SŪRYA
Principale nome del sole, inteso come divinità, nella tradizione indiana. Il dio è noto nei Veda anche con altri nomi, in particolare Āditya (gli Āditya, in numero variabile, sono aspetti della luce) e Savitar (post-vedico Savitṛ), al quale è rivolto tutte le mattine il più celebre dei mantra vedici, la gāyatrī. S. è associato al cavallo, ed è anche descritto come un uccello celeste, chiamato Garutmān, o come un'aquila, Suparṇa. Sul piano cosmologico-religioso il sole funge da porta celeste, quel punto dello spazio da cui escono coloro che hanno raggiunto la liberazione. In questa sua funzione il sole è equivalente al loto, simbolo di conseguimento e rinascita spirituale. Disco solare, nimbo e fiore di loto tendono così, nelle iconografie, a sovrapporsi. Altri simboli con cui il sole è rappresentato a partire dal periodo tardo e post-vedico sono lo svastika con andamento orario (lo svastika levogiro è simbolo polare), il cerchio con raggi e il cakra o ruota. Alcuni di questi simboli ricorrono sulla ceramica calcolitica e del primo periodo storico, ma è sulle monete punzonate (v. moneta: India), dal IV sec. a.C. in poi, che il sole è rappresentato con frequenza: su di esse sono attestati quattro diversi simboli solari, due dei quali compaiono pressoché su tutti i tipi. Simboli analoghi, e anche il loto, compaiono sulle c.d. monete tribali, emesse da diverse entità quasi-statali dei secoli precedenti alla nostra era e immediatamente successivi a essa. Importanti sono le iconografie solari che compaiono sul rovescio delle monete di Sūryamitra e Bhānumitra, due re del lignaggio settentrionale dei Mitra (I sec. a.C.): il disco solare, raggiante, poggia su una piattaforma posta tra due pilastri e cinta da balaustra.
Le prime rappresentazioni iconiche di S., tutte caratterizzate dalla presenza del carro solare, compaiono tra il II-I sec. a.C. e il I sec. d.C. e si rifanno a modelli ellenistici introdotti in India sia dalla Battriana e dal Nord- Ovest (conosciamo p.es. le monete del re greco-battriano Platone, recanti sul rovescio Helios su quadriga), sia dal Deccan. Ricordiamo un disco di terracotta, da Patna, che mostra S. armato di arco e freccia sul cocchio condotto dall'auriga Aruna, e una terracotta proveniente da Candraketugaṛh, nel Bengala, dove il dio, armato, è accompagnato da due figure femminili, probabilmente Uṣā e Pratyūśā, che rappresentano due diversi aspetti dell'aurora: qui le ruote del cocchio, visto frontalmente, schiacciano un gigante, simbolo delle tenebre, identificabile forse con il demone vedico dell'eclissi Svarbhāṇu. Questo particolare iconografico avvicina l'immagine a quella del rilievo, d'incerta interpretazione, scolpito nel portico del Monastero 19 di Bhājā (inizi del I sec. a.C.), dove il cocchio del dio, rappresentato a quattro braccia, accompagnato dalle consorti e scortato da figure a cavallo, corre sul corpo di un gigantesco demone femmina. Altre immagini di S. sono quella su un elemento di balaustra di Bodh Gayā, dove il dio, sempre accompagnato da due figure femminili e armato, corre su un cocchio tirato da due coppie di cavalli prospetticamente molto divergenti verso i lati del rilievo, che ancora una volta travolge i demoni delle tenebre, qui a mezzo busto in atteggiamento supplice; e quella su un rilievo della Grotta 3 (Anataguṃphā) di Khaṇḍagiri, nell'Orissa (ν. śiśupālgarh), del I sec. d.C.: accanto al carro trainato da cavalli allo stesso modo che a Bodh Gayā, è uno yakṣa con fiaschetta per l'acqua e un'insegna (?). Più tardo, datato solitamente al II sec., è il rilievo su pilastro da Lālā Bhāgat (Kanpur), dove medesimo, pur con qualche variante, rimane il modello iconografico.
