Abstract
Nell’UE, il principio di sussidiarietà – espressamente sancito nell’art. 5, par, 3, TUE, – è chiamato a disciplinare l’esercizio delle competenze nelle materie concorrenti, attribuite in contitolarità agli Stati membri ed all’UE . In particolare, esso permette di stabilire il livello più idoneo a regolamentare un determinato settore (concorrente), sulla base di parametri precisati nella medesima disposizione e nel Protocollo n. 2. Infatti, il principio impone alle istituzioni dell’UE di legittimare la loro azione e di dimostrarne la maggiore efficacia rispetto a quella che potrebbe essere adottata a livello nazionale. È evidente che l’intervento normativo dell’UE limita o priva del tutto gli Stati membri del relativo potere legislativo e, dunque, risulta fondamentale il controllo sul suo corretto utilizzo. Tale potere è stato attribuito non soltanto alle istituzioni UE, ma soprattutto ai Parlamenti nazionali (c.d. procedura di allarme preventivo), in modo che essi possano valutare se l’intervento normativo dell’UE è realmente più adeguato ed efficace rispetto a quello che potrebbero promuovere loro stessi.
Il principio di sussidiarietà, che il Trattato di Maastricht ha inserito tra quelli fondamentali dell’Unione europea destinati ad ispirare le successive fasi di sviluppo del processo di integrazione, ha precedenti lontani nel tempo. Infatti, può dirsi che esso emerga contestualmente alla nascita della “scienza politica” e che la sua elaborazione proceda in parallelo con lo sviluppo di tale scienza. Il contenuto del principio consiste essenzialmente nel ritenere che, laddove sussista una divisione di poteri tra un livello superiore e un livello inferiore (ad es., Stato federale/Stati federati, Stato centrale/Regioni/Province/Comuni), l’esercizio delle competenze da parte dei pubblici poteri deve rispondere sempre al bene dell’individuo e deve basarsi su una scelta meditata e imparziale delle autorità più adatte. Altrimenti detto, il principio impone che le decisioni siano prese dalle autorità più vicine al cittadino. Così, ad esempio, negli Stati Uniti d’America, la Corte suprema, in una giurisprudenza consolidata, ha ritenuto che l’intervento dello Stato federale sia legittimo soltanto qualora risulti “necessary and proper”. In Germania, il Grundgesetz (la Legge fondamentale tedesca) stabilisce una presunzione di competenza a favore dei Länder e vincola l’esercizio di competenza legislativa del Bund al rispetto di precise condizioni: «1. Una questione non può essere efficacemente regolata dalla legislazione dei singoli Länder, o 2. La regolazione di una questione mediante la legge di un Land potrebbe nuocere agli interessi degli altri Länder o alla collettività, o 3. Lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica, ed in particolar modo la tutela dell’uniformità delle condizioni di vita, prescindendo dai confini territoriali d’ogni singolo Land» (art. 72). Peraltro, l’applicazione del principio di sussidiarietà si considera implicita nei rapporti tra Bund, Länder ed enti minori, in quanto ogni livello è chiamato ad esercitare i propri poteri in ragione della dimensione degli obiettivi da perseguire.
Grazie alla flessibilità che lo contraddistingue ed alla natura politica dei presupposti che ne condizionano l’operatività, il principio di sussidiarietà può essere utilizzato, dunque, sia come elemento di accentuazione di spinte centripete, dirette ad accrescere l’area degli interventi del livello di governo superiore, sia come elemento di rispetto e valorizzazione dell’azione dei livelli inferiori di governo.
L’ambivalenza di effetti appena richiamata è confermata dall’esame dell’applicazione del principio in ambito comunitario. In questo contesto, esso è stato adoperato in vista dell’obiettivo di un rafforzamento dell’azione comunitaria, ma altresì per limitare le spinte verso un eccessivo centralismo e un depauperamento di competenze degli Stati membri. Invero, da un lato le istituzioni europee – in particolar modo la Commissione e la Corte – hanno fatto riferimento al principio di sussidiarietà per ampliare, in modo sostanziale e graduale, le competenze originariamente attribuite all’UE; dall’altro lato, taluni Stati membri hanno agito in senso opposto, richiamando il principio per evitare ulteriori erosioni di sovranità. Infatti, la sussidiarietà ha operato in un primo momento come freno all’esercizio delle competenze da parte delle istituzioni europee, ma successivamente ha consentito una più stretta ed efficace interazione tra il livello europeo ed il livello statale. In sostanza, l’Unione è stata chiamata ad indirizzare, sostenere ed integrare l’azione degli Stati in settori originariamente esclusi da ogni sua regolazione; di conseguenza, la distinzione tra le varie tipologie di competenze è andata sfumandosi ed entrambi i livelli sono stati chiamati ad intervenire in tutti i campi, sebbene con modalità e strumenti differenziati.
