SUPERFICIE (fr. surface; sp. superficie; ted. Fläche; ingl. surface)
1. Il concetto generale di superficie (gr. ἐπιϕάνεια; in Platone è adoperato promiscuamente ἐπίπεδον nel significato di superficie e di piano) si trova appena sfiorato dagli antichi Greci, come quello di un ente che ha solo lunghezza e larghezza (Euclide), o del limite di un corpo (Erone), o in base alla possibilità di generare una superficie mediante il movimento di una linea (Erone). L'idea di superficie è rimasta del resto per molto tempo quella della superficie di un corpo solido; così ancora in Eulero il primo capitolo della Appendix de superficiebus con cui si chiude la Introductio in Analysin infinitorum s'intitola De superficiebus corporum, e la memoria dedicata alle superficie che si possono distendere sul piano porta il titolo De solidis quorum superficiem in planum explicare licet. Una nozione affatto autonoma della superficie si affermerà solo con C. F. Gauss, quando nelle sue Disquisitiones generales circa superficies curvas (1828) egli concepirà la superficie non tamquam limes solidi, sed tamquam solidum cuius dimensio una pro evanescente habetur. Quella concezione primitiva della superficie appare del resto anche attraverso il nome stesso di superficies, o a quello - parimenti usato - di summitas. Ombre e colori sono indicati da Erone come cose che ci possiamo rappresentare quali superficie, "motivo per cui i Pitagorici chiamavano colori (χρόα) anche le superficie".
Senza occuparci qui delle ipotesi sul contenuto dei Luoghi superficiali (Τόποι πρὸς ἐπιϕάνειαν) di Euclide, né su altre congetture, citiamo fra le superficie particolari che i Greci hanno conosciuto, oltre a quelle che compaiono già nella geometria elementare (piano, sfera, cono e cilindro di rotazione, ecc.), i "conoidi e sferoidi" studiati da Archimede, cioè le superficie descritte dalla rotazione di una conica intorno a un suo asse (v. quadriche) e il toro, superficie generata dalla rotazione di un cerchio intorno a una retta giacente nel suo piano: un caso particolare del toro compare sostanzialmente già nella risoluzione del problema di Delo da parte di Archita di Taranto (v. geometria, n. 7). Per il caso del toro si trova in Erone quella che poi si chiamerà la regola di Guldino per valutare il volume racchiuso in un solido di rotazione (prodotto dell'area racchiusa entro una sezione meridiana - sezione prodotta da un semipiano uscente dalla retta asse di rotazione - per la circonferenza descritta, durante la rotazione, dal baricentro della stessa sezione meridiana); il caso di una superficie di rotazione qualsiasi si trova in Pappo. Da ricordare è anche la superficie che oggi si chiama elicoide conoide retto, superficie della vite a filetto rettangolare, ottenuta (fig. 1) conducendo per ogni punto di un'elica circolare la retta perpendicolare all'asse a dell'elica (o, ciò che è lo stesso, descritta in un moto elicoidale di asse a da una retta perpendicolare alla stessa a), la quale non solo si offriva alla considerazione appunto come superficie della vite, ma è stata adoperata per ricavarne, mediante un'opportuna proiezione ortogonale di una sua sezione piana, quella curva, cui si è ricorso per la rettificazione della circonferenza e che è nota sotto il nome di quadratrice di Dinostrato (v. dinostrato; quadratrici, curve). Anche superficie cilindriche generali, cioè aventi sezioni rette diverse dal cerchio, sono state considerate dai Greci: così Pappo, nella stessa occasione in cui si serve dell'elicoide conoide retto, ricorre anche a un cilindro avente per sezione retta una spirale di Archimede.
2. Il concetto fondamentale dell'equazione di una superficie (v. coordinate, n. 15), cioè di un legame:
fra le tre coordinate cartesiane ortogonali x, y, z di un punto dello spazio, mediante il quale legame restano caratterizzati i punti appartenenti a una data superficie, compare pubblicamente per la prima volta nel 1700 ad opera di A. Parent, il quale scrisse l'equazione di una sfera e quella di altre superficie:
dove a denota una costante, e ne studiò le linee sezioni con piani paralleli ai piani coordinati.
I. Le superficie nella geometria differenziale.
3. Secondo l'indirizzo classico - al quale qui ci atterremo - le superficie nella geometria differenziale vanno considerate soltanto limitatamente a una loro regione o pezzo abbastanza piccolo (contrariamente a quanto avviene nella geometria algebrica); non mancano tuttavia accanto alle proprietà di geometria differenziale "in piccolo" altre che appartengono alla geometria differenziale "in grande", dove una superficie è considerata nella sua integrità. Inoltre, secondo il medesimo indirizzo, qui sarà considerata quasi esclusivamente la geometria differenziale metrica (v. geometria, n. 39). Alcune poche nozioni fra quelle qui considerate (p. es., tangenti coniugate e tangenti asintotiche [n. 9], sistemi coniugati, linee asintotiche [n. 10]) appartengono alla geometria differenziale proiettiva o (p. es., superficie di traslazione [n. 16]) a quella affine. Per questi altri indirizzi ci limitiamo a rinviare a geometria, n. 41.
4. Soltanto assai più tardi della (1) sono entrate nell'uso le cosiddette equazioni parametriche di una superficie S: esse si ottengono esprimendo le tre coordinate cartesiane ortogonali x, y, z di un punto come funzioni di due variabili, o parametri, u, v:
Per v fissato, le equazioni precedenti rappresentano parametricamente una linea λ, e al variare di v questa linea λ varia descrivendo una superficie S. Si hanno anzitutto certe restrizioni per le funzioni f, g, h, affinché non avvenga che la linea λ si riduca ad un punto, né che essa resti invariata al variare di v, nel qual caso le (2) sarebbero equazioni parametriche non più di una superficie, bensì di una linea. Restringendo poi opportunamente il campo di variabilità delle u, v, si può ottenere che vi sia corrispondenza biunivoca tra i punti P della superficie e le coppie di valori delle u, v; le quali appaiono così come vere e proprie coordinate dei punti P della S. Esse si chiamano anche coordinate curvilinee; il loro uso sistematico incomincia con Gauss; ma esse si trovano già in Eulero (1770). Le coordinate curvilinee mettono in evidenza sulla superficie S un sistema semplicemente infinito (o ∞1) di linee, lungo ciascuna delle quali si mantiene costante, p. es., la v (si chiamano linee v = cost., o anche linee u), e un analogo sistema ∞1 di linee v (u = cost.). Per esempio le equazioni parametriche:
rappresentano una superficie di rotazione intorno all'asse z; le linee u e le linee v sono rispettivamente i meridiani e i paralleli (cerchi contenuti in piani perpendicolari all'asse di rotazione e col centro su questo asse, descritti dai singoli punti della superficie durante la rotazione); u è il raggio del parallelo e v la longitudine del punto corrente sulla superficie.
Molto spesso si rappresenta una superficie con un'equazione cartesiana risolta, p. es., rispetto alla z:
la quale si può anche far rientrare fra le equazioni parametriche, ove si facciano coincidere i parametri u e v rispettivamente con la x e con la y: adoperando la (4) porremo secondo l'uso (cosiddette "notazioni del Monge"):
Un'equazione fra le coordinate curvilinee u e v: ϕ (u, v) = 0 rappresenta una linea tracciata sulla superficie S; e se tale equazione contiene ulteriormente un parametro k arbitrario, ϕ (u, v, k) = 0, essa rappresenta un sistema continuo ∞1 di linee esistenti sulla superficie. Più in generale si può considerare un'equazione fra u e v contenente parecchi parametri arbitrarî.
Un esempio che s'incontra di frequente è questo: sia data un'equazione differenziale ordinaria del 1° ordine fra u e v, per es., risoluta rispetto alla derivata dv/du e quindi della forma
Integrando quest'equazione si ricava appunto un'equazione del tipo ϕ (u, v, k) = 0 con k costante arbitraria, e conseguentemente un sistema ∞1 di linee esistenti sopra la superficie S. In questo senso si dice che l'equazione differenziale (5) rappresenta un sistema ∞1 di linee sopra la superficie; e dai teoremi sulle equazioni differenziali (v. equazioni, n. 9) segue che di tali linee ne passa una per ogni punto della superficie. Perciò se per ogni punto della superficie si prefissa una retta tangente t, il che equivale a prefissare il valore di dv/du in funzione di u, v, nasce sulla superficie S un sistema ∞1 di linee che in ogni loro punto ammettono come retta tangente una di quelle rette prefissate t, cioè di linee inviluppate dalle rette tangenti t. Per esempio, se su una superficie si fissa un sistema ∞1 di linee, la ricerca delle loro ∞1 traiettorie ortogonali, linee che incontrano dappertutto ad angolo retto le ∞1 linee date, si eseguisce proprio mediante l'integrazione di un'equazione del tipo (5). Se invece l'equazione differenziale è del 2° ordine, e risoluta rispetto alla derivata seconda d2v/du2, vi sono ∞2 linee da essa rappresentate: per ogni punto della superficie, e con una tangente prefissata, ne passa una. Se poi l'equazione differenziale è ancora del 1° ordine, ma di 2° grado nella derivata dv/du, vale a dire è del tipo
dove α (u, v), β (u, v) sono funzioni di u, v, si dovrà risolvere questa equazione di secondo grado rispetto a dv/du: se l'equazione ha due radici reali e distinte, vale a dire se α2 > 4β, essa equivale all'una o all'altra di due equazioni del tipo (5): perciò da ogni punto della superficie, dove sussiste la disuguaglianza α2 > 4β, escono due distinte linee lungo le quali vale la (6). Questa rappresenta perciò un doppio sistema ∞1 di linee della superficie. Se della superficie (in quanto analitica; cfr. il n. 9) si considerano anche i punti immaginarî, il risultato si estende anche ai punti dove vale invece la disuguaglianza opposta α2 〈 4β. Un esempio notevole si ha nella ricerca delle linee di lunghezza nulla o linee isotrope della superficie (reale, analitica) S: sono le linee immaginarie tracciate sulla S, le cui tangenti sono tutte rette isotrope (rette immaginarie, ciascuna delle quali è perpendicolare a sé stessa, cioè incontra il piano all'infinito in un punto del cerchio assoluto x2 + y2 + z2 = 0; v. ciclici, punti): queste linee costituiscono appunto un doppio sistema che - se si adotta per la superficie la rappresentazione (4) - è definito dall'equazione di tipo (6)
dove, secondo le notazioni del Monge, si è posto p = ∂z/∂x, q = ∂z/∂y.
5. Indipendentemente dal Parent, il concetto dell'equazione di una superficie è maturato intorno al 1700 in relazione col problema delle linee geodetiche, vale a dire delle linee più brevi che si possono tracciare su una data superficie per congiungere coppie di punti assegnati (v. geodetiche, linee). Si era allora agli albori del calcolo delle variazioni, e Giovanni Bernoulli propose appunto il problema della determinazione delle geodetiche, dapprima per le superficie di rotazione, e poi per una superficie qualsiasi; attraverso le ricerche dirette alla risoluzione di questo problema maturarono varî concetti relativi alle superficie, e in particolare quello dell'equazione stessa della superficie, equazione la cui conoscenza era presupposta per scrivere l'equazione differenziale delle geodetiche.
Le geodetiche esistenti su una data superficie godono di una proprietà fondamentale, della quale possiamo renderci ragione così. Su una superficie piana, dove le linee geodetiche sono evidentemente le rette, si giunge a materializzare una di queste linee con i procedimenti in uso nella topografia, se si collocano dei picchetti in due punti A, B e successivamente altri picchetti in punti successivi C, D, ecc., in modo che per un osservatore disposto in A il picchetto uscente da B nasconda C, e così via. Orbene, se si ripete questo stesso procedimento prendendo su una superficie qualunque S il punto A, e poi il punto B prossimo ad A, e così poi i punti C, D, ecc., vicini fra loro, e con la medesima legge ora indicata relativa ai picchetti uscenti da questi punti, i punti A, B, C, D, ecc., risultano effettivamente situati, approssimativamente, su una linea geodetica uscente dal punto A. Il contenuto di questa osservazione si enuncia in modo preciso tenendo presente che i picchetti considerati sono "normali" o "perpendicolari" alla superficie S, e che ognuno di quei picchetti risulta, in base alla legge secondo la quale furono disposti i picchetti stessi, situato in un piano col punto precedente e col punto seguente; perciò passando al limite, quando i punti A, B, C, D, ecc., si avvicinano indefinitamente tra loro, una linea geodetica viene a godere della proprietà che il piano ad essa osculatore in un suo punto qualunque P, piano passante per quel punto e per altri due ad esso prossimi della linea stessa (per la definizione precisa, v. curve, n. 4), contiene la retta normale alla superficie nel punto P; cioè, come si dice, è normale alla superficie. Questa proprietà geometrica fondamentale delle geodetiche era già nota a Giovanni Bernoulli, attraverso alla realizzazione di una geodetica come filo teso fra due punti di una superficie materiale liscia, dove per l'equilibrio del filo deve appunto il piano osculatore risultare normale alla superficie.
