. - In alcuni (diapason, tamburi, campane, xilofoni, pianoforti, ecc.), l'eccitazione avviene grazie a un breve urto meccanico per cui il sistema, spostato dalla sua posizione di equilibrio, si mette, dopo l'urto, a vibrare cedendo energia al mezzo ambiente e quindi smorzando più o meno rapidamente il proprio moto oscillatorio. In altri (strumenti ad arco, tubi sonori, ecc.), viene somministrata continuamente energia dall'esterno e la loro vibrazione è quindi persistente.
Importante è lo studio dei mezzi, grazie ai quali il sistema può irraggiare con buona potenza: in una corda tesa, p. es., ogni elemento della quale oscilla come un radiatore di 1° ordine, la potenza irraggiata è addirittura minima, perché l'aumento di pressione provocato nell'aria (dal lato verso cui si muove la corda) da una parte della superficie della corda può, per le piccole dimensioni trasversali di questa, pareggiare la diminuzione di pressione dall'altro lato, in quanto le particelle d'aria possono scorrere lungo la periferia della corda stessa. Se si impedisce questa possibilità facendo, p. es., vibrare la corda in una fenditura stretta praticata in una parete rigida, quella incomincia a irraggiare sensibilmente; l'azione della parete è tanto più grande quanto maggiori, rispetto a λ, sono le dimensioni della parete.
Un'altra possibilità di aumentare l'energia irraggiata da radiatori di scarsa efficienza è quella di accoppiarli a sistemi ad alto potere irraggiante, meglio se si sfruttano gli effetti di risonanza. Così un diapason con lo stilo appoggiato su un tavolo, il quale, grazie alla sua grande superficie, ha una grande Rs, irradia sensibilmente e meglio ancora se lo stilo è appoggiato a una cassetta di risonanza. Nei tubi sonori, la canna funge, come vedremo, da risonatore e la bocca, come venne già detto, da superficie irraggiante.
b) Radiatori elettrici. - Mediante circuiti a valvole termoioniche è facile generare oscillazioni elettriche persistenti di qualsiasi frequenza e d'intensità regolabile a piacere. Specialmente comodi sono i circuiti doppî a battimenti, in cui la frequenza acustica desiderata viene prodotta dai battimenti di due oscillazioni primarie ad alta frequenza; una relativamente piccola variazione di frequenza in una delle due primarie fa cambiare notevolmente quella dei battimenti e quindi del suono che ne deriva. I radiatori elettrici si dividono in: elettromagnetici, elettrodinamici, elettrostatici, piezoelettrici e termofonici.
b1) Elettromagnetici. - Constano essenzialmente di una membrana portante un'ancora di ferro dolce che si trova di fronte ai poli di un magnete permanente portante un avvolgimento; funzionano insomma come i ricevitori telefonici. La membrana deve essere sufficientemente tesa perché l'ancora non possa andare a battere contro il magnete. Nell'avvolgimento si fa passare una corrente elettrica periodica, o generata da circuiti oscillanti del tipo cui si è accennato o proveniente da una trasformazione di un'energia sonora che si voglia irradiare, in energia elettrica. I numerosi parziali superiori proprî della membrana fanno sì che le componenti del suono da trasmettere che sono vicine ai suoni parziali della membrana, vengano amplificati per risonanza e così si ha distorsione. Avanti alla membrana si dispone un imbuto esponenziale con che, come vedemmo, si migliora il rendimento e vengono un po' depresse le risonanze della membrana. Se si vuol trasmettere un suono puro (p. es., in certi segnali), si accorda la membrana su quel suono, variandone la tensione e per di più la si accoppia con un risonatore accordato. Nei radiatori di questo tipo a membrana, non solo è in generale difficile eliminare le risonanze della membrana o spostarle fuori del campo che interessa, ma si hanno ulteriori distorsioni per il fatto che le azioni elettromagnetiche non sono costanti: se in una fase della vibrazione il sistema oscillante si trova più vicino al magnete, la forza è, a parità di altre condizioni, più forte che nella fase opposta e allora nelle oscillazioni forzate della membrana si fanno sentire delle componenti (suoni di somma e di differenza tra i varî parziali del suono impresso) non esistenti nel suono primitivo.
Per valutare numericamente la distorsione si suole calcolare l'espressione
ove p1 è l'ampiezza di vibrazione del suono da trasmettere e p2, p3 ... sono le ampiezze di vibrazione dei suoni parassiti. Se k, fattore dî distorsione, è maggiore di 0,05, si ha già una distorsione sensibile; per un altoparlante elettromagnetico ordinario k varia da 2,8, per una frequenza di 160 Hz, a 0,05, per una frequenza di 1000 Hz.
b2) Elettrodinamici. - Ad una membrana M è attaccato un conduttore C, avvolto a elica cilindrica, immerso in un campo magnetico (fig. 8); nel conduttore si fa passare una corrente corrispondente al suono da irradiare. Se il campo magnetico è uniforme, la forza agente sul conduttore, e quindi sulla membrana, non dipende dalla posizione del conduttore stesso nel campo; quindi, anche per frequenze basse, il fattore di distorsione k è sempre minore di 0,01. Esaminiamo il comportamento di questi radiatori rispetto alle varie frequenze da irradiare. Abbiamo visto che la resistenza di radiazione di una piastrina, e quindi anche di una membrana libera oscillante, finché R è molto piccola rispetto a λ/2 π, cresce proporzionalmente al quadrato della frequenza, quindi la potenza W irradiata è proporzionale a ω2u02 (u0 = amplitudine della velocità della piastrina o membrana); ne segue che W sarà anche proporzionale a ω4x02 (infatti u0 = ωx0, essendo x0 l'amplitudine dello spostamento). Noi potremmo ottenere una irradiazione indipendente dalla frequenza ω, se x0 diminuisse come 1/ω2, perché allora l'aumento della resistenza di radiazione con la frequenza sarebbe compensato dalla diminuzione dell'amplitudine dello spostamento. Per la teoria delle oscillazioni forzate l'ampiezza di queste decresce come 1/ω2, se la frequenza ω0 propria del sistema è molto inferiore a quelle del campo di frequenza da trasmettere. Se dunque si riesce ad accordare il sistema vibrante del radiatore così basso che ω sia molto grande rispetto a ω0, allora, per tutti i suoni per cui R è molto grande rispetto a λ/2 π, si ha una radiazione indipendente dalla frequenza. Se questa cresce (ossia λ diminuisce), la potenza d'irraggiamento diminuisce perché, per λ/2 π molto minore di R, la resistenza non cresce più, ma tende, come vedemmo, a un valore costante. Nella direzione normale al centro della membrana, malgrado la diminuzione della potenza irradiata totale, la trasmissione rimane all'incirca indipendente dalla frequenza, perché, al diminuire di λ, la trasmissione, come vedemmo, si contrae, per così dire, intorno alla direzione di quella normale.
b3) Elettrostatici. - Sono costituiti (fig. 9) da un condensatore piano con un'armatura fissa rigida A e l'altra M flessibile capace di vibrare. Il condensatore è inserito in un circuito come nella figura e cioè alla f. e. m. corrispondente al suono da emettere, per es., e0 sen ωt, si sovrappone una f. e. m. costante E0; allora l'attrazione elettrostatica fra la membrana e l'armatura fissa è proporzionale alla quantità; E02 + 2 E0e0 sen ωt + e02 sen2 ωt. Se e0 è piccolo rispetto a E0, l'ultimo termine è trascurabile e si ha un suono con la frequenza ω; se questa condizione non è verificata, nascono distorsioni. Il rendimento cresce con il crescere di E0; però E0 non può superare un certo valore, dipendente dalla distanza fra le armature, perché altrimenti avviene la scarica fra queste, ed inoltre, per E0 molto grande, si richiede una relativamente forte rigidità della membrana e allora la frequenza propria più bassa di questa cade nel campo acustico da trasmettere. Questo tipo è vantaggioso perché si può fare in modo che la forza sia distribuita su tutta la superficie della membrana diminuendo l'intensità dei parziali superiori.
b4) Piezoelettrici. - Se si taglia da un cristallo piezoelettrico una lamina con uno spigolo a parallelo all'asse ottico, uno b parallelo all'asse elettrico, il terzo c normale ai primi due e si pone la lamina così preparata in un campo elettrico i cui due elettrodi piani siano paralleli al piano bc, compaiono delle forze elastiche che sono o parallele all'asse elettrico (effetto longitudinale) o parallele a c (effetto trasversale). Grazie a queste forze si possono far vibrare elettricamente delle lastre di quarzo accordando la frequenza del campo, alternato in questo caso, con il periodo proprio delle vibrazioni elastiche longitudinali (nel senso dello spessore) della lamina.
La frequenza propria delle lamine solite è molto alta, perché sono ordinariamente sottili; perciò servono specialmente per irradiare ultrasuoni. Servono anche bene per trasmettere nell'acqua; con lamine di 10 × 10 cm. e con una frequenza di 40.000 Hz si può irradiare fino a 1 kW. Non è necessario che le lamine siano di un pezzo solo; possono anche risultare da un musaico di pezzi tutti orientati opportunamente.
b5) Termofonici. - Una corrente elettrica periodica, corrispondente al suono da trasmettere, passando in un filo o in una lamina sottile, vi genera un riscaldamento periodico che provoca variazioni periodiche nella densità dell'aria circostante e quindi un suono di frequenza corrispondente. Hanno scarsissima importanza pratica.
9. Ricevitori acustici. - Il problema che si deve risolvere con i ricevitori è quello di trasformare l'energia sonora in altre forme di energia che ne permettano la trasmissione e lo studio più minuto possibile. Questo problema è, in certo qual modo, reciproco a quello dei radiatori; quindi, come vuole il teorema di reciprocità di Helmholtz, le caratteristiche dei radiatori sono simili a quelle degli stessi apparecchi usati come ricevitori. Il tipo più importante di ricevitore è quello in cui si trasformano le oscillazioni acustiche in elettriche, perché con l'elettricità si possono trasmettere i processi acustici praticamente a una distanza qualunque senza distorsioni sensibili e si possono fare, se occorre, registrazioni sonore di qualità molto migliore che non con i metodi meccanici puri che si usavano una volta.
I ricevitori più usati si possono classificare in ricevitori a pressione e in ricevitori a velocità, a seconda che essi seguono l'uno o l'altro di questi elementi del moto dell'aria trasmettente il suono. I più comuni sono quelli a pressione; anche l'orecchio umano, almeno per i suoni bassi, reagisce alle variazioni di pressione. In quasi tutti i ricevitori usati nella pratica, le vibrazioni acustiche vengono prima trasformate in vibrazioni di sistemi meccanici appropriati che alla loro volta generano forze elettromotrici periodiche. Al solito la questione più importante è la relazione fra i periodi proprî del sistema meccanico, ricevente diretto, e i periodi del suono da ricevere. Schematizziamo il ricevitore meccanico riducendolo a una piastrina di massa M, tenuta da una molla di tensione unitaria D e sia R il coefficiente d'attrito e k0 sen ωt la forza periodica agente sulla piastrina. L'equazione del moto di questa si può scrivere così:
se x è lo spostamento della piastrina dalla sua posizione di equilibrio. La teoria insegna che, se ω è molto minore di ω0, periodo proprio di M, l'ampiezza delle oscillazioni forzate di M è indipendente da ω ed è proporzionale a k0; avvicinandoci alla risonanza, l'ampiezza dell'oscillazione forzata cresce e per ω = ω0 raggiunge un valore
e quindi è tanto più grande quanto è più piccolo R. Se finalmente ω è maggiore di ω0, l'ampiezza diminuisce come 1/ω2. Quindi se un ricevitore deve funzionare in modo indipendente dalla frequenza del suono incidente, bisogna che le sue vibrazioni proprie abbiano una frequenza maggiore di quelle da ricevere, o almeno, se R è sufficientemente grande, che uguagli le più grandi; perciò la parte meccanica di un ricevitore dovrà essere costruita in modo che le sue oscillazioni proprie siano a frequenza elevata e fortemente smorzate. Se poi questa parte meccanica è capace di emettere una vibrazione molto complessa, le cose si complicano maggiormente; così, p. es., se si tratta d'una membrana e questa è costretta a vibrare con una frequenza maggiore di quella corrispondente al suono fondamentale, allora essa vibra suddividendosi in parti che non si muovono più in fase, il che dà luogo a distorsioni. Il funzionamento di un ricevitore oltre a dipendere dalla frequenza dipende dall'ampiezza delle vibrazioni; i sistemi che agiscono asimmetricamente (p. es., quelli in cui la forza direttiva dipende dall'ampiezza) dànno distorsioni gravi. Così accade nei microfoni di vecchio tipo; p. es., in quello a polvere di carbone la membrana preme la polvere solo da un lato e quindi la forza direttiva dipende dall'ampiezza.
Rispetto al loro modo elettrico di funzionare, i ricevitori si possono anche dividere in microfoni ad elongazione e microfoni a velocità, a seconda che la tensione elettrica originata corrisponde all'elongazione istantanea o alla velocità istantanea del sistema. Un rappresentante tipico del primo gruppo è il microfono a condensatore, nel quale la tensione ottenibile all'uscita del circuito (ad alta frequenza) è proporzionale all'elongazione della membrana.
Sono invece del secondo gruppo i microfoni elettromagnetici, in cui la forza elettromotrice agli estremi del conduttore mobile è proporzionale al prodotto dell'intensità del campo magnetico per la velocità istantanea di quello.
Microfoni a condensatore (v. microfono). - Grazie alla possibilità di avere una notevole. forza direttiva e una piccola massa, la frequenza della vibrazione fondamentale è molto alta; in alcuni tipi si arriva fino a 16.000 Hz e quindi al disopra delle frequenze più importanti per l'audizione. Come nei radiatori dello stesso tipo, il condensatore è in serie con un generatore di forza elettromotrice costante, ma è di più in derivazione su una resistenza R; la tensione periodica, che si stabilisce agli estremi di R quando una delle armature del condensatore vibra per effetto delle onde sonore incidenti, viene poi convenientemente amplificata. Affinché l'accoppiamento fra il movimento dell'armatura mobile (di solito una membrana sottilissima in duralluminio) e la forza elettromotrice agli estremi di R sia indipendente dalla frequenza, occorre che R sia molto grande rispetto a 1/ω. Se le variazioni di capacità, prodotte dal moto della membrana, sono piccole di fronte alla capacità stessa, le distorsioni d'ampiezza sono evitate; la cosa è facile ad ottenere anche con grandi intensità. La sensibilità di questi microfoni si aggira fra 0,1 e 30 mV (ai capi di R) per baria e il fattore di distorsione è piccolissimo.
Microfoni a nastro. - Consistono (fig. 10) in un nastro X di duralluminio, dello spessore di 2 μ, immerso nel campo pressoché uniforme fra i poli N, S di un forte magnete; nel moto periodico del nastro sotto l'azione delle onde sonore incidenti, si hanno agli estremi del nastro delle forze elettromotrici che vengono amplificate. La sensibilità di questi apparecchi è dell'ordine di o,3 mV per baria.
Microfoni a carbone. - Le vibrazioni della membrana determinano variazioni di resistenza in contatti a carbone retroposti; queste variazioni di resistenza, se il microfono è in serie con una pila, provocano variazioni di tensione ai morsetti del microfono, che vengono successivamente amplificate. In questi apparecchi il fattore di distorsione può essere molto forte.
10. Registrazione dei suoni. - Sotto il nome di registrazione dei suoni s'intendono in acustica due operazioni diverse e con scopi ben distinti: una mira al fine prettamente scientifico di registrare il suono in modo da permettere l'analisi del processo sonoro in tutte le sue modalità più minute; l'altra cerca di risolvere il problema pratico di registrare un determinato suono sotto una forma che ne permetta la riproduzione quando si voglia.
Cominciamo dal primo tipo di registrazione. In un punto dove arrivano onde sonore, ogni particella d'aria è spostata dalla sua posizione di riposo di un piccolo tratto a, variabile periodicamente col tempo; noi vogliamo tracciare la curva a = a (t), p. es., riportando sulle ascisse i tempi t e sulle ordinate i valori corrispondenti di a in scala conveniente. Le difficoltà della registrazione fedele sono due: in primo luogo le variazioni di a sono estremamente rapide, in quanto nel suono che si studia possono essere contenuti dei parziali fino a frequenze dell'ordine di 20.000 Hz e quindi il dispositivo che si vuole usare deve essere capace di vibrare in tutte le frequenze fino a quella, possibilmente senza manifestare preferenze per l'una o l'altra frequenza; in secondo luogo i valori di a sono in generale piccolissimi (spesso di pochi μ) e quindi la registrazione dovrà verificarsi con una forte amplificazione.