Nello specifico, sin dall’inizio degli anni ’70, il PE ha evocato il principio di sussidiarietà come formula organizzativa dei rapporti tra Unione, Stati e loro articolazioni territoriali. Il principio trova esplicita menzione, per la prima volta, nel Rapporto della Commissione del 26.6.1975 sull’Unione europea (c.d. Rapporto Tindemans), nel quale veniva proposto, «d’accordo con il principio di sussidiarietà», di delegare all’Unione soltanto quei compiti che gli Stati membri non erano in grado di assolvere in maniera soddisfacente. È stato introdotto poi nel “Rapporto McDougal”, del 1977, relativo al federalismo fiscale, e nel Trattato–Costituzione (c.d. progetto Spinelli), adottato dal PE nel 1984, che delineava un sistema federale compiuto. È, comunque, con l’Atto Unico Europeo che il principio di sussidiarietà – sia pure attraverso indicazioni indirette ed implicite alla sua portata e mai attraverso espressa menzione – viene in rilievo nell’ambito di settori di competenza concorrente attribuiti ex novo all’Unione; specificamente nella politica ambientale, nella ricerca e sviluppo tecnologico e nella coesione economica e sociale. In tali ambiti, l’intervento comunitario è graduato in modo diverso: più intenso in ambito ambientale, meno negli altri due, nei quali si concretizza come mera integrazione delle azioni nazionali.
Il Trattato di Maastricht, del 1992, inserisce espressamente il principio di sussidiarietà nel testo convenzionale. Esso è evocato in termini generali già nel Preambolo del Trattato (« … creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà»), ma esplicitamente definito nell’art. 3B, che disciplina i principi che sovraintendono al riparto di competenze tra Unione e Stati membri (principio delle competenze di attribuzione, principio di sussidiarietà e principio di proporzionalità).
Nel Trattato di Lisbona, la relativa disposizione (art. 5, par. 3, TUE), si inserisce in un sistema articolato di norme destinate a presiedere in modo più chiaro e trasparente al riparto di competenze tra UE e Stati membri. Il dettato dell’art. 5 TUE risponde all’esigenza evidenziata dalla Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Europa, del 15.12.2001, di assicurare che «un riassetto della ripartizione delle competenze non si traducesse in un ampliamento strisciante delle competenze dell’Unione, oppure in un’interferenza in settori di competenza esclusiva degli Stati membri». Nell’intento, quindi, di evitare qualsiasi sconfinamento da parte delle istituzioni europee e di sottoporre ulteriori erosioni di sovranità nazionale al vaglio ed all’autorizzazione degli Stati membri, sono state introdotte nel Trattato apposite liste di competenze (artt. 3-6 TFUE). Si tratta di una vera e propria inversione di tendenza rispetto alle più generiche previsioni del passato, che avevano favorito, nella prassi delle istituzioni, le forti spinte espansionistiche dei poteri regolatori dell’Unione. Nondimeno, la rigidità degli elenchi è controbilanciata dalla definitiva formalizzazione delle competenze in vario modo e misura acquisite dall’Unione nel corso del tempo e perfino dalla previsione di nuovi settori di intervento (ad es., in materia di sport o di cambiamenti climatici). Pertanto, è possibile affermare che le competenze dell’UE abbiano oramai carattere tendenzialmente “universale”, essendo difficile individuare materie in cui le istituzioni europee, sia pure in forme e con intensità diverse, non possano intervenire.