Nella proprietà precedente si considera dunque la retta normale a una superficie in un suo punto generico, vale a dire la retta condotta per P perpendicolarmente al piano tangente alla superficie nel punto P. Queste due nozioni, sostanzialmente equivalenti, sono entrate nella geometria prima di venire definite con precisione: p. es., nella stessa occasione ora ricordata, e a proposito delle leggi della rifrazione.
La nozione esatta di piano tangente alla superficie S nel punto P è risultata quando si è visto che conducendo sulla superficie una linea generica L passante per P e poi la sua retta tangente nel punto P, al variare della L questa retta tangente appartiene costantemente a un piano fisso, che si può appunto definire come il piano tangente alla superficie nel punto P (Eulero, A.-C. Clairaut, C. Dupin). Il piano tangente è anche stato definito altrimenti, facendo capo in sostanza a quel passo degli Elementi di Euclide, dove - dopo che è stata definita la retta tangente a un cerchio in un suo punto come la retta che non ha ulteriori punti in comune col cerchio - si osserva che non esiste nessun'altra retta che corra fra la tangente così definita e la circonferenza. Analogamente Lagrange ha definito il piano tangente alla superficie S nel punto P come un piano uscente da P e tale che (almeno in prossimità di P) non passi nessun altro piano fra esso e la superficie.
Se la superficie è data mediante la (1), o le (2), o la (4), il piano tangente ad essa nel punto P (x0, y0, z0) ha rispettivamente le equazioni:
dove, in ogni caso, le X, Y, Z sono coordinate correnti e le derivate vanno sempre calcolate nel punto P.
In generale, un piano tangente a una superficie in un suo punto generico P non è più tangente alla superficie in altri punti. Vi sono però delle superficie per le quali ogni loro piano tangente è tale, anziché in un solo punto, addirittura in tutti i punti di una linea, cosicché i piani tangenti si riducono da ∞2 a soli ∞1. Ciò avviene, per es., per il cono e il cilindro della geometria elementare, e più generalmente soltanto nei seguenti due casi: a) per ogni cono o cilindro, cioè per la superficie ottenuta come luogo della retta congiungente un punto fisso, proprio o improprio secondoché si tratta di un cono o di un cilindro, con i singoli punti di una linea L; b) per ogni superficie ottenuta come luogo delle rette tangenti a una linea sghemba L. Nei due casi la superficie è una particolare superficie rigata (superficie descritta da una retta mobile, che si chiama generatrice della rigata), e il piano tangente è lo stesso al variare del punto P su una generatrice. Le superficie a) e b) si chiamano superficie sviluppabili, perché esse (ed esse sole), immaginate come veli flessibili ed inestensibili, si possono distendere, almeno in un loro tratto convenientemente limitato, sopra una superficie piana (ciò che non sarebbe possibile, per es., per la sfera). Dal punto di vista intuitivo una superficie sviluppabile va pensata come una superficie rigata di cui due generatrici "infinitamente vicine" sono fra loro incidenti. Una superficie rigata non sviluppabile si chiama sghemba, in quanto una sua generatrice generica e una sua "infinitamente vicina" vanno considerate come fra loro sghembe.
Tornando alle geodetiche, la proprietà prima enunciata sussiste lungo ogni linea geodetica; il suo verificarsi lungo una linea non è però ancora sufficiente perché questa segni effettivamente il cammino di lunghezza minima sulla superficie fra due punti qualunque della linea stessa: la proprietà risulta tuttavia sufficiente ove l'arco di linea che si considera non esca da una regione abbastanza piccola della superficie S. Una differenza concettualmente importante fra i due modi di considerare una geodetica è poi questa: la proprietà di segnare sulla superficie fra due certi punti il cammino di lunghezza minima è una proprietà interna per la superficie, nella quale cioè i punti dello spazio ambiente situati fuori della superficie non intervengono in alcun modo, mentre la proprietà relativa al comportamento del piano osculatore è una proprietà esterna, nella quale interviene in modo essenziale lo spazio ambiente.
La considerazione intuitiva dei picchetti a cui sopra si è accennato lascia prevedere, e risulta che è così effettivamente, che da ogni punto generico P della superficie S escono infinite geodetiche, e precisamente che ne esce una in ognuna delle direzioni superficiali uscenti dal punto P.
La ragione consiste in ciò che la totalità delle geodetiche è rappresentata (n. 4) da un'equazione differenziale risoluta rispetto a d2v/du2, precisamente dalla
dove le quantità indicate tra {} sono i cosiddetti simboli del Christoffel (n. 12; v. anche christoffel).
Esempî di linee geodetiche: su una sfera sono i cerchi massimi; su un cilindro qualunque sono le linee che, quando il cilindro si sviluppa su un piano, diventano segmenti di retta, e quindi sono, per es., eliche circolari sul cilindro circolare. Più in generale, su una qualsiasi superficie sviluppabile le geodetiche sono le linee che si adagiano secondo rette sul piano ove si sviluppi la superficie. Su una superficie di rotazione qualunque l'andamento delle linee geodetiche è dominato dal teorema del Clairaut: lungo ogni geodetica di una tale superficie è costante il prodotto r cos α, dove r è il raggio del parallelo passante per un punto della linea e α è l'angolo della linea con lo stesso parallelo. Per altre notizie sulle geodetiche, v. geodetiche, linee.
6. Ad Eulero (1760) sono dovute le prime considerazioni generali sulla curvatura della superficie. Egli ha concepito la curvatura della superficie in un suo punto P come l'insieme delle curvature (v. curvatura) nello stesso punto P delle infinite linee piane che si ottengono tagliando la superficie con i piani ad essa normali in P (sezioni nomiali): al variare della sezione normale, il suo raggio di curvatura R in P varia secondo la formula:
dove R1, R2 sono i valori estremi di R (corrispondenti alle sezioni normali principali; raggi principali di curvatura nel punto P), e ϕ è l'angolo che il piano della sezione normale forma col primo di questi piani. La conoscenza di R1 e R2 permette quindi di determinare la curvatura di ogni sezione normale.
J.-M.-C. Meusnier (1776) ha data un'immagine più sintetica della curvatura insegnando a sostituire alla superficie S, in prossimità del punto P, una superficie di tipo elementare dotata nel punto P della medesima curvatura, superficie che si può, p. es. generalmente supporre un toro, dove più precisamente P sia un punto del suo equatore (parallelo massimo) oppure del suo cerchio di gola (parallelo minimo); inoltre egli ha assegnata una formula che serve per ridurre il calcolo del raggio di curvatura in P (sia ρ) di qualsiasi curva C tracciata sulla superficie, anche se non è una sezione normale, a quello, R, della sezione normale tangente alla C in P, trovando ρ = R cos ϑ, dove ϑ è l'angolo compreso fra il piano di questa sezione normale e il piano osculatore alla linea C nel punto P. L'andamento della superficie S nel punto P dipende profondamente dalla distribuzione dei valori dei raggi di curvatura R delle sezioni normali, cioè, secondo la (8), dai valori di R1 e di R2: se R1 e R2, e quindi tutti i valori di R, sono dello stesso segno, cioè se le sezioni normali volgono tutte la convessità da una stessa parte del piano tangente, la superficie in prossimità di P è tutta dalla stessa parte del piano tangente (caso in cui nel modello di Meusnier P sta sull'equatore); se R1 e R2 hanno segni opposti, e quindi di quelle sezioni normali alcune volgono la convessità da una parte e altre dall'altra parte del piano tangente in P (come in un punto del cerchio di gola di un toro), la superficie è attraversata nel punto P dal suo piano tangente. Nei due casi il punto P si chiama rispettivamente ellittico o iperbolico. È anche possibile un caso intermedio; il caso del punto parabolico, che si ha quando uno dei valori di R1, R2 diventa infinito (tale, p. es., è ogni punto generico di un cono, o più generalmente di una qualsiasi sviluppabile). Un caso particolare di punto ellittico si ha quando R1 = R2, cosicché tutti i valori di R dati dalla (8) sono eguali fra loro: il punto si chiama allora un ombelico (tale è, per es., ogni punto di una superficie sferica).
7. La teoria della curvatura ha conseguito progressi essenziali con il Gauss. Questi, guidato dal procedimento abituale nell'astronomia di rappresentare sulla sfera celeste le varie direzioni come intersezioni di questa con semirette parallele alle direzioni stesse e uscenti dal centro della sfera, ha introdotto per una superficie S la immagine sferica su una sfera σ di raggio unitario e di centro O, associando a ogni punto P della superficie S il punto P′ della sfera σ, ottenuto come intersezione di questa con un raggio parallelo alla retta n normale alla S nel punto P (orientata per continuità al variare del punto P sulla S). Se la superficie S è piana, le normali n sono tutte parallele fra loro, e tutti i punti P hanno uno stesso punto P′ come immagine sferica. Perciò s'intuisce che, quanto meno il pezzo della superficie S considerata si allontana da un piano, tanto più piccola sarà la corrispondente parte della superficie sferica ottenuta come immagine. Il Gauss ha dato forma precisa a questa nozione, sostanzialmente così. Limitiamoci a considerare della superficie S un piccolo pezzo intorno al punto P, racchiudente un'area a, e insieme con esso la corrispondente area a′ dell'immagine sferica (l'area a′ è chiamata dal Gauss la curvatura totale del pezzo considerato della superficie S); il limite del rapporto dell'area a′ all'area a (che risulta con un segno determinato), quando quest'ultima si contrae infinitamente intorno al punto P, è chiamato dal Gauss curvatura totale della superficie S nel punto P. La curvatura totale K risulta legata ai due raggi principali di curvatura nello stesso punto (n. 6) dalla relazione:
La conoscenza di K, pure non potendo equivalere completamente alla conoscenza di R1e R2, dà già un'idea, secondo quanto precede assai esatta, del maggior o minor discostarsi da un piano della superficie S in prossimità di P (p. es., l'essere K 〈 0, K = 0, K > 0 caratterizza rispettivamente i punti iperbolici, parabolici, ellittici). Il Gauss, più in generale, ha anche insegnato a calcolare la curvatura totale di un pezzo qualunque (finito) della superficie S. Per es., per un triangolo geodetico ABC, formato da tre punti A, B, C come vertici e da tre archi di geodetiche (n. 5) che li congiungono a due a due, la curvatura totale risulta data dall'eccesso su π della somma A + B + C dei tre angoli del triangolo geodetico ABC. Più in generale, v. al n. 13 la formula di Gauss-Bonnet.