In generale l'organo ricevente è, come abbiamo già detto parlando dei ricevitori, una sottile membrana (20-3 μ di spessore) di mica o di duralluminio, applicata su una capsula a pareti rigide; sulla membrana si fa arrivare l'onda sonora da registrare. Poiché nella registrazione dei suoni, specialmente se deve servire a scopi scientifici, si deve cercare di realizzare con la massima cura le condizioni di esatto funzionamento già più volte ricordate, questa membrana è fortemente tesa (perché la sua frequenza fondamentale sia molto superiore alla frequenza più alta contenuta nel suono da registrare); di più lo smorzamento delle sue vibrazioni proprie deve essere forte, il che si ottiene riducendo a poche diecine di μ lo spessore dell'aria compresa fra la membrana stessa e il fondo della capsula. In tali condizioni la membrana, sotto l'influenza del suono da registrare, compie oscillazioni forzate che corrispondono con sufficiente fedeltà alle vibrazioni incidenti. Così però l'ampiezza degli spostamenti della membrana è dell'ordine di appena qualche μ; grazie all'uso di opportune leve si può trasformare la vibrazione, p. es., del centro della membrana nelle rotazioni oscillanti di un leggiero specchietto: un fascetto sottile di luce proveniente da una sorgente puntiforme e riflesso dallo specchietto formerà un'immagine del punto luminoso su una pellicola fotografica che si muove, con moto uniforme, normalmente all'oscillazione che lo specchio vibrante imprime all'immagine della sorgente. Però anche lo specchio e le leve formano un sistema capace di vibrare e quindi avente una frequenza propria; questa dovrà, al solito, essere molto grande, donde serie difficoltà costruttive. Si preferisce perciò spesso sostituire a questa, che potremo chiamare una registrazione ottica diretta, la registrazione indiretta usando come membrana ricevente quella di un microfono a condensatore o a nastro e trasmettere le correnti che così si ottengono, fortemente amplificate, a un oscillografo a registrazione ottica.
Passiamo ora al secondo tipo di registrazione; per quella meccanica, come viene realizzata nei fonografi e nei grammofoni, v. le voci corrispondenti. Un metodo molto importante di registrazione è quello realizzato da Poulsen con il suo telegrafono. Supponiamo di prendere un filo d'acciaio, per es., di 1 mm. di diametro e di farlo scorrere, con un opportuno sistema di rulli, fra i poli appuntiti di un elettromagnete, posti così vicini tra loro da lasciar appena passare il filo senza toccarlo. Facciamo passare per l'avvolgimento dell'elettromagnete una corrente continua, mentre il filo scorre lentamente fra i poli in modo da rimanere magnetizzato trasversalmente. Dopo questa operazione preliminare inseriamo l'avvolgimento dell'elettromagnete nel circuito di un microfono e, mentre questo viene eccitato con il suono da registrare, facciamo scorrere nuovamente il filo; nelle varie sezioni di questo la magnetizzazione proveniente dalle correnti microfoniche si sovrapporrà alla magnetizzazione precedente in modo che questa verrà qua rinforzata e là indebolita. La magnetizzazione residua risultante sul filo costituisce la registrazione del suono. Se noi ora infatti sostituiamo al circuito microfonico quello di un ricevitore telefonico o di un altoparlante e rifacciamo passare il filo d'acciaio così impressionato fra i poli dell'elettromagnete come prima, le varie sezioni diversamente magnetizzate del filo produrranno nell'avvolgimento dell'elettromagnete delle correnti periodiche del tutto corrispondenti a quelle microfoniche che hanno generato quelle differenti magnetizzazioni nelle varie sezioni del filo, e quindi il telefono riprodurrà il suono ricevuto dal microfono.
Nei film sonori si usano due altri sistemi di registrazione che vengono detti rispettivamente di intensità e di amplitudine. Nel primo, la tensione periodica, data dal microfono ricevente, opportunamente trasformata, agisce sulle armature di una cellula di Kerr, modulando così periodicamente l'intensità di un fascio di luce, proveniente da una fenditura sottile, che l'attraversa e va poi a colpire la pellicola cinematografica proiettando su questa delle strisce luminose di dimensioni costanti, ma d'intensità variabili periodicamente in corrispondenza all'intensità della radiazione sonora incidente sulla membrana del microfono ricevitore. Nel secondo sistema uno schermo opaco, comandato dalla membrana microfonica, limita più o meno la lunghezza di una fenditura luminosa, la cui immagine viene proiettata su la pellicola, a seconda dell'ampiezza degli spostamenti del centro della membrana microfonica e quindi a seconda dell'intensità istantanea del suono da registrare. In ambedue i casi, per la resa, la pellicola viene fatta passare fra una sorgente luminosa estesa e a intensità costante e una cellula fotoelettrica; le correnti ottenute da questa, dopo amplificate, agiscono sull'altoparlante emittente. Nel processo di registrazione del film sonoro, la capacità di funzionamento è limitata verso le frequenze alte, perché la velocità del film è condizionata dall'azione che si fotografa e d'altra parte, per gli effetti di diffrazione, non si può diminuire la larghezza della fenditura al disotto dei 20 μ. In generale non si riesce ad evitare distorsioni abbastanza sensibili.
Da quanto si è detto fin qui risulta che, strettamente legato al problema dei registratori sonori, anzi facente parte integrante di questo, è quello della trasmissione del suono. Per averne un'idea possiamo seguire il ragionamento di Riegger: il processo sonoro da trasmettere sia definito dalla pressione periodica p1 (t) che incide sul ricevitore e sia p2 (t) la pressione periodica nel processo sonoro alla fine della trasmissione; noi potremo ammettere tra p1 e p2 una relazione del tipo p2 = kp1, dove k è un fattore dipendente dalle proprietà caratteristiche di tutti gli apparecchi che prendono parte alla trasmissione e che, nel caso ideale, si vorrebbe fosse costante, qualunque sia la frequenza e l'intensità del suono da trasmettere. Per un sistema: microfono, amplificatore, altoparlante o diffusore, p. es., si potrà porre, k = km • ka • kd dove km, ka, kd dipendono dalle caratteristiche rispettivamente del microfono, dell'amplificatore e del diffusore. In pratica si può definire km come il rapporto tra la tensione elettrica em ai morsetti del microfono e la pressione p1 incidente: km = em/p1; ka come il rapporto tra la tensione eu all'uscita e la em all'entrata dell'amplificatore: ka = eu/em e finalmente kd come il rapporto tra la pressione p2 nel punto d'osservazione nel campo sonoro dell'altoparlante e la tensione eu ricevuta da questo: kd = p2/eu. Le quantità km, ka e kd dipendono dalla frequenza e dall'intensità; è quindi essenziale conoscere le curve di frequenza e le curve d' intensità delle varie parti del sistema ossia le curve che dànno l'andamento rispettivamente dei varî coefficienti k in funzione della frequenza e dell'entità delle variazioni di pressione corrispondenti al fenomeno sonoro da trasmettere. Come abbiamo detto, per una riproduzione fedele del suono, il prodotto delle varie k dovrebbe essere costante entro i campi di frequenza e d'intensità che servono; campi più limitati, se si tratta della voce umana; abbastanza ampî, se si tratta di suoni musicali; vastissimi, se si tratta di rumori. Ciò non è affatto facile a conseguire e anche i migliori dispositivi di trasmissione fin qui introdotti nella pratica non soddisfano che parzialmente alle esigenze sempre più grandi della tecnica. La conoscenza delle curve di frequenza e d'intensità delle varie parti e la loro relativa indipendenza può spesso rendere possibile il compensare un difetto in una curva di una delle parti del trasmettitore mediante un opportuno difetto nella curva corrispondente di un'altra.
11. Caratteri distintivi di un suono. - Le caratteristiche che ci permettono di distinguere un suono da un altro sono tre: altezza, intensità e timbro. Noi le definiremo successivamente a mano a mano che descriveremo i metodi fisici per la loro determinazione.
A) Altezza. - L'altezza di un suono o, come si dice anche comunemente, l'acutezza di un suono, dipende dalla frequenza delle sue vibrazioni. L'unità di frequenza è il Hertz (Hz): un'oscillazione completa al secondo; il numero n di Hertz definisce la frequenza e quindi l'altezza del suono. Oltre ad n abbiamo spesso usato e dovremo ancora usare la cosiddetta frequenza circolare ω, ossia il numero di oscillazioni in 2 π secondi, cioè ω = 2 πn.
Esaminiamo come si possa determinare l'altezza dei suoni puri. Se si debbono esaminare suoni misti o ci si contenta di determinare l'altezza del suono fondamentale oppure si analizzano, determinando le frequenze dei singoli componenti. Per lo studio dell'altezza vi sono varî metodi:
a) Metodo dei battimenti. - Si fanno agire simultaneamente sull'orecchio il suono da studiare e un suono ausiliario di frequenza variabile a piacere in modo noto; quando le frequenze di questi due suoni sono vicine, si sentono ben distinti i battimenti; dal numero di questi al secondo si deduce la differenza tra le frequenze dei due suoni. Come sorgenti di altezza nota si possono usare diapason (fig. 11) con pesi P scorrevoli lungo i rebbî (per variare la frequenza), tarati; oppure altoparlanti azionati da circuiti oscillanti di periodo variabile; oppure finalmente una sirena con contagiri integratore.
b) Metodo oscillografico. - Si registrano oscillograficamente, uno di fianco all'altro, il suono da studiare e uno di altezza nota costante che serve a marcare il tempo.
c) Misura della lunghezza d'onda nell'aria. - Si può determinare la λ con le figure di Kundt (vedi appresso), generando in un tubo delle onde stazionarie; allora sarà: n = c/λ.
d) Metodo della ruota fonica. - Si trasforma, con un microfono e un amplificatore, il suono da studiare in una corrente periodica e si determina la frequenza di questa con la ruota fonica di La Cour, che consiste in una ruota portante alla periferia dei denti di ferro equidistanti, che gira fra i poli di un elettromagnete; se l'avvolgimento di questo è percorso da quella corrente alternata, il moto della ruota viene sincronizzato con essa, e un contagiri annesso all'asse della ruota dà il numero di periodi della corrente alternata in un determinato intervallo di tempo.
e) Metodo del ponte di Wheatstone. - Trasformato, nel modo anzidetto, il suono in una corrente alternata di uguale periodo, si alimenta con questa un ponte di Wheatstone, di cui un lato contiene un'autoinduzione L e una capacità C, variabili a piacere e in modo noto, e tre lati contengono resistenze ohmiche scelte in modo da equilibrare la resistenza del quarto lato; si ha equilibrio nel ponte, se la frequenza n della corrente è uguale a 1/2 π √−L−C. Perciò, inserita la corrente, si equilibra il ponte variando L grossolanamente e C con finezza (ciò per evidenti ragioni pratiche) e si ha allora:
se si esprimono L in Henry e C in Microfarad; nella diagonale si inserisce come rivelatore o un telefono, o un galvanometro a vibrazione, o un raddrizzatore con un amplificatore e un galvanometro comune. Se il ponte è costruito con cura, si può determinare n con una precisione di 1%.
f) Metodo stroboscopico. - I moti compiuti da un corpo sonoro sono periodici. Prendiamo, per es., lo spostmmento trasversale y dell'estremo di una branca di un diapason vibrante; come abbiamo visto, la y è una funzione del tempo che assume valori uguali a intervalli di tempo uguali T (periodo), di guisa che possiamo scrivere: y (t) = y (t + T) = y (t + 2 T) = ..... Osserviamo il moto di quel punto attraverso fori equidistanti praticati nell'orlo di un disco rotante con velocità variabile a piacere e in modo noto (disco stroboscopico). Se si regola la velocità di rotazione del disco in modo che i fori si susseguano davanti all'occhio a intervalli di tempo T, l'osservatore vede il punto del diapason, mirato attraverso i fori, ai tempi: τ, τ + T, τ + 2 T, ... cioè lo vede 1/T volte al secondo e quindi sempre nella stessa posizione, e se 1/T è maggiore di 15, per la persistenza delle immagini sulla retina, apparirà come visto con continuità. Se dunque, facendo variare la velocità di rotazione del disco, si ottiene di veder quel punto fermo, vuol dire che il numero di volte (facilmente calcolabile) che un foro qualunque passa davanti all'occhio dell'osservatore in un secondo è la frequenza del punto osservato. (V. stroboscopia).
Per le scale musicali, gl'intervalli, ecc., e per tutte le altre questioni dipendenti dall'altezza aventi interesse prevalentemente musicale, v. oltre.
L'altezza soggettiva (ossia qual'è rilevata dall'orecchio) di un suono dipende dal numero delle onde che, in un secondo, colpiscono l'orecchio dell'osservatore, quindi deve variare se, durante l'emissione del suono, la distanza fra sorgente e ricevitore va variando e precisamente, al crescere della distanza, deve essere minore, e, al diminuire di quella, maggiore. Se la variazione della distanza avviene, a sorgente fissa, per moto del ricevitore lungo la congiungente sorgente-ricevitore, vale evidentemente la relazione:
se n′ è la frequenza del suono percepito, ed n quella del suono emesso, v la velocità del ricevitore e c la velocità del suono nell'aria; il doppio segno corrisponde ai due casi: la distanza fra sorgente e ricevitore diminuisce, oppure aumenta. Viceversa, se è la sorgente che si muove, la frequenza del suono percepito sarà:
se u è la velocità della sorgente. Illustriamo con un esempio questo effetto Doppler, che ha importanza grande, oltre che in ottica anche in acustica, nei problemi dell'ascoltazione delle sorgenti sonore in moto. Se una locomotiva passa emettendo un fischio di frequenza n davanti ad un osservatore immobile posto vicino alle rotaie, al momento del passaggio, la frequenza pare diminuire rapidamente da
l'intervallo dei due suoni è (c + u)/(c − u) e se poniamo, per es., u = 20 m./sec. (72 km. all'ora) e c = 340 m./sec., si ha per questo intervallo: 360/320 = 9/8 ossia un tono intero. Se l'osservatore non è proprio vicino alle rotaie, è facile vedere che la variazione non può più essere rapida, ma avviene con lentezza tanto maggiore quanto più quello è lontano; è evidente anche che il suono si percepirà con la sua vera altezza quando la sorgente passa per il piede della perpendicolare abbassata dal punto d'osservazione sulla traiettoria. L'effetto Doppler si riscontra, come è noto, marcato nel sibilo dei proiettili; l'altezza di questo sibilo si abbassa bruscamente non appena il proiettile è passato alla minima distanza dall'osservatore. Finalmente se osservatore e sorgente sono ambedue in moto, la frequenza del suono percepito sarà:
se contiamo u e v positivamente quando sono dirette una verso l'altra; ne viene quindi che non vi è simmetria fra l'effetto del moto della sorgente e quello del moto dell'osservatore; e si vede subito che, per grandi velocità, nell'avvicinamento (aumento apparente di altezza) ha maggior importanza lo spostamento della sorgente, mentre nell'allontanamento (abbassamento della frequenza percepita) ha maggiore importanza la velocità del ricevitore. Occorre fare attenzione che l'esperienza non verifica più esattamente le formule riportate, se sorgente e ricevitore sono di dimensioni rilevanti, perché allora entra in giuoco l'effetto del vento che essi producono nel loro moto.
B) Intensità. - Nel paragrafo sul "campo sonoro" abbiamo visto come l'intensità oggettiva del suono si possa misurare se si riesce a determinare una qualunque delle tre quantità: p0, v0, x0, amplitudini rispettivamente della variazione di pressione, della velocità e dell'elongazione delle particelle dell'aria (o del mezzo) trasmettente. Molti apparecchi per misurare l'intensità oggettiva del suono consistono in sistemi meccanici, di dimensioni piccole rispetto alla λ. del suono incidente (perché non si abbia deformazione del campo sonoro), i quali, sotto l'azione delle onde sonore, entrano in vibrazione. L'amplitudine dell'elongazione (elongazione massima) di queste oscillazioni forzate è in rapporto costante con l'amplitudine delle variazioni di pressione del suono incidente, solo se si devono paragonare suoni di una determinata altezza fissa o risultanti da determinate combinazioni di suoni di altezze fisse. Se si devono paragonare le intensità di suoni di altezze diverse, occorre conoscere la curva di frequenza del sistema misuratore. L'ideale sarebbe di avere un sistema per il quale la sensibilità fosse costante per tutte le frequenze; ciò si può fino a un certo punto ottenere praticamente, come abbiamo ripetutamente accennato, con un sistema a frequenza propria n0 molto alta rispetto alla frequenza n dei suoni da studiare. Il sistema comunemente usato a questo scopo è, come nei ricevitori, una membrana fortemente tesa, che ha una sensibilità praticamente costante per tutti i suoni di frequenza inferiore alla propria. Se n0 è veramente molto maggiore di n, l'amplitudine x0 dello spostamento del centro della membrana è data da: x0 = kp0/n02, dove k è una costante di proporzionalità che può essere determinata con una pressione costante. Una tale membrana a frequenza elevata presenta ancora un altro vantaggio: per frequenze basse essa è praticamente quasi rigida e la sua resistenza acustica (pressione: velocità) è grande, grazie alla reazione elastica relativamente elevata, e molto maggiore della resistenza acustica dell'aria; quindi, per la piccola ampiezza di vibrazione, non esercita reazioni sensibili sul campo sonoro, con che è garantito che noi misuriamo veramente la pressione sonora incidente. Viceversa presenta lo svantaggio che, quanto più ampio è il campo di frequenze da studiare, tanto più alto deve essere il suono proprio, cioè tanto più grande la tensione della membrana; il che porta, come s'intuisce facilmente a una diminuzione della sensibilità. Questo inconveniente, negli apparecchi in cui il moto della membrana è rilevato elettricamente, si fa poco sentire grazie alla possibilità di usare amplificatori a valvole termoioniche. Una condizione ancora da realizzare è che il diametro della membrana sia piccolo rispetto alla λ del suono incidente, perché altrimenti si avrebbe alla membrana la riflessione del suono e quindi un raddoppiamento della pressione sonora.