Nel Trattato di Lisbona, il principio di sussidiarietà continua a regolare i rapporti tra le istituzioni europee e gli Stati membri nell’esercizio (e non nell’attribuzione) della competenza nelle materie concorrenti, ponendo condizioni più rigorose e precise per giustificare l’intervento regolatore dell’Unione.
In tali materie, l’Unione è chiamata a legittimare il suo intervento alla luce di due condizioni, entrambe di valenza negativa, ovvero l’azione dell’Unione, per la portata o per gli effetti, deve risultare più adeguata di quella presa a livello statale, regionale e locale, e gli obiettivi non possono essere conseguiti dagli Stati membri in misura sufficiente. Dunque, l’azione dell’Unione deve risultare più idonea rispetto a quella di uno Stato membro, e questo non tanto per il carattere transfrontaliero della fattispecie da disciplinare, quanto per il grado di impatto che si intende conferire all’intervento legislativo o regolamentare dell’UE. Essa potrebbe essere, quindi, indispensabile per armonizzare determinate legislazioni nazionali, così come potrebbe essere utile che si indirizzi anche ad un solo Stato membro. Inoltre, la capacità o la mera attitudine degli Stati a perseguire un determinato obiettivo deve essere valutata non soltanto a livello centrale, bensì anche a livello regionale e locale. Pertanto, la disciplina proposta dall’UE deve risultare “migliore” rispetto a quella che potrebbe essere adottata da qualsiasi articolazione statale, soprattutto per la sua incidenza in un determinato tessuto e per la sua portata territoriale.
Le due condizioni devono necessariamente cumularsi: non è sufficiente, infatti, che l’azione dell’Unione sia palesemente più idonea al perseguimento di un determinato scopo per occupare le competenze statali, ma occorre soprattutto dimostrare che essa sia indispensabile al conseguimento dello scopo in questione, che non potrebbe essere raggiunto, allo stesso modo e con gli stessi effetti, attraverso l’intervento del singolo Stato membro. In forza del principio di sussidiarietà, l’esercizio di una competenza concorrente da parte dell’Unione non comporta l’acquisto automatico dell’esclusività dell’esercizio della stessa. Il medesimo principio implica, invece, che, in presenza dei due indicati presupposti, tale competenza possa essere legittimamente esercitata nei limiti di merito, di forma e di tempo insiti nell’obiettivo fissato. Ne consegue che l’esercizio di una competenza concorrente può riguardare anche soltanto taluni aspetti, limitandosi a quelli per cui l’azione europea è necessaria e lasciando agli Stati membri la piena titolarità dei poteri residui. Sicché, soltanto l’effettivo esercizio della competenza concorrente, da parte delle istituzioni europee, limita o priva completamente gli Stati membri del corrispondente potere legislativo (principio di pre-emption); per converso, l’abrogazione dell’atto di esercizio di tale competenza ha come immediata conseguenza il riacquisto, da parte delle autorità nazionali, del relativo potere.
L’applicazione del principio di sussidiarietà può determinare, dunque, tre diversi scenari: gli Stati dispongono dell’intera competenza normativa qualora l’Unione si astenga da qualsiasi forma di intervento o smetta di occuparsi del settore in questione; sono chiamati, invece, ad adottare norme di attuazione qualora l’Unione intervenga con una disciplina non auto applicativa; infine, subiscono la completa espropriazione delle proprie prerogative normative qualora l’Unione detti una disciplina esaustiva.
L’azione regolatrice dell’Unione dovrà risultare poi appropriata e non eccessiva rispetto all’obiettivo perseguito. In tale prospettiva, l’intervento dell’Unione è effettivamente sussidiario a quello statale. Infatti, essa è tenuta a rispettare altresì il principio di proporzionalità espressamente richiamato nell’art. 5, co. 2, par. 3, TUE e disciplinato puntualmente nel par. 4 del medesimo articolo.