8. Da quanto precede segue una proprietà fondamentale della curvatura totale di una superficie S in un punto P. Al n. 5 si è già accennato alle superficie sviluppabili che, immaginate come veli flessibili e inestensibili, si possono distendere o applicare o flettere su una superficie piana. Più in generale, una superficie qualunque S, immaginata parimenti come un velo flessibile e inestensibile, si può deformare, cioè distendere o applicare o flettere su altre convenienti superficie S′ e in tal caso le superficie S ed S′ si dicono applicabili l'una sulle altre. La concezione della superficie come deformabile ha assunto un'importanza fondamentale con l'opera del Gauss. Delle proprietà della superficie S alcune si conservano, altre no, quando le si sostituisce una qualsiasi superficie applicabile S′: p. es., si conservano evidentemente le lunghezze delle linee tracciate sulla superficie, gli angoli che due di queste linee racchiudono fra loro, le aree limitate da una linea chiusa, ecc. Questi sono altrettanti esempî di nozioni pertinenti a una superficie e invarianti per flessioni o per applicabilità. La concezione di una superficie secondo il Gauss è precisamente quella di una superficie flessibile, e le proprietà delle superficie che hanno rilievo nel Gauss sono quelle invarianti per deformazioni. Ciò è ben naturale nel Gauss presso il quale la teoria della superficie è maturata a contatto dei problemi della geodesia; il problema di ricostruire, in quanto è possibile, le proprietà geometriche di una superficie (p. es., terrestre) a partire da misurazioni eseguite sulla medesima impone appunto la limitazione alle proprietà invarianti per deformazioni. Anche la nozione di linea geodetica (n. 5) è invariante per flessioni, come è ovvio considerandola come cammino minimo (la proprietà interna del n. 5); quindi anche quella di triangolo geodetico e inoltre la curvatura totale di questo (valutata come si è detto alla fine del numero precedente). Perciò se, come nel numero precedente, si definisce la curvatura totale K della superficie S nel punto P come limite del rapporto a′/a, dove si può supporre che il pezzo di superficie che si contrae nel punto P sia costantemente un triangolo geodetico, ne segue la proprietà fondamentale della curvatura totale in un punto, di essere invariante per flessioni della superficie.
Non sono invece invarianti per applicabilità altre espressioni formate mediante R1 e R2, che hanno pure ricevuto il nome di curvature, fra le quali la più importante (anche in alcune applicazioni) è la curvatura media nel punto P (da altri definita come la metà di questa espressione):
9. La distinzione fra i punti ellittici ed iperbolici (n. 6) riesce illuminata dalla considerazione dell'indicatrice di Dupin (1813): se su ogni retta tangente alla superficie S nel punto P si porta, a partire da P, nei due sensi, una distanza PM proporzionale alla radice quadrata del valore del raggio di curvatura R (preso positivamente) corrispondente alla retta tangente considerata, il luogo del punto M è un'indicatrice di Dupin. Se il punto P è ellittico, le indicatrici sono ellissi; se P è iperbolico, le indicatrici sono iperboli; nei due casi queste coniche hanno il punto P come centro, e come asse le tracce dei piani normali principali. Se della superficie S si fa una sezione con un piano parallelo al piano tangente in P e molto prossimo a P, la forma di questa sezione (naturalmente non la grandezza) è approssimata precisamente dall'indicatrice di Dupin.
Allo stesso Dupin è anche dovuta la teoria delle tangenti coniugate. Se P è un punto generico della superficie S, con piano tangente π, e P1, con piano tangente π1, è un punto della stessa superficie prossimo a P, quale relazione passa fra la retta congiungente PP1 e la retta intersezione ππ1 quando P1 tende a P? Se, per es., la superficie S è una sfera, quelle due rette sono evidentemente due rette tangenti nel punto P mutuamente perpendicolari (si pensi, p. es., a un punto P dell'equatore, al quale il punto P1 tenda lungo lo stesso equatore). Il risultato generale è questo: se P1 tende a P lungo una linea passante per il punto P con la retta tangente t, la retta t′ = lim ππ1 è una tangente in P dipendente soltanto dalla t; e precisamente (limitandoci al caso di un punto P non parabolico) la relazione fra t e t′ è scambievole e per di più proiettiva, cosicché in definitiva le due rette t e t′, tangenti in P, vengono a corrispondersi in una involuzione (v. geometria, n. 25) nel fascio di rette che ha per centro il punto P ed è situato nel piano π. Le rette t, t′ si dicono tangenti coniugate, e l'involuzione è quella delle tangenti coniugate; essa è ellittica o iperbolica secondo che tale è il punto P. Fra le tangenti coniugate nel punto P sono particolarmente notevoli le seguenti: a) tangenti coniugate fra loro e contemporaneamente perpendicolari (tangenti principali nel punto P; il termine da alcuni autori è invece adoperato per indicare quelle che qui chiameremo tangenti asintotiche); di tali tangenti ve ne è sempre una coppia, e anzi una sola, salvo che il punto P sia un ombelico, nel qual caso ogni tangente è principale (come avviene, p. es., in ogni punto di una sfera); b) tangenti coincidenti con la tangente coniugata (tangenti asintotiche); evidentemente esse si ottengono in corrispondenza a ogni raggio unito nella involuzione delle tangenti coniugate, cosicché se il punto P è iperbolico, vi sono in esso due tangenti asintotiche (le quali poi coincidono con gli asintoti dell'indicatrice di Dupin) e nessuna se il punto P è ellittico. Si possono però definire anche in questo caso le tangenti asintotiche come rette immaginarie. Ove poi il punto P sia parabolico, la retta t′ ottenuta a partire da una retta tangente generica t è sempre la stessa; le coppie di tangenti coniugate sono attualmente formate accoppiando la tangente fissa t′ con una tangente qualunque t; si ha una sola tangente asintotica, che è evidentemente la t′. Le tangenti asintotiche si differenziano dalle altre rette tangenti in P, perché queste vanno considerate come aventi a comune con la superficie un solo ulteriore punto infinitamente vicino (tangenti bipunte), e quelle invece due (tangenti tripunte). Ciò acquista un significato preciso se si studia l'intersezione della superficie S col piano π ad essa tangente in P; dal punto di vista intuitivo appare senz'altro l'esistenza di una linea intersezione λ uscente da P, se il punto P è iperbolico (p. es., sul cerchio di gola di un toro), mentre, se il punto P è ellittico, il fatto che la superficie, come si disse, in prossimità di P sta tutta da una stessa parte di π dice già che non esiste una linea intersezione passante per P (potendo o meno esistere tale linea "lontano" dal punto P). Ma si raggiunge una maggiore uniformità nel risultato, se si suppone che la superficie sia analitica, cioè sia rappresentata in prossimità del punto P - che si può supporre coincidente con l'origine - da un'equazione, p. es., del tipo (4) con f (x, y) sviluppabile, in prossimità di x = 0, y = 0, in serie di potenze delle due variabili x, y. Allora si possono considerare della superficie anche punti immaginarî, e si può sempre parlare di una linea λ, passante per P, sua intersezione col piano tangente π. Orbene, tale linea intersezione ha sempre nel punto P un punto multiplo e più precisamente in generale un punto doppio (v. curve, n. 3; singolarità), il quale è un punto doppio nodale, oppure cuspidale, oppure isolato, secondo che il punto P per la superficie S è iperbolico, o parabolico, o ellittico; le rette tangenti alla linea λ nel punto doppio P coincidono precisamente con le tangenti asintotiche (immaginarie nel caso del punto doppio isolato, cioè del punto ellittico per la superficie S).
10. Le tangenti principali di cui al numero precedente sono in stretta relazione con le linee di curvatura di una superficie, alle quali G. Monge (in Feuilles d'Analyse appliquée à la géometrie, anno 3° della Repubblica) è giunto con la seguente considerazione: se sulla superficie S è tracciata una linea L, e in ogni punto di questa si conduce la retta normale alla superficie, questa retta descrive una superficie rigata. In generale si tratta di una rigata sghemba (n. 5); se invece la rigata è sviluppabile, la linea L si chiama una linea di curvatura. La definizione risulta equivalente a quest'altra: L è una linea di curvatura se la retta tangente ad essa in ogni suo punto P è ivi una tangente principale (n. 9) della superficie S. Siccome in ogni punto P della superficie S, che non sia un ombelico, vi sono due tangenti principali, ognuna di queste, come si disse a proposito della (5) del n. 4, inviluppa un sistema ∞1 di curve. Perciò una superficie è ricoperta da due sistemi ∞1 di linee di curvatura. Fanno eccezione quelle superficie particolari, per le quali ogni punto è un ombelico, le quali però si riducono alla sfera e al piano; su queste le linee di curvatura sono indeterminate. Per es., su una superficie di rotazione le linee di curvatura di un sistema sono i paralleli (lungo uno dei quali le normali alla superficie di rotazione costituiscono un cono di rotazione, cioè una sviluppabile) e i meridiani (lungo cui le normali ricoprono addirittura un piano). Si può anche dire, secondo il modo intuitivo di considerare una superficie sviluppabile (n. 5), che la normale alla superficie S nel suo punto generico P è incontrata dalle rette normali in ciascuno di due punti infinitamente vicini (lungo ciascuna delle due linee di curvatura); i due punti d'incontro M1 e M2 si chiamano i due centri principali di curvatura relativi al punto P: essi non differiscono dai centri di curvatura delle due sezioni normali principali del n. 6, sicché le loro distanze da P risultano proprio i due raggi principali di curvatura R1 e R2 del n. 6. Quando il punto P descrive la superficie S, ciascuno dei due punti M1 e M2 descrive in generale una falda di superficie, che si chiama evoluta della superficie data: sono possibili varî casi particolari; per es., per una sfera evidentemente le due falde dell'evoluta si riducono entrambe ad un punto (il centro della sfera), mentre per altre superficie particolari si possono ridurre a linee, come per una superficie di rotazione, dove una falda dell'evoluta (quella ottenuta spostando il punto P sopra un parallelo) si riduce alla retta asse di rotazione.
La determinazione dei due sistemi di linee di curvatura su una data superficie dipende dall'integrazione di due equazioni differenziali ordinarie del 1° ordine del tipo (5). Vi è però un teorema di Dupin che permette spesso di determinare quelle linee senza nessuna integrazione: si abbia un sistema triplo ortogonale di superficie, costituito da tre famiglie ∞1 di superficie, tali che due superficie di famiglie diverse siano ortogonali, cioè si taglino (esse o, ciò che è lo stesso, i loro piani tangenti) ad angolo retto lungo le loro linee d'intersezione: allora secondo il teorema di Dupin su una superficie di ciascuna famiglia quelle delle altre due famiglie tagliano i due sistemi in linee di curvatura. Per es., si hanno così le linee di curvatura su un ellissoide
esso fa invero parte di una famiglia ∞1 di ellissoidi confocali, e siccome insieme con questa le due famiglie degl'iperboloidi a una falda e degl'iperboloidi a due falde confocali, tutte rappresentate, come quella degli ellissoidi, dall'equazione
al variare del parametro λ in opportuni intervalli costituiscono un sistema triplo ortogonale, segue che tali iperboloidi tagliano su quell'ellissoide appunto i due sistemi di linee di curvatura (v. quadriche). Nella fig. 2 si vedono alcune linee di curvatura di un ellissoide, appartenenti a uno stesso sistema, segate su di esso dagli iperboloidi a una falda confocali.
Le linee di curvatura sono un caso particolare dei sistemi di linee coniugati esistenti su una superficie: coppie di sistemi ∞1 tali che le tangenti alle linee dei due sistemi uscenti da un punto generico della superficie siano coniugate tra loro nel senso di Dupin (n. 9). La proprietà risulta poi equivalente a questa, che le rette tangenti alle ∞1 linee di un sistema nei singoli punti di una linea L dell'altro sistema formino una rigata sviluppabile (anziché sghemba). Questa superficie sviluppabile risulta già pienamente definita dalla linea L, per esempio come luogo delle rette intersezioni di ogni singolo piano tangente alla superficie S in un punto della linea L col piano analogo relativo al punto infinitamente vicino della medesima L: essa si chiama la sviluppabile circoscritta alla superficie S lungo la linea L, ed è particolarmente importante in molte questioni (per es., nel parallelismo di T. Levi-Civita, cfr. n. 15), in quanto - nell'impossibilità che si ha per una superficie S generica di svilupparla su un piano - essa dà almeno un modo ben determinato di fare questo sviluppo limitatamente ai punti situati sulla linea L e nelle sue immediate vicinanze. Di due sistemi coniugati l'uno si può dare ad arbitrio, e l'altro si determina allora mediante l'integrazione di un'equazione differenziale del tipo (5).