Il primo a usare le ampiezze di vibrazione di una membrana per misurare l'intensità del suono è stato il Wien; egli misurava otticamente gli spostamenti del centro di una membrana M circolare (fig. 12) tesa sull'orlo di una capsula chiusa (capsula manometrica). Se si devono confrontare fra loro le intensità di suoni di uguale altezza, si può aumentare enormemente la sensibilità scegliendo una membrana di frequenza fondamentale eguale e chiudendo con essa la bocca di un risonatore R accordato su quel suono; si arriva allora a misurare fino a pressioni dell'ordine di 0,01 barie.
A titolo di curiosità diremo che l'Andreev ha proposto di misurare l'ampiezza di oscillazione della membrana ricevente, quando questa sia orizzontale, mediante il moto di granelli di sabbia sparsi su di essa. Un granello infatti comincia a muoversi quando l'accelerazione del moto della membrana è uguale all'accelerazione g della gravità; quindi: x0 ω2 = g. Noti ω e g, si ricava x0; con polvere di vetro a granuli di 0,3 mm. di diametro, l'Andreev ha potuto misurare amplitudini dell'elongazione fino a 10-6 cm. con la precisione del 3-5%.
Gli spostamenti della membrana si possono misurare anche con una specie di microfono a condensatore. La membrana è formata da una foglia di duralluminio dello spessore di 20 μ posta, alla distanza di 20 μ, di fronte a una lastra metallica rigida in guisa da formare un condensatore elettrostatico. Poiché l'aria interposta, dato il suo piccolo spessore, si oppone troppo agli spostamenti della membrana, per diminuire quest'effetto, la lastra metallica è foracchiata, in modo però da non diminuire troppo la capacità elettrostatica del sistema. Al solito, la membrana oscillando, determina variazioni di capacità del condensatore che si misurano (per poi risalire da esse all'ampiezza degli spostamenti) mediante un circuito oscillante ad alta frequenza di Riegger, o magari si registrano oscillograficamente.
Uno strumento che può servire bene per suoni di altezza fissa è il fonometro di Webster; esso consta di un risonatore variabile portante alla bocca un diaframma leggiero circolare tenuto da tre fili tesi complanari a 120° uno dall'altro; le ampiezze di vibrazione del diaframma vengono determinate otticamente. Quando il risonatore e i fili di sospensione sono accordati sul suono che si studia, l'apparecchio ha una sensibilità che è vicina a quella dell'orecchio.
Un altro metodo di misura si fonda sulla determinazione (Andrade) dei movimenti delle particelle del gas attraverso il quale si trasmette il suono. Per es., si possono far librare in seno al gas delle spore di licopodio, delle goccioline submicroscopiche (nebbie), delle polveri minutissime (fumi) che, con il procedimento d'illuminazione su fondo oscuro (v. microscopio, XXIII, p. 225 seg.), possono essere esaminate con un microscopio determinandone il moto vibratorio che ad esse imprimono le molecole del gas oscillante. Teoria ed esperienza dimostrano che fino a frequenze di 2000 Hz il moto loro è identico, in ampiezza e periodo, a quello delle molecole del gas; a una frequenza di 20.000 Hz l'amplitudine dell'escursione del primo è il 64% dell'amplitudine del secondo.
Un metodo affatto diverso è quello realizzato con i cosiddetti microfoni termici: alla base del collo di un risonatore accordato si pone una griglia di fili di platino (del diametro di 4-6 μ) riscaldata elettricamente; a seconda dell'intensità della corrente elettrica, la temperatura, e quindi la resistenza elettrica della griglia, varia, ma a intensità di corrente fissa assume un valore costante nel tempo, che dipenderà solo più dalla convezione del calore nell'aria circostante. Ora un'onda sonora crea una corrente d'aria alternata attraverso la griglia e poiché all'ingrosso il raffreddamento, dovuto direttamente al rinnovo dell'aria circostante provocato da quella corrente, non dipende dalla direzione di esso, la frequenza delle variazioni di temperatura della griglia è doppia di quella dell'onda; d'altra parte, sotto l'azione dell'onda sonora, anche la velocità delle correnti di convezione varia periodicamente, ma con la stessa frequenza dell'onda incidente. Abbiamo dunque due variazioni periodiche di resistenza della griglia: una che potremo dire all'ottava e l'altra all'unisono della frequenza incidente. Se nel circuito della griglia inseriamo il primario di un trasformatore il cui secondario, attraverso un amplificatore, è collegato a un telefono, questo darà un suono complesso che ha per fondamentale la frequenza incidente, se il piano della griglia è orizzontale; a mano a mano che questo piano s'inclina, l'intensità del fondamentale diminuisce e compare l'ottava che finisce per dominare. Se in un lato di un ponte di Wheatstone si pone la griglia e si equilibra il ponte quando la sorgente sonora tace, l'equilibrio è rotto non appena questa agisce; la deviazione del galvanometro è allora proporzionale a x02/2, se con x0 indichiamo l'amplitudine dello spostamento delle particelle d'aria, donde una misura dell'intensità se l'apparecchio è stato tarato in una corrente d'aria di velocità costante e nota. Finalmente si possono misurare le fluttuazioni della resistenza che accompagnano le variazioni periodiche della velocità dell'aria con l'aiuto di convenienti amplificatori. Il funzionamento dei microfoni termici è facilmente perturbato da correnti d'aria accidentali; di più, causa la capacità termica del filo costituente la griglia, non possono servire per frequenze superiori a 1000 Hz. Essi sono specialmente sensibili per i suoni bassi e servono soprattutto benissimo per registrare esattamente l'arrivo della detonazione di un'arma da fuoco (v. n. 20: Applicazioni dei fenomeni acustici). Se si dispone la griglia nel collo medio di un risonatore doppio, si ha un sistema a selettività molto netta e a sensibilità che si avvicina a quella dell'orecchio.
Se non si tratta d'intensità troppo piccole, Rayleigh suggerisce un metodo che avrebbe il grande vantaggio di essere indipendente dalla frequenza. In questo metodo detto del disco di Rayleigh (fig. 13), ci si giova del fatto che una lamina rigida L circolare, piccola, molto sottile, girevole intorno a un diametro (la si appende a un sottile filo F di quarzo) esposta a una corrente gassosa, sia essa continua o periodica, tende a disporsi normalmente alla direzione della corrente stessa subendo, qualora il suo piano nella posizione iniziale formi un angolo di 45° con la direzione del moto del gas, una coppia, il cui momento M è legato alla velocità media quadratica ū0 della corrente gassosa dalla relazione
dove ρ è la densità del gas ed r il raggio della lamina; questa quindi torcerà il filo di un angolo α dato da α = M/D, se D è la coppia direttrice del filo stesso. Tale metodo, a parte la sua scarsa sensibilità, potrebbe considerarsi come ideale, ma si devono fare alcune riserve: se anche la formula di partenza
corrispondente all'azione sul disco di una corrente gassosa di velocità costante U, valesse esattamente per un disco posto in una corrente d'aria di dimensioni grandi rispetto ad r, non è del tutto giustificato ammettere che valga la
(dedotta da quella supponendo U = u0 cos ωt e integrando la M per un periodo intero onde ricavare il valore medio di M) per una corrente oscillante e per un disco che ostruisce quasi del tutto il tubo che la conduce, dato che certamente vi sarà formazione di vortici; quindi la formula riportata non può essere che una prima approssimazione. D'altronde si deve osservare con Bouasse che, a rigor di termini, gli strumenti a disco di Rayleigh, come del resto gli strumenti a membrana, a filo caldo, ecc., possono dare correttamente in valore relativo le velocità o le pressioni nel moto oscillatorio, e quindi le intensità dei suoni corrispondenti, purché si tratti sempre delle stesse frequenze e d'intensità non troppo differenti; ma se le onde da confrontare sono di frequenze diverse e d'intensità molto differenti, nulla autorizza a ritenere che quelli diano misure confrontabili, tanto sono incerti i calcoli teorici (che, partendo dalle teorie aerodinamiche, cercano di definirne il funzionamento), causa le semplificazioni e le ipotesi ausiliarie introdotte per poterli condurre a termine. Quindi non c'è altro che adoperarli dopo averne fatto la taratura sperimentale ricavando le loro curve di frequenza e d'intensità.
Passeremo ancora brevemente in rassegna alcuni altri metodi proposti, meno usati perché o meno sensibili o più difficili a realizzare e non ancora ridotti a una praticità sufficiente per i bisogni della tecnica:
Metodo termico diretto (Wätzmann). - Poiché il processo di compressione e rarefazione che si ha in un gas, quando vi si propaga un suono, è quasi rigorosamente adiabatico, le variazioni di temperatura che si verificano in quel gas al passaggio delle onde sonore possono servire a misurare le variazioni di pressione corrispondenti, giacché fra le variazioni θ della temperatura e la variazione p della pressione sussiste la relazione:
ove γ = cp/cv, T e P la temperatura e la pressione del gas in quiete. Per es., nell'aria a 0° e 76 cm., si ha θ = 8,1 • 10-5 • p, cioè una variazione di temperatura piccolissima in quanto, come si è visto, nei suoni di media intensità p = i in unità CGS.
Metodo del catodofono (fig. 14). - Un filo F di tungsteno, rivestito di ossidi di terre rare, viene arroventato con una corrente elettrica e provoca nell'aria circostante una forte ionizzazione. Esso è unito al polo negativo di una batteria di pile ad alta tensione B, mentre l'anodo è formato da un ugello U, munito d'imbuto ricevitore posto di fronte al filo; la corrente elettrica viene così a chiudersi attraverso lo strato d'aria ionizzata, la cui resistenza però viene ad essere variata periodicamente perché la temperatura del filo varia con lo stato di moto dell'aria. Le variazioni di corrente che ne nascono, convenientemente amplificate, vengono poi registrate oscillograficamente.
Metodo di Töpler-Boltzmann. - Serve per le onde stazionarie; consiste nel determinare refrattometricamente le variazioni di densità in un nodo di una colonna d'aria in cui si siano formate onde stazionarie. Si osservano gli spostamenti delle frange d'interferenza fra due fasci luminosi coerenti provenienti da una stessa sorgente: uno passante per l'aria in quiete, l'altro passante attraverso un nodo; poiché la densità dell'aria in un nodo cambia periodicamente, le frange oscillano e si possono osservare sia con il metodo stroboscopico, sia fotografandole su una pellicola in moto uniforme di conveniente velocità. Il metodo è poco sensibile perché le variazioni di indice di rifrazione corrispondenti alle variazioni di pressione per effetto di suoni ordinarî sono estremamente piccole.
Radiometro acustico. - Si misura la pressione di radiazione sonora S su una lamina disposta normalmente alla direzione del raggio sonoro di energia E; allora è: S = (γ + 1) E.
Per molti scopi non hanno importanza i valori assoluti della pressione o della velocità e dell'elongazione delle particelle e quindi della intensità, ma piuttosto i valori relativi a un'intensità determinata; per es., quando si vuole studiare l'assorbimento d'una parete sia nella riflessione sia nella trasmissione. Siccome le energie che può occorrere di dover paragonare sono enormemente diverse (possono variare nel rapporto 1 : 1013), si usa una scala a base logaritmica in base 10; cioè s usa dare come misura del rapporto di due intensità J1, J2 l'espressione
oppure
(poiché J è proporzionale, come vedemmo, a p2) ove le J e le p sono rispettivamente le intensità e le variazioni di pressione corrispondenti ai due suoni da paragonare. L'unità di questa scala si chiama decibel; la soglia dell'orecchio per le differenze d'intensità è di circa 1 decibel.
Finora ci siamo occupati di misure oggettive; ma altrettanto, se non più, importanti sono le misure soggettive in cui il ricevitore discriminante è l'orecchio. L'orecchio umano è molto sensibile, ma la sua sensibilità dipende dalla frequenza ed è massima per frequenze comprese fra gli 800 e i 2000 Hz. L'intensità oggettiva e l'intensità soggettiva di un suono non sono quindi la stessa cosa, in quanto non è sempre vero che due suoni di uguale intensità oggettiva destino sensazioni uditive ugualmente intense. Basta pensare alla legge di Fechner-Weber e alla dipendenza della soglia dalla frequenza; per es., per raggiungere il valore soglia, un suono di 100 Hz deve corrispondere a una variazione di pressione di 0,05 barie, mentre a 500 Hz bastano 0,001 barie. Le misure d'intensità soggettiva, anche se si eseguono con l'aiuto di strumenti, hanno naturalmente un fondamento puramente soggettivo. Se per un suono di determinata frequenza facciamo aumentare gradatamente il valore dell'intensità oggettiva a partire dal valore zero, noi osserviamo che la sensazione uditiva comincia soltanto in corrispondenza ad un certo valore di quella (valore soglia) e poi va crescendo fino a che, al disopra di un certo altro valore, la sensazione uditiva comincia a riuscire fastidiosa e può addirittura impedire la distinzione dell'altezza; perciò potremo parlare anche di un valore limite superiore dell'intensità oggettiva nei riguardi di quella soggettiva. Gli andamenti dei valori soglia e dei valori limiti superiori in corrispondenza alle varie frequenze sono dati nella fig. 15, dove sulle ordinate sono riportati in scala logaritmica (base 10) le intensità oggettive in barie e sulle ascisse le frequenze, in scala pure logaritmica (base 2), per un orecchio normale: audiogramma normale. Il metodo che ordinariamente si segue per la determinazione delle intensità soggettive è il seguente: si genera un suono normale, possibilmente puro, con la frequenza di 1000 Hz la cui intensità oggettiva si possa variare a piacere e in modo noto, che colpisca di fronte la testa dell'individuo giudicante; l'intensità soggettiva di un altro suono viene confrontata dall'orecchio con quella del suono normale variando l'intensità oggettiva di questo. Per assegnare dei numeri si ragiona così: siano J0 l'intensità oggettiva e p0 la pressione nel suono normale alla soglia dell'audizione (intensità soggettiva zero) e J e p rispettivamente i valori di quelle stesse quantità, sempre nel suono normale, quando questo ha un'intensità soggettiva uguale a quella della sorgente sonora in esame; noi definiamo come intensità soggettiva di questa il numero
oppure, ciò che torna lo stesso, il numero
quando I = 1, diciamo che l'intensità soggettiva è di un Fon. Come valore soglia di p per il suono normale prescelto si può porre:
barie, quindi il tono normale con l'intensità oggettiva di 1 baria ha un'intensità soggettiva di 20 log10 103,5 = 70 Fon; il limite superiore è di 130 Fon. È da avvertire che il valore soglia non è ancora definito internazionalmente; in alcuni lavori si pone p0 = 0,001 barie, in altri p0 = 0,0002 barie; questi due valori darebbero come intensità soggettiva di un suono normale di p = 1 baria rispettivamente i numeri 60 e 73,8 Fon. Il valore soglia della sensibilità soggettiva corrisponde a zero Fon; tanto per dare un'idea dei numeri di Fon che corrispondono ai varî suoni e rumori diremo che il rombo di un aeroplano nella cabina aperta oscilla fra 90 e 110 Fon, il suono degli ottoni fra 40 e 70 Fon, quello dei violini fra 10 e 40 Fon, quello della parlata ordinaria è sui 50 Fon e quello del bisbiglio sui 10 Fon.
Quanto si è detto si riferisce al caso in cui si tratti di suoni puri, ma se si tratta di suoni misti, le cose si complicano a seconda della frequenza dell'intensità relativa delle singole componenti; in generale l'intensità soggettiva di un suono complesso è quella della componente a intensità soggettiva maggiore.
I metodi per procedere al confronto sono diversi. Il Barkhausen fa arrivare il suono normale a un orecchio e quello da studiare all'altro con due microfoni identici, che si possono scambiare avanti ai due orecchi per eliminare eventuali differenze della loro sensibilità, si fa quindi variare l'intensità del suono normale, finché i due orecchi hanno la stessa sensazione. Un altro metodo consiste nel far crescere l'intensità del suono normale, finché l'altro non si distingue più bene dal primo.