Ai sensi dell’art. 5, co. 2, par. 3, TUE, nelle materie concorrenti, il principio di proporzionalità disciplina il rapporto tra l’Unione e gli Stati membri, giustificando l’azione dell’Unione soltanto qualora sia necessaria, cioè appropriata e non eccessiva in relazione allo scopo che essa si prefigge, previa verifica dell’impossibilità per gli Stati membri, uti singuli, di conseguire risultati sufficienti. Per orientare le scelte delle istituzioni europee tra più linee di azione astrattamente percorribili, il par. 4, mira poi a stabilire un vincolo di compatibilità, tra l’obiettivo dell’azione prevista e gli altri obiettivi dell’Unione, o meglio di continenza del primo nei secondi. Nel dettaglio, tale principio impone che l’esercizio di una determinata competenza risponda a tre requisiti sostanziali. In primo luogo, esso deve essere utile e pertinente per la realizzazione dell’obiettivo per il quale la competenza è stata conferita. In secondo luogo, deve essere necessario e indispensabile; ovvero, qualora per il raggiungimento dello scopo possano essere impiegati vari mezzi, la competenza sarà esercitata in modo da recare meno pregiudizio ad altri obiettivi o interessi degni di eguale protezione (criterio di sostituibilità). Infine, se queste condizioni sono soddisfatte, dovrà essere provato che esista un nesso eziologico tra l’azione e l’obiettivo (criterio di causalità).
Sul piano sostanziale, la legislazione dell’Unione dovrebbe trattare solo gli aspetti essenziali; così, l’armonizzazione delle legislazioni non dovrà tradursi sempre in unificazione normativa con un’invasività e pervasività ultronee, ma potrà realizzarsi attraverso misure di tal genere solo qualora esse risultassero effettivamente opportune.
L’art. 5, par. 3, TUE non reca precise determinazioni che possano essere utilizzate come test per la scelta del livello più appropriato, europeo o statale, all’esercizio di una competenza concorrente. Dopo numerosi interventi delle istituzioni europee diretti a fissare criteri, modalità e procedure per l’applicazione puntuale del principio di sussidiarietà (Comunicazione della Commissione al Consiglio del 27.10.1992, Doc. SEC/92 def.; Impostazione generale dell’applicazione, da parte del Consiglio, del principio di sussidiarietà e dell’articolo 3B del trattato sull’Unione europea in Boll. CE, 12–1992; Accordo interistituzionale, del 25.10.1993, sottoscritto tra Commissione, Consiglio e Parlamento, in G.U.C.E. C 239), esso – congiuntamente a quello di proporzionalità – è stato oggetto di un’apposita disciplina con il Protocollo n. 30 allegato al Trattato di Amsterdam e attualmente inserito come Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tale Protocollo prevede parametri oggettivi e procedurali di valutazione sia ex ante sia ex post l’adozione di un atto in una materia di competenza concorrente.
Ex ante, è innanzitutto la Commissione a dover procedere ad ampie consultazioni, che tengano conto anche della dimensione regionale e locale, al fine di stabilire l’opportunità di presentare la sua proposta. Nondimeno, nelle ipotesi di straordinaria urgenza, essa può evitare di procedere alle consultazioni, motivando la sua decisione – chiaramente dettata dalla necessità di agire in tempi molto ristretti – nella proposta.
La prassi registra la pubblicazione, da parte della Commissione, di “tabelle di marcia” relative a tutte le iniziative, nelle quali l’esecutivo europeo offre una prima giustificazione sotto il profilo dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità che, successivamente, sono verificati nel corso della consultazione delle parti interessate e del processo di valutazione di impatto. Ai sensi dell’art. 5 del Protocollo n. 2, la scheda di sussidiarietà è presentata nella relazione introduttiva e richiamata in uno dei considerando della proposta. Più specificamente, la Commissione accompagna le proprie proposte con studi di impatto che offrono al legislatore informazioni utili sulle scelte effettuate in fase di elaborazione della proposta. Tali indicazioni sono già state prese in considerazione dalla Corte di giustizia nella valutazione del rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (C. giust., 8.6.2010, C-58/08, Vodafone). Ma, nella «19a Relazione della Commissione di sussidiarietà e proporzionalità» riguardante l’anno 2011 (COM (2012) 373 final), è affermato che: «Poiché alcuni pareri motivati pervenuti nel 2011 hanno evidenziato l’assenza o l’insufficienza di giustificazioni sotto il profilo della sussidiarietà e in alcuni casi si è concluso che si tratta di una violazione formale del principio di sussidiarietà, la Commissione ribadisce il proprio impegno a garantire che le relazioni introduttive di tutte le proposte legislative rientranti nel campo di applicazione del meccanismo di controllo della sussidiarietà contengano un’adeguata giustificazione sotto il profilo della sussidiarietà».
