SONTAG, Susan
Scrittrice statunitense, nata a New York il 16 gennaio 1933. Compiuti gli studi di filosofia nelle università di Berkeley e Chicago, laureatasi in letteratura inglese alla Harvard university nel 1954, S. proseguì la propria formazione in Europa (università di Oxford, 1957; Parigi, 1957-58). Nel 1959 si stabilì a New York, dove intraprese la carriera di saggista free lance e per breve tempo diresse la rivista Commentary. Dopo aver insegnato letteratura e filosofia in diverse università americane, si dedicò completamente, anche per le possibilità offertele da borse di studio prestigiose (Guggenheim, Rockefeller), all'attività creativa.
Radicata nel pensiero filosofico e nella cultura letteraria europea − si vedano fra l'altro i volumi antologici dedicati ad A. Artaud (1976) e a R. Barthes (1981) da lei curati − l'opera di S. è caratterizzata dalla presenza costante di un soggetto morale che, pur costruito dalla scrittura, scruta la realtà nelle sue diverse manifestazioni, un soggetto che dagli eventi come dalle diverse arti − soprattutto dal cinema sperimentale − cerca di estrarre le forme con cui le idee si manifestano, costituendo altrettante tessere della modernità.
S. si è imposta all'attenzione di critici e lettori con due raccolte di saggi pubblicate in stretta successione negli anni Sessanta, Against interpretation (1966; trad. it., 1967) e Styles of radical will (1969; trad. it., Interpretazioni tendenziose, 1975). Il titolo italiano dato al secondo volume ben rende il modo in cui sono state recepite le sue proposte di lettura delle forme e degli stili dell'arte contemporanea; ma a distanza di oltre vent'anni non si può non rilevare quanto la sintonia del pensiero di S. con alcune tendenze contemporanee della pittura e della letteratura americana, definite anti-intellettuali, potesse far sembrare provocatori i suoi inviti a guardare le cose, a vederne e comprenderne la materialità, la magia, la sensualità. In un'epoca in cui fra gli intellettuali dominavano le letture psicoanalitiche e ideologiche della realtà non poteva non suscitare scandalo la sua proposta di un'"erotica dell'arte", sulla scia di W. Whitman e delle sue avances di erotica relazione tra autore e lettori. Il saggio Against interpretation può essere considerato il motto sotteso al suo pensiero critico: come un'adepta al buddismo Zen, S. dà infatti precedenza all'oggetto − sia esso un quadro, un'opera letteraria, il mondo − rispetto all'interpretazione dell'oggetto; e ciò vale anche quando l'oggetto non è un'opera d'arte, ma sono le malattie del nostro secolo, il cancro e l'AIDS. I due volumi Illness as metaphor (1977), AIDS and its metaphor (1988; trad. it., Malattia come metafora: aids e cancro, 1992) sono una lucida rassegna delle metafore con cui la società mistifica le due malattie. Se il primo si deve all'esperienza personale dell'autrice, colpita dal cancro, e il secondo agli effetti devastanti di un male in espansione, scopo dei due saggi non è lenire le ferite o cercare consolazione nella narrazione dell'esperienza, quanto offrire strumenti critici che aiutino i lettori a considerare cancro e AIDS quello che essi sono, malattie, senza cadere nelle trappole metaforiche che, creando un immaginario di colpevolezza, impotenza, ineluttabilità, deformano l'esperienza della malattia, aumentano la sofferenza, paralizzano l'azione e ostacolano scelte e soluzioni. Ancora al rapporto fra mondo e interpretazione, questa volta alla luce di quell'apparente doppio che sono le fotografie, è dedicato On photography (1977; trad. it., Sulla fotografia. Realtà e immagine della nostra società, 1992), che le è valso il premio del National Book Critics' Circle per la miglior opera critica dell'anno. Per S. le fotografie ci danno una grammatica e un'etica del vedere di una società divenuta ''moderna'' nel momento in cui si è posta come obiettivo quello di produrre e consumare immagini. Interrompendo la secolare tradizione iniziata da Platone, la società moderna supera la distinzione fra immagine e realtà avvicinandosi al sentire di società arcaiche in cui la cosa e la sua immagine erano ritenute manifestazioni diverse di una stessa energia o spirito vitale. Con una marcata differenza tuttavia: nel mondo odierno sono le cose reali a vedersi attribuite le qualità dell'immagine.
Con la scrittura critica S. ha raggiunto il più vasto pubblico, ma è la scrittura creativa, il romanzo e il racconto, che S. ha scelto quale forma privilegiata d'espressione, a partire dall'opera d'esordio, The benefactor (1963; trad. it., 1965), romanzo ambientato in Francia nel periodo fra le due guerre, il cui progatonista, Hippolyte, narra in prima persona l'esperimento di vivere interamente dei propri sogni adeguando a questi la realtà. Già in quest'opera S. inizia a rappresentare quella comunicazione del silenzio che si ritroverà nel secondo romanzo Death kit (1967; trad. it., 1973). Anche qui assistiamo alla costruzione di una realtà soggettiva, al tentativo del protagonista, Dalton Harron (Diddy), di vivere nella propria testa, tanto che alla fine chi legge ha il sospetto di aver seguito le ultime fantasie di un suicida moribondo. Il silenzio è ancora tema, forma e chiave interpretativa delle due opere cinematografiche di S., Duet for cannibals (1970) e Brother Carl (1974), e di alcuni dei racconti di I, etcetera (1978; trad. it., 1980) come Vecchie lagnanze rivisitate; e inoltre di Giro turistico senza guida (1983), film dedicato a Venezia, prodotto da RAI 3. In quest'ultima opera converge tuttavia anche un altro tema, già al centro dei saggi raccolti in Under the sign of Saturn (1980; trad. it., 1982), quello della malinconia. Partecipe del dibattito culturale del suo tempo, S. ha da sempre aspirato a mediare fra i poli di cultura alta e cultura popolare. Ci è riuscita con The Vesuvius lover (1992; trad. it., L'amante del vulcano, 1994), romanzo nel quale si ritrovano gli stilemi, le tecniche narrative, le tensioni politiche e morali, l'impegno conoscitivo presenti nell'intera sua produzione, finalmente integrati in una storia costruita con abilità ed effetto che avvince e fa riflettere: solo alla fine del romanzo conosciamo infatti i nomi dei personaggi, Hamilton, Nelson, Emma, moglie del primo e amante del secondo, che si muovono nello scenario di una Napoli borbonica presa nelle spire dell'insurrezione repubblicana. Ma quei nomi scorrono, come i titoli di testa in un film, nella mente di una delle cospiratrici della repubblica napoletana: Eleonora de Fonseca Pimentel. S. ci fa penetrare nei suoi ultimi pensieri, nelle ore che precedono l'esecuzione. Il soggetto di re-visione − la narratrice che all'inizio del romanzo, a New York, cerca nel robivecchi della storia − s'identifica col soggetto di visione, Eleonora. In entrambi i casi è una donna che guarda alle vicende della storia a partire dalla propria particolare esperienza. In un'analoga chiave di re-visione e ri-lettura, ancora una volta fra biografia, romanzo e fantasia, S. ricostruisce infine il dramma di A. James nel suo recente testo teatrale, Alice in bed (1992). È uscito nel 1991 a New York un volume di racconti di S., The way we live now.
Bibl.: L. Piré, Un transito nel moderno: l'esempio di Susan Sontag, in Contesti, 1, Bari 1988, pp. 179-97; S. Sayre, Susan Sontag. The elegiac modernist, New York-Londra 1990.