C) Timbro. - Se si ascoltano strumenti musicali diversi emettenti tutti la stessa nota, noi percepiamo dei suoni con caratteristiche peculiari diverse che quasi sempre ci permettono, anche a parità d'intensità, di distinguere, e magari di individuare i varî strumenti che li hanno emessi. Noi usiamo dire che quei suoni hanno un timbro differente. Se si registrano, con uno qualunque dei metodi descritti nei precedenti paragrafi, le vibrazioni aeree corrispondenti, noi troviamo che queste diversificano nella loro forma; ossia per il modo con il quale la velocità e l'elongazione delle singole particelle dell'aria trasmittente variano con il tempo durante un periodo. L'analisi armonica di queste vibrazioni ci permette di riconoscere in esse la presenza di oscillazioni parziali diverse, da un caso all'altro, in periodo e in ampiezza. Naturalmente la possibilità della decomposizione del suono complesso proveniente da una sorgente sonora nei suoi cosiddetti parziali, che noi effettuiamo con l'analisi di Fourier, non deve indurre ad ammettere che quella sorgente possa vibrare contemporaneamente in quei diversi modi, in quanto la vibrazione di un corpo materiale può essere complicata, ma è unica.
Quello che noi diciamo timbro di un suono dipende dunque dalla forma delle vibrazioni: ad es. la fig. 16 rappresenta le forme di vibrazione corrispondenti a un tubo sonoro (1) e a un diapason fortemente eccitato (2); ciò vale però soltanto se le varie forme in esame non possono venire considerate come il risultato della composizione di moti armonici che diversificano soltanto nella fase. Per es., le tre curve della fig. 17 rappresentano il risultato della sovrapposizione del fondamentale e del primo armonico con due diverse differenze di fase; le forme sono differenti, ma l'orecchio non le distingue una dall'altra. Più esattamente dovremo dire: se due suoni (armonici fra di loro) sono rigorosamente semplici, si possono modificare le loro fasi relative senza cambiare il timbro del suono complesso che risulta dalla loro sovrapposizione; ma se i due suoni utilizzati non sono semplici e contengono degli armonici della stessa altezza n, il timbro dipende anche dalla differenza di fase, poiché questa modifica l'amplitudine dell'armonico di frequenza n nel suono complesso risultante. Noi possiamo inoltre dire che il timbro è una caratteristica del suono emesso da una sorgente finché noi ascoltiamo questo suono a non grande distanza dalla sorgente stessa. Ma se questa distanza è rilevante, il timbro può cambiare, perché le amplitudini dei parziali sono, come abbiamo detto, diversamente ridotte nell'assorbimento nell'aria o nei mezzi trasmettenti, causa la loro differente frequenza. Si suole dire che il suono fondamentale è sempre preponderante e che le intensità degli armonici vanno sempre diminuendo al crescere dell'ordine; ciò non è necessario: infatti, come osserva il Meissner, analizzando il suono di una sorgente si è trovato che, se nei ricevitori non si usano imbuti, effettivamente il fondamentale è intenso e i primi armonici hanno amplitudini che decrescono rapidamente con l'ordine, ma con imbuto conico può darsi che il fondamentale e i primi armonici abbiano amplitudini relativamente piccole, mentre gli armonici vicini a una altezza fissa, caratteristica dell'imbuto ricevitore, prendono una importanza grandissima. Analogamente, se la sorgente sonora è, a sua volta, fornita d'imbuto trasmittente, il suddetto fenomeno di selettività si può verificare; ciò è particolarmente importante nel caso degli strumenti musicali a fiato.
Fisicamente, determinare il timbro di un suono, o analizzare un suono, significa decomporlo nei suoi parziali e determinare l'altezza e l'intensità di questi; ciò si può ottenere con la registrazione delle vibrazioni; per questa ci sono, come abbiamo visto, metodi meccanici e metodi elettrici. I metodi meccanici hanno tutti un inconveniente: per avere una discreta sensibilità bisogna siano verificate condizioni tali che il periodo proprio dell'insieme, membrana e sistema ottico, diventa troppo basso per una fedele riproduzione.
Nei metodi elettrici le correnti date da un microfono ricevitore vengono amplificate e poi inviate a un oscillografo che può essere o del tipo Duddel, o del tipo Siemens, o un galvanometro a corda, sempre però ad alta frequenza, oppure, quando ciò sia possibile, a un oscillografo a raggi catodici, il che rappresenta la soluzione migliore, perché il funzionamento di questo apparecchio è indipendente dalla frequenza.
In qualunque modo si sia raccolto l'oscillogramma, per dedurne le caratteristiche dei suoni parziali si ricorre all'analisi armonica di Fourier, che si può fare con il calcolo o con analizzatori speciali. In ogni caso l'analisi semplice di Fourier si può effettuare solo quando si tratti di sistemi armonici; nello studio dei rumori bisogna ricorrere a metodi speciali.
Ci sono però anche dei metodi diretti o automatici di analisi; essi utilizzano tutti dei sistemi vibranti accordati. Un primo gruppo utilizza una grande serie di risonatori ad altezza fissa; un secondo gruppo usa uno o più risonatori ad altezza variabile in modo noto; il terzo impiega un risonatore ad altezza fissa e trasforma la frequenza dei suoni componenti da studiare nella frequenza propria di quello. Nel primo gruppo di metodi i varî periodi dei parziali sono dati senz'altro dai periodi dei risonatori che vengono eccitati e le singole intensità si determinano misurando l'intensità della risonanza, p. es., con il metodo del disco di Rayleigh. Si può anche ricorrere a dispositivi elettrici, inserendo nel circuito del microfono ricevitore una serie di diversi circuiti oscillanti, diversamente accordati e determinando l'intensità della corrente in ciascuno di essi. Nel secondo gruppo si utilizza un unico risonatore a frequenza variabile in modo noto, oppure un unico circuito a periodo variabile, che vengono accordati successivamente sui singoli suoni parziali. Nel terzo gruppo si procede così: si registra il suono su un film sonoro e si proietta questo su una cellula fotoelettrica al solito modo; le correnti destate in questa, dopo amplificazione, vengono condotte a un circuito risonante fisso che dal suono sceglie le frequenze vicine alla propria. In un primo tempo la velocità del film è esattamente uguale a quella usata nella presa, di guisa che le frequenze non vengono alterate; poi si fa variare la velocità del film affinché le singole frequenze dei suoni parziali del suono misto originale vengano successivamente trasformate nel periodo proprio del circuito risonante. Variando questa velocità tutti i suoni parziali vengono individuati alla stessa frequenza del circuito fisso e così le variazioni di sensibilità dell'apparecchio di misura vengono eliminate. Un altro metodo di questo gruppo consiste nell'aggiungere al suono complesso da studiare un altro suono anch'esso di frequenza variabile; appena questa è vicina alla frequenza di uno dei componenti del suono complesso si percepiscono dei battimenti che, con un raddrizzatore, vengono trasformati in suoni di differenza; questi, filtrati, hanno un'intensità proporzionale all'intensità del suono parziale.
Fin qui abbiamo parlato di metodi oggettivi, ma si può procedere all'analisi anche per via soggettiva sopprimendo, per interferenza, i varî componenti uno dopo l'altro. Sul tubo B (fig. 18), conducente il suono dalla sorgente S all'orecchio O si pongono delle derivazioni con stantuffi come nella figura. Se la lunghezza della derivazione fino alla base dello stantuffo è λ/4 del suono di una certa altezza, l'onda riflessa dallo stantuffo annulla l'onda incidente della stessa λ P1 e P2 sono due pareti isolanti acusticamente. Così si possono anche studiare le variazioni di timbro che subisce un suono quando si sopprimono le singole sue componenti.
12. Determinazione della direzione di un suono. - Un elemento la cui conoscenza presenta spesso un interesse di capitale importanza è la direzione donde proviene un suono. È noto che con un solo orecchio non si può determinare questa direzione che molto grossolanamente e anzi, per suoni puri, la determinazione è pressoché impossibile; se si tratta di rumori, specialmente se questi contengono dei componenti molto acuti, si sa che la possibilità di riconoscere con un solo orecchio all'incirca la direzione della loro provenienza dipende esclusivamente dalla presenza del padiglione. Che nei suoni ordinarî la capacità di distinguere la direzione sia dovuta all'audizione biaurale è dimostrato sicuramente da tutte le esperienze fin qui effettuate; il sapere però da quali fattori dipenda e come si verifichi tale capacità è una questione di natura prevalentemente fisiologica e noi vi accenneremo soltanto in quanto è necessaria per comprendere alcune delle applicazioni pratiche delle quali dovremo far cenno in seguito. Si è cercato di spiegarla con la differenza d'intensità con cui sembra debbano giungere ai due orecchi i suoni provenienti da una sorgente laterale causa l'azione, diciamo così, di ombra della testa dell'ascoltatore, ma la teoria (Rayleigh) assegna per la differenza Δ d'intensità oggettiva del suono che giunge a ciascun orecchio da una sorgente completamente laterale (supponendo la testa sferica di raggio R) l'espressione:
dove λ è la lunghezza d'onda del suono considerato. Ora ammettendo per R il valore di 11 cm., si vede che per λ = 120 cm. (275 Hz) sarà λ = 8%, mentre l'orecchio difficilmente distingue, a quella frequenza, differenze d'intensità inferiori al 10%; perciò quando non si tratti di suoni più acuti (λ minori) bisogna pensare ad un'altra spiegazione. D'altra parte l'esperienza insegna che se mediante due tubi di uguale lunghezza (fig. 19) noi conduciamo, separatamente ai due orecchi, il suono non troppo acuto emesso da una sorgente S, comunque posta, il suono stesso sembra provenire dal fronte e se i due tubi sono di diversa lunghezza il suono sembra provenire dal lato dell'orecchio cui corrisponde il tubo più corto, quindi dalla parte alla quale le onde arrivano in anticipo di fase. Sarebbe dunque la differenza di fase fra i due sistemi di onde che arrivano ai due orecchi, ciò che determina la percezione della provenienza del suono ed effettivamente le esperienze compiute con suoni bassi giustificano questa ipotesi. Per i suoni acuti però le esperienze dànno risultati discordanti. Si è successivamente tentato di spiegare, specie per i suoni di breve durata, il senso della direzione con la differenza di tempo con cui un suono emesso da una sorgente laterale arriva ai due orecchi (Agazzotti), ma è evidente che tale teoria non si può applicare senz'altro al caso dei suoni puri persistenti. Forse può darsi che in questo caso ambedue i fattori, differenza di intensità e differenza di fase, entrino in giuoco e che quindi, a seconda dell'entità dell'uno o dell'altro di essi, gli orecchi seguano per i suoni bassi il secondo e per i suoni acuti il primo.
Ad ogni modo, per i suoni bassi basta una differenza di cammino di pochi centimetri perché la sorgente del suono sembri spostarsi dal piano mediano della testa. Unendo le orecchie, mediante due tubi di uguale lunghezza, a due imbuti ad essi paralleli, distanti qualche metro, si aumenta artificialmente la cosiddetta base auricolare e, mediante lo spostamento della direzione comune dei due imbuti, viene resa possibile una determinazione abbastanza precisa della direzione di provenienza del suono.
Ma si può determinare questa direzione anche senza ricorrere all'orecchio e usando metodi interamente oggettivi, cioè ricorrendo a ricevitori direzionali. Per lo più si usano ricevitori muniti d'imbuti conici o di riflettori parabolici. Oltre al consentire la possibilità di localizzare la sorgente, l'imbuto o lo specchio (il ricevitore va posto nel vertice di quello o nel fuoco di questo) permettono di aumentare la sensibilità della ricezione e ciò tanto più quanto più grandi sono rispettivamente l'imbuto e lo specchio, in quanto l'energia che arriva su questi va tutta sul ricevitore. Siccome però entrano in giuoco i fenomeni di diffrazione, la precisione nella localizzazione della provenienza diventa tanto minore quanto più il suono è basso; così la ricezione sonora subacquea, per esempio, presenta delle difficoltà appunto perché nell'acqua le λ dei suoni ordinarî sono troppo lunghe, perciò si preferisce ricorrere agli ultrasuoni o al metodo dei gruppi. Si dispongono cioè varî ricevitori del tipo elettrico come nella figura 20; il suono E viene ricevuto da varî ricevitori R con differenza di fase, quindi il suono che in generale si ode al telefono T è debole, ma dietro i varî R sono inseriti dei dispositivi a induzione V che permettono di spostare le fasi rispettivamente delle correnti fornite dai ricevitori corrispondenti in guisa da riportare in fase le correnti indotte nel circuito del telefono T in modo da avere in questo un massimo d'intensità. S'intuisce facilmente come dalla grandezza dei ritardi introdotti con i diversi V per raggiungere questo massimo sia possibile dedurre la direzione secondo la quale il suono E arriva.
13. Rinforzo dei suoni. - Per rinforzare un suono si trasformano, con opportuni microfoni, le vibrazioni acustiche in oscillazioni elettriche e queste poi si amplificano con amplificatori a bassa frequenza. In molti sistemi i singoli stadî vengono accoppiati per mezzo di trasformatori, ma è molto più conveniente usare accoppiamenti a resistenza. L'esigenza fondamentale nelle trasmissioni e nei rinforzi è che i dispositivi rispondano ugualmente a onde di uguale intensità, qualunque sia la loro frequenza. Mentre questa esigenza è soddisfatta, come abbiamo visto, con buona approssimazione nei microfoni più perfezionati, i dispositivi ai quali vengono trasmesse le correnti elettriche, date da quelli, per la loro amplificazione e per la trasformazione di nuovo in energia sonora, dànno sensibili distorsioni. Così, mentre si esige che gli amplificatori reagiscano ugualmente, a parità di intensità, almeno per tutte le frequenze comprese fra 50 e 5000 Hz, si sa che ogni capacità del circuito è più trasparente per correnti periodiche quanto più alta è la frequenza e viceversa le autoinduzioni. Condensatori e bobine senza nucleo dànno distorsioni che si possono eliminare usando dispositivi che si compensino, ma distorsioni ben più complicate, e non più eliminabili, si hanno usando bobine con nuclei di ferro o facendo funzionare le valvole termoioniche fuori del tratto lineare della loro caratteristica: un suono puro può essere trasformato così in un suono contenente armonici e si hanno magari più suoni, perché simultaneamente compaiono anche i suoni di somma e di differenza.
14. Tubi sonori. - Una colonna gassosa, contenuta in un tubo può vibrare con oscillazioni stazionarie longitudinali quando venga eccitata con un altro vibratore. Per es., si può, come fece per primo il Kundt, trasmettere al gas le vibrazioni della lamina di un telelono T affacciata a un estremo del tubo mentre, nell'altro estremo di questo, s'introduce uno stantuffo S che si sposta finché il suono emesso dal telefono si sente rinforzato (fig. 21); allora nel gas del tubo si formano delle onde stazionarie. Se nel tubo si distribuisce, spandendola uniformemente, una polvere leggiera (di sughero, di licopodio, ecc.) si vede questa ammucchiarsi nei nodi di movimento, mentre in corrispondenza ai ventri si dispone in strie equidistanti, normali all'asse del tubo, la cui formazione sarebbe troppo lungo qui spiegare. Si può allora determinare la lunghezza d'onda λ del suono dato dal telefono nel gas contenuto nel tubo, e, se è nota la frequenza n di esso, si può calcolare la velocità c del suono nel gas stesso dalla relazione: c = nλ. Se, usando sempre la stessa sorgente di vibrazioni, si ripete l'esperienza una volta con l'aria (determinando così λa) e un'altra volta con un gas qualunque (determinando così λg) avremo evidentemente: λa : λg = ca : cg e quindi, nota ca, potremo calcolare cg. L'esperienza riesce anche se si riempie il tubo, invece che con un gas, con un liquido, ed è così che si sono determinate le velocità del suono anche nei liquidi. Ecco alcuni valori: gas: anidride carbonica 258, metano 429 m./sec.; liquidi: cloroformio 983, benzina 1166, petrolio 1326, acqua di sorgente 1464 m./sec.
Noi abbiamo visto, a proposito dei suoni di taglio, che quando si faccia uscire da una fenditura sottile un getto d'aria sotto pressione contro una lamina a spigolo tagliente parallelo alla fenditura, nascono nell'aria delle vibrazioni la cui altezza dipende dalla larghezza della fenditura, dalla pressione motrice del getto e dalla posizione della lamina tagliente. Queste vibrazioni si possono utilizzare per eccitare delle onde stazionarie in una colonna d'aria contenuta in un tubo. Supponiamo che questo sia a sezione costante (fig. 22, dove L = lamina tagliente, F = fenditura, T = tubo, e la freccia indica la direzione del getto d'aria); si ha così una canna d'organo a labbro. Allora, come si comprende subito, se il tubo è aperto all'estremità opposta all'imboccatura, avremo un ventre di spostamento al livello della lamina L e un altro ventre all'estremità aperta, quindi la lunghezza l del tubo varrà λ/2, donde λ = 2 l, e quindi la frequenza del suono emesso sarà n = c/2 l; così per un tubo aperto, lungo 39 centimetri si avrà, alla temperatura di 15°, un suono di frequenza: n = 34.000/78 = 436 Hz. Se il tubo invece è chiuso all'estremità opposta all'imboccatura, allora là avremo un nodo di spostamento, mentre un ventre rimane all'imboccatura; la lunghezza del tubo vale allora λ/4 e perciò n = c/4 l, cioè un tubo chiuso dà l'ottava bassa del suono dato da un tubo aperto di uguale lunghezza. In realtà il suono dato da un tubo aperto ha una frequenza leggermente inferiore a quella derivante dal ragionamento riportato; ciò dipende dal fatto che effettivamente all'estremità aperta il passaggio dalle onde piane, che esistono nel tubo, alle onde sferiche che si propagano fuori del tubo non avviene bruscamente, ma gradualmente; la pressione non è quindi costante (come dovrebbe essere in un ventre di spostamento), poiché, se così fosse, non ci potrebbe essere scambio di energia fra l'interno del tubo e lo spazio esterno. Esperienza e teoria concordemente insegnano che nella formula: λ = 2 l bisogna porre, in luogo di l, una lunghezza un po' maggiore l + α, dove α si dice correzione alla bocca; supposto un tubo cilindrico di raggio R, teoria e misure, in sufficiente concordanza, assegnano ad α il valore 0,82 R; se l'orlo della bocca è circondato da una frangia un po' grande, la correzione α si riduce a 0,66 R e se finalmente si foggia l'estremo del tubo a imbuto molto largo, si ha α = 0,62 R.