La valutazione di impatto è sistematicamente sottoposta al vaglio di un comitato ad hoc (comitato per la valutazione di impatto). Nella citata Relazione si legge che in numerosi pareri il comitato ha richiesto giustificazioni più valide della necessità di un’azione a livello comunitario. L’Unione è chiamata cioè a legittimare il suo intervento sulla base di indicatori qualitativi e, ove possibile, quantitativi; cioè deve tenere in considerazione, ad esempio, gli aspetti trasnazionali del problema; la necessità di correggere distorsioni di concorrenza, o evitare restrizioni dissimulate, oppure favorire la coesione economica e sociale; i vantaggi per dimensioni o per effetti rispetto all’azione a livello di Stati membri.
Anche il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno il compito di assicurare la conformità di una proposta legislativa con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità e di giustificare eventuali modifiche da essi introdotte che incidano sulla portata dell’azione dell’Unione. Presso il Consiglio è il Comitato dei Rappresentanti Permanenti (COREPER) a vigilare sul rispetto dei principi in parola; mentre, in seno al Parlamento, tale compito è svolto dalla Commissione ad hoc preposta ai fascicoli legislativi e dalla Commissione giuridica, così come stabilito dall’art. 38 bis, del Regolamento interno, dedicato all’“Esame del rispetto del principio di sussidiarietà”.
Il controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà è affidato altresì ai Parlamenti nazionali. Il Protocollo n. 2 riconosce ad essi un ruolo autonomo e indipendente rispetto allo Stato membro di appartenenza, sia nella fase ex ante sia in quella ex post. Invero, nella prima fase, la Commissione è tenuta a trasmettere ogni sua proposta ed ogni proposta modificata contemporaneamente ai Parlamenti nazionali ed al legislatore dell’Unione. Tale proposta deve essere motivata alla luce del principio di sussidiarietà e di proporzionalità. A tale scopo, ad essa deve essere allegata una scheda dalla quale dovrà risultare chiaramente il rispetto dei suddetti principi. Inoltre, la scheda deve contenere gli elementi che permettono di valutare l’impatto finanziario della misura e, nel caso che si tratti di progetto di direttiva, delle conseguenze di tale atto sulle misure interne di recepimento (artt. 4 e 5 del Protocollo n. 2).
Ai sensi dell’art. 6 del Protocollo n. 2, ogni Parlamento nazionale, nonché ogni camera dei Parlamenti nazionali può presentare ai Presidenti del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio, entro otto settimane, un parere motivato in cui devono essere contenute le ragioni per le quali la proposta è ritenuta non conforme al principio di sussidiarietà (c.d. allarme preventivo). I pareri motivati – adottati secondo la procedura interna scelta da ciascun Parlamento e redatti secondo formulari da questi definiti – devono essere tenuti in giusto conto dalle istituzioni europee. Tuttavia, la Commissione, che è tenuta a riesaminare la proposta, qualora i pareri motivati relativi alla violazione del principio di sussidiarietà rappresentino almeno un terzo dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali (ciascun Parlamento dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale), può decidere di non modificarla o non ritirarla. Naturalmente, in questa ipotesi, l’esecutivo dell’Unione è tenuto a motivare la propria decisione. Pertanto, a seconda del numero di pareri motivati che ritengono una proposta in contrasto con il principio di sussidiarietà, possono scattare i meccanismi c.d. del “cartellino giallo” o del “cartellino arancione”, che comportano una revisione – più o meno sostanziale – della stessa, oppure possono determinarne il ritiro. Nel 2012, è scattata, per la prima volta, la procedura del “cartellino giallo”, su iniziativa di alcuni Parlamenti nazionali che hanno espresso riserve sotto il profilo della sussidiarietà, in relazione alla proposta di regolamento della Commissione sull’esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (COM (2012)130). E, sebbene la Commissione avesse stabilito che la proposta non fosse contraria al principio di sussidiarietà, le riserve mosse l’hanno indotta a ritirarla, poiché non avrebbe ottenuto né il sostegno politico del PE né quello del Consiglio, necessari per l’adozione (cfr. Relazione annuale in materia di sussidiarietà e di proporzionalità. (COM (2013)566 final).