Non più tardi del I sec. a.C., verosimilmente a seguito dell'invasione degli Saka, giunsero e si stabilirono in India gli appartenenti a una classe sacerdotale che riconosceva nel sole (Mihira) la divinità suprema, i Maga. Essi s'inserirono rapidamente nella società brahmanica grazie all'indiscussa accettazione dei Veda. E possibile che le iconografie sopra ricordate, dove S. appare sempre in forma iconica, siano già una conseguenza del vero e proprio culto teistico da loro introdotto. Nessuna immagine di culto vera e propria, tuttavia, è oggi nota di questo periodo. Un'eco del diffondersi di un culto reso al sole, parallelo ma ben separato dagli altri numerosi culti che si aṇḍavano definendo ovunque in India, si coglie in una testa femminile proveniente dal sito di Kaṅkālī-Ṭīlā a Mathurā (ora nel museo di Lucknow) che mostra sulla capigliatura una placca con l'immagine di S. su cocchio che regge due boccioli di loto, un tratto iconografico che, più diffuso ancora nella forma di due loti aperti, diventa caratteristico del dio da ora (I sec. d.C.) in poi. La placca è segno dell'affiliazione religiosa della devota, che in S., secondo i presupposti della bhakti, riconosceva a un tempo il dio come creatore, protettore e distruttore dell'universo. Sappiamo che nei primi secoli della nostra era esistevano sei classi di saura, o adoratori del sole, che avevano in comune un mantra di otto sillabe.
I Kuṣāna (I-II sec. d.C.) sono portatori di due distinte tradizioni iconografiche della divinità solare. La prima è rappresentata dalle immagini di Helios e di Mihiro che compaiono sulle loro emissioni monetarie. Helios appare sul rovescio di alcune emissioni di Kaniṣka (Göbl 25, 32, 766) come una figura maschile stante, volta verso sinistra, con veste che scende fino a mezza gamba, mantello appuntato al petto e alti stivali. La testa è circondata da un nimbo radiante: la mano destra è rivolta in alto con due dita sollevate nel segno della vittoria; la sinistra poggia sul fianco reggendo una spada. L'iconografia di Mihiro (Miiro, e diverse altre varianti), rappresentato molto più frequentemente su coni di Kaniṣka e di Huviska, non si discosta in maniera sostanziale da quella di Helios, se non perché in molti casi il dio regge con la sinistra una lancia o uno scettro. L'altra tradizione è data dalle statue di S. prodotte a Mathurā. Tra di esse si segnala quella da Kaṅkālī-Ṭīlā in cui il dio, con baffi, indossa un abito di tipo «scitico» con tunica ricamata, calzoni, stivali e copricapo rotondo piatto, e regge nella mano destra un bocciolo di loto, e nella sinistra uno stocco. Interpretata a volte come raffigurazione di un sovrano kuṣāna, essa è più probabilmente un'immagine di S. modellata sulle iconografie regali (p.es. quella di Gokarṇeśvara, che mostra il re seduto allo stesso modo). Quanto all'altare che appare alla base della stele, esso si riferisce ai rituali connessi al culto. In questa e in altre immagini i confini iconografici tra immagine regale e immagine divina sembrano tuttavia volutamente incerti, a indicare probabilmente l'intenzione, da parte kuṣāna, di identificare il proprio lignaggio con una delle tradizionali discendenze regali dell'India, quella sūryavaṃśa. Fra le immagini prodotte a Mathurā in questo periodo si distingue quella in cui il dio, montato sul carro, appare dotato di un paio d'ali, un particolare che rimaṇḍa alle descrizioni vediche di S. come Suparṇa o Garutmān. Quanto ai tratti iconografici di tipo scitico-centroasiatico acquisiti da S. in quest'epoca (in special modo la veste, nota come udīcya-veśa, e gli stivali), essi rimarranno distintivi del dio nei secoli successivi in tutta l'India del Nord.