Il suono emesso da un tubo a sezione costante presenta, oltre al suono fondamentale, una serie di parziali, armonici con quello; le loro frequenze sono quindi date dalla formula
per i tubi aperti e
(armonici dispari) per i tubi chiusi, ove m è un numero intiero della serie: 1, 2, 3 ... Se la fenditura è larga, salta fuori più facilmente il suono fondamentale, se invece è stretta, viene facilitata l'emissione degli armonici; da quanto si è detto a proposito dei suoni di taglio si comprende come la grandezza dell'imboccatura (cioè della fenditura, del cuneo e della distanza fra essi) deve essere commisurata alla lunghezza del tubo. In pratica per accordare un tubo aperto in modo che il suo fondamentale sia rigorosamente di una certa altezza, si suole coprire parzialmente la bocca con un coperchio piano più o meno inclinato sull'asse del tubo, oppure si pratica nella parete di questo, a partire dalla bocca, una fenditura, della quale, con un corsoio, si limita la lunghezza.
Naturalmente per avere dei suoni "belli" occorre che le pareti dei tubi non entrino anch'essi in vibrazione, se no si hanno variazioni nel timbro raramente piacevoli, perché i periodi proprî delle pareti non sono quasi mai armonici con il fondamentale. Riguardo all'influenza delle dimensioni trasversali, delle quali nella teoria non si tiene conto, diremo che la pratica insegna essere nei tubi aperti facilitata l'emissione degli armonici quanto più sono stretti e anzi, nei tubi chiusi, essere essa possibile soltanto se sono stretti.
Se nella parete di un tubo sonoro pratichiamo un foro, l'onda piana nel tubo si deforma e se il foro è là dove prima si aveva un ventre dello spostamento, non si ha alterazione sensibile nella posizione dei ventri e dei nodi, ma l'amplitudine della pressione cresce quando l'area del foro supera una certa grandezza; se il foro s'apre là dove prima c'era un nodo dello spostamento, allora dai due lati di esso si formano due nuovi nodi, e i ventri e i nodi restanti si spostano in corrispondenza; il suono diventa più alto e l'amplitudine diventa minore.
Senza entrare nei particolari del funzionamento dei varî strumenti musicali a fiato, che sono descritti sotto altre voci, diremo che sostanzialmente, dal punto di vista fisico, diversificano fra loro soltanto per il modo con cui vengono destate le vibrazioni dell'aria in essi contenuta e cioè a seconda che queste sono prodotte dalle vibrazioni delle labbra del suonatore come negli "ottoni", o dalle vibrazioni di una linguetta come negli strumenti ad ancia, o da suoni di taglio come nei flauti e nelle canne d'organo a labbro. La lunghezza efficace del tubo viene modificata con l'apertura e chiusura, mediante le dita o mediante valvole apposite, di fori di conveniente grandezza opportunamente disposti lungo il tubo, oppure con l'effettivo allungamento o accorciamento della lunghezza del tubo, ottenuti sia con tubi a "coulisse" o con chiavi che inseriscano o escludano parti del tubo, il quale spesso non è ad asse rettilineo, ma ricurvo secondo linee di forma variabile da strumento a strumento; la quale forma corrisponde per lo più a necessità imposte dalla praticità dell'uso e talvolta è soltanto un omaggio alla tradizione.
15. Strumenti a corde. - Lo studio del modo di funzionare degli strumenti musicali comprende una serie di problemi acustici interessanti che in parte sono ancora insoluti. Si può considerare come completamente spiegata la questione dell'origine delle vibrazioni acustiche in tutti gli strumenti; però questa spiegazione non è ancora sufficientemente elaborata dal punto di vista teorico; in special modo, per molti si ignora il perché del loro timbro speciale. Generalmente il processo di produzione del suono può essere di due specie: o con un meccanismo speciale si mette in vibrazione direttamente il corpo irraggiante (per es., nelle campane), oppure le vibrazioni di un corpo oscillante vengono con dispositivi appropriati trasmesse al corpo irraggiante. Quest'ultimo processo corrisponde sempre a questo criterio: oscillazioni di piccole superficie, ma di grande ampiezza, vengono trasformate in oscillazioni di grandi superficie con piccole ampiezze, con che si hanno le condizioni più favorevoli per il processo d'irraggiamento, ossia per la trasmissione delle vibrazioni all'aria circostante.
Il gruppo più importante degli strumenti musicali è quello degli strumenti a corda, nei quali il corpo primariamente vibrante è una corda di dimensioni, materiale e tensione convenienti. Una corda però, a causa, fra l'altro, della sua superficie troppo piccola, ha, come abbiamo detto, un irraggiamento quasi nullo, quindi non può, da sola, fungere da sorgente sonora vera e propria; perciò la si accoppia con un radiatore, che è la superficie della cosiddetta cassa, o tavola armonica, a seconda degli strumenti. Le corde possono essere eccitate a vibrare o con uno strappo (per es., nell'arpa), o con una percussione (per es., nel pianoforte), o con l'arco (per es., nel violino). Nel primo caso, o con un plettro, o con il dito, la corda viene spostata dalla sua posizione di equilibrio e poi lasciata libera: dunque inizialmente viene dato da un punto di essa uno spostamento (con che tutti i suoi punti verranno più o meno spostati), ma non viene impressa velocità di sorta. Nel secondo caso, con il martello, viene data invece a un punto determinato della corda una certa velocità, cosicché potremo dire che inizialmente viene prescritta lungo quella una certa distribuzione delle velocità; si comprende quindi come a seconda del modo e del punto dell'eccitazione si possono avere diverse forme di vibrazione e quindi timbri diversi. Negli strumenti ad arco finalmente l'eccitazione è più complicata; la forza agente e destante l'oscillazione è l'attrito dell'arco con la corda e questa forza dipende dalla pressione dell'arco e dalla velocità relativa di questo rispetto alla corda. Questa forza d'attrito, nello stato stazionario (suono di altezza e intensità costanti), fornisce tanta energia quanta è necessaria a compensare lo smorzamento; essa ha dunque soltanto l'azione di spostare la posizione di zero dell'oscillazione nel senso del moto dell'arco. Dato che lo smorzamento è relativamente piccolo, basta, in prima approssimazione, che la forza d'attrito sia costante; e se questa deve essere costante, dovrà avere lo stesso valore durante le due semioscillazioni della corda e sarà: in una semioscillazione, di attrito per aderenza e nell'altra di attrito per scorrimento; essa dipenderà evidentemente dalla velocità e dalla pressione dell'arco e dal coefficiente d'attrito (azione della colofonia data all'arco). Quando il posto d'azione dell'arco coincide con un nodo di un parziale, questo, nel suono emesso, avrà un'amplitudine nulla; se la pressione dell'arco è troppo piccola o la velocità dello stesso è troppo grande, sorge facilmente una forma di vibrazione corrispondente a una frequenza molto più alta, complessa, sgradevole, perché il fondamentale è poco marcato. La corda è tesa su un ponticello che posa con due piedi sul coperchio della cassa; le vibrazioni trasversali della corda fanno oscillare il ponticello nel suo piano e, con la differenza della pressione che quei piedi esercitano sul coperchio, il ponticello eccita in questo delle vibrazioni di flessione che si propagano a tutta la cassa. Sotto il piede destro del ponticello c'è lo stilo, asticciuola rigida, cacciata a pressione fra coperchio e fondo della cassa; quindi da un lato le vibrazioni sono trasmesse al coperchio dal piede sinistro del ponticello, dall'altro invece, attraverso lo stilo, al fondo. Può formarsi nel coperchio della cassa, anche un'oscillazione nel senso della lunghezza della corda, con un periodo doppio, ma non ha importanza musicale. L'oscillazione della corda è fortemente smorzata se la sua frequenza coincide con una delle frequenze proprie del sistema ponticello-cassa per via dell'accresciuta energia sonora emessa; allora si deve spendere più energia e quindi premere di più con l'arco sulla corda. Con la cosiddetta sordina non si fa che aumentare la massa del ponticello e quindi tendere a produrre uno spostamento delle frequenze proprie di quello verso il basso, con che vengono preferiti i toni fondamentali a spese dei superiori.
Essenziale per uno strumento ad arco è la cassa; nei buoni violini, intorno ai 700 Hz, si ha una concordanza di fase quasi completa fra i varî punti del fondo e molto estesa sul coperchio, di guisa che ambedue queste parti essenziali della cassa diventano quasi oscillatori di ordine zero e quindi ottimi per la radiazione sonora. Si è molto studiata la risonanza per le varie frequenze delle casse dei violini più celebrati e si è riscontrato che la "bellezza" del loro suono è legata a una risonanza fra i 3000 e i 4000 Hz; la risonanza fra i 2000 e i 2500 Hz, che si riscontra nei violini comuni, da invece una certa "nasalità" al suono. Le amplitudini delle oscillazioni che compiono coperchio e fondo della cassa di un violino sono dell'ordine di 10 μ. Non soltanto le pareti della cassa agiscono come sorgente sonora, ma anche l'aria contenutavi; la risonanza principale di questa è sui 270 Hz, ma risonanze quasi altrettanto importanti si hanno verso i 1150, 1180, 2300 Hz; nei buoni violini sono anzi più marcate quelle acute. In generale l'aria della cassa aiuta la risonanza delle pareti; sembra che la forma speciale dei fori non abbia altra funzione che quella di rendere più flessibile il coperchio.
Per dare un'idea dell'insieme di armonici che si riscontrano nel suono di un violino e della loro relativa importanza riportiamo qui i risultati di un rilievo fatto dal Trendelenburg: la prima linea riporta l'ordine dei successivi suoni parziali, a cominciare dal fondamentale, e la seconda le ampiezze relative di oscillazione, posta uguale a 100 quella del fondamentale:
Anche nel pianoforte l'irradiazione del suono avviene grazie alla tavola di risonanza sulla quale sono tese le corde. I suoni irradiati in generale sono molto scarsi di armonici e il numero di questi diminuisce con l'altezza del suono della corda; così, mentre per un suono di 64 Hz si distinguono 25 parziali che hanno ciascuno un'intensità di almeno l'uno per cento di quella del componente dominante, per un suono di 4096 Hz ve ne sono soltanto 2. Il tono fondamentale e il primo armonico saltano fuori molto potenti se il periodo del primo e la durata dell'urto del martello stanno nel rapporto da 1 a 2; il tono fondamentale emerge meglio se il martello batte la corda a 1/7-1/9 della lunghezza, e l'intensità dell'urto non influisce sul timbro se il martello è elastico come quello ora generalmente in uso. C'è però sempre sovrapposto uno spettro continuo che, per i suoni bassi e medî, dipende dal modo di vibrare della corda sotto l'urto, e, per i suoni acuti, dipende dalle vibrazioni del martello, in quanto, in questo caso, la frequenza delle componenti di questo rumore scende fino a quella del suono fondamentale. Nei suoni più bassi il fondamentale viene spesso un po' soverchiato dai parziali e la ragione sta nell'insufficienza delle dimensioni della tavola armonica rispetto alla λ di quel suono ed è perciò che i pianoforti a coda (a tavola armonica più grande) dànno un suono più puro e più pieno.
16. Risonatori. - Un risonatore acustico propriamente detto è una massa d'aria, rinchiusa in una cavità qualunque, che viene eccitata a vibrare mediante un'onda esterna. La cavità viene scelta in modo che qualunque delle sue dimensioni sia inferiore al quarto della λ del suono incidente, per modo che, secondo quanto abbiamo visto a proposito dei tubi sonori, in essa cavità non si possono formare onde stazionarie in corrispondenza all'onda incidente. Come qualunque sistema capace di vibrare, quella massa d'aria avrà una frequenza propria e quindi, quando venga eccitata da una vibrazione di frequenza eguale, entrerà in risonanza, e l'amplitudine dello spostamento delle particelle dell'aria contenuta nella cavità o l'amplitudine delle variazioni di pressione che in essa si formeranno, sarà la massima possibile. Ordinariamente la cavità si fa comunicare con l'esterno mediante un foro che serve a trasmettere le vibrazioni dell'onda incidente alla massa d'aria interna e funge a sua volta da sorgente sonora quando quella massa è entrata in vibrazione. Sempreché le dimensioni della cavità siano tali da non rendere possibile (entro il campo di frequenze che interessano) la formazione di onde stazionarie, le esperienze del Sondhauss hanno mostrato che:
1. la frequenza propria del risonatore non dipende dalla forma della cavità (le forme sferica e cilindrica dei risonatori di Helmholtz comunemente usati sono scelte solo per comodità di costruzione);
2. la frequenza N propria è inversamente proporzionale alla radice quadrata del volume U;
3. se il foro di comunicazione con l'esterno è, come ordinariamente si usa, circolare di diametro d, N è proporzionale a √d.
Dunque potremo scrivere, indicando con k una costante di proporzionalità: N = k √−d−/−U. Una teoria abbastanza semplice, ma solo approssimata, del Rayleigh e quella più complicata del Helmholtz, dànno per N precisamente la formula suddetta fissando per k il valore c/2 π in discreto accordo con i risultati numerici ottenuti dal Sondhauss. Se rappresentiamo la variazione di pressione nell'onda incidente con la solita espressione: P = P0 cos 2 πnt, fra l'amplitudine P0 della variazione di pressione nell'onda incidente e l'amplitudine p0 della variazione di pressione nel risonatore le teorie suddette assegnano la relazione:
donde si vede che quanto più siamo lontani dalla risonanza tanto minore è la p0 nel risonatore rispetto alla P0 esterna. Quando n = N, cioè alla risonanza, allora sarà P0/p0 = 4 π2 N3 U/c3 e, ponendo per N il valore teorico ricordato, sarà
quindi la variazione di pressione nell'interno del risonatore ha un'amplitudine che è
volte la variazione di pressione nell'onda incidente. Così per i tre risonatori sferici di Helmholtz corrispondenti al
avremo, per quel fattore, nell'ordine, i valori: 39,6; 38,8; 27,3 che potremo considerare come rappresentanti rispettivamente l'efficienza acustica dei tre risonatori. Questo rinforzo non è dovuto ad energia addizionale fornita dal risonatore stesso, ma è il risultato di una interazione o fra risonatore e sorgente sonora, o fra risonatore e mezzo ambiente. Nel caso di distanze piccole fra sorgente e risonatore l'interazione è del primo tipo e favorisce l'emissione di energia dalla sorgente, tanto vero che se questa è un sistema vibrante posto in oscillazione e poi abbandonato a sé stesso, lo smorzamento delle sue vibrazioni aumenta enormemente se il sistema è posto in vicinanza dell'apertura di un risonatore accordato su di esso. Nel caso di un risonatore lontano dalla sorgente, il rinforzo è dovuto al fatto che il risonatore è capace di assorbire energia sonora da un'area considerevole del fronte dell'onda incidente, sottraendola dalle regioni contigue.
In alcuni casi è conveniente ricorrere a due risonatori connessi con un tubo k corto (fig. 23); non è il caso qui di dilungarsi su questo tipo di risonatore doppio; basti accennare che in questo si hanno due frequenze distinte di risonanza e che, per conseguire una migliore efficienza, il risonatore posteriore deve essere più piccolo dell'anteriore.
Al tipo dei risonatori appartengono i tubi corti dell'organo, le dimensioni dei quali sono tutte su per giù uguali e sensibilmente minori di λ/4; per essi la frequenza del suono emesso è data da:
ossia dalla stessa formula che vale per i risonatori. In tali tubi gli armonici sono elevatissimi e di piccola intensità, quindi il loro suono è quasi puro.