In realtà, sebbene la procedura di allarme preventivo abbia suscitato più di una perplessità ed abbia fatto paventare il rischio di una possibile impasse delle procedure europee, così finora non è stato. Nella Relazione annuale (2011) sui rapporti tra la Commissione europea e i Parlamenti nazionali è affermato che, nel 2010, i pareri ricevuti dall’esecutivo europeo sono pervenuti «nelle otto settimane successive all’invio della lettera di trasmissione formale (lettre de saisine) il che indica chiaramente che i parlamenti nazionali, in risposta al nuovo Trattato, hanno rafforzato le loro capacità di analisi dei progetti e sono in grado di reagire molto più tempestivamente di prima alle proposte della Commissione» (COM(2011) 345 def.). La Relazione successiva, relativa all’anno 2011, mette in evidenza che: «il processo di scambi di pareri e di risposte per iscritto tra i parlamenti nazionali e la Commissione si è costantemente intensificato nel corso degli ultimi sei anni. In tutto, i pareri trasmessi dai parlamenti nazionali nel 2011, inclusi i pareri motivati inviati nel quadro del meccanismo di controllo della sussidiarietà, sono stati 622, pari a un aumento del 60% circa rispetto al 2010 (387), anno in cui si era già registrato un aumento del 55% rispetto al 2009 (250). Questa chiara tendenza all’aumento si conferma anche nel 2012, dato che a giungo la Commissione ha ricevuto già oltre 400 pareri». Ed ancora, nella Relazione annuale del 2012 si legge che il numero dei pareri presentati dai Parlamenti nazionali continua ad aumentare e che hanno ad oggetto, soprattutto, le proposte destinatarie dei maggiori pareri motivati nel quadro del meccanismo di controllo di sussidiarietà (COM (2013) 565 final.
Anche il Comitato delle regioni svolge una rilevante attività di vigilanza sul rispetto del principio di sussidiarietà che, nella fase ex ante, si esprime attraverso i pareri, la rete di monitoraggio sulla sussidiarietà (SMN) ed i contributi forniti ai Parlamenti nazionali dai Parlamenti regionali con poteri legislativi. A tal riguardo, va notato che la consultazione dei Parlamenti regionali da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali rende difficile l’espletamento dell’intera procedura entro il termine delle otto settimane. Per tale motivo, alcuni Parlamenti regionali hanno cominciato ad inviare i propri pareri in materia di sussidiarietà direttamente alla Commissione, a titolo meramente informativo. All’interno dello SMN opera un sub-network, aperto ai Parlamenti e ai governi di regioni dotate di poteri legislativi e diretto a facilitare la loro partecipazione al meccanismo di controllo della sussidiarietà e a fornire una valida fonte di informazioni e di scambio tra Parlamenti e governi regionali nella preparazione delle rispettive valutazioni sul principio in questione.
Al fine di rafforzare la cooperazione tra il Comitato e la Commissione sull’attuazione del Protocollo n. 2, il 16.2.2012, è stato firmato un accordo ad hoc tra le due istituzioni.
Nella fase ex post, il Trattato di Lisbona ha promosso il Comitato delle regioni tra i ricorrenti “semi privilegiati”. Infatti, come previsto dall’art. 8 del Protocollo n. 2, esso può contestare, a norma dell’art. 263 TFUE, la validità di atti legislativi, qualora il TFUE richieda la sua consultazione per la loro adozione.
