Hayward, Susan
Nome d'arte di Edythe Marrener, attrice cinematografica statunitense, nata a New York il 30 giugno 1917 e morta a Los Angeles il 14 marzo 1975. Ebbe a lungo parti di secondo piano e solo nella seconda metà degli anni Quaranta riuscì a imporsi come attrice non soltanto di seducente bellezza, con folti capelli rossi che le incorniciavano il volto dai tratti delicati, ma anche di notevole temperamento, particolarmente adatto a ruoli di donne volitive e indipendenti, spesso destinate a un'esistenza infelice. Nel 1956 fu premiata al Festival di Cannes per una di queste interpretazioni, quella offerta in I'll cry tomorrow (1955; Piangerò domani) di Daniel Mann, melodramma basato sulle memorie dell'attrice Lillian Roth, e nel 1959, alla quinta candidatura, ottenne l'Oscar come miglior attrice protagonista per I want to live! (1958; Non voglio morire) di Robert Wise, in cui ritraeva con rabbia e commozione Barbara Graham, una donna giustiziata per omicidio nella camera a gas.
Dopo aver compiuto gli studi commerciali, lavorò per qualche tempo come fotomodella e nel 1937 si recò a Hollywood a sostenere il provino per la parte di Scarlett O'Hara nella riduzione cinematografica del romanzo di M. Mitchell Gone with the wind, ruolo che sarebbe poi andato a Vivien Leigh. Malgrado l'insuccesso cominciò a lavorare in piccole parti e, sotto contratto con la Paramount, apparve in Beau Geste (1939) di William A. Wellman, al fianco di Gary Cooper e Ray Milland (di cui, in poche scene, interpreta la fidanzata). Prestata alla Columbia, riuscì a farsi notare fronteggiando Ingrid Bergman in Adam had four sons (1941; La famiglia Stoddard) di Gregory Ratoff, nel ruolo di una giovane ninfomane. La leggenda vuole che, allarmate dal suo talen-to, le primedonne della Paramount (Claudette Colbert, Paulette Goddard e Veronica Lake) complottassero per soffiarle i ruoli da protagonista, lasciandole quelli di antagonista. Sta di fatto che fu la H. a interpretare la romantica cugina dell'eroina (Paulette Goddard) in Reap the wild wind (1942; Vento selvaggio) di Cecil B. DeMille, la dispettosa rivale di una strega reincarnata (Veronica Lake) in I married a witch (1942; Ho sposato una strega) di René Clair, o l'inquieta sorella della dolce Emily (Loretta Young) in And now tomorrow (1944; Il grande silenzio) di Irving Pichel. Esasperata, la H. lasciò la Paramount per essere scritturata dal produttore Walter Wanger che in lei vide il tipo di attrice in grado di rappresentare la donna del dopoguerra, autonoma, intraprendente e combattiva. Dapprima le offrì la parte della vivace Lucy nel western Canyon passage (1946; I conquistatori) di Jacques Tourneur, poi le fece ottenere la prima candidatura all'Oscar con il ruolo della cantante Angelica Evans, che affoga nell'alcool il suo senso d'ina-deguatezza, nel film Smash-up, the story of a woman (1947; Una donna distrusse) di Stuart Heisler, infine le affidò l'assai impegnativo ruolo di protagonista in Tulsa (1949), ancora per la regia di Heisler.Travolto dall'insuccesso di Joan of Arc (1948; Giovanna d'Arco) di Victor Fleming, Wanger dovette cedere il contratto che aveva con l'attrice alla 20th Century-Fox, che finalmente ne fece una diva di enorme richiamo. Fu la raffinata Irene in House of strangers (1949; Amaro destino) di Joseph L. Mankiewicz e ottenne una seconda nomination all'Oscar con My foolish heart (1949; Questo mio folle cuore) diretto da Mark Robson, da un racconto di J.D. Salinger. Sotto la regia di Henry Hathaway girò quattro film, tra cui i due notevoli western Rawhide (1951; L'uomo dell'Est) con Tyrone Power e Garden of evil (1954; Il prigioniero della miniera) con Gary Cooper, in cui perfezionò il suo ruolo di donna pungente e disillusa, mai subalterna alle figure maschili. Dei quattro film in cui fu diretta da Henry King, due ottennero incassi eccezionali: David and Bathsheba (1951; Davide e Betsabea) e The snows of Kilimanjaro (1952; Le nevi del Chilimangiaro), entrambi con Gregory Peck. Per Walter Lang recitò in With a song in my heart (1952; La dominatrice del destino), un melodramma che le valse un Golden Globe nel 1953. Fornì un'ottima prova in The lusty men (1952; Il temerario) di Nicholas Ray, mentre fu un'improbabile Messalina in Demetrius and the gladiators (1954; I gladiatori) di Delmer Daves. Nello stesso anno in cui veniva premiata per I'll cry tomorrow partecipò insieme a John Wayne al film The conqueror (1956; Il conquistatore) di Dick Powell, le cui riprese si svolsero in una zona desertica, sede di esperimenti nucleari (gran parte della troupe nel giro di vent'anni morì, come l'attrice, di cancro). Dopo lo straordinario successo ottenuto con I want to live! (che le valse anche un David di Donatello), fu ancora apprezzata dal pubblico femminile per il sentimentale Back Street (1961; Il sentiero degli amanti) di David Miller, ma diradò la sua attività artistica per ritirarsi in Georgia con il secondo marito. Qualche anno più tardi la H. tentò senza clamori la via del teatro con Mame (1966) e apparve ancora nel pregevole The honey pot (1967; Masquerade) di J.L. Mankiewicz e in Valley of the dolls (1967; La valle delle bambole) diretto da M. Robson in cui sostituì Judy Garland. Recitò anche in due produzioni televisive. Il suo ultimo film fu The revengers (1972; La feccia) di D. Mann.
E. Moreno, The films of Susan Hayward, Secausus (NJ) 1979; Ch.P. Andersen, A star, is a star, is a star! The lives and loves of Susan Hayward, Garden City (NY) 1980; B. Linet, Susan Hayward, portrait of a survivor, New York 1980.