Abstract
Pur avendo un'origine relativamente recente, il principio di sussidiarietà si salda perfettamente con il tratto pluralistico dell'ordinamento democratico italiano, fornendo nuovi potenziali regole di coesistenza delle tante autonomie che la costituzione repubblicana riconosce. In questo contesto sviluppa un rapporto con il principio di legalità che è di reciproca interdipendenza, ma anche di concorrenza. Ciò è evidente sia quando si tratta il principio nella sua dimensione verticale sia quando si prende in considerazione la sua dimensione orizzontale.
L'ordinamento italiano conosce il principio di sussidiarietà negli anni Novanta dello scorso secolo, prima attraverso un ampio ricorso che pervade il programma di riforme legislative delle pubbliche amministrazioni di quegli anni, che vanno sotto il nome di riforme Bassanini, e poi successivamente con la sua introduzione in costituzione all'art. 118, a seguito della modifica del titolo V, avvenuta con legge costituzionale 18.10.2001, n. 3, che ne sancisce la definitiva consacrazione. L'origine del principio si trova, però, nell'ordinamento comunitario europeo e, in particolare, nei trattati fondativi come modificati nel 1992 dal Trattato di Maastricht, oggi riformulato e presente nell'art. 5 TUE che regola l'esercizio delle competenze tra livello di governo sovranazionale e stati membri. In realtà il richiamo al principio di sussidiarietà nell'ordinamento comunitario è ancora più risalente, ma solo dopo il Trattato di Maastricht è diventato davvero un principio a carattere generale.
Nonostante questa origine «importata» del principio, sarebbe errato dedurre che l'ordinamento italiano si sia limitato a recepirlo o a replicarlo. La sua recente introduzione, infatti, ha arricchito la gamma dei principi costituzionali e generali dell'ordinamento e ha, naturalmente, richiesto la ricerca di un'interpretazione che ne consentisse la coesistenza con i valori già affermati producendo così ulteriori significati. Inoltre, come sarà chiarito più avanti, nell'ordinamento interno il principio di sussidiarietà ha acquisito una dimensione orizzontale che si è aggiunta a quella verticale che è di derivazione più strettamente europea (Pinelli, C., L'ordinamento europeo e italiano, in Magnani, C., a cura di, Beni pubblici e servizi in tempi di sussidiarietà, Torino, 2007, 51), aggiungendo così nuove implicazioni.
Quello di sussidiarietà è un principio ad alta valenza relazionale perché esprime potenziali regole che concernono la convivenza ordinata di una pluralità di soggetti tra loro distinti. Sussidiarietà deriva dal termine latino subsidium, che vuol dire aiutare, essere di rinforzo rispetto ad altri. La definizione, dunque, contiene sempre il riferimento a una relazione solidale e ha assunto una valenza giuridica solo di recente, essendo stato viceversa per lungo tempo soltanto un concetto filosofico, religioso e politico (Massa Pinto, I., Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Napoli, 2003). In questo senso la sua previsione nella costituzione repubblicana italiana ha permesso di introdurre nuove potenziali regole che arbitrano il tratto pluralistico della democrazia italiana. Con il principio di sussidiarietà, in effetti, sia il ben noto pluralismo istituzionale sia quello sociale conoscono un nuovo sistema di regole che permette loro di trovare nuovi strumenti di ordine (Ridola P., Il principio di sussidiarietà e la forma di democrazia pluralistica, in Cervati, A.-Panunzio, S.-Ridola, P., a cura di, Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, 200-201). Alle libertà costituzionali che sono a presidio della pluralità delle autonomie soggettive e alla riserva di legge quale fonte delle regole che disciplinano i rapporti tra le autonomie, si aggiunge dunque il principio di sussidiarietà che, in nome della corresponsabilità che accomuna tutti i soggetti costitutivi della Repubblica, tra cui rientrano anche i cittadini (Benvenuti, F., L'ordinamento repubblicano, Padova, 1996, 76-80), sostiene la legittimità dell'intervento attivo del soggetto che meglio è capace di soddisfare interessi generali. È, per questa ragione, un principio che riordina intorno all'efficacia, all'efficienza e alla buona funzionalità dell'azione l'ordine di coesistenza del pluralismo soggettivo.
Da questa conclusione deriva la convivenza problematica con il principio di legalità perché, fino al momento in cui era assente la previsione del principio di sussidiarietà, la legge era l'unica fonte ordinatoria del pluralismo. Così, si possono rintracciare due possibili esiti di questo confronto.