Nella fase di controllo ex post, rileva poi il ruolo svolto dalla Corte di giustizia. Ai sensi dell’art. 8 del Protocollo n. 2, essa può essere investita, secondo le modalità di cui all’art. 263 TFUE, di un ricorso di annullamento contro un atto legislativo per violazione del principio di sussidiarietà. Il ricorso può essere promosso da uno Stato membro o, per il tramite di quest’ultimo, da un Parlamento nazionale o da una camera dello stesso e, come ricordato, dal Comitato delle regioni per salvaguardare le proprie prerogative. La disposizione rappresenta una rilevante novità, anche se taluni dubbi sono stati espressi quanto all’opportunità di investire indirettamente l’organo giurisdizionale europeo di controversie tra gli organi costituzionali nazionali (Governo e Parlamento o tra le due camere dello stesso Parlamento). Si teme, infatti, che una simile eventualità rischi di compromettere l’esigenza fondamentale che lo Stato membro si esprima in modo unitario nell’ambito del sistema istituzionale dell’Unione europea. Invero, la prima procedura di allarme preventivo, promossa dalla Repubblica italiana, ha messo in luce tale possibilità: con il parere dell’8.6.2010 il Senato ha riscontrato una violazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità nella proposta di decisione del Consiglio, laddove il Governo in sede di Consiglio dell’Unione europea ha sostenuto la proposta, anche per questi profili.
In merito alla valutazione dell’eventuale violazione del principio di sussidiarietà, la Corte ha assunto dapprima un atteggiamento improntato a grande prudenza e poco incline a pronunciarsi (cfr., soprattutto, C. giust., 10.12.2002, C-491/01, British American Tobacco/Investmentsand Imperial Tobacco, in Racc. I-11453.); in seguito, con la sentenza dell’8.6.2010, C-58/08, Vodafone, ha avuto modo di affrontare con precisione le spinose questioni relative sia alla portata del principio in parola sia alla sua competenza in subiecta materia, esaminando nel merito l’opportunità dell’intervento dell’Unione alla luce del principio in questione. Nello specifico, la Corte ha ritenuto l’intervento del legislatore europeo giustificato dall’opportunità di garantire un approccio comune, al fine di evitare che fosse falsato il corretto funzionamento del mercato.
Tale orientamento è stato confermato nella sentenza del 12.5.2011, C- 176/09, Granducato di Lussemburgo c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, sui diritti aeroportuali, nella quale ancora una volta si è espressamente pronunciato sul rispetto del principio di sussidiarietà. Successivamente, nella sentenza del 19.4.2012, C-221/10P, Artegodan, la Corte ha rammentato, più in generale, che le disposizioni relative al riparto di competenze tra UE e Stati membri non conferiscono al singolo alcun diritto e, pertanto, la loro violazione non fa sorgere alcuna responsabilità extracontrattuale dell’UE e delle sue istituzioni. Vale a dire che una persona fisica e/o giuridica non potrà invocare il mancato rispetto del principio di sussidiarietà, come fonte di pregiudizio provocato dall’applicazione di un atto dell’UE, giacché tale norma non è preordinata a conferire diritti ai singoli.Va notato che il progressivo aumento dei presidi a controllo del principio in parola hanno spinto le istituzioni dell’Unione a giustificare attentamente il loro intervento legislativo in materie concorrenti. Difatti, ad una tendenza iniziale, caratterizzata da una valutazione sommaria dell’opportunità di disciplinare la fattispecie a livello comunitario, si è sostituito un atteggiamento maggiormente analitico. Sia nella versione “preparatoria” sia nella versione definitiva, l’atto contiene indicazioni dettagliate sulle motivazioni che hanno condotto alla sua adozione sotto il profilo del rispetto del principio di sussidiarietà. Viene cioè espressamente indicato perché gli obiettivi che le istituzioni intendono perseguire con l’atto in questione non possono essere sufficientemente raggiunti a livello nazionale e, pertanto, è necessario l’intervento del legislatore comunitario. Nella maggior parte dei casi, l’accento è stato posto sul pregiudizio che la difformità tra le disposizioni nazionali reca al funzionamento del mercato interno e, di conseguenza, sull’importanza dell’intervento armonizzatore dell’Unione.
Art. 3B del Trattato di Masstricht; Art. 5 TUE Lisbona; Comunicazione della Commissione al Consiglio del 27.10.1992 (Doc. SEC/92 def.); Impostazione generale dell’applicazione, da parte del Consiglio, del principio di sussidiarietà e dell’articolo 3B del Trattato sull’Unione europea (Boll. CE, 12–1992); Accordo interistituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento del 25.10.1993 (in GUCE C 239); Protocollo n. 30, allegato al Trattato di Amsterdam, sul principio di sussidiarietà e di proporzionalità. Protocollo n. 2, allegato al Trattato Lisbona, sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
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