17. Propagazione del suono nei tubi. - Consideriamo un tubo di raggio R, pieno di un gas di densità ρ, di viscosità μ e di rapporto dei calori specifici γ; poniamo
La propagazione in questo tubo di un processo periodico del tipo: X = X0 sen ωt (suono puro) è regolato dall'equazione:
ove x è contato secondo l'asse del tubo, X è lo spostamento delle particelle gassose secondo quell'asse e c la velocità del suono. Questa equazione è analoga a quella cosiddetta dei telegrafisti che regola la propagazione di correnti alternate lungo i cavi, quindi molti risultati della teoria dei cavi possono essere utilizzati in acustica; alla tensione elettrica corrisponde, nelle formule, la pressione, all'intensità di corrente corrisponde la velocità istantanea delle particelle. Così si dimostra che, se in una sezione del tubo si produce un'eccitazione sonora del tipo di un suono puro, dai due lati di quella sezione si propagano onde con la velocità
In un tubo pieno d'aria alla temperatura ordinaria si può scrivere:
ove n = frequenza in Hz; quindi in un tubo di 6 cm. di diametro e per un suono di 470 Hz, cR = 326,3 m./sec.
Tanto l'amplitudine delle variazioni di pressione quanto quella della velocità delle particelle gassose decrescono nella propagazione lungo il tubo come e-βx essendo:
e quindi tanto più rapidamente quanto più piccolo è R e quanto più alto è il suono. Se il tubo poi ha le pareti di gomma, o comunque di materiale non rigido, alla perdita di energia dovuta alla viscosità del gas si aggiunge quella per il convibrare delle pareti del tubo; le esperienze hanno mostrato che, per es., in un tubo di 2 cm. di diametro, a pareti metalliche, pieno d'aria, l'intensità di un suono da 1000 Hz si riduce a metà dopo 3,2 m.; in un tubo di gomma di 2,9 cm. di diametro dopo 2,1 m. e, se il diametro scende a 6 mm., dopo pochi centimetri.
Se il tubo è di lunghezza finita e a un estremo c'è una parte rigida, là la velocità delle particelle s'annulla, l'amplitudine delle variazioni di pressione si raddoppia e l'onda torna indietro perdendo 180° di fase; nei diversi punti del tubo l'onda riflessa si sovrappone con l'onda incidente. Se l'estremità del tubo è aperta, là le variazioni di pressione sono nulle e la velocità delle particelle gassose diventa doppia. Se finalmente la lunghezza del tubo, sia aperto sia chiuso, è un multiplo intero di λ/2, si formano sempre onde stazionarie e si ha la formazione di ventri e di nodi fissi, spostati uno rispetto all'altro di λ/4. Tutto ciò va bene teoricamente e come prima approssimazione; in pratica bisogna tener conto della perdita di energia per irraggiamento sonoro all'apertura libera.
18. Analogie elettroacustiche e filtri acustici. - Nello sviluppo moderno dell'acustica hanno avuto gran parte certe analogie di comportamento fra le grandezze che compaiono nella teoria delle vibrazioni meccaniche di un sistema e le grandezze che si considerano nella teoria dei circuiti percorsi da correnti alternate; di queste analogie abbiamo già visto un cenno nel paragrafo precedente. Ci limitiamo qui a riassumere le nozioni sulle quali si basano queste analogie. Consideriamo due sistemi: l'uno, meccanico, sia il più semplice che possa rappresentare una sorgente sonora e consista (fig. 24) in un corpo di massa m attaccato a una molla s sollecitato da una forza F0 cos ωt, e sia r la resistenza che, per varie cause, esso subisce nel suo moto; l'altro elettrico consista (fig. 25) in un circuito comprendente una capacità C, un'autoinduzione pura L e una resistenza ohmica R, alimentato da una f.e.m. periodica E0 cos ωt. Indicando con s la tensione unitaria della molla, con x lo spostamento istantaneo di m dalla sua posizione di riposo, con q la quantità di elettricità in ogni istante distribuita su una delle armature di C (l'altra essendo a terra) avremo il quadro:
Di qui, fissata la corrispondenza fra F0 ed E0, deduciamo subito l'analogia che sussiste fra m ed L, fra r ed R, fra s e 1/C, fra u e i; perciò potremo chiamare mω − s/ω una reattanza mpccanica o acustica e l'espressione √−r−2−+−m−ω−−−s−/−ω2 una impedenza meccanica o acustica. Così potremo anche dire che in un sistema vibrante la dissipazione dell'energia per secondo è data da r (dx/dt)2 ove la r si compone di due parti: una r1 dovuta proprio agli attriti meccanici e l'altra r2 dovuta all'emissione di energia (radiazione acustica) verso l'ambiente. Allora r2 si potrà chiamare resistenza per radiazione e r2 (dx/dt)2 sarà l'emissione di questa energia verso l'esterno ossia l'ammontare dell'energia irraggiata. Se il moto di m è sinusoidale puro, come abbiamo supposto, il valore quadratico medio di dx/dt durante un periodo è 1/√−2 della sua amplitudine e quindi l'ammontare medio della dissipazione totale di energia sarà (dx/dt)²0 r/2.
Nelle condotte acustiche, massa, elasticità delle pareti, resistenza di attrito sono distribuite con continuità (facendo astrazione dall'estremo) lungo il tubo. Importante è il caso in cui massa ed elasticità sono separate spazialmente; anche qui l'analogia elettroacustica può servire. Un circuito induttivo, percorso da una corrente alternata, corrisponde acusticamente a una massa d'aria vibrante in un tubo corto rispetto a λ. Se delle onde sonore vanno secondo la freccia (fig. 26), la massa d'aria nella derivazione vibra sotto l'azione delle variazioni di pressione nella condotta. Se l è la lunghezza della derivazione ed F la sua sezione e ρ la densità del gas, avremo
se V1 = X • F e X lo spostamento delle particelle; equazione del tutto analoga all'elettrica. La quantità La = ρ0 l/F si chiama l'induttività acustica della derivazione. Se si tiene conto dell'effetto dell'apertura libera di raggio R, abbiamo:
Supponiamo ora di chiudere un foro laterale del nostro tubo con un recipiente chiuso di volume V (fig. 26); questo, sotto l'azione delle variazioni di pressione nella condotta principale, subisce a sua volta delle variazioni di pressione nella condotta principale e i fenomeni che ne risultano sono analoghi a quelli che si avrebbero con un condensatore; quest'analogia dà come capacità acustica di quel volume l'espressione: Ca = V/ρ0 c2.
Proseguendo in queste analogie si può facilmente ritrovare il modo di funzionare di un risonatore acustico con questo ragionamento: come in elettricità sistemi di capacità e di autoinduzioni possono costituire sistemi oscillanti, anche in acustica si possono avere sistemi della stessa specie. Consideriamo, per es., un recipiente come nella fig. 23; la massa d'aria chiusa nel collo funge come un'autoinduzione L e la cavità come una capacità C e quindi sarà
ossia tenendo conto di quanto si è detto,
e se non ci fosse il collo,
dove r è il raggio dell'apertura; questa formula non è altro che quella già vista precisamente per i risonatori acustici; come in elettricità, se n corrisponde alla frequenza incidente, si ha risonanza.
Con impedenze e capacità acustiche è facile formare insiemi, che, come gli analoghi elettrici, funzionino da filtri e cioè lascino passare certe frequenze e deprimano certe altre assorbendole; cosa importante nei tentativi per l'eliminazione di certi rumori. Ed è proprio partendo da questa analogia che lo Stewart venne condotto a ideare i filtri acustici. In base infatti a quanto si è detto precedentemente, noi vediamo che un tubo con corte diramazioni laterali può fungere da filtro acustico passa-alto cioè capace di far passare, in dipendenza dalle dimensioni geometriche delle parti, soltanto frequenze sufficientemente elevate. Con un tubo costituito di 12 elementi, di cui uno è rappresentato nella fig. 27, l'andamento della trasmissione dell'energia sonora in funzione della frequenza corrisponde ai seguenti numeri:
In sostanza un'onda di bassa frequenza non può propagare le sue variazioni di pressione lungo il tubo perché i fori F1 F2 funzionano da egualizzatori della pressione interna con quella esterna, cioè l'onda sfiata, per così dire, verso l'esterno del tubo attraverso i fori F. Ma se l'onda ha frequenza sufficientemente elevata, l'inerzia dei tamponi d'aria che occupano i tubi costituenti le diramazioni F1 F2 è sufficiente per costringere l'onda in arrivo a proseguire lungo il tubo. Un tubo con camere-manicotto laterali (fig. 28) è invece un filtro acustico che potremo chiamare passa-basso. Con un tubo siffatto, costituito da 4 elementi successivi, aventi le dimensioni segnate in figura, si ha:
In questo tubo un'onda di bassa frequenza, giunta alla sezione MN, ha tempo di "riempire" con la sua compressione tutta la camera C e così propagare la compressione stessa agli strati MN del pezzo successivo del tubo. Un'onda di alta frequenza, giunta in MN, sfocia in un ambiente C già sufficientemente grande per dar luogo alla riflessione dell'onda in arrivo, come avviene per la riflessione di un'onda all'estremità di un tubo aperto nell'atmosfera. È facile quindi comprendere come una combinazione di filtri, le cui parti abbiano dimensioni opportunamente scelte, possa costituire un filtro passa-banda che lascia passare soltanto certi gruppi di frequenze dello spettro acustico del suono complesso che arriva.
19. Azioni ponderomotrici del suono. - Fino dal 1832 il Guyot aveva trovato che piccoli dischetti di carta appesi a un filo sottile e posti a 1-2 cm. di distansa dai rebbî di un diapason in vibrazione vengono attratti da questi. Il fenomeno venne successivamente studiato da varî autori e il materiale sperimentale raccolto è molto copioso; qui riferiremo soltanto i punti principali assodati. Il fenomeno è dovuto esclusivamente alle vibrazioni dell'aria o del mezzo in cui si fa l'esperienza; i corpi a densità maggiore del mezzo sono attratti dal corpo vibrante, mentre i corpi più leggieri sono respinti (Schellbach); così un getto di anidride carbonica è attratto dalla bocca della cassetta di risonanza di un diapason in vibrazione, mentre un getto di idrogeno ne è respinto. Naturalmente i fenomeni dipendono grandemente (Dvořak) dalla forma e dalle dimensioni dell'oggetto sul quale si fa agire la sorgente sonora e dalla frequenza del suono agente, ma si hanno anche quando questa è così piccola da non dar luogo a sensazione sonora. Se il campo sonoro è a onde sferiche e il corpo sul quale si esperimenta è un risonatore, questo è attratto o respinto, a seconda che la sua frequenza propria è più alta o più bassa di quella agente e la massima azione si ha alla risonanza, in corrispondenza alla quale si passa bruscamente da un massimo dell'attrazione a un massimo della repulsione (fig. 29); se invece il campo è a onde piane, il risonatore è sempre respinto con un massimo alla risonanza (Lebedew). Gli stessi fenomeni si notano anche nei liquidi; la teoria completa di queste azioni ponderomotrici non esiste ancora, ma qualche risultato estremamente interessante è stato ottenuto dal Bjerknes con considerazioni idrodinamiche.
20. Applicazioni dei fenomeni acustici. - Passiamo ora brevemente in rassegna alcune applicazioni di metodi acustici alla risoluzione d'importanti problemi non musicali; senza analizzare troppo minutamente gli apparecchi ideati e il loro funzionamento, accenneremo ai problemi stessi e ai criterî che si seguono per la loro risoluzione per via acustica:
a) Fonotelemetria. - Il problema (fig. 30) è quello della localizzazione di una sorgente sonora (esplosione) S dalla determinazione degli istanti t1, t2, t3 di tempo in cui il suono, o il rumore, giunge a tre osservatori O1, O2, O3 distanziati fra loro. Evidentemente abbiamo:
dunque S si deve trovare su una iperbole di fuochi O1, O2, i cui punti abbiano da O2 e da O1 distanze la cui differenza costante sia (t2 − t1) c. Analogamente S si dovrà trovare su un'altra iperbole di fuochi O3 e O1 e per la quale quella differenza sia: (t3 − t1) c. Dunque S sarà uno dei punti d'intersezione delle due iperboli che, disegnate, permetteranno di fissare S in quanto, conoscendo già all'ingrosso (dalla direzione donde viene il suono) l'ubicazione di S, la scelta fra i quattro punti d'intersezione possibili non può essere dubbia. Un dispositivo utile per rilevare l'arrivo dell'onda di bocca è quello rappresentato nella fig. 31: una fiamma, protetta da apposite pareti di vetro, munite di fori, contro il vento, brucia all'imboccatura di un recipiente da 15-20 litri di capacità. L'onda di bocca che arriva produce una forte oscillazione della fiamma che è praticamente insensibile ai suoni di frequenza media ed elevata.
b) Scandaglio acustico dell'atmosfera. - È necessario, sia in meteorologia sia in artiglieria, determinare la velocità del vento a grandi altezze sul suolo. Tale determinazione si può fare, a cielo sereno, con l'inseguimento dei cosiddetti "palloni piloti"; quando il cielo è coperto, si può far uso di palloni portanti dei sistemi di petardi che esplodano successivamente a intervalli di tempo uguali e noti. Con dei ricevitori acustici si possono registrare gli arrivi delle diverse onde di scoppio. Dalla conoscenza della differenza dei tempi di arrivo di queste onde, degl'intervalli di tempo intercedenti fra scoppio e scoppio, e della quota (che si deduce dalla forza ascensionale del pallone all'atto della partenza) dell'aerostato nei successivi istanti di tempo, si possono determinare le diverse posizioni di quello; donde si calcolano le velocità medie di spostamento e quindi quelle del vento in corrispondenza agli strati aerei attraversati dal pallone nei successivi intervalli di tempo fra i varî scoppî.
c) Ascoltazione dei velivoli. - Una questione importante è quella di vedere se, dai rumori che un velivolo emette in volo, è possibile trarre qualche indicazione che permetta il suo riconoscimento e di stabilire la sua posizione e la direzione della sua rotta. Il cosiddetto rombo di un aereo in volo risulta dovuto alle perturbazioni prodotte nell'aria dal motore, dall'elica, nonché dalle vibrazioni delle ali, dei tiranti e di tutte quelle parti che eventualmente, nel moto, entrino in oscillazione. Il succedersi degli scoppî del motore genera, quando avvenga con una certa frequenza, una sensazione sonora il cui numero di vibrazioni al secondo è dato dal semiprodotto del numero dei cilindri per il numero dei giri al secondo; questo suono è in generale molto basso, quindi l'orecchio non ha per esso una sensibilità molto forte. Siccome però è accompagnato da altri suoni, di varia origine, di frequenza più alta, ha una specie di timbro caratteristico che permette a un orecchio esercitato di distinguere la regolarità di marcia del motore, il numero dei giri, eventuali asimmetrie nelle masse rotanti, ecc.; infine il moto dell'aereo, a seconda che questo si avvicina o si allontana dall'osservatore, provoca, per il principio di Doppler, delle variazioni di altezza che permettono di rilevare eventuali inversioni di rotta. A distanze inferiori ai km. l'orecchio percepisce, ben distinto dal rombo del motore, lo scroscio dell'elica: rumore molto complesso, qualche parziale del quale ha una frequenza multipla di quella fondamentale del rombo del motore. Si nota spesso un rinforzo aperiodico del rumore complessivo consistente in variazioni rilevanti dell'intensità che non sono in rapporto con le variazioni della distanza dell'aereo dall'osservatore; secondo le ricerche del Bernini, sembra che il fenomeno sia dovuto a interferenza fra il suono che giunge direttamente all'orecchio e quello che vi giunge dopo riflessione sul suolo o su qualche ostacolo. Con aerei a più motori capita talvolta di notare anche un rinforzo periodico del rombo dovuto verosimilmente a scarti dal sincronismo nel funzionamento dei motori, con che nascerebbero dei battimenti lenti.
I tentativi di riconoscimento del tipo di velivolo dall'analisi dei rumori che esso emette hanno dato finora scarsi risultati, data la complessità del fenomeno acustico e l'analogia di funzionamento fra i varî tipi di aerei.