Il principio di sussidiarietà può presentarsi come misura del principio di legalità, ovvero come un vincolo che limita l'efficacia della regola prodotta dal principio di legalità, cosicché il legislatore non avrebbe totale discrezionalità di ridisegnare la legittimità delle sfere di azione dei soggetti, se questa contrasta con il principio di sussidiarietà. D'altra parte è anche vero il contrario: il principio di sussidiarietà deve vivere di norme che, a loro volta, sono emanate nel rispetto del principio di legalità, cosicché lo stesso principio di sussidiarietà non può ignorare i limiti della legge. Questo nesso consustanziale rende i principi interdipendenti e produce una tensione che non può essere risolta in astratto una volta per tutte, né con soli strumenti giuridici (Cassese, S., L'aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell'area europea, in Foro it., 1995, V, 373 ss.).
Allo stesso tempo il principio di sussidiarietà si dimostra concorrenziale rispetto a quello di legalità e, dunque, operante sempre quando determinate relazioni intersoggettive non trovano nella fonte legislativa la regola specifica. Se, dunque, una relazione intersoggettiva è priva della regola legale di riferimento, il principio di sussidiarietà opera autonomamente, non fosse altro perché oggi principio di rango costituzionale (Cons. St., V, 6.10.2009, n. 6094). Tale condizione di piena operatività del principio di sussidiarietà, ovviamente, è sempre suscettibile di compressione non appena quella stessa relazione riceverà una disciplina proveniente da fonte legale, confermando per l'appunto che l'estensione di uno dei due principi è strettamente dipendente da quella dell'altro.
Tenendo conto di queste premesse, è utile ora verificare come concretamente opera il principio di sussidiarietà nelle relazioni in cui sono impegnati i soggetti istituzionali, ovvero nella sua dimensione verticale, e come agisce quando concerne le relazioni tra soggetti istituzionali e soggetti sociali, ovvero nella sua dimensione orizzontale.
Il principio di sussidiarietà è menzionato nell'art. 118, co. 1, Cost., quale criterio ordinatorio per l'allocazione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo che costituiscono la Repubblica. La modifica costituzionale del 2001 ha ribaltato il precedente modello fondato sul parallelismo delle funzioni e sul principio della delega. Tale annotazione è molto importante, perché permette di nuovo di evidenziare il rapporto tra un sistema di regole che affidava esclusivamente alla legge il riparto delle funzioni tra una pluralità di soggetti e quello attuale che invece individua nel criterio di sussidiarietà la modalità con cui selezionare il livello di governo idoneo a esercitare le funzioni amministrative. Il primo meccanismo di riparto era rigido e affidato sostanzialmente alla totale discrezionalità del legislatore, il secondo è, invece, elastico e modellato sulla dimensione degli interessi in gioco.
Avere introdotto, però, il principio di sussidiarietà che si sostituisce al criterio del parallelismo e della delega non significa che l'attribuzione delle funzioni possa prescindere dalla fonte legislativa. Il primo comma dell'art. 118 Cost. deve essere letto, infatti, in combinato disposto con il comma secondo, a norma del quale le funzioni degli enti locali sono conferite da leggi statali o regionali secondo le reciproche competenze, il che vuol dire che l'attribuzione delle funzioni resta una competenza a carico dei legislatori, come d'altronde esige il principio di legalità, ponendo così il principio di sussidiarietà quale vincolo idoneo a limitare la discrezionalità dei legislatori. In altre parole, il principio di sussidiarietà non si è sostituito a quello di legalità, ma ne costituisce un limite. Pertanto, stato e regioni, in quanto soggetti titolari della potestà legislativa nei limiti delle competenze definite dalla costituzione, hanno un ruolo privilegiato perché assegnano nel concreto le funzioni, interpretando il principio di sussidiarietà quale criterio di riparto. Di fatto così il principio di sussidiarietà si traduce in un mero vincolo procedurale che costringe i legislatori a procedere in raccordo con gli organismi rappresentativi dei diversi livelli di governo (la Conferenza stato-regioni e la conferenza unificata, il consiglio delle autonomie) (C. cost. 19.10.2016, n. 251), non potendo lo stesso principio esprimere un contenuto costante e stabile, come è evidente dal fatto che una medesima funzione può essere allocata in modo diverso dalle regioni.
Merita di essere osservato che, al contrario di quanto avvenuto in sede europea, il principio di sussidiarietà assolve a una funzione apparentemente ascensionale dell'attribuzione delle funzioni, dal momento che l'art. 118, co. 1, Cost., attribuisce di norma ai comuni l'esercizio delle funzioni amministrative, salvo che per l'esercizio unitario delle stesse siano conferite ai livelli di governo superiori. In questo modo il principio di sussidiarietà svolge il compito di motivare un'allocazione della funzione amministrativa diversa da quella in cui la costituzione parrebbe porla in partenza, ovvero nel livello di governo più prossimo a quello dei cittadini. Nella realtà, per quanto detto fin qui, essendo rimessa l'allocazione delle funzioni alle scelte legislative, stato e regioni determinano nel concreto il principio di sussidiarietà, cosicché esso può svolgere sia un effetto ascensionale sia uno discendente del corso del suo esercizio.
