superuomo
Traduzione letterale del termine ted. Übermensch, che si trova già usato nella seconda metà del Seicento da Heinrich Müller, e che è più volte adoperato, nel secolo successivo, da Herder, da Goethe, da J.P. Richter, nel senso generale di uomo superiore, uomo che si eleva, per la sua genialità, al di sopra della media comune. Il termine è peraltro solitamente riferito al pensiero di Nietzsche (rispetto al quale si è affermata di recente la tendenza a sostituirlo con l’espressione «oltreuomo»), in cui acquista notevole rilievo. Più che ricollegarsi alla concezione romantica dell’eroe, Nietzsche sottolinea un aspetto del tutto diverso; per lui il s. non è tanto l’individuo, quanto il manifestarsi della sua essenza più autentica. Come tale esso rappresenta l’esplicarsi della forza originaria della vita, al di là di qualunque legge; questo è il significato dell’affermarsi del s. su tutti, della sua «volontà di potenza». Collegato alla dottrina dell’eterno ritorno dell’identico, il concetto nietzschiano di s. è in recisa contrapposizione a qualunque concetto dell’uomo elaborato dalla tradizione. Il termine ha avuto grande fortuna, venendo di volta in volta impiegato a esaltare concezioni dell’uomo di tipo vitalistico ed estetizzante, in cui si sottolinea l’inimitabilità e il carattere squisitamente individuale dell’esistenza (G. D’Annunzio), oppure in campo politico, a sostegno di tesi razziste e antidemocratiche (specialmente nel nazionalsocialismo tedesco).