Viceversa si sono ottenuti buoni risultati nei tentativi di determinare acusticamente la posizione e la direzione di volo di un aereo. Si può pensare in primo luogo di munire l'orecchio di un ricevitore direzionale, per es. di un imbuto conico di grandi dimensioni con montatura altazimutale; la posizione corrispondente al massimo d'intensità della ricezione corrisponde di regola alla coincidenza dell'asse del cono con la congiungente la stazione d'osservazione e l'aereo. Ciò andrebbe bene se si trattasse di localizzare una sorgente che desse un suono puro, ma, data la complessità del rombo, le variazioni d'intensità non sono molto marcate. Risultati molto migliori si sono ottenuti con i fonogoniometri del tipo Sagnac (fig. 32): essi sono costituiti da un sistema, su montatura altazimutale, di quattro imbuti conici uguali, con gli assi paralleli e con le quattro aperture giacenti in uno stesso piano (orientabile a piacere grazie alla montatura), aventi i centri disposti secondo i vertici di un quadrato con un lato orizzontale. Questi imbuti adducono a un unico tubo che, biforcandosi poi, porta il suono ricevuto dall'apparecchio ai due orecchi dell'ascoltatore; nell'esplorazione azimutale i due imbuti B e C sommano i loro effetti; nell'esplorazione in altezza B e A fanno lo stesso e così agiscono D e C. L'ascoltatore, specialmente se, oltre che al rombo, farà attenzione allo scroscio dell'elica, percepirà il rumore con la massima intensità quando l'asse di simmetria del sistema dei quattro imbuti è diretto verso la sorgente sonora; la montatura altazimutale permette di definire questa direzione. Altri tipi che hanno dato buoni risultati, sono quelli nei quali i quattro ricevitori, o a imbuto o a specchio parabolico con imbutino di ricezione nel fuoco, sono o accoppiati a due a due e poi connessi con due tubi alle due orecchie di un unico ascoltatore o ciascuno connesso a un orecchio di due ascoltatori (uno per la ricerca dell'altezza e l'altro per quella, dell'azimut), con che si sfruttano le peculiarità dell'audizione biauricolare.
d) Scandaglio acustico dagli aerei. - Si tratta di determinare per via acustica la quota di un velivolo. Se da un aereo, che navighi con velocità v costante e nota, secondo una rotta rettilinea a quota costante, si emette un segnale acustico caratteristico e di sufficiente intensità per poter essere ricevuto dall'aereo stesso dopo la sua riflessione al suolo, si può determinare la quota Q (fig. 33), se si misura l'intervallo di tempo t fra l'emissione e la ricezione. Lo spazio percorso dall'aereo durante il tempo t è s = vt; d'altronde 2 p = ct (c = velocità del suono nell'aria), allora:
e quindi Q = t2 √−c−2−−−v2. I differenti apparecchi che sfruttano questo principio diversificano per il modo con il quale si effettua la misura del tempo t; in molti all'atto dell'emissione del suono o del rumore (di solito una detonazione) viene messo in moto uniforme un disco il quale viene fermato bruscamente nell'istante dell'arrivo dell'eco per l'azione di un ricevitore acustico (microfono) opportunamente installato a bordo; l'angolo di cui ha ruotato il disco dà la misura di t. In alcuni apparecchi la rimessa delle cose nelle condizioni primitive avviene in un tempo così breve che le determinazioni si possono susseguire a intervalli di un secondo, e la precisione nella misura di t è tale da permettere il calcolo di Q con un errore medio del 4% anche per valori di t dell'ordine di 1/100 di secondo e quindi per quote anche molto basse.
e) Segnalazioni acustiche da velivoli in moto. - È utile talvolta che l'aviatore emetta segnali acustici, sia a scopo di riconoscimento, sia per trasmettere osservazioni, ecc.; ciò specialmente quando l'aria sia nebbiosa e impedisca le ordinarie trasmissioni ottiche o quando si voglia evitare, per varie e ovvie ragioni questo metodo di segnalazione. Si usano a tale scopo trombe speciali, o sirene, azionate da gas compressi; il suono di queste sorgenti viene però a trovarsi mescolato con tutto l'insieme dei rumori che accompagnano necessariamente un aereo in moto; ma se la nota emessa dalla sorgente sonora usata dall'aviatore è di altezza determinata e nettamente distinta da quelle che si riscontrano in quei rumori, e se l'orecchio dell'ascoltatore è munito di un risonatore accordato su quell'altezza, la ricezione dei segnali acustici diventa possibile.
f) Scandagli in mare. - L'emissione verticale verso il basso di una vibrazione acustica energica può servire a determinare la profondità del mare al di sotto dell'emettitore; se questo poi è invece capace di emettere direzionalmente secondo un'orientazione variabile a piacere, si può riuscire a rilevare la presenza sulla traiettoria dei raggi sonori emessi, di ostacoli riflettenti come rocce, scafi sommersi, ecc. Il principio è lo stesso di quello che vedemmo per gli scandagli aerei; poiché però i mezzi liquidi hanno una durezza sonora molto maggiore che i gas, occorre che tanto il trasmettitore quanto il ricevitore siano convenientemente costruiti. Si usano perciò negli uni e negli altri dei dispositivi, a membrana molto rigida, del tipo elettromagnetico; il tono fondamentale proprio per tali membrane non è molto alto, malgrado la loro rigidità, per la grande loro massa e perché è grande la massa del mezzo convibrante. Molto convenienti in alcuni casi, perché permettono l'uso di suoni a frequenza elevatissima, anche superiore ai limiti di audibilità (ultrasuoni) e perciò a lunghezza d'onda molto piccola e formanti perciò più facilmente fasci di raggi orientati, sono i trasmettitori e i ricevitori del tipo piezoelettrico.
Viceversa in altri casi, come, per es., quando si voglia rilevare la presenza eventuale di un sottomarino in navigazione, conviene usare dispositivi sensibili a vibrazioni di bassissima frequenza, come i cosiddetti battiti dell'elica, ecc. Per determinare soltanto la direzione in cui si trova la nave, si usano dispositivi fondati sullo stesso principio di quelli che abbiamo visto a proposito dell'ascoltazione dei velivoli. Un sistema di due ricevitori, p. es. due semplici tubi di gomma, pieni d'aria, disposti verticalmente nell'acqua a una certfa distanza uno dall'altro e connessi a un orecchio di un ascoltatore, spostabili a piacere (qui serve, per lo più, soltanto la determinazione dell'azimut) permette, con l'audizione binauricolale, di determinare la direzione donde proviene il rumore; oppure, tenendo fissi i due ricevitori, si possono introdurre degli spostamenti di fase variabili a piacere in modo noto (con l'allungamento opportuno di uno dei due adduttori all'orecchio, oppure con l'introduzione di opportune autoinduzioni nel circuito di uno dei due ricevitori, se questi sono del tipo elettrico), finché si ottiene che il rumore sembri provenire di fronte. Dai ritardi di fase introdotti si può dedurre la direzione cercata.
Nel primo metodo di scandaglio acustico marino la difficoltà principale consiste nella brevità degl'intervalli di tempo da misurare, dovuta alla grande velocità del suono nell'acqua; ma anche questo inconveniente si può superare agevolmente con i metodi oscillografici a grande velocità (p. es., con gli oscillografi a raggi catodici) di cui dispone oggi la tecnica.
Bibl.: Lord Rayleigh, The theory of sound, 2ª ed., Londra 1894; A. Winkelmann, Handbuch der Physik, II: Akustik, Lipsia 1909; H. Lamb, The dynamical theory of sound, Londra 1910; E. G. Richardson, Sound, ivi 1927; A. Bernini, Nozioni di acustica, Roma 1932; E. Perucca, Fisica sperimentale, I, Torino 1932; W. Wien e F. Harms, Handbuch der Experimentalphysik, XVII, Lipsia 1934; A. H. Davis, Modern acoustics, Londra 1934.
Musica.
Il suono è la sensazione che in noi si produce quando le vibrazioni di un corpo sonoro, propagate in un mezzo elastico, che generalmente è l'aria, sono raccolte dal nostro organo dell'udito ed eccitano il nervo uditivo (v. orecchio). Tra l'infinita serie di suoni che l'orecchio umano è capace di percepire - e che, pur variando da individuo a individuo, sono compresi tra limiti di frequenza che vanno da un minimo di 32 a un massimo di circa 70 mila vibrazioni semplici (cioè mezze vibrazioni complete; seguiamo qui l'uso musicale, diversamente dalla prima parte della trattazione) al minuto secondo - l'arte musicale si serve solamente di quelli compresi tra un minimo di 32 (do-2 emesso dalla più grande canna dell'organo) e un massimo di 32.768 (dog, anch'esso proprio dell'organo) vibrazioni semplici al minuto secondo. Ma anche la serie di suoni così ridotta è infinita e l'arte musicale, come è intuitivo, ha necessità di limitare a un numero determinato i suoni di cui si serve. Vediamo anzitutto come tale limitazione e scelta di suoni è avvenuta per quel sistema musicale che, già in uso per la musica grecoromana, attraverso il canto dei primi cristiani e la musica gregoriana è giunto fino a noi ed è a base della musica moderna.
Per indicare l'altezza assoluta dei suoni ci serviremo del metodo italiano, che consiste nel porre lo stesso indice a tutte le note di ciascuna ottava nella gamma generale dei suoni musicali; e così con l'indice 1 sono contrassegnate tutte le note comprese tra il do sotto le righe e il si al secondo rigo in chiave di basso, con gl'indici 2, 3, ecc., le note delle successive ottave superiori, e con gl'indici − 1 e − 2 i suoni delle due ottave inferiori.
Suoni e scale pitagoriche. - Il nostro orecchio giudica uguali - ed uguali li considera l'arte musicale, chiamandoli con lo stesso nome fino dai più antichi tempi - tutti quei suoni i cui numeri di vibrazioni stanno tra loro come i termini della progressione geometrica 1, 2, 4, 8, 16...; tutti quei suoni, cioè, che si trovano in rapporto di ottava, che è il semplicissimo rapporto 2/1. Nella serie dei suoni armonici si trovano appunto in tale rapporto di ottava gli armonici 1, 2, 4, 8, 16... Riteniamo opportuno ripetere qui la serie dei primi 16 suoni armonici (scala degli armonici), ai quali dovremo spesso riferirci nello studio delle scale:
Considerati uguali tutti i suoni a distanza di ottava, potremo limitare lo studio ai suoni compresi nell'intervallo di un'ottava, dato che essi si riproducono identici in tutte le ottave superiori e inferiori a quella considerata. La diversità esistente tra le varie scale di cui si è servita l'arte musicale nelle diverse epoche e presso i varî popoli, o anche che siano state prodotte dalla speculazione dei dotti, consiste appunto nella varia maniera di suddividere detto intervallo di ottava (v. scala).
Dopo l'intervallo d'ottava il più semplice, quello i cui limiti sono costituiti dai due suoni della maggiore affinità tra loro, dopo i suoni in ottava, è l'intervallo di quinta, rappresentato dal rapporto 3/2. Nella serie degli armonici si trovano in rapporto di quinta il 2° e 3° armonico, il 4° e 6°, l'8° e 12°, ecc. L'intervallo di quinta si ritrova, come vedremo, rigorosamente giusto, o leggermente alterato, in tutte le scale musicali.
Sovrapponendo una serie di ottave non facciamo che riprodurre all'infinito, a differenti altezze, sempre lo stesso suono. Non così avviene sovrapponendo una serie di quinte; in questo caso non cadremo mai, per quanto si proceda verso l'acuto, su suoni di ugual nome, ossia in rapporto di ottava, o di doppia ottava, o di tripla ottava, ecc.; non troveremo mai, cioè, un suono che stia, rispetto ad uno dei precedenti, nei rapporti semplici dati dalla progressione 1, 2, 4, 8, 16..., che sopra abbiamo considerata. Proviamo a sovrapporre una serie di 6 quinte, e, per fissare le idee, chiamiamo i suoni con i 7 nomi delle note musicali; avremo questa serie di suoni, con i rispettivi rapporti di vibrazione, tutti riferiti a un do teorico di 1 vibrazione:
Raggruppiamo questi 7 suoni nell'ambito di un'ottava, trasportando il primo un'ottava sopra, il quarto e il quinto un'ottava sotto, il sesto e il settimo due ottave sotto; e completiamo la serie con la ripetizione del suono più basso all'ottava alta. Avremo quest'altra serie di suoni, ai quali abbiamo sottoposto i rapporti di vibrazione riferiti al do iniziale e i rapporti degl'intervalli formati da due suoni consecutivi:
Avremo ottenuto così i sette suoni (gradi) di una scala musicale diatonica (scala pitagorica) generata da una serie di quinte (serie pitagorica).
Prima di passare a considerare questa e altre scale, diamo un quadro completo di tutti i suoni musicali pitagorici, che si ottengono con lo stesso sistema con cui abbiamo ottenuto i sette precedenti, sovrapponendo 34 quinte a partire da un fa ♭♭ e poi raggruppando i 35 suoni ottenuti nell'ambito di una ottava.
Riprendiamo a considerare la scala pitagonca. Tra i 7 gradi della scala diatonica intercorrono due sole specie d'intervalli: il tono (9/8) e il semitono diatonico (256/243). Sottraendo il semitono diatonico, o limma, dal tono intero, residua l'apotome
Interpoliamo ora, tra i 7 suoni della scala diatonica, altri 5 suoni, scelti tra quelli della serie pitagorica rappresentati con i rapporti più semplici, ossia aventi maggior grado di affinità col suono fondamentale. Otterremo in tal modo la seguente scala pitagorica cromatica di 12 gradi:
Essa è data dalla serie di 11 quinte racchiuse tra parentesi quadre nella precedente serie completa, e comprese tra il re ♭ e il fa ♯. Tra i gradi della scala cromatica intercorrono due specie di semitoni: il semitono diatonico o limma
tra due note consecutive di nome diverso, e il semitono cromatico o apotome
tra due note consecutive dello stesso nome. La differenza tra il semitono cromatico e il semitono diatonico è il piccolissimo intervallo
detto comma pitagorico.
Scala naturale. - La serie dei suoni pitagorici e le scale diatonica e cromatica che ne derivano, servirono fino a che, nell'antichità e nel Medioevo, la musica fu prevalentemente melodica; ma con l'affermarsi della polifonia (sec. XVI) fu necessario ricorrere a suoni di diversa origine, che, risuonando insieme, formassero armonie più gradite. Con i suoni pitagorici, infatti, non è possibile formare un accordo perfetto che non dia luogo a battimenti. Già fin dall'antichità i matematici (Aristosseno di Taranto, sec. IV a. C.) costituirono una scala i cui suoni non derivano più da una serie di quinte, ma dal fenomeno naturale degli armonici. Il 2° e il 3° armonico dànno l'intervallo di quinta, il 3° e 4° la quarta, il 4° e 5° la terza maggiore, il 3° e 5° la sesta maggiore, l'8° e 9° la seconda maggiore, l'8° e 15° la settima maggiore. Con questi intervalli si forma la seguente scala diatonica di 7 gradi, chiamata scala naturale, o dei fisici, o matematica, o aristossenica, o tolemaica, o di Zarlino; quest'ultimo appellativo derivato dall'insigne compositore e teorico che nel sec. XVI adattò la teoria musicale alle nuove esigenze armoniche dell'arte:
Il medesimo risultato si ottiene servendosi dei due soli intervalli di quinta
e di terza naturale
operando come segue: partire dalla tonica e costruire due quinte a salire e una quinta a discendere; avremo così, oltre alla tonica, la quinta, la seconda e la quarta; sui primi tre di questi gradi costruire una terza e avremo i tre gradi mancanti a completare la scala, cioè la terza, la sesta e la settima.
Tra i sette gradi della scala naturale intercorrono tre specie d'intervalli: il tono grande
identico al tono pitagorico, il tono piccolo
e il semitono diatonico
La differenza tra il tono grande e il tono piccolo è data da un piccolissimo intervallo, chiamato comma sintonico o semplicemente comma, rappresentato dal rapporto
il quale è poco più della nona parte di un tono grande e poco più dell'ottava parte di un tono piccolo. Se da un comma pitagorico si sottrae un comma sintonico, si ottiene lo schisma
che è il più piccolo intervallo calcolato. Quel che rimane del comma sintonico, quando gli sia sottratto uno schisma, è il diaschisma
Il semitono diatonico
non divide in due parti uguali né il tono grande né il tono piccolo. Infatti, togliendo da un tono grande un semitono diatonico non resterà un altro semitono diatonico, ma un intervallo rappresentato dal rapporto
e che chiameremo semitono cromatico grande
E togliendo da un tono piccolo un semitono diatonico
resterà un semitono cromatico piccolo, rappresentato dal rapporto
La differenza tra questi due semitoni è un comma
Lo stesso intervallo di comma intercede tra la terza maggiore pitagorica (2 toni grandi) e la terza maggiore naturale (tono grande + tono piccolo); tra la sesta maggiore pitagorica (quinta + tono grande) e la sesta maggiore naturale (quinta + tono piccolo); tra la settima maggiore pitagorica (quinta + 2 toni grandi) e la settima maggiore naturale (quinta + tono grande + tono piccolo) e tra il semitono diatonico naturale
e il semitono diatonico pitagorico
Come si vede le differenze che corrono tra gli intervalli analoghi delle due scale, non superano mai quell'intervallo di comma che può essere musicalmente trascurabile, e che è il più piccolo intervallo musicale, il limite della sensibilità acustica musicale.
Una persona di speciale sensibilità auditiva e che esegua delle esperienze allo scopo, appunto, di stabilire il limite della sensibilità acustica sperimentale, riesce a percepire come differenti due suoni i cui numeri di vibrazioni formino il rapporto
rapporto che è circa 12 volte più piccolo di un comma. Tale rapporto fu stabilito da M. Mersenne.
Il comma non divide esattamente gl'intervalli della scala naturale, né quelli della scala pitagorica, come ognuno può facilmente provare, ed è pertanto poco pratico considerarlo unità di misura degl'intervalli, come qualche fisico ha fatto. Né molto più pratici sono altri sistemi di rappresentazione matematica dei suoni, cui accenneremo appresso.
Nella scala naturale s'incontrano tre specie di terze: la terza maggiore (do-mi, fa-la, sol-si), composta di un tono grande più un tono piccolo
la terza minore naturale (mi-sol, la-do, si-re), composta di un tono grande più un semitono diatonico
e la terza minore pitagorica (re-fa), composta di un tono piccolo più un semitono diatonico
Quest'ultimo intervallo è caratteristico come settima minore sulla dominante.