Altre curve particolari notevoli tracciate su una superficie S sono le sue asintotiche. Un'asintotica si definisce anzitutto come una linea tracciata sulla S, tale che la retta ad essa tangente in ogni suo punto coincida con una delle tangenti asintotiche della superficie (n. 9) nel punto stesso. Perciò un pezzo S di superficie che sia di punti iperbolici è ricoperto da due famiglie ∞1 di asintotiche. Invece una regione a punti ellittici non contiene asintotiche (se la superficie è analitica, si possono definire delle asintotiche immaginarie). La definizione risulta equivalente a quest'altra: una linea L tracciata sulla superficie S è un'asintotica di questa superficie, se (ove L non sia una retta) il piano osculatore alla L in ogni suo punto coincide col piano tangente alla superficie nello stesso punto, oppure anche se la linea L è una retta. Secondo una formula di E. Beltrami, in ogni punto di un'asintotica non retta la torsione 1/T di questa linea (v. curvatura) è legata alla curvatura totale K della superficie nel medesimo punto dalla relazione 1/T = ± √K.
Esempî di asintotiche: su una superficie rigata una famiglia di asintotiche è evidentemente costituita dalle generatrici; su una quadrica rigata (come l'iperboloide a una falda) i due sistemi di asintotiche coincidono con i due sistemi di generatrici. Su un'elicoide conoide retto (n. 1) il sistema delle asintotiche non rette è costituito dalle eliche circolari lungo le quali si muovono i singoli punti di una generatrice nel moto elicoidale con cui si genera la superficie a partire da una sua generatrice: invero il piano osculatore a una tale elica in un suo punto P contiene la retta tangente in P e inoltre la retta perpendicolare condotta da P all'asse dell'elicoide, cosicché coincide col piano tangente all'elicoide.
11. Le rappresentazioni analitiche di una superficie, quali sono accennate nel n. 2 e nel n. 4, non sono sufficienti per un esame approfondito delle sue proprietà differenziali. Una costruzione sistematica della geometria differenziale delle superficie diventa possibile soltanto attraverso un apparato analitico più elaborato. Con Gauss ha preso un'importanza particolare l'espressione che, per una superficie di cui si consideri una rappresentazione parametrica (2), dà il quadrato ds2 della distanza del punto P (u, v) da un punto infinitamente vicino P′ (u+du, v+dv); tale espressione
dove E, F, G sono certe funzioni di u, v, è di calcolo immediato appena si conosca effettivamente la rappresentazione parametrica (2), perché
per es., per il piano x = u, y = v, z =0 è ds2 = du2 + dv2; per la superficie di rotazione (3)
Nasce così intanto una prima forma quadratica differenziale legata alla superficie, col significato geometrico ora detto. Per quanto il suo aspetto muti se si cambiano le coordinate curvilinee u, v, essa ha evidentemente un significato intrinseco (indipendente dalla scelta di queste coordinate). Una seconda forma quadratica differenziale
in queste stesse condizioni si definisce prendendo (con segno cambiato) il prodotto interno (o somma dei prodotti delle componenti omonime) del vettore infinitesimo PP′ per il vettore n′ − n, dove n, n′ sono i due vettori unitarî diretti secondo le normali alla superficie nei punti P, P′. Anche questa seconda forma quadratica si calcola facilmente a partire dalle (2): risulta
Ma vi è un vantaggio notevole nel sostituire queste due forme quadratiche alla considerazione diretta delle equazioni parametriche (2), perché quelle variano se la superficie si sposta nello spazio, mentre queste, come è ovvio, restano invariate in tali cambiamenti; cosicché le proprietà della superficie S, dovendosi mantenere invariate per quegli spostamenti, si dovranno leggere più facilmente su queste forme che non su quella rappresentazione parametrica. Che poi la sostituzione di queste forme a quelle equazioni parametriche sia effettivamente possibile risulta dal fatto che, date le due forme, si trova che la corrispondente superficie è pienamente individuata a meno di movimenti (O. Bonnet, 1867). Le due forme non si possono però dare completamente ad arbitrio: vi sono alcune equazioni fra i sei coefficienti che in esse complessivamente compaiono, le quali sono necessarie e sufficienti per l'esistenza della corrispondente superficie (equazione di Gauss; equazioni di Mainardi-Codazzi). Tutta la geometria differenziale (metrica) di una superficie si può sviluppare sistematicamente a partire da queste due forme quadratiche, alle quali spesso giova aggregare, come terza forma quadratica differenziale, edu2 + 2fdudv + gdv2 il ds2 dell'immagine sferica (n. 7); essa si riduce però a una combinazione lineare delle due prime con coefficienti formati mediante la curvatura totale e quella media.
Per es., le equazioni differenziali del doppio sistema delle asintotiche e di quello delle linee di curvatura - sotto la forma (6) del n. 4 - risultano rispettivamente
Invece Edu2 + 2Fdudv + Gdv1 = 0 è l'equazione delle linee di lunghezza nulla (n. 4). I due raggi principali di curvatura R1, R2 in un punto (n. 6) sono le due radici dell'equazione di secondo grado in R
cosicché la curvatura totale K e la curvatura media H in questo stesso punto, espresse per mezzo dei coefficienti delle due forme quadratiche fondamentali, valgono rispettivamente
Gauss ha però anche trovato un'altra formula che esprime K per mezzo dei soli coefficienti E, F, G della prima forma quadratica fondamentale: l'equazione di Gauss sopra accennata si ottiene appunto paragonando queste due espressioni di K. Se in particolare la superficie si rappresenta con la (4), si ha
e l'equazione delle asintotiche è data da
mentre la curvatura totale e quella media sono espresse da
Le proprietà geometriche della superficie, che non hanno riferimento a un particolare sistema di coordinate curvilinee, provengono da proprietà della coppia di forme quadratiche fondamentali, che si mantengono invariate quando si fa una qualsiasi trasformazione sulle variabili u, v. Invece altre proprietà riguardano la superficie in relazione a un determinato sistema di coordinate curvilinee: per esempio, se le linee u e le linee v, sono ortogonali, è F = 0, se coniugate (n. 10) è D′ = 0; se sono addirittura le linee di curvatura, è F = D′ = 0. Se esse, oltre ad essere ortogonali, dividono la superficie in quadrati infinitesimi, è E=G, cosicché, posto λ = E = G, sarà ds2 = λ (du2 + dv2). Su ogni superficie esistono delle coorOinate curvilinee che dànno al ds2 questa forma; esse si chiamano parametri isometrici; le linee u e v costituiscono quello che si chiama un doppio sistema isotermo.
12. Mentre la conoscenza delle due forme quadratiche fondamentali individua completamente, come si è detto, una superficie a meno di movimenti, la conoscenza del solo ds2 non è ancora sufficiente per ricostruire la forma della superficie. Effettivamente, se si considerano due superficie applicabili (n. 8), su di esse le lunghezze di archi di curve corrispondenti sono le stesse: in particolare, coppie corrispondenti di punti infinitamente vicini hanno la stessa distanza; cosicché, se si riferiscono le due superficie agli stessi parametri u, v, risulta una stessa prima forma quadratica differenziale per le due superficie. Viceversa, se si prendono due superficie aventi la medesima prima forma quadratica differenziale - o, ciò che è lo stesso, tali che interceda fra esse una corrispondenza conservante la lunghezza degli archi (superficie isometriche) - esse risultano, almeno in regioni convenientemente limitate, applicabili l'una sull'altra (oppure l'una è applicabile su una superficie inversamente eguale all'altra). Le proprietà invarianti per applicabilità dipendono, dunque, tutte in definitiva dalla sola prima forma quadratica differenziale; così, per es., si spiega che la curvatura totale in un punto che è invariante per applicabilità (n. 8) si possa esprimere, come ha fatto Gauss, in funzione delle sole E, F, G. La ricerca delle superficie applicabili ad una superficie data equivale dunque a quella di tutte le forme quadratiche che, insieme con una prima forma quadratica data, costituiscono una coppia di forme soddisfacenti alle equazioni di Gauss e di Mainardi-Codazzi. Il problema è sempre risolubile pur di considerare della superficie S un pezzo abbastanza piccolo e la soluzione dipende da due funzioni arbitrarie di una variabile; per es. (salvo una restrizione che si traduce in una certa diseguaglianza), si può sempre eseguire una deformazione della S, in cui una data curva C tracciata sulla S venga ad assumere dopo la deformazione una forma prestabilita C′. Invece il problema della deformazione nella geometria differenziale "in grande" non è sempre risolubile; per es., una superficie sferica considerata nella sua integrità non è deformabile.
Lo studio delle proprietà della superficie S che sono invarianti per deformazioni si può fare in modo sistematico sulla prima forma quadratica differenziale.
Così l'angolo ω delle due direzioni che vanno dal punto (u, v) rispettivamente ai punti (u + du, v + dv) e (u + ∂u, v + ∂v) è dato da
e un'area sulla superficie si misura mediante l'integrale doppio
Così ancora, essendo il concetto di geodetica invariante per deformazioni, l'equazione delle geodetiche di una data superficie S deve dipendere soltanto dalla prima forma quadratica differenziale; effettivamente nell'equazione (7) i coefficienti sono formati mediante i simboli
ecc., che sono i simboli di Christoffel (v. christoffel) relativi a quella prima forma, cioè certe espressioni che sono formate in modo ben preciso, che non stiamo qui ad indicare, unicamente mediante i coefficienti E, F, G.
Molte questioni si semplificano, scegliendo sulle superficie coordinate geodetiche, ottenute adottando come linee u un sistema ∞1 di linee geodetiche, e come linee v le loro traiettorie ortogonali (n. 4): allora al ds2 si può dare la forma ds2 = du2 + Gdv2, cosicché due traiettorie ortogonali limitano su quelle ∞1 geodetiche degli archi egualmente lunghi. Si può partire da una linea L arbitraria, assunta come una particolare linea v, e condurre poi per ogni suo punto la geodetica ad essa perpendicolare: riportando su questa geodetica, a partire dai punti di L, degli archi eguali, i loro estremi descrivono le altre linee v, che si chiamano geodeticamente parallele alla linea L data. Spesso si usano coordinate geodetiche polari, ottenute a partire da un punto O della superficie, preso come polo, e determinando le geodetiche uscenti da O nelle varie direzioni mediante l'angolo v che esse formano con una direzione fissa uscente da O e riferendo poi i singoli punti P di queste geodetiche alla lunghezza u dell'arco OP: si ha anche qui ds2 = du2 + Gdv2. Le linee v sono cerchi geodetici di centro O.
13. Si può sviluppare unicamente in base alla prima forma anche la teoria della curvatura geodetica (F. Minding) delle curve tracciate sulla superficie S; essa per una curva C della superficie in un suo punto P è definita sostanzialmente come si definisce la curvatura di una linea piana, pur di sostituire alla considerazione che in questa si fa della retta tangente alla curva in un suo punto quella della geodetica tangente alla C nel punto P. Le linee geodetiche sono allora le linee aventi curvatura geodetica nulla.
In modo preciso la definizione accennata della eurvatura geodetica 1/ρg si può formulare così: nel punto P della L conduciamo la geodetica tangente g e immaginiamo la superficie solcata, come sopra, da un sistema ∞1 di geodetiche, di cui faccia parte la g, e dalle loro traiettorie ortogonali; se M è un punto di L prossimo a P e la traiettoria uscente da M taglia la linea L nel punto Q, si ha
La definizione, nel piano, si riduce effettivamente a quella dell'ordinaria curvatura di una linea piana. Altri modi notevoli di definire la curvatura geodetica, sui quali non è però più evidente a priori il carattere invariante per flessioni, sono i seguenti. Se lungo L s'immagina la sviluppabile circoscritta alla superficie data (n. 10), e si sviluppa effettivamente questa superficie sopra un piano, la L si porta in una linea piana L′: la curvatura geodetica in un punto di L è la curvatura ordinaria nel corrispondente punto della linea piana L′. Se la linea L si proietta ortogonalmente sul suo piano tangente in una linea L0, la curvatura di questa ultima in P coincide con la curvatura geodetica della L nello stesso punto. In base alla possibilità di definirla in questi due modi, la curvatura geodetica prende anche il nome di curvatura di sviluppo e di curvatura tangenziale. Notevole è la formula di Gauss-Bonnet
dove il primo integrale è esteso a una linea chiusa L, tracciata sulla superficie S, mentre il secondo va esteso alla regione di S limitata da codesta curva. Questo secondo integrale coincide con la curvatura totale del pezzo di superficie racchiuso entro la linea L, quale fu definita, seguendo Gauss, al n. 7.
14. Nello studio delle proprietà invarianti per deformazione, fatto in relazione alla prima forma quadratica differenziale, riescono molto utili i parametri differenziali di E. Beltrami, i quali associano a ogni funzione ϕ (u, v) delle coordinate curvilinee nuove funzioni dedotte da essa in relazione con quella forma quadratica, le quali nuove funzioni risultano legate alla ϕ in modo invariante rispetto ai cambiamenti delle coordinate curvilinee. Posto ϕu = ∂ϕ/∂u, ecc., il, primo parametro differenziale è
e si può definire in relazione alla maggiore o minore rapidità con la quale la funzione ϕ (u, v) varia nelle direzioni uscenti da un punto della superficie: esso risulta il valore massimo di (dϕ/ds)2, per tutti i ds uscenti da un punto della superficie. Il parametro differenziale secondo della funzione ϕ è
Una coppia di funzioni ϕ, ψ ammette un parametro differenziale primo misto
La teoria della curvatura geodetica (e quindi anche delle geodetiche) in coordinate curvilinee generali acquista un aspetto anche formalmente semplice mediante questi parametri differenziali: per es., la curvatura geodetica di una linea qualunque tracciata sulla superficie, la cui equazione si scriva sotto la forma ϕ (u, v) = cost., diventa, secondo una formula di Beltrami,
15. Anche il parallelismo di Levi-Civita rientra nell'ordine d'idee sviluppato in questo numero (v. differenziale assoluto, calcolo; geometria, n. 40): a questo proposito qui basti dire che due direzioni superficiali uscenti da due punti P, P′ si dicono parallele lungo una determinata linea T tracciata sulla superficie e passante per P e P′, se esse diventano tali sviluppando su un piano la sviluppabile circoscritta alla superficie lungo la linea T. Quelle direzioni si dicono allora ottenute una dall'altra per trasporto parallelo lungo la T: la nozione dipende dalla linea T. Se questa è geodetica, direzioni parallele uscenti da P, P′ si riducono a direzioni che formano con la T angoli eguali (cosicché una geodetica appare come una linea autoparallela). Sebbene ciò non appaia ancora da questa definizione, la nozione di trasporto per parallelismo è invariante per deformazioni, e come tale dipende soltanto dal ds2 della superficie.
II. Superficie notevoli.
16. a) Per una rigata sviluppabile (n. 5) il piano tangente è lo stesso in tutti i punti generici di una generatrice: invece per una rigata sghemba, escluse quelle particolari generatrici (singolari) lungo le quali vi è ancora un unico piano tangente in tutti i punti, il modo di variare del piano π tangente nel punto P al variare di questo lungo una generatrice g è regolato dal teorema di Chasles: quel piano varia intorno alla retta g, descrivendo un fascio proiettivo alla punteggiata descritta dal punto P. Un modo particolare di esprimere questa stessa proprietà è il seguente: sulla g sia O il punto centrale (piede della retta perpendicolare ad essa e alla generatrice infinitamente vicina) e ω il piano centrale (piano tangente in O), allora OP= k tang ωπ, dove k è una costante (parametro di distribuzione della generatrice g). Le asintotiche del secondo sistema (n. 10; il primo è formato dalle generatrici) tagliano le generatrici secondo punteggiate proiettive. Classi particolari di rigate: le rigate a piano direttore hanno le generatrici parallele a un piano fisso: i conoidi sono rigate a piano direttore con le generatrici incidenti a una retta fissa a, il conoide è retto, se le generatrici sono perpendicolari alla retta fissa a (tale è, per esempio, l'elicoide conoide retto del n. 1).
b) Parecchie classi notevoli sono costituite da superficie luoghi di cerchi. Se si parte da ∞1 sfere, il luogo del cerchio comune a due consecutive (cerchio caratteristico) è una superficie S luogo di cerchi (superficie inviluppo delle ∞1 sfere; v. inviluppo): ciascuna sfera è tangente alla S lungo il proprio cerchio caratteristico. Un caso particolare di questa classe è offerto dalle superficie di rotazione: qui ciascuna delle ∞1 sfere è tangente alla S lungo un suo parallelo. Se si parte da ∞1 sfere con lo stesso raggio, la superficie inviluppo si chiama superficie-canale (per es., il toro). Vi sono superficie che si possono considerare come inviluppi di ∞1 sfere in due modi diversi (ciclidi di Dupin); per es., è tale fra le superficie di rotazione il toro, il quale, oltre che delle ∞1 sfere tangenti lungo un parallelo, è anche inviluppo delle ∞1 sfere tangenti lungo un cerchio meridiano. Il modo più generale di ottenere una ciclide di Dupin consiste nel partire da tre sfere in posizione generica: allora il sistema Σ1 delle ∞1 sfere tangenti a queste tre ammette una superficie inviluppo che è ulteriormente inviluppo di una famiglia Σ2 di sfere includente le tre date: ogni sfera di Σ1 è tangente a ogni sfera di Σ2. Su una superficie inviluppo di sfere i cerchi caratteristici costituiscono uno dei due sistemi di linee di curvatura: perciò per le ciclidi di Dupin le linee di curvatura dei due sistemi sono cerchi. Le ciclidi di Dupin sono superficie algebriche, del 4° o del 3° ordine.
c) Le superficie modanate di Monge si ottengono disegnando una linea L in un piano tangente di un cilindro qualunque: avviluppando il piano intorno al cilindro, la linea L descrive una superficie modanata. Le linee di curvatura di un sistema sono le ∞1 posizioni della linea L: quelle dell'altro sistema sono le traiettorie descritte nel moto della linea L dai suoi singoli punti (e risultano quindi in questo caso contenute in piani paralleli). Al cilindro si può più generalmente sostituire una sviluppabile qualsiasi.
d) Per una superficie di traslazione ciascuna delle coordinate x, y, z si esprime come somma di una funzione della sola u e di una funzione della sola v. Geometricamente una tale superficie si ottiene a partire da una sua linea v, assoggettandola a un movimento traslatorio (v. cinematica, n. 21), in modo che un suo punto descriva una linea u (e analogamente scambiando u con v). Le linee u e v costituiscono un doppio sistema coniugato (n. 10); e precisamente la sviluppabile circoscritta alla superficie, per es., lungo una linea v è un cilindro.
17. Superficie a curvatura costante. - Una superficie piana si può far scorrere su sé stessa in modo da portare un suo punto qualunque P in una posizione prefissata P′; cioè essa è trasformata in sé da eguaglianze in cui si corrispondono due suoi punti arbitrarî P e P′. Ciò vale anche per una superficie sferica. Dopo che, con Gauss, la deformazione di una superficie prese un posto preminente nella geometria differenziale, era naturale - considerando le eguaglianze come casi particolari di applicabilità - domandarsi quali sono le superficie S che si possono deformare in sé stesse in modo da far corrispondere punti arbitrarî P, P′. Orbene, queste superficie sono tutte e sole quelle, sulle quali la curvatura totale K ha uno stesso valore in tutti i punti, cioè le superficie a curvatura (totale) costante. E anzi allora (come già per le eguaglianze del piano) non solo si può con una flessione portare P in P′ arbitrario; ma di queste flessioni ne esistono infinite, in modo che è ancora possibile portare una data direzione uscente da P in una direzione uscente da P′ arbitrariamente prefissata: esistono così ∞3 deformazioni di una superficie a curvatura costante in sé stessa. In altre parole, su una superficie a curvatura costante una figura qualunque si può "muovere" con lo stesso grado di generalità dei movimenti piani, conservando inalterate le lunghezze dei suoi archi, gli angoli compresi fra questi, ecc., cioè tutti gli elementi invarianti per deformazioni (n. 12), pure cambiando forma nei rapporti con lo spazio ambiente. Due superficie con la medesima curvatura costante sono sempre applicabili una sull'altra, potendosi adottare - mediante le coordinate geodetiche del n. 12 - pel ds2, secondo che K = 0, oppure K positivo e = 1/R2, o infine K negativo e = −1/R2, le tre forme
dove cosh x = (ex + e-x)/2 è il coseno iperbolico dell'argomento x (vedi funzione, n. 42). Perciò, per quanto riguarda le proprietà interne della superficie, esse si possono studiare su opportuni modelli costruiti con quella medesima curvatura costante. Se K = 0, la superficie è applicabile sul piano, cioè è una sviluppabile (n. 5), se K > 0, la superficie è applicabile su una sfera (la quale appunto, se di raggio R, ha curvatura totale 1/R2); se K 〈 0 (e allora la superficie si chiama pseudosferica) la superficie è applicabile su una pseudosfera: superficie generata dalla rotazione intorno al proprio asintoto di una trattrice (cioè di quella particolare curva piana tale che su ogni sua retta tangente ha lunghezza costante il segmento compreso fra il punto di contatto e una retta fissa, che risulta poi un asintoto). La proprietà relativa alla curvatura totale di un triangolo geodetico esposta al n. 7 per una superficie qualunque, applicata a una superficie a curvatura costante (per la quale la curvatura totale del triangolo si riduce all'area moltiplicata per K) dice che su una tale superficie l'area di un triangolo geodetico si mantiene proporzionale all'eccesso (nullo, positivo, o negativo) della somma dei suoi angoli relativamente a π. Ciò lascia già intravvedere il legame fra la geometria su una tale superficie e la geometria piana non euclidea, cui tosto si accennerà.
Su una superficie a curvatura costante (e solo su una tale superficie, come ha mostrato E. Beltrami) si possono adoperare coordinate curvilinee tali che l'equazione generale delle geodetiche sia au + bv + c = 0, con a, b, c costanti arbitrarie, cioè coincida con l'equazione della più generale retta di un piano, sul quale u e v si adoperino come coordinate cartesiane. Di qui risulta che, se ad ogni punto (u, v) della superficie si fa corrispondere su di un piano il punto di coordinate cartesiane u, v, la superficie risulta rappresentata punto per punto sul piano, in modo che le geodetiche della superficie abbiano per immagini le rette del piano. Nasce così la possibilità di studiare la superficie attraverso questa rappresentazione piana: a partire da questa circostanza, unita all'esistenza sopra indicata di ∞3 applicabilità della superficie in sé, risulta il fatto d'importanza fondamentale (Beltrami 1868) che la geometria su una superficie pseudosferica offre un'interpretazione della geometria piana non euclidea (geometria di Lobačevskij-Bólyai; v. geometria, n. 9).
La determinazione effettiva di tutte le superficie a curvatura costante (non nulla) dipende dall'integrazione di un'equazione a derivate parziali del 2° ordine, per es., la
se K 〈 0, della quale si conoscono poche soluzioni, ma si hanno delle trasformazioni (di Bäcklund, Bianchi, Lie) che permettono da ogni soluzione nota di ricavarne delle nuove.
18. Superficie d'area minima. Altre superficie particolari. - Come applicazione del suo metodo di calcolo delle variazioni al problema di rendere minimo un integrale doppio, G. Lagrange (1760-1761) ha considerato la superficie di area minima fra tutte quelle che passano per un determinato contorno chiuso C (che sarà generalmente una linea non piana: se C è piana, la soluzione è offerta da questo stesso piano); e ha trovato che, rappresentando la superficie cercata con un'equazione del tipo (4), la f deve soddisfare all'equazione alle derivate parziali del 2° ordine
Meusnier ha interpretato geometricamente quest'equazione nel senso che la superficie cercata deve avere in ogni suo punto i raggi principali di curvatura R1 e R2 (n. 6) eguali e di segno opposto (possiamo dire che la curvatura media H, definita al n. 8, deve essere nulla). Egli ha indicato come esempî di tali superficie l'elicoide conoide retto e anche il catenoide, cioè la superficie che si ottiene facendo ruotare una catenaria intorno al suo asse. La proprietà H = 0 si interpreta poi anche nel senso che le due tangenti asintotiche (n. 9) sono perpendicolari in ogni punto della superficie: ciò equivale ancora a dire che le linee di lunghezza nulla esistenti sulla superficie (n. 4) costituiscono un doppio sistema coniugato. Rispetto a questo doppio sistema coniugato la superficie appare anzi come un caso particolare delle superficie di traslazione considerate al n. 16 d. Per quanto riguarda l'effettiva conoscenza di tutte le superficie in questione, occorre distinguere il problema indefinito dell'integrazione dell'equazione (E) senz'altre condizioni dall'effettiva ricerca della superficie d'area minima fra quelle passanti per il contorno C. Molto più facile è la soluzione del primo problema: già in Monge vi sono formule che esprimono esplicitamente le coordinate del punto che descrive la superficie per mezzo di due funzioni arbitrarie di una variabile. Assai meno semplice è la soluzione dell'altro problema, posto inizialmente da Lagrange, e noto come problema di Plateau, perché J.-A.-F. Plateau lo ha risolto sperimentalmente immergendo il contorno dato, realizzato materialmente, in un opportuno liquido: fra il contorno resta allora tesa una lamina liquida, che appunto soddisfa al problema. Il problema di Plateau è stato risolto anche dal punto di vista matematico.
