suppletivismo
Il termine suppletivismo designa il fenomeno morfologico (➔ morfologia) per il quale in uno stesso paradigma flessivo (➔ paradigmi) entrano a far parte due (o più) morfemi lessicali diversi. Il risultato è un paradigma che contiene morfemi lessicali differenti dal punto di vista formale ma dal significato perfettamente compatibile: io vado → noi andiamo. Le forme suppletive sono di norma impiegate per completare la serie delle forme mancanti di un paradigma verbale o di un’altra parte variabile del discorso.
Il suppletivismo è tipico della coniugazione di verbi irregolari (➔ coniugazione verbale), nel cui paradigma compare più di una radice, mentre gli affissi sono quelli tipici della classe flessiva a cui il verbo appartiene. Si veda la coniugazione dell’indicativo presente del verbo andare (con alternanza di radice) con quella regolare del verbo amare:
I pers. sing. vad-o am-o
II pers. sing. va-i am-i
III pers. sing. v-a am-a
I pers. plur. and-iamo am-iamo
II pers. plur. and-ate am-ate
III pers. plur. van-no ama-no
In quest’uso tradizionale del termine, suppletivismo fa riferimento esclusivamente a morfemi lessicali privi di relazione etimologica fra loro; si distingue dunque chiaramente dall’allomorfia (➔ allomorfi), intesa come la diversa realizzazione di un morfema dovuta al contesto fonologico, un fenomeno che può riguardare sia i morfemi affissali che lessicali.
In studi recenti si tende invece a considerare il suppletivismo come un grado estremo dell’allomorfia (cfr. Haspelmath 2002: 26-30). Secondo Crocco Galèas (1991: 146-147), in italiano si può distinguere una scala di forza crescente del suppletivismo, a un estremo della quale stanno casi di allomorfia determinati da processi fonologici produttivi e trasparenti (per es., i quattro allomorfi del prefisso negativo in-, im-, ir-, il-, dovuti al diverso comportamento della consonante nasale col variare del contesto fonologico: inutile, impossibile, irreale, illogico); all’estremo opposto il suppletivismo forte nel quale si alternano morfemi privi di qualsiasi somiglianza fonologica (sono / fui), passando attraverso fenomeni intermedi in cui la relazione allomorfica si è oscurata, per il motivo che la somiglianza fonologica non è riconducibile a fattori attivi nella sincronia della lingua (per es., fondo → fusi, devo → dobbiamo, dio → dei); per questi fenomeni è stato proposto il termine suppletivismo debole.
In tale visione allargata, il suppletivismo può essere esteso a comprendere le alternanze tra morfemi lessicali in rapporti di tipo derivazionale (per es., acqua → idrico, cavallo → equino) e anche l’alternanza di morfi flessivi non motivata da ragioni fonologiche.
Il suppletivismo è un fenomeno che caratterizza le lingue appartenenti al tipo morfologico fusivo o flessivo, a cui appartiene l’italiano (➔ lingue romanze e italiano). È dunque comune anche nelle altre lingue romanze. Si confronti, per es., la prima persona singolare del presente, passato remoto e futuro dell’indicativo del verbo andare in italiano, e i verbi corrispettivi in francese (aller), spagnolo e portoghese (ir):
presente futuro passato remoto
italiano vado andrò andai
francese vais irai allai
spagnolo voy iré fui
portoghese vou irei fui
Come si può notare, l’italiano ha due radici: al presente vad- dal latino vădĕre «avanzare (rapidamente)», al futuro e al passato remoto and- (forse dal latino ambulare «camminare»). Il francese ha tre radici: quella del futuro continua il latino ire «andare». Anche spagnolo e portoghese hanno tre radici, ma usano per il passato una forma del verbo ser, dal latino esse «essere» (entrambe le lingue hanno però anche un verbo andar dalla coniugazione regolare, con altro significato).
Oltre che nei verbi, forme suppletive si trovano anche nelle forme sintetiche di origine latina del comparativo (➔ comparativo, grado) e ➔ superlativo degli ➔ aggettivi:
italiano buono migliore ottimo
cattivo peggiore pessimo
spagnolo bueno mejor óptimo
malo peor pésimo
Va comunque notato che la distribuzione e la frequenza dello spagnolo óptimo e pésimo non sono affatto somiglianti a quelle dell’italiano ottimo e pessimo.
Forme suppletive si possono trovare anche negli ➔ etnici, spesso in competizione con la forma derivata regolare: per es., Napoli → napoletano / partenopeo, Bologna → bolognese / felsineo.
Per gli apprendenti di una lingua (➔ acquisizione dell’italiano come L2), le forme suppletive costituiscono una difficoltà, in quanto richiedono un maggiore sforzo di memorizzazione, e possono quindi essere affiancate, e talvolta soppiantate, da forme analogiche regolari. Le forme suppletive di parole di uso molto frequente hanno una maggiore probabilità di resistere alle tendenze regolarizzanti, come accade nella coniugazione del verbo essere.
La presenza di forme suppletive nei paradigmi verbali, per quanto possa essere considerata una irregolarità, permette interessanti generalizzazioni. Per es., Maiden (1992 e 2004) ha mostrato che le forme suppletive non sono distribuite a caso nei paradigmi verbali delle lingue romanze, ma occorrono in schemi ricorrenti anche se arbitrari. Ciò rende i paradigmi verbali irregolari molto meno imprevedibili di quanto potrebbero sembrare. Per es., le forme derivate dalla radice and- nel presente indicativo di andare sono impiegate solo alla prima e seconda persona plurale, le stesse persone che non presentano l’infisso -isc- nei verbi come finire (cfr. finisco / finiamo), o che presentano altre modificazioni dovute alla posizione dell’➔accento in verbi come udire (cfr. odo / udiamo) o sedere (cfr. siedo / sediamo).
Si può dunque formulare la seguente generalizzazione: se un verbo in italiano usa la stessa radice alla prima persona singolare e alla prima plurale dell’indicativo, avrà la stessa radice per tutte le altre forme (lo stesso si può dire per altre varietà romanze, tra cui il francese; cfr. Bonami & Boyé 2003).
La prevedibilità della presenza di forme suppletive in alcune parti della coniugazione verbale è implicita nella formulazione e nell’uso dei paradigmi verbali (cfr. lat. fero, fers, tuli, latum, ferre «portare»), i quali, specificando quali radici siano da usare per la formazione di determinati tempi e modi, permettono di ricostruire tutta la coniugazione di un verbo a partire da un numero ristretto di forme.
Bonami, Olivier & Boyé, Gilles (2003), Supplétion et classes flexionnelles, «Langages» 152, pp. 102-126.
Crocco Galèas, Grazia (1991), Gli etnici italiani. Studio di morfologia naturale, Padova, Unipress.
Haspelmath, Martin (2002), Understanding morphology, London, Arnold.
Maiden, Martin (1992), Irregularity as a determinant of morphological change, «Journal of linguistics» 28, 2, pp. 285-312.
Maiden, Martin (2004), Verso una definizione morfologica delle lingue romanze. La nuova fisionomia morfologica del romanzo, «Aemilianense» 1, pp. 357-404.