Vi s'incontrano anche tre specie di quinte: La quinta giusta (do-sol, mi-la, fa-do, sol-re, la-mi), composta di una terza maggiore più una terza minore naturale
la quinta falsa (re-la), composta di una terza maggiore naturale più una terza minore pitagorica
e calante di un comma rispetto alla quinta giusta; la quinta diminuita (si-fa), composta di una terza minore naturale più una terza minore pitagorica
Vi si trovano inoltre tre specie di settime, che si ottengono togliendo rispettivamente dall'ottava il semitono diatonico
il tono piccolo
e il tono grande
Esse sono la settima maggiore
la settima minore grande
e la settima minore piccola
Invertendo gl'intervalli di terza e di quinta si ottengono, con la nota regola dei rivolti, gl'intervalli di sesta e di quarta.
A rendere completa l'esposizione di tutte le scale in uso nella musica moderna, indicheremo la costituzione della scala minore naturale, nella sua forma ascendente e nelle due forme discendenti:
In quest'ultima forma della scala minore naturale troviamo alcuni nuovi intervalli, e cioè: la seconda aumentata (la ♭ -si), che è quanto resta di una terza maggiore, diminuita di un semitono diatonico
la quinta aumentata (mi ♭ -si), composta di due terze magg.
la quinta grande diminuita (la-mi ♭), composta di due terze minori
la settima diminuita (si-la ♭), composta di due terze minori naturali, più una terza minore pitagorica
Nella scala naturale, per innalzare o abbassare di un semitono cromatico un intervallo qualsiasi, basta aggiungere o togliere un semitono cromatico grande
quando il limite superiore dell'intervallo precede o segue un tono grande; e basta aggiungere o togliere un semitono cromatico piccolo
quando il limite superiore dell'intervallo precede o segue un tono piccolo. In altre parole, per alterare cromaticamente un tono grande, bisogna aggiungere o togliere un semitono cromatico grande; e analogamente per il tono piccolo.
Operando in tal modo sui 7 gradi della scala naturale otterremo i seguenti suoni di una scala naturale cromatica, disposti in ordine di altezza:
Confrontando tra loro i suoni cromatici derivati dalla scala naturale con quelli derivati dalla scala pitagorica, osserviamo che, mentre nella prima il do ♯ precede il re ♭, nella seconda avviene il contrario; e così per gli altri gradi cromatici delle due scale. Ciò significa che nella scala naturale, sia l'alterazione ascendente sia quella discendente di una nota restano inferiori alla metà di un tono, mentre nella scala pitagorica la superano. Melodicamente riescono più spontanee queste ultime alterazioni.
La legge di consonanza degl'intervalli, la quale, per diretta osservazione, stabilisce che la combinazione di due suoni riesce tanto più gradevole (consonante) quanto il rapporto dei loro numeri di vibrazione è più semplice, si estende anche agli accordi, i quali altro non sono che aggregati di bicordi; e poiché gl'intervalli della scala naturale, quando non sono uguali a quelli della scala pitagorica - come la seconda, la quarta e la quinta - sono di quelli molto più semplici (confrontare le terze, le seste e la settima), ne risulta dimostrata, anche col solo ragionamento, la maggiore armonicità della scala naturale. Ma il fatto è stato provato anche sperimentalmente (esperienze del Helmholtz per i suoni formanti armonia; esperienze di Cornu e Mercadier per i suoni svolgentisi in linea melodica) e se ne può concludere che una voce o uno strumento a intonazione libera (es., violino), quando eseguono una melodia senza accompagnamento, si servono istintivamente dei suoni pitagorici; mentre più strumenti che eseguano un brano di musica a più voci formanti armonia, si servono istintivamente dei suoni naturali.
Scala temperata. - Pur rinviando alla voce temperamento per tutto quanto concerne la scala temperata, è opportuno dir subito che essa si ottiene dividendo l'intervallo di ottava in dodici semitoni rigidamente proporzionali, rappresentati dal rapporto ¹%²√−2 = 1,05946. Per mezzo di essa vengono identificati il do ♯ al re ♭, il re ♯ al mi ♭, e così di seguito. Diamo i valori numerici dei suoi gradi.
Confrontando tra loro gl'intervalli della scala temperata con quelli delle scale pitagorica e naturale, possiamo osservare che, quando nelle due ultime scale gl'intervalli sono uguali, come la 4ª e la 5ª, l'intervallo temperato differisce pochissimo da loro; e quando gl'intervalli pitagorici e naturali non coincidono, l'intervallo temperato assume un valore intermedio tra i due.
Scala degli armonici. - Poche altre osservazioni sulla scala degli armonici: consideriamo la scala degli armonici 8° a 16° di un do (v. fig. a p. 1017). L' 8° e 9° armonico dànno un intervallo
identico al tono pitagorico e al tono grande naturale. Il 9° e 10° armonico dànno un intervallo
identico al tono piccolo naturale. L'8° e 12° armonico dànno la quinta giusta
uguale alla pitagorica e alla naturale. Il 15° armonico con l'8°, dà l'intervallo di 7ª maggiore
uguale a quello della scala naturale. Il 14° armonico (si ♭) forma con l'ottavo un intervallo di 7ª minore
che è di poco inferiore al corrispondente intervallo
delle scale naturale e pitagorica. Di questo armonico, Rossini (Fanfara di Caccia) e Verdi (Otello) si sono serviti con bell'effetto. L'11° e 13° armonico non hanno riscontro nei suoni delle scale naturale e pitagorica: il primo è un quarto grado crescente e il secondo è un sesto grado calante. Questi suoni si possono ottenere negli strumenti capaci di produrre gli armonici (trombe a squillo, corni da caccia, ecc.), ma con cattivo effetto musicale. I suonatori di corno li correggono introducendo una mano nel padiglione dello strumento, per modificare la lunghezza della colonna d'aria vibrante.
Osservando la figura a pag. 1017 è possibile rendersi conto ocularmente delle differenze e analogie delle quattro scale finora considerate.
Scala cinese. - La scala primitivamente usata nell'antica Cina, e base di molte melodie ancor oggi in uso, è una scala pentafonica, i cui suoni derivano da una serie di quattro quinte e sono pertanto suoni pitagorici. Partendo da un fa e sovrapponendo quattro quinte si ha:
Trasportando nell'ambito di un'ottava, avremo la seguente scala pentafonica:
Con l'aggiunta di altre due quinte,
si ottengono i due semitoni, chiamati pien, l'intermediario (mi) e la guida o sensibile (si), che, intercalati ai suoni della scala pentafonica, dànno luogo alla seguente scala eptafonica, venuta in uso più tardi (attribuita al principe Tsai Ju, 1500 a. C.), ma sempre antichissima:
La scala cinese eptafonica equivale alla scala pitagorica diatonica nella quale il primo semitono sia spostato dal terzo al quarto grado (modo ipolidio dei Greci). Ciò produce la singolarità dell'intervallo di tritono o quarta aumentata (fa-si) rappresentato dal rapporto
il famoso diabolus in musica del Medioevo.
I Cinesi conoscono la divisione dell'ottava in 12 semitoni cromatici (lü), ottenuta con la sovrapposizione di undici quinte (suoni pitagorici):
La più singolare differenza tra la scala cinese e le scale pitagorica e naturale è data dal fatto che nella scala cinese manca il suono in rapporto di quarta
col fondamentale.
Scale di cinque gradi (mancanti degl'intervalli di semitono) si trovano, oltre che nell'Estremo Oriente (Cina), anche in antiche melodie di popoli dell'Asia occidentale e del nord dell'Europa (Scozzesi); come fu di cinque suoni la primitiva scala dei Greci.
Scala indù. - La scala indiana si compone di 7 suoni detti swara, e si chiama pertanto swaragrāma o septaka, che non hanno riscontro tra i suoni pitagorici, né tra quelli delle scale naturale e temperata, provenendo da una divisione dell'ottava in 22 parti proporzionali, rappresentate dal rapporto ²%²√−2, analogamente a quanto avviene per la scala temperata. La scala di 7 gradi comprende toni grandi, di
di ottava, toni piccoli, di
di ottava, e semitoni, di
di ottava; ed è formata con i gradi 1, 5, 8, 10, 14, 18 e 21 della suddetta divisione in 22 parti proporzionali. Musica basata su tale scala deve certo produrre un bizzarro effetto, pur osservando, come risulta chiaramente dalla tabella a pag. 1017, che i sette suoni della scala indù non si discostano troppo da quelli delle scale naturale, temperata e pitagorica, e se non è lecito supporre che i suonatori indiani non si allontanino dalla loro teoria musicale, servendosi involontariamente di suoni naturali o pitagorici, che sono certo molto più spontanei. In detta tabella sono messi a fronte i valori, ridotti a numeri decimali, dei suoni delle scale indù, naturale, temperata e pitagorica.
Scala arabo-persiana. - La divisione dell'ottava in 17 parti, praticata dagli arabi fino dai più antichi tempi, ha, come quella in 22 parti degl'indiani, valore più teorico che pratico, né sul modo di tale divisione sono d'accordo i teorici, sia antichi sia moderni. (Vedere in proposito arabi, III, pp. 870 segg.).
Per tipi di scale moderne, formate con successioni varie di suoni pitagorici temperati, e poste a base di singole composizioni o predilette da alcuni compositori, v. scala.
Rappresentazione matematica dei suoni. - Il sistema più logico di rappresentazione dei suoni per mezzo di numeri è quello di indicarli con i rispettivi numeri di vibrazioni e con i rapporti di detti numeri rispetto al numero di vibrazioni del suono fondamentale, espressi in forma di frazioni. A volte conviene, quando si vogliano confrontare le altezze di più suoni, trasformare le frazioni in numeri decimali, con i quali è possibile fare i confronti per differenza.
Allo scopo di rendere lo studio matematico dei suoni ancora più facile si è pensato d'indicare il valore degl'intervalli non a mezzo di rapporti, ma a mezzo di misure riferite a un determinato intervallo, preso come unità. Già nel sec. XVII si è proposto di prendere come unità di misura
di ottava e questo piccolissimo intervallo ha preso il nome del fisico Savart e viene indicato con la lettera greca σ. La divisione dell'ottava in savart s'ottiene calcolando i logaritmi decimali corrispondenti ai numeri di vibrazioni dei due suoni estremi di una qualsiasi ottava, o dei loro rapporti, e facendone la differenza. Questa differenza, moltiplicata per 1000 è uguale a 301. Si è giustamente osservato che si procura sempre di prendere come unità di misura, in un qualsiasi sistema di misurazione, una delle entità misurabili appartenenti al fenomeno studiato, mentre il savart è un intervallo convenzionale, estraneo ai fenomeni acustici. Lo stesso appunto si può fare alla divisione proposta dall'inglese Ellis, il quale considerò come unità di misura la centesima parte (cent) di un semitono temperato, dimodoché l'ottava contiene 1200 cent.
Più logico è il prendere come unità di misura l'ottava, intervallo fisso in tutti i sistemi musicali, o il comma
che è, come abbiamo veduto, il più piccolo intervallo musicalmente apprezzabile. Servendosi dei logaritmi è possibile abbassare di un grado le operazioni numeriche, ossia trasformare una moltiplicazione in semplice addizione, una divisione in sottrazione, ecc.
Quando poi si usino logaritmi aventi per base il rapporto dell'intervallo che si vuol prendere come unità di misura, le differenze dei logaritmi in tale base dànno subito la misura dell'intervallo riferita all'unità base. Infatti, indicando con M il rapporto dell'intervallo scelto come unità (ottava o comma) e con n il numero di unità comprese in un intervallo qualsiasi I, per quanto già sappiamo I = Mn; ma, per la definizione stessa di logaritmo, n è il logaritmo di I nella base M. Possiamo pertanto concludere che il logaritmo di un intervallo, calcolato nel sistema che ha per base la prescelta unità di misura, è proprio la misura dell'intervallo. Per calcolare un logaritmo di un numero in una base qualsiasi, basta dividere il logaritmo dello stesso numero a base 10 (che si trova in una delle numerose tavole già calcolate) per il logaritmo a base 10 del numero che deve servire come nuova base. Il fisico Delezenne ha calcolato (1857) i logaritmi dei numeri da 1 a 1200, prendendo per base il rapporto di comma
e li ha chiamati logaritmi acustici; ma poiché il logaritmo a base 10 di
è uguale a 0,00540, ognuno potrà facilmente calcolare i logaritmi acustici, dividendo per tale numero i logaritmi decimali. Calcolando i logaritmi a base 2 (log 2 = 0,30103), che è il rapporto di ottava, si ha il vantaggio che rimangono inalterate le mantisse nelle varie ottave successive e quindi, calcolati i logaritmi dei suoni di un'ottava, per ottenere quelli di tutte le altre ottave basta cambiare la caratteristica. I logaritmi a base ¹%²√−2 (log ¹%²√−2 = 1,05946) dànno, per i 12 semitoni della scala cromatica temperata, la serie dei numeri interi da 0 a 12. Prendendo come base il rapporto di quinta
i logaritmi dei suoni pitagorici, da re ♭♭ a si × (v. tabella a p. 1014), sono rappresentati dalla serie di numeri interi − 15, − 14, ..., − 2, −1, 0, 1, 2, ..., 18, 19.
Nella tabella che segue diamo i logaritmi a base 10, a base 2 e a base
dei suoni di tutta la gamma musicale, specificando quelli dei suoni diatonici pitagorici delle due ottave centrali.
La differenza dei logaritmi acustici delle due note estreme d'un intervallo dà la misura di quell'intervallo in comma; ossia indica il numero dei comma contenuti nell'intervallo. L'intervallo di ottava contiene 55 comma e 74861 centomillesimi di comma; l'intervallo di tono pitagorico
ne contiene 9,47324 e l'intervallo di semitono diatonico
ne contiene 4,19121.
Le differenze dei logaritmi a base 2 dànno invece le frazioni di ottava contenute nei varî intervalli.
Suoni di combinazione. - Due suoni di differente altezza, emessi in vicinanza l'uno dell'altro, e la cui emissione si mantenga regolare sufficientemente a lungo, dànno luogo ai suoni di combinazione o suoni risultanti. Si produce, anzitutto, un terzo suono, il cui numero di vibrazioni è eguale alla differenza dei numeri di vibrazioni dei due suoni concomitanti. È questo il suono differenziale, o suono risultante al grave, o terzo suono di Tartini. Esso fu scoperto e studiato da Giuseppe Tartini (1714) ed è il più sensibile dei varî suoni di combinazione. Due suoni a distanza di ottava dànno luogo all'ottava bassa; due suoni a distanza di quinta dànno luogo anch'essi all'ottava bassa; due suoni a distanza di terza minore dànno luogo alla decima bassa; e così di seguito.
Secondo una teoria ormai abbandonata, il suono differenziale non è che la conseguenza della fusione dei battimenti, i quali, quando sono superiori a 30 circa al secondo, si percepiscono come un suono continuo e determinato. Ma il Helmholtz li spiega, servendosi dell'analisi matematica, con l'annullamento della legge della sovrapposizione dei piccoli movimenti, così che un terzo sistema di vibrazioni, corrispondente al suono differenziale, si genera e propaga nell'aria.
Dal Helmholtz è stato anche scoperto e studiato il suono addizionale o risultante all'acuto, il cui numero di vibrazioni è la somma di quelli dei due suoni componenti. Questi suoni di Helmholtz sono assai più deboli e difficili a percepirsi di quel che non siano i suoni di Tartini.
Più sensibili sono i suoni di moltiplicazione, studiati dal fisico Öttingen, il cui numero di vibrazioni è dato dal prodotto dei numeri di vibrazioni dei suoni componenti.
Per altre questioni riguardanti più o meno l'acustica musicale, v.: armonico; battimenti; corista; diapason; interferenza e diffrazione; onde; oscillazioni e vibrazioni; pendolo; temperamento; timbro.
Bibl.: H. von Helmholtz, Lehre von Tonempfindungen als physiologische Grundlage für die Theorie der Musik, Brunsnwick 1863; C. Stumpf e K. L. Schäfer, Tontabellen, enth. die Schwingungszahlen der 12-stuf. temperirten und der 25-stuf. enharmon. Leiter auf C innheralb 10 Octaven in 3 Stimmungen, Lipsia 1901; L. Boutroux, La génération de la gamme diatonique, Parigi 1900; M. Gandillot, Essai sur la gamme, ivi 1906; P. C. Buck, Acoustics for Musicians, Oxford 1918; P. Blaserna, Teoria del suono nei suoi rapporti con la musica, Milano 1875; A. Tacchinardi, Acustica musicale, ivi 1912; K. L. Schäfer, Musikalische Akustik, 1919; R. Giraldi, Elementi di acustica musicale, Roma 1929; C. Gariel, Acoustique musicale, in Lavignac, Encyclopédie de la musique, 2ª parte, I, Parigi 1925; O. Chilesotti, L'evoluzione della musica, Torino 1911.