Il principio di sussidiarietà, in modo particolare, serve a individuare il livello di governo competente all'esercizio della funzione amministrativa, commisurando la dimensione e la qualità degli interessi pubblici da curare rispetto all'ampiezza della competenza territoriale che l'ente pubblico ha. In tal modo, dunque, si stabilisce una corrispondenza tra natura degli interessi e dimensioni territoriali dei livelli di governo, per stabilire quale può svolgere la funzione con efficienza, efficacia, razionalità, omogeneità ed economicità (art. 7, l. 5.6.2003, n. 131).
Non è invece da attribuire soverchio valore al fatto che la norma costituzionale si riferisca alle sole funzioni amministrative e non anche alle altre attività di natura amministrativa (Bin, R., La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Regioni, 2002, 365 ss.). Si deve, infatti, intendere che l'espressione «funzioni amministrative» sia in questo senso a-tecnica e ricomprenda in generale i compiti amministrativi preordinati al perseguimento di interessi pubblici, a prescindere che si sostanzino con attività autoritativa, di servizio o contrattuale. D'altra parte, come è noto, sia le attività di servizio sia quelle contrattuali contengono una quota di autoritatività che si compone dell'esercizio di funzioni in senso stretto, con la conseguenza che, anche a voler dare delle funzioni amministrative citate dall'art. 118 un significato tecnico, ciò non esclude di ricomprendere anche le attività di servizio e quelle contrattuali.
Nello stabilire i criteri di allocazione delle funzioni amministrative il principio di sussidiarietà non opera da solo, ma concorre insieme ai principi di adeguatezza e differenziazione. Questi ultimi, rispettivamente, valutano l'attribuzione delle funzioni secondo diversi parametri: il primo misura in concreto la disponibilità di mezzi (finanziari, patrimoniali, tecnici e di dotazione di personale) dell'ente di governo rispetto al buon esercizio della funzione, il secondo valuta le caratteristiche morfologiche dei territori, le tradizioni culturali di alcune realtà, la demografia e altri elementi ancora per giustificare un'alterazione dell'ordinaria attribuzione delle funzioni amministrative. Benché di fatto non accada mai che il legislatore ragioni nel modo che segue, si può concludere che i principi di adeguatezza e differenziazione correggono il carattere uniformante del principio di sussidiarietà.
Mentre, infatti, il principio di sussidiarietà assegna le funzioni secondo un ordine che valuta la razionalità in concreto, arrivando però a stabilire quali tra esse spettano a un certo livello di governo x invece di un altro y, così che quel determinato ente territoriale x dovrà sempre esercitare quella certa funzione, i principi di adeguatezza e differenziazione possono definire criteri per cui gli stessi livelli di governo x esercitino le funzioni assegnate e altri enti di governo, sempre x, non le esercitino. Così, in sostanza, il principio di adeguatezza può indurre il legislatore a stabilire che le funzioni di assistenza sociale debbano essere obbligatoriamente esercitate in forma associata per i comuni piccoli, lasciando agli altri invece la piena organizzazione in proprio, mentre, viceversa, il principio di differenziazione può indurre alcune regioni a stabilire che l'organizzazione e la gestione del servizio rifiuti possano prevedere assetti di regolazione diversa a seconda che sul territorio siano presenti città metropolitane, le quali a loro volta possono modulare l'organizzazione dei servizi al proprio interno.
In altre parole tra il principio di sussidiarietà e i principi di adeguatezza e differenziazione – almeno a livello teorico – corre una distinzione concettuale che pone il primo in una posizione prioritaria, nell'individuare quale ente è meglio idoneo ad assolvere una certa funzione, mentre i secondi contemperano il tratto uniformante del principio di sussidiarietà sulla base di altre valutazioni, cosicché la distribuzione secondo sussidiarietà è corretta alla luce di altri fattori.
Una considerazione a parte meritano le città metropolitane istituite con l. 7.4.2014 n. 56, dal momento che attraverso gli statuti possono determinare le modalità con cui esercitare le funzioni loro attribuite, giungendo così a dare massima enfatizzazione al principio di differenziazione, anche svincolato da quello di sussidiarietà.
Malgrado il principio di sussidiarietà sia chiamato a definire la distribuzione delle sole funzioni amministrative, nell'esperienza della giurisprudenza costituzionale la Corte costituzionale lo ha utilizzato anche per stabilire le competenze di natura legislativa. Questa estensione del campo di applicazione del principio avviene però solo a certe condizioni, dal momento che così facendo il riparto delle competenze legislative secondo l'art. 117 Cost. è evidentemente alterato. Si allude al cosiddetto meccanismo della «chiamata in sussidiarietà», secondo il quale quando ricorre la circostanza di essere in presenza di funzioni amministrative che, in ragione del principio di sussidiarietà, dovrebbero essere conferite allo stato, sebbene siano collegate a materie legislative che l'art. 117 Cost. attribuisce in modo concorrente o esclusivo alle regioni, anche la relativa competenza legislativa deve passare dalle regioni allo stato (C. cost. 25.9.2003, n. 303).
In altre parole, poiché il criterio di distribuzione delle competenze legislative è rigidamente determinato dall'art. 117 Cost., mentre quello delle funzioni amministrative è, come si è detto, elastico, se si verifica nel concreto che una certa funzione per essere esercitata al meglio deve essere collocata a livello statale in virtù del principio di sussidiarietà, la relativa disciplina legislativa, resa necessaria dal principio secondo il quale l'attribuzione della funzione amministrativa deve ricevere una legittimazione da fonte primaria, esige che sia posta al corrispettivo livello di governo e, quindi, nell'ipotesi che si sta prendendo in considerazione, allo stato. Cosicché si evidenziano due aspetti: a) la funzione legislativa, nelle suddette condizioni, segue quella amministrativa, riproducendo in modo surrettizio una sorta di parallelismo delle funzioni, anche se in un senso diverso da quello in vigore prima della riforma costituzionale del 2001 (Torchia, L., In principio sono le funzioni (amministrative): la legislazione seguirà, in www.astridonline.it); b) di nuovo emerge la dinamica concorrenziale tra principio di sussidiarietà e principio di legalità, anche se questa volta è il secondo che dipende dal primo.
La Corte costituzionale, tuttavia, ha stabilito che la «chiamata in sussidiarietà», proprio perché produce un effetto di deroga dell'assetto costituzionale, deve essere accompagnata da ulteriori condizionamenti: 1) è necessario che l'esercizio della potestà legislativa sia proporzionato esclusivamente alla disciplina dell'esercizio della funzione amministrativa che si è ritenuto necessario affidare al livello statale; 2) la potestà legislativa deve essere svolta nel rispetto del principio di leale collaborazione e, pertanto, deve essere svolta dopo aver ricercato un'intesa in sede di conferenza stato-regioni. Dunque, anche in questo caso, l'effetto del principio di sussidiarietà è contemperato dalla compresenza di altri due principi, quello di proporzionalità e quello della leale collaborazione.
In senso orizzontale il principio di sussidiarietà è richiamato nell'art. 118, co. 4, Cost., e viene evocato per spiegare come i soggetti che costituiscono la Repubblica devono favorire le autonome iniziative di cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento delle attività di interesse generale. Questa declinazione del principio di sussidiarietà costituisce un aspetto originale dell'ordinamento italiano e si differenzia da quello appena trattato per il fatto che la pluralità di soggetti ai quali intende fornire nuove regole di convivenza è disomogenea, perché prende in considerazione, da un lato, i soggetti istituzionali incaricati di perseguire interessi pubblici e, dall'altro, soggetti privati, estranei agli obblighi funzionali propri degli enti che costituiscono la Repubblica. In questo senso il principio di sussidiarietà si caratterizza davvero come un principio innovativo perché consente a soggetti, normalmente estranei, di occuparsi anche di interessi generali.
In altre parole, il principio di sussidiarietà orizzontale «rompe» con la rigida bipartizione classica del paradigma bipolare su cui si è formato il diritto amministrativo, fondato sulla contrapposizione della coppia concettuale soggetti pubblici/interessi pubblici contro soggetti privati/interessi privati. Come è stato autorevolmente sostenuto, il principio di sussidiarietà radica nell'ordinamento italiano un nuovo principio entro cui inquadrare le relazioni tra amministrazioni pubbliche e cittadini, quello di collaborazione (Corte dei conti, sez. aut., A. P., 24.11.2017, n. 26). Infatti, tutti gli strumenti classici del diritto amministrativo, dagli atti restrittivi a quelli ampliativi, presuppongono sempre alla base l'idea che gli interessi che si confrontano siano tendenzialmente conflittuali. Il paradosso è che laddove, invece, il soggetto privato sia interessato, per iniziativa spