Vedi SURKH KOTAL dell'anno: 1966 - 1997
SURKH KOTAL
Sotto il nome di S. K. è conosciuto dai 1952 un grande complesso monumentale scoperto nell'Afghanistan del N (12 km a S del moderno centro di Baghan) e scavato dalla Delégation Archèologique Française en Afghanistan, sotto la direzione di D. Schlumberger.
La collina di S. K. alta una settantina di m, domina la valle del Kunduz-āb. Lo scavo ha messo in luce due cinte concentriche di mura, la prima delle quali delimitava un'acropoli e la seconda un tempio. I resti architettonici e scultorei hanno una importanza fondamentale per tutto quanto riguarda i reciproci rapporti tra il gusto Kusāna, l'arte del Gandhāra (v.) e la cultura greco-iranica della Battriana (v.).
Il santuario è formato da un vasto cortile quadrangolare, al centro del quale sorge un tempio quadrato. Il cortile, delimitato all'esterno da mura bastionate come quelle di una fortezza, è ingentilito all'interno da un portico architravato dietro al quale si aprono gli ingressi di diciotto nicchie rettangolari, ricavate nello spessore delle mura perimetrali. Il tempio, orientato verso E-N-E, sorge sul punto più elevato della collina ed è composto da una cella quadrata circondata su tre lati da un corridoio. Quattro colonne, poste entro la cella agli angoli di una larga piattaforma a tre scalini, sostenevano verosimilmente un soffitto piatto. Tutto intorno al tempio correva un peristilio ora totalmente distrutto. Dalla pianura si innalza verso il piazzale del santuario una scalinata monumentale, formata da tre rampe divise da spaziosi pianerottoli. Il tempio e l'acropoli si presentano come un'opera ideata e realizzata in modo unitario dalla volontà di un unico costruttore.
Di recente è stata ritrovata nello scavo una grande iscrizione, composta in una lingua che si tende ad identificare con l'antico battriano. Essa è redatta in un alfabeto greco modificato, vicinissimo, per tutte le particolarità paleografiche, a quello in uso tra i Parthi. Dall'ottima interpretazione dello Henning risulta che il monumento (chiamato Bagolango) fu edificato da Kanishka Nicatore e subì nell'anno XXXI di Kanishka VI di Huviska, un ampio restauro ad opera del Kuṣāna Nokonzoko. La data di fondazione oscilla dunque tra il 78 ed il 144 d. C.
La località, legata intimamente alla monarchia Kuṣāna, cadde in rovina in epoca sassanide e fu abbandonata completamente molto prima dell'invasione islamica.
Gli edifici furono costruiti generalmente con mattoni crudi, rinforzati internamente da armature di legno; la pietra da taglio è molto rara: essa venne usata solo per gli scalini ed i muri di sostegno della scalinata, per le mura di sostegno della terrazza-cortile del tempio e per le basi delle colonne e dei pilastri.
Lo scavo ha portato alla luce anche opere di scultura monumentale. Si tratta, in parte, di alte figure di argilla dipinta, che ornavano le diciotto nicchie rettangolari aperte nelle mura interne del cortile; e in parte di figure in pietra. Delle statue in argilla rimangono purtroppo soltanto frammenti piccolissimi, nel complesso totalmente indecifrabili. La scultura in pietra ci ha invece lasciato tre figure stanti, rinvenute l'una vicina all'altra nel lato S del portico ed un altorilievo estremamente rovinato proveniente dal lato N. Le tre statue, profondamente danneggiate, sono tutte prive della testa e, in parte, degli arti. Si tratta senza dubbio di tre personaggi imperiali, vestiti con il caratteristico costume Kuṣāna.
Addossati alle mura esterne dell'acropoli si ergono i resti di un piccolo tempio del fuoco, quadrato. Nell'interno è stato rinvenuto un altare con un lato scolpito. Il rilievo, mutilo nella parte superiore, mostra due aquile rigidamente frontali (prive del collo e della testa) separate da una bassa colonna che quasi certamente doveva sostenere due archi forse mistilinei.
Due chilometri ad E della collina è venuta alla luce una piattaforma rettangolare limitata da un bel muretto di sostegno in pietra squadrata e scolpita. Le grandi statue in stucco che vi erano erette sono ora scomparse e solo alcune tracce di piedi nudi testimoniano della loro esistenza e delle loro gigantesche proporzioni. Le lesene, adorne di piattebande lunate in alto, che scandiscono il muro di sostegno, sono uguali a quelle della scalinata monumentale e così dicasi per i capitelli pseudo-corinzi figurati. Si tratta perciò di un'opera probabilmente contemporanea o immediatamente sussegnente al tempio edificato sulla collina. Tanto più stupisce, dunque, trovare scolpito su uno dei capitelli un turbante, sicuramente identificabile con il sacro turbante del Bodhisattva Siddhārta.
Il significato di S. K. è stato avvicinato - e non a torto - con il significato dei santuarî imperiali irano-ellenistici (v. nemrud dagh) costruiti con l'intenzione di legittimare, attraverso il culto di antenati veri o mitologici, l'autorità divina del sovrano vivente. È difficile tuttavia dire se il valore del sacrario Kuṣāna si esaurisca entro i limiti di questa idea o non si rifaccia invece ad un costume funerario antichissimo, fondato su una arcaica concezione animistica plurima. K. Jettmar, al quale è dovuta la seconda ipotesi, pone l'accento sull'analogia di significato esistente tra S. K. e la torre sacrario di Koi-Krylgan-Kala nel Chorezm (v.), entro la quale sembra venissero custodite le ceneri e le statue degli antichi re choresmiani.
Bibl.: D. Schlumberger, Le temple de Surkh-Kotal en Bactriane, in Journal Asiatique, CCXL, 1952, pp. 433-543; CCXLII, 1954, pp. 161-205; CCXLIII, 1955, pp. 269-279; CCLII, 1964, pp. 303 ss.; id., in Comp. Rend. Ac. Inscrip. Bel. Lett., 1957, pp. 176-181; A. Mariq, La grande inscription de Kaniska et l'etéo-tokharien, in Journal Asiatique, CCXVI, 1958; D. Schlumberger, Surkh-Kotal, in Antiquity, XXXIII, 1959, pp. 81-86; W. Henning, The Bactrian Inscription, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, XXIII, 1960, p. 47 ss.; D. Schlumberger, Descendents non-mediterranéens de l'art grec, in Syria, XXXVII, 1960, p. 131 ss.; K. Jettmar, Zum Heiligtum von Surkh-Kotal, in Central Asiatic Journal, V, 1960, p. 198 ss.