Le superficie d'area minima, avendo nulla la curvatura media, rientrano fra quelle a curvatura media costante. Queste e quelle a curvatura totale costante rientrano a loro volta tra le superficie W (di J. Weingarten): sono quelle per cui al variare del punto P sulla superficie i due raggi principali di curvatura restano fra loro legati da una relazione funzionale f(R1, R2) = 0. Queste superficie godono di varie proprietà notevoli: per es., sulle due falde dell'evoluta (n. 10) di una superficie W si corrispondono le linee asintotiche. Inoltre ognuna di quelle falde è applicabile su una superficie di rotazione: la forma di queste dipende unicamente dalla relazione f(R1, R2) = 0. Per es., tutte le superficie d'area minima corrispondendo alla medesima relazione R1 + R2 = 0, hanno le falde delle loro evolute applicabili sull'evoluta di un catenoide, la particolare superficie rotonda d'area minima già addotta come esempio; e qui diciamo sulla evoluta perché, trattandosi di una superficie di rotazione, una falda dell'evoluta si riduce alla retta asse di rotazione (n. 10), cosicché ci si riferisce all'altra falda. Invece le falde dell'evoluta di una superficie pseudosferica - in quanto non degeneri - sono applicabili su un catenoide.
III. Rappresentazione di una superficie su un'altra.
19. Fino dai suoi albori la cartografia ha posto il problema di stabilire una corrispondenza fra i punti di una superficie sferica S e quelli di un piano S′, cioè di rappresentare quella su questo (v. cartografia). Il problema, a priori, comporta una grande arbitrarietà: esso diventa invece insolubile, ove si domandi che quella rappresentazione conservi le lunghezze (o le riduca in uno stesso rapporto): ciò invero si potrebbe ottenere soltanto se S fosse applicabile su S′, il che non è. Nell'impossibilità di una soluzione in questo senso, la cartografia ha consigliato di rendere possibile il problema della rappresentazione con l'imporre a questa condizioni meno restrittive di quella relativa alla lunghezza. Una visione matematica generale di questi problemi di rappresentazione, la quale va al di là dei casi singoli fino allora considerati, si inizia con J.-H. Lambert (1772) ed Eulero (1777) attraverso la ricerca delle rappresentazioni di una sfera su un piano, le quali conservino gli angoli (rappresentazioni conformi o isogonali) così come avviene per la notissima proiezione stereografica (proiezione dei punti di una sfera eseguita da un polo su di un piano parallelo a quello dell'equatore), oppure conservino le aree (rappresentazioni equivalenti). Seguirono ricerche di Lagrange e Gauss, dalle quali il problema di rappresentazione uscì esteso a superficie qualunque S e S′. Il caso più notevole è quello delle rappresentazioni conformi: si puo dire che esse intorno a ogni coppia di punti corrispondenti si comportano come similitudini, nel senso che il rapporto delle lunghezze di archi infinitesimi corrispondenti uscenti da essi è lo stesso in tutte le direzioni. Se la corrispondenza fra S e S′ è data mediante riferimento di entrambe a uno stesso sistema di parametri u, v, la condizione della conformità è la proporzionalità fra i coefficienti delle loro prime forme quadratiche differenziali (n. 11); se la proporzionalità diventa eguaglianza, la rappresentazione conforme diventa applicabilità. Due superficie S e S′ si possono sempre porre in rappresentazione conforme riferendole entrambe a parametri isometrici (n. 11). Le rappresentazioni conformi, che tanta importanza hanno nell'analisi, per es., nella teoria delle funzioni di variabile complessa, sono fra quelle che intervengono più spesso anche nella geometria differenziale della superficie. Per es., una superficie pseudosferica (n. 17) si può studiare rappresentandola conformemente su un semipiano (limitato da una retta r), dove le geodetiche di quella hanno per immagini i semicerchi col centro sulla retta r. Così ancora, per le superficie d'area minima (n. 18), la rappresentazione che nasce fra una tale superficie e la sua immagine sferica (n. 7) è una rappresentazione conforme.
Notevoli poi sono anche le rappresentazioni geodetiche fra due superficie, nelle quali si corrispondono su queste le linee geodetiche: si è già accennato alla possibilità di rappresentare geodeticamente su un piano una superficie a curvatura costante (n. 17). U. Dini ha trovato quali sono le superficie tra le quali è possibile stabilire una rappresentazione geodetica (reale) che non si riduca a una combinazione di applicabilità e di similitudini: sono le superficie il cui ds2 si può mettere sotto la forma di Liouville: ds2 = [α (u) + β (v)] (du2 + dv2). Per alcune proprietà generali concernenti rappresentazioni qualunque di una superficie su un'altra, v. cartografia, n. 5.
IV. Superficie algebriche.
20. Introduzione storica. - La distinzione fra superficie algebriche e trascendenti appare esplicitamente in Eulero (appendice al vol. II dell'Introductio in Analysin infinitorum) che procede anche alla classificazione delle quadriche. Ma doveva passare un non breve intervallo di tempo prima che i geometri volgessero particolare attenzione alle superficie algebriche d'ordine superiore. I primi accenni generali appaiono nella scuola di G. Monge e si riferiscono alla teoria delle polari. Monge stesso (1795) riconosce che il cono tangente ad una superficie d'ordine n ha una curva di contatto appartenente ad una superficie d'ordine n−1, cui E. Bobillier dà poi il nome di "superficie polare del punto" (1828); J.-V. Poncelet (1824) determina la classe n (n−1) della superficie generale d'ordine n. E lo studio della polarità si prosegue con H. Grassmann (1842) e quindi analiticamente con F. Joachimsthal (1846) e sinteticamente con L. Cremona (1866). Così, verso la metà del sec. XIX, vengono posti e risoluti alcuni problemi attinenti alla considerazione proiettiva delle superficie algebriche: determinazione della curva parabolica (che si costruisee come intersezione della superficie d'ordine n con la sua hessiana d'ordine 4 n−8) e dei piani stazionarî, ricerca dei piani tangenti doppî e dei piani tritangenti (G. Salmon, 1846-47-49-55).
Naturalmente la ricerca generale si accompagna allo studio dei primi casi particolari interessanti, da cui spesso prende origine. Così Salmon stesso, in una delle sue prime memorie (in Cambridge and Dublin Math. Journal, t. 4) scopre che la superficie generale del terz'ordine contiene 27 rette (v. cubiche), risultato che viene dimostrato in nuovo modo da A. Cayley mediante la considerazione del cono circoscritto (1849).
Accanto ai problemi generali sopra accennati, investigati particolarmente dai geometri inglesi, formano speciale oggetto di ricerca alcune superficie notevoli: da un lato quelle cui spettano diverse proprietà metriche, cui si volge prevalentemente la scuola francese (M. Chasles, ecc.); dall'altro le superficie razionali dei primi ordini, di cui in ispecie A. Clebsch e L. Cremona studiano la rappresentazione punto per punto sul piano, determinando in tal guisa i sistemi di curve tracciati sopra di esse. Questo studio - che con M. Nöther conduce a qualche criterio generale di razionalità - prelude alla teoria delle superficie algebriche rispetto alle trasformazioni birazionali, i cui primi principî si trovano in Nöther stesso (1870-75) e in H. G. Zeuthen, e che è stata poi sviluppata, a partire dal 1893, dalla scuola dei geometri italiani contemporanei, e - in connessione con gl'integrali algebrici - anche dalla scuola francese (E. Picard, H. Poincaré, P. Painlevé, G. Humbert).
21. Preliminari. - Una superficie algebrica d'ordine n viene definita annullando un polinomio di grado complessivo n nelle coordinate cartesiane del punto:
ovvero una forma di grado n nelle coordinate proiettive omogenee
Si passa dalla prima forma dell'equazione alla seconda, ponendo
e moltiplicando per x4n. Da queste definizioni risulta che una retta, non giacente sopra la superficie f, ha con essa n intersezioni, distinte o coincidenti, e che un piano, il quale non faccia parte della superficie f, la interseca secondo una curva algebrica d'ordine n (irriducibile o riducibile). Non fa eccezione il piano all'infinito, la cui intersezione si determina, passando dalle coordinate cartesiane alle omogenee con la sostituzione (3) e ponendo x4 = 0.
22. Singolarità. - Una superficie algebrica può possedere dei punti singolari: doppî o multipli. Un punto P è multiplo d'ordine r per una superficie f(x1, x2, x3, x4) = 0 (così rappresentata in coordinate omogenee), se in esso si annullano tutte le derivate parziali di f fino all'ordine r−1, ciò che importa che ogni retta per P abbia ivi r intersezioni riunite con la superficie.
Riferendoci al caso più semplice dei punti doppî, va notata la distinzione che si presenta fra i punti delle curve doppie (nodate), in cui si distinguono generalmente due falde di superficie intersecantisi, con due piani tangenti (fasci di rette aventi con f un contatto tripunto), e i punti doppî isolati che sono generalmente conici, dando luogo ad un cono quadrico di rette osculatrici; e nell'intorno di questi ultimi (anche nel caso dei punti biplanari in cui il cono si spezza) non si ha più la riduzione della superficie in due falde (analiticamente distinte).
Una distinzione analoga si ha fra i punti multipli isolati e le curve multiple; tuttavia occorre anche la considerazione di curve (doppie o multiple) cuspidali, e di punti singolari sopra una curva multipla.
Seguendo l'idea fondamentale, svolta da M. Nöther per le curve (vedi curve), i geometri hanno di buon'ora appreso a sciogliere le singolarità delle superficie, mediante trasformazioni birazionali, sia limitate alla superficie, sia estese all'intero spazio ambiente. Lo stesso Nöther (1870) enunciò la possibilità di ottenere in generale la riduzione di tutte le singolarità. K. Rohn (1883) ha studiato più profondamente il caso dei punti doppî. Dopo le ricerche di G. Kobb (1892) e di P. Del Pezzo (1892) e la critica di C. Segre (1897), che ha corretto alcuni errori dei suoi predecessori e ha sviluppato rigorosamente la definizione dei punti singolari infinitamente vicini, il problema dello scioglimento delle singolarità è stato risoluto da B. Levi (1897-99), il quale ha dimostrato che ogni superficie algebrica si può trasformare birazionalmente in un'altra dotata soltanto di curva doppia nodale con un numero finito di punti cuspidali e di punti tripli, che sono insieme tripli per la curva e per la superficie.
Altri geometri sono ritornati su questo delicato argomento, spesso ricadendo in errori; una notevole semplificazione è stata ottenuta da G. Albanese (1924), valendosi di concetti introdotti da F. Severi. Intanto O. Chisini (1912) è riuscito a sciogliere le singolarità delle superficie con trasformazioni birazionali (cremoniane) dell'intero spazio, pervenendo a superficie dotate di curve multiple ordinarie, con falde generalmente distinte.
23. Intersezione di due superficie. - Due superficie fm e fn degli ordini m ed n hanno in generale una curva gobba comune, irriducibile, d'ordine mn, Cmn, la quale acquista un punto multiplo nel caso che fm ed fn si tocchino, ovvero che un punto singolare dell'una appartenga all'altra. La Cmn generale, irriducibile, completa intersezione di fm e fn, ha il rango mn (m + n − 2) (numero delle tangenti che incontrano una retta) e la classe 3 mn (m + n − 3) (numero dei piani osculatori per un punto); per conseguenza (in virtù delle formule di Plücker) essa possiede
punti doppî apparenti, ed ha il genere
(Salmon 1849). La serie canonica
(v. curve, n. 7) viene segata sopra Cmn dalle superficie d'ordine m + n − 4 (Nöther).
La curva Cmn si può spezzare in più parti, distinte o coincidenti; nell'ultimo caso le due superficie si toccano lungo una curva, ovvero hanno comune una curva che è singolare per una delle due.
Consideriamo il caso più generale di spezzamento della Cmn in due parti distinte, degli ordini ν1 e ν2; allora, designando con i il numero dei punti comuni a queste due parti, e con π1 e π2 i loro generi, si avrà (Salmon 1849)
e quindi anche
formula che dà in generale il genere di una curva spezzata (Nöther). La serie canonica viene segnata (se non sempre interamente segata) su ciascuna delle due parti di Cmn dalle superficie d'ordine m + n − 4 che passano per l'altra.
24. Intersezioni di tre superficie: formule di equivalenza. - Tre superficie fl, fm, fn, degli ordini l, m, n, hanno in generale lmn punti comuni. Un punto multiplo comune, d'ordine rispettivo r, s, t, assorbe (in generale e almeno) rst intersezioni. Una curva d'ordine ν e di genere π, che appartenga semplicemente alle tre superficie equivale a
intersezioni (Salmon). Formule più generali danno l'equivalenza di una curva multipla comune (Cayley 1869, Nöther 1871).
25. Determinazione d'una superficie mediante punti: formule di postulazione. - La condizione di passaggio d'una superficie fn per un punto dato si traduce in un'equazione lineare fra i coefficienti di fn. Per conseguenza: una superficie fn è generalmente determinata da
punti. Un punto r-plo assegnato importa
condizioni lineari.
Il passaggio di fn per una curva assegnata importa un certo numero di condizioni lineari che si dice (con Cayley) postulazione della curva.
La postulazione d'una curva d'ordine ν e genere π, che debba appartenere semplicemente a fn, viene data, per valori di n abbastanza grandi rispetto a ν, dalla formula:
Formule generali di postulazione per curve multiple sono state date da Cayley e Nöther (1869-71) e, in forma anche più generale, da D. Hilbert (1890). I limiti di validità delle formule sono stati ulteriormente studiati da G. Castelnuovo (1897). Estensioni di tali formule alle varietà a più dimensioni sono state date da F. Severi (1902, 1903).
26. Classe e caratteri principali di una superficie. - Accanto all'ordine n d'una superficie sono da considerare altri caratteri proiettivi di essa, che hanno, in generale, i valori seguenti: 1. la classe m, cioè il numero dei piani tangenti che passano per una retta: m = n (n−1)2; 2. il rango r, cioè il numero delle rette tangenti che appartengono ad un fascio (grado del complesso delle rette tangenti): r = n (n−1); 3. il numero delle tangenti principali (d'inflessione) per un punto: k = n (n−1) (n−2); 4. il numero
delle tangenti doppie uscenti da un punto; 5. Il numero dei piani tangenti doppî per un punto:
6. il numero dei piani stazionarî per un punto (piani di sezione cuspidata): c = 4n (n−1) (n−2). Questi caratteri subiscono una diminuzione quando la superficie fn acquisti delle singolarità: il caso delle singolarità più semplici (curva nodale e cuspidale, punti doppî conici) dà luogo a formule stabilite da Salmon, precisate e generalizzate da Cayley (1862-68-72) e da Zeuthen (1876). Tali formule costituiscono l'estensione alle superficie delle note formule di Plücker relative alle curve piane (v. curve, n. 6).
Aggiungasi che Salmon (1849-56-60) ha riconosciuto anche che per una superficie di ordine n esiste, in generale, una curva di ordine n (11 n−24), intersezione d'una superficie covariante d'ordine 11 n−24, che è luogo dei punti di contatto di ∞1 tangenti quadripunte. Questa curva è stata poi studiata da A. Clebsch (1860-63), da P. Gordan (1867), da H. Schubert (1877), e sotto altri aspetti da L. Cremona (1866) e da A. Voss (1886).
27. Proprietà metriche. - Le proprietà metriche delle superficie appaiono, nella geometria proiettiva, come relazioni col piano all'infinito e col cerchio immaginario (assoluto) comune a tutte le sfere (v. assoluto; cerchio; geometria, n. 32b). I piani tangenti ad una superficie fn nei suoi punti all'infinito costituiscono i piani asintotici e formano, in generale, una sviluppabile di classe n (n−1), rango n (3 n−5), con una curva, spigolo di regresso, d'ordine 6 n (n−2), ecc. (L. Painvin, 1866).
In rapporto a una superficie fn (x1, x2, x3, x4) = 0, per ogni punto (y) dello spazio resta definita la superficie polare (E. Bobillier, 1827-28) di equazione
se il punto è all'infinito, la sua polare dà una superficie diametrale (H. Grassmann, 1842). Ripetendo l'operazione Δy, si arriva in particolare ai piani diametrali, già prima considerati da M. Chasles (1829-30), luogo dei centri delle medie distanze delle coppie di punti d'intersezione della superficie con le rette aventi una certa direzione. Lo Chasles ha pure definito il centro della superficie, come polo del piano all'infinito rispetto alla superficie inviluppo; esso non è affatto centro di simmetria (un tal punto, esistendo solo per superficie particolari), ma appare come centro delle medie distanze degli (n−1)3 punti che vengono definiti come poli dello stesso piano all'infinito rispetto alla superficie luogo (cioè come punti di cui il piano all'infinito è polare), ed anche come baricentro di curvatura della superficie (J. Liouville, 1844; C. Neurnann, 1867).
Le normali ad una superficie algebrica formano un sistema ∞2, o congruenza di rette, che è, in generale, d'ordine N = n (n2 − n + 1) e di classe M = n (n−1) (O. Terquem, 1839). La superficie focale di questo sistema (v. retta) è il luogo dei centri di curvatura della superficie data, ed è d'ordine 2 n (n−1) (n−2) e di classe 2 n (n2 − n + 1) (G. Darboux, 1870).
I punti circolari o ombelichi di una superficie algebrica fn sono n (10 n2 − 28 n + 22); essi sono punti doppî per la curva d'ordine 2n (3 n − 4), luogo dei punti di fn da cui escono tangenti principali incidenti al cerchio assoluto (A. Voss, 1875-1887; ulteriori studî di L. Berzolari, 1895 e M. Pieri, 1896).
I piani che toccano contemporaneamente una superficie fn e il cerchio assoluto, formano una sviluppabile circoscritta ad fn lungo una linea di curvatura; la sua linea doppia (fuori del detto cerchio) si dice, secondo Darboux (1864), curva focale di fn, si ha così l'estensione alle superficie d'ordine qualsiasi delle linee focali delle quadriche già considerate da M. Chasles. Ogni punto della curva focale è un fuoco di fn, cioè centro d'una sfera di raggio nullo bitangente a fn. Per una superficie di classe m, la curva focale ha in generale l'ordine (G. Humbert, 1893)
In relazione alle loro proprietà metriche si presentano numerose classi di superficie particolari notevoli. Citeremo soltanto le superficie algebriche ad area minima studiate da C. Weierstrass e poi da S. Lie (1878); inoltre le superficie con piani e centri di simmetria, ecc.
Infine noteremo - accanto alle superficie con infinite trasformazioni proiettive in sé di cui si discorrerà al n. 30 - quelle che posseggono un gruppo continuo di trasformazioni conformi, cui si riferisce uno studio di U. Amaldi (1901).
28. Superficie razionali dei primi ordini. - Un impulso decisivo a nuove vedute d'ordine generale intorno alle superficie algebriche è dato dallo studio di alcune superficie notevoli (superficie razionali), per cui si riesce ad ottenere una rappresentazione punto per punto sopra il piano. La prima rappresentazione che si presenta in tale ordine d'idee è la proiezione della superficie di 2° ordine da un suo punto sul piano (M. Chasles, 1814; J. Steiner, 1826; G. P. Dandelin, 1827); alle immagini delle sezioni piane vengono così a corrispondere le ∞3 coniche passanti per due punti fondamentali.
Anche la superficie generale del 3° ordine si lascia rappresentare sul piano, ad es., mediante proiezione sghemba da due delle rette che vi appartengono; e Clebsch e Cremona ritrovano in tal guisa le 27 rette, e i sistemi di coniche e di cubiche gobbe tracciati sopra di esse (v. cubiche): nell'anzidetta rappresentazione le immagini delle sezioni piane sono cubiche per sei punti fondamentali. Accanto alle superficie d'ordine 2 e 3, si presentano notevoli superficie razionali del 4° ordine: anzitutto la superficie romana di Steiner, cioè la superficie del 4° ordine con tre rette doppie per un punto triplo; e poi altre superficie, di cui Clebsch e Cremona hanno studiato la rappresentazione piana: superficie del 4° ordine con cubica gobba doppia, o con retta tripla, o con conica doppia, o con retta doppia, ecc. Alcune di queste superficie appaiono in più chiara luce come proiezioni di superficie normali dello stesso ordine d'un iperspazio: così la superficie di Steiner della superficie di G. Veronese dello S5 (1884), rappresentata sul piano dal sistema completo delle coniche (v. iperspazio, n. 10); la superficie del 4° ordine rigata con cubica gobba doppia come proiezione della rigata di 4° grado di S5, e la superficie del 4° ordine con conica doppia, come proiezione della superficie di C. Segre (1886), intersezione completa di due quadriche dello S4.
Lo studio delle superficie razionali dei primi ordini è stato spinto innanzi, nella scuola di Cremona, da E. Caporali (1881) partendo dai sistemi lineari di curve piane rappresentativi.
29. Criterî di razionalità di Nöther. - Frattanto M. Nöther giungeva a scoprire due teoremi d'ordine generale: 1. Ogni superficie, che possegga un fascio lineare di curve razionali, è razionale, e si può rappresentare sul piano per modo che alle dette curve rispondano le rette per un punto (1870); 2. La condizione necessaria e sufficiente perché una superficie del tipo z2 = f (x, y) (piano doppio) sia razionale, è che la curva (di diramazione) f = 0 si possa ricondurre, con una trasformazione birazionale del piano, a uno dei seguenti tipi: a) curva d'ordine 2 n ≥ 2 con un punto (2n−2)-plo o (2n−1)-plo; b) quartica piana; c) sestica con due punti tripli infinitamente vicini: sono esclusi i casi particolari di questi piani doppî che rispondono a rigate irrazionali.
Quest'ultimo teorema, in parte divinato dal Nöther, ha ricevuto una dimostrazione completa da G. Castelnuovo e F. Enriques (1900).
Il primo teorema è stato esteso dall'Enriques al caso delle superficie con un fascio irrazionale di curve razionali, le quali risultano trasformabili in rigate (1898). Aggiungeremo che, mediante la considerazione dei piani doppî, il Nöther (1889) è riuscito a completare, in particolare, l'analisi delle superficie razionali del 4° ordine, determinando quelle che posseggono un solo punto singolare: e questo può essere un punto triplo ovvero un punto doppio di specie particolare (tacnodo ed altri due tipi di singolarità straordinaria).
30. Superficie proiettivamente notevoli. - Alla famiglia delle superficie razionali, o a quella più larga che comprende insieme le rigate, appartengono molte delle superficie algebriche, proiettivamente notevoli, che hanno formato oggetto di studî speciali nella geometria contemporanea. Si possono ricordare in proposito alcuni risultati.
Le superficie con ∞2 sezioni piane riducibili sono rigate o superficie romane di Steiner del 4° ordine (teorema enunciato da L. Kronecker, dimostrato da G. Castelnuovo, 1894).
Le superficie a sezioni piane di genere zero sono rigate razionali o superficie di Steiner (E. Picard, 1878). Le superficie a sezioni piane di genere uno sono rigate (ellittiche) ovvero razionali (Castelnuovo, 1894), e in quest'ultimo caso superficie cubiche o proiezioni di superficie normali d'ordine n =4, 5, 6, ..., 9 appartenenti ad un Sn, studiate da P. Del Pezzo (1896).
Questi studî si collegano alla determinazione dei tipi a cui si possono ricondurre, con trasformazioni birazionali del piano, i sistemi lineari di curve piane di genere 0, 1 (E. Bertini, G. B. Guccia, V. Martinetti, G. Jung). Le superficie con infinite coniche sono state studiate da G. Darboux (1880), da G. Humbert (1894) e più recentemente da E. G. Togliatti.
Le superficie a sezioni piane iperellittiche sono rigate o razionali, contenendo in questo caso un fascio lineare di coniche (F. Enriques, 1894).
Le superficie algebriche con un gruppo continuo di trasformazioni proiettive in sé sono razionali o rigate: esse hanno formato oggetto di studio da parte di Klein e Lie (1870) e poi di F. Enriques (1892-93), S. Lie (1894) e G. Fano (1895).
Fra le superficie algebriche, più notevoli, che non sono razionali o rigate, ricorderemo soltanto la superficie di Kummer, del 4° ordine con 16 punti doppî, che costituisce la superficie singolare del complesso di rette di 2° grado (v. kummer; retta), che F. Klein (1872) ha dimostrato ammettere una rappresentazione parametrica con funzioni iperellittiche pari (quattro volte periodiche di due variabili). Questa superficie ha formato poi oggetto di studî sistematici, specie da parte di G. Humbert. Come caso particolare essa contiene in sé la superficie delle onde, incontrata nell'ottica da A.-J. Fresnel.
31. Invarianti delle superficie per trasformazioni birazionali. - Gli studî sulla rappresentazione piana delle superficie razionali si prolungano naturalmente nella teoria delle superficie algebriche considerate rispetto alle trasformazioni birazionali. Le prime ricerche su questo soggetto risalgono a A. Clebsch e M. Nöther (1871-78) e conducono a scoprire i due caratteri invarianti fondamentali delle superficie, che sono il genere (geometrico) superficiale p o pg, e il genere lineare p(1).
Ridotta la superficie fn a possedere soltanto una curva doppia ordinaria con punti tripli (che sono insieme tripli per la superficie e per la curva), si definiscono come aggiunte a fn le superficie ϕn-4, d'ordine n−4, che passano per la sua curva doppia; le curve sezioni delle ϕn-4 con fn (curve canoniche) sono invarianti rispetto alle trasformazioni birazionali della superficie, e il numero delle ϕn-4 linearmente indipendenti dà il pg, il genere delle curve canoniche dà il p(1); il numero delle intersezioni di due curve canoniche è (virtualmente) p(1) − 1.
Si può cercare di valutare il numero pg delle ϕn-4, adoperando le formule di postulazione (cfr. n. 25); ma non sempre l'ordine n−4 è abbastanza alto (rispetto all'ordine della curva doppia di fn) perché tali formule siano applicabili; in ogni caso codeste formule dànno un nuovo carattere, il genere numerico pa, che è pure invariante rispetto a trasformazioni birazionali della fn. Quest'osservazione è stata fatta da A. Cayley (che nota essere pa〈0 per le rigate) e poi da H. G. Zeuthen e M. Nöther, i quali giustificano l'invarianza del pa con alcune restrizioni. Più tardi (1894) G. Castelnuovo ha recato i primi esempî di superficie (irregolari) non rigate per cui pa〈pg (superficie con un fascio irrazionale di curve); e l'invarianza del pa è stata dimostrata, rimovendo le restrizioni superflue, nella nuova teoria degl'invarianti, di cui passiamo a discorrere.
Questa teoria, costruita da F. Enriques negli anni 1893, 96, 1900, prende le mosse dalla considerazione dei sistemi lineari di curve
appartenenti alla superficie fn. Ogni sistema lineare è contenuto in un ben definito sistema completo di curve dello stesso ordine; e sui sistemi completi si opera univocamente per somma e sottrazione. Oltre a ciò, a ogni sistema lineare, ∣C∣, viene associato un sistema jacobiano ∣C∣, definito dalle jacobiane (luogo dei punti doppî delle curve) delle reti appartenenti a ∣C∣, e - per due sistemi ∣C∣ e ∣K∣ privi di punti-base sopra la superficie fn - si ha la relazione fondamentale
Questa relazione contiene l'invarianza del sistema canonico
e così vale a definire i due generi, superficiale e lineare, pg e p(1) ma essa esprime una vera generalizzazione di codesto teorema al caso in cui le curve canoniche, virtualmente definite come differenze di ∣Cj∣ e ∣3 C∣ non abbiano esistenza effettiva: non soltanto riesce ancora definito per esse il genere lineare (virtuale) p(1) ma accade altresì che esistano i sistemi doppio o triplo, ecc., del sistema canonico mancante, e così, accanto al genere superficiale pg e pur nel caso pg = 0, s'introducono, come nuovi caratteri invarianti, i plurigeneri (bigenere P2, trigenere P3, ecc.), che indicano il numero delle curve bicanoniche o tricanoniche, ecc., della superficie, linearmente indipendenti.
Il primo esempio di superficie di genere pg = 0 e di bigenere P2 > 0 è stato recato da Enriques (1896): è la superficie del 6° ordine che passa doppiamente per gli spigoli di un tetraedro, e che più tardi egli è riuscito a definire, dal punto di vista delle trasformazioni birazionali, coi caratteri
Successivamente Castelnuovo ha costruito una superficie con pg = 0 e P2 = 2, possedente un fascio di curve bicanoniche ellittiche (p(1) = 1), e di recente L. Godeaux e L. Campedelli hanno costruito esempî di superficie per cui pg = 0 e P2 = p(1) = 2, 3.
Per completare ciò che si è detto dei caratteri delle superficie, aggiungeremo che il genere numerico pa viene definito dall'Enriques in rapporto alla dimensione del sistema ∣C′∣ = ∣Cj − 2 C∣ aggiunto a ∣C∣ (le cui curve segano sopra le C gruppi della serie canonica), e da Castelnuovo anche in rapporto alla dimensione di un qualsiasi sistema lineare (di genere e grado n) appartenente alla superficie: questa dimensione (per i sistemi non contenuti nel sistema canonico) vale
Infine enunceremo due teoremi fondamentali che illustrano l'uso che si può fare dei caratteri invarianti, sopra definiti. Le condizioni perché una superficie sia razionale sono espresse semplicemente dall'annullamento del genere numerico e del bigenere: pa = P2 = 0, e, di conseguenza pg = 0 (Castelnuovo, 1896). Le condizioni perché una superficie appartenga alla famiglia delle rigate, cioè possa trasformarsi in un cilindro f (x, y) = 0, sono date dall'annullamento del quadrigenere e del sestigenere: P4 = P6 = 0 (Enriques, 1905).
32. Cenno degli ulteriori sviluppi della teoria. - Nel numero precedente si è cercato di chiarire il significato della teoria invariantiva delle superficie algebriche. Non è il luogo qui per proseguire l'esposizione dei progressi raggiunti in questa teoria. Ci limiteremo a indicare due ordini di problemi che hanno formato oggetto principale delle investigazioni dei geometri.
1. Il problema della classificazione delle superficie nel senso che riesce illustrato dai teoremi sopra enunciati: dove le diverse famiglie vengono definite in rapporto ai valori dai plurigeneri e s'introducono i parametri (moduli) da cui le varie classi dipendono (Enriques 1905-13); in particolare riescono così caratterizzate algebricamente le superficie (iperellittiche ed ellittiche) possedenti un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in sé, che - sotto l'aspetto trascendente - erano state determinate da E. Picard e P. Painlevé.
2. Il problema delle trascendenti (integrali algebrici) appartenenti ad una superficie.
Anzitutto A. Clebsch e M. Nöther (1868-70) hanno considerato gli integrali doppî, e in particolare quelli che si mantengono sempre finiti (o - come si dice - di prima specie) annessi ad una superficie algebrica f (x, y, z) = 0, d'ordine n; essi hanno dimostrato che questi integrali si possono mettere sotto la forma
dove ϕn-4 designa una superficie d'ordine n − 4 aggiunta ad f, cosicché il numero di essi linearmente indipendenti è precisamente il genere geometrico superficiale pg (cioè il numero dei polinomî ϕn-4). Successivamente E. Picard (1886) ha avuto l'idea di considerare integrali semplici di differenziali totali, della forma
ricercando le condizioni perché essi si mantengano sempre finiti sopra la superficie (integrali di prima specie) ovvero posseggano soltanto curve polari o logaritmiche (integrali di seconda e di terza specie).
Gl'integrali di Picard di prima specie annessi ad una superficie, d'ordine n, f (x, y, z) = 0, si possono mettere sotto la forma
dove A e B sono polinomî che eguagliati a zero designano due superficie aggiunte alla f d'ordine n − 2, passanti rispettivamente per le rette all'infinito dei piani y = 0 e x = 0, e soddisfacenti inoltre a certe relazioni. La determinazione precisa di queste relazioni fatta dal Picard, ha dato origine a ricerche successive di F. Severi e più recentemente di W. V. D. Hodge, dalle quali risulta infine che l'esistenza d'un integrale dipende da quella d'una superficie aggiunta A, d'ordine n − 2, che passi per i punti all'infinito della retta y = 0 e per i punti doppî del fascio di sezioni piane y = cost.
Risulta da ciò che precede che le superficie generali del proprio ordine non posseggono integrali semplici di prima specie; l'esistenza di questi integrali risulta anzi legata all'irregolarità della superficie. Si ha precisamente il teorema:
Il numero degl'integrali semplici di prima specie linearmente indipendenti che appartengono ad una superficie, è eguale all'irregolarità pg − pa. Questo teorema, che completa i risultati conseguiti dal Picard, è stato raggiunto nel 1905 attraverso le ricerche di F. Severi (in ispecie con l'introduzione del concetto della serie residua sulla curva polare d'un integrale di 2ª specie), F. Enriques e G. Castelnuovo, e poi, più perfettamente, da H. Poincaré (1910).
Gl'integrali semplici di 2ª specie, che - secondo Picard sono in numero eguale a quello dei loro periodi - risultano quindi in numero di 2 (pg − pa).
Gl'integrali semplici di terza specie (e così pure gl'integrali doppî di specie superiore alla prima) conducono a caratteri della superficie di un diverso ordine: caratteri aritmetici, che non appartengono più alla classe di moduli generali. Invero le ricerche del Picard sugl'integrali semplici di 3ª specie hanno permesso a F. Severi di stabilire la teoria della base (1905), dimostrando che tutti i sistemi continui di curve appartenenti a una superficie si possono costruire per somma e sottrazione a partire da un numero finito di essi.
Aggiungeremo che alla teoria degl'integrali algebrici annessi ad una superficie si collega la trattazione di esse dal punto di vista dell'Analysis situs, che è stata sviluppata - in questi ultimi anni - particolarmente dai geometri americani O. Veblen, J. W. Alexander, S. Lefschetz.
Ma non è questo il luogo per intrattenersi su questi sviluppi, né su altri indirizzi di ricerca, che costituiscono teorie in formazione per opera di geometri contemporanei; tali sono, ad es., le questioni di esistenza (F. Enriques, O. Zariski, B. Segre, O. Chisini) e l'indirizzo promosso da F. Severi delle serie di equivalenza di gruppi di punti, mercé cui si estende alla superficie la considerazione delle serie lineari di gruppi di punti delle curve (v. curve, n. 7).
Bibl.: Per indicazioni bibliografiche sulla geometria differenziale delle superfici, v. geometria, n. 39. Per la teoria delle superfici algebriche: a) Rapporti: G. Castelnuovo e F. Enriques, Grundeigenschaften der algebraischen Flächen, in Encykl. der math. Wiss., III C 6 a, Lipsia 1908; id. id., Die algebraischen Flächen vom Gesichtspunkte der birationalen Transformationen aus, ibid., III C 6 b, ivi 1914; O. Zariski, Algebraic surfaces, Berlino 1935. - b) Lezioni e trattati: G. Salmon e W. Fiedler, Analytische Geometrie des Raumes, Lipsia 1879-80; E. Picard e G. Simart, Théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes, voll. 2, Parigi 1897-1906; F. Enriques, Lez. sulla teoria delle superficie algebriche, a cura di L. Campedelli, Padova 1932; id., Lez. sulla classificazione delle superfici algebriche, id., Roma 1932-33; id., Lez. sulle superficie razionali, a cura di F. Conforto, Bologna 1936; F. Severi, Conferenze di geometria algebrica, Roma 1927; S. Lefschetz, Topology, New York 1930.