Molte immagini di S. di epoca post-kuṣāna e gupta accettano sostanzialmente il secondo modello iconografico kuṣāna, ma accanto al dio compaiono ora i due assistenti Daṇḍī e Piṇgala, che segnando le azioni buone o malvage degli esseri apportano all'iconografia del dio forti connotazioni iraniche: la fiamma di S. è in grado di cancellare i peccati e dare salvezza. Dall'India del Nord-Ovest ricordiamo un'immagine, probabilmente kashmira (ma rinvenuta a Mathurā), che rappresenta il dio stante con i due assistenti e senza il carro solare, e dalla parte opposta del subcontinente quelle da Niyāmatpur e Kumārpur (Bengala), esse pure con Daṇḍī e Piṇgala e prive del cocchio. E questa una tradizione iconografica che si manterrà anche nella produzione medievale accanto all'altra, più diffusa, che vede il dio sul cocchio a una sola ruota trainato da sette cavalli.
Questione importante è quella dei templi dedicati in antico al dio. La progressiva scomparsa nel Medioevo di un culto separatamente reso a S. quale ente supremo ha cancellato molte evidenze, ma è restata viva la memoria del mūlasthāna, la «sede originaria» del dio in India quale era stato concepito e forgiato dai Maga. Abbiamo una celebre descrizione dell'idolo fatta dal pellegrino Xuan-zang (prima metà del VII sec.) in occasione della sua visita a Multan nel Panjab, dove sorgeva un famoso tempio del sole a lungo considerato come quello originario fondato da Sambā (leggendario figlio di Kṛṣṇa che per primo avrebbe introdotto il culto solare in India). Ma tale tempio si trovava sul fiume Candrabhāgā (Chenab), che in antico non bagnava Multan, toccata invece da un altro dei «cinque fiumi», la Ravi. Il mūlasthāna non è dunque ancora identificato, e quanto ai templi documentati dalle iscrizioni di epoca gupta come quelli di Mandasor (v.) e di Indore nell'India centrale, entrambi del V sec., nemmeno essi sono stati localizzati. Il più antico tempio documentato è dunque quello di Khair Khāna presso Kabul (v.), risalente secondo alcuni agli inizi, secondo altri alla fine del VII sec., o agli inizi dell'VIII. La spettacolare immagine del dio, in marmo bianco, che si trovava nella cella principale, indossa la più ricca e ornata veste di tipo scitico che ci sia nota, arricchita da innumerevoli gioielli.
Ad alcuni tratti dell'iconografia solare attinsero altri movimenti religiosi, il buddhismo e il visnuismo, e specialmente quest'ultimo poiché Viṣṇu (v.), emergente già nella tarda antichità quale essere supremo di un induismo unificato, assunse per tempo molte caratteristiche di Sūrya. Per quanto riguarda il buddhismo, vanno ricordati alcuni rilievi a Mathurā e nel Gandhāra (I-II sec. d.C.) in cui, al momento dell'Illuminazione, il Buddha è rappresentato, anziché in forma antropomorfa, a guisa di disco solare. Una simile iconografia può essere interpretata o come il passaggio di attraverso la porta celeste costituita, come si è detto, dal sole, e quindi come il raggiungimento da parte sua della liberazione dal saṃsāra·, oppure quale volontà di sottolineare il lignaggio sūryavaṃśa a cui il Buddha appartiene. E certamente quest'ultima appartenenza che vuole indicare un'immagine gandharica di Bodhisattva oggi nel Royal Ontario Museum di Toronto, da interpretare come Siddhārta, che mostra sul turbante S. sul carro guidato da Aruṇa. Quanto a Viṣṇu, va osservato che già nei Veda egli è percepito come un aspetto del sole, e che nasce quindi come divinità solare (Āditya-Viṣṇu). Al momento della formazione delle prime iconografie del dio, gli sono assegnati due attributi con forti connotazioni solari, il loto e il cakra. In epoca post-gupta lo sforzo di assimilazione dei culti saura portò alla creazione di immagini sincretistiche di Āditya-Viṣṇu e Nārāyana (emergente quest'ultimo come aspetto principale del dio). Ricordiamo qui una stele da Kathmandu datata all'anno 567 raffigurante Śaṅkara Nārāyaṇasvāmi che reca un'iscrizione in cui per la prima volta esplicitamente Viṣṇu viene chiamato «Signore del sole», tanto da fargli recuperare l'antica identità di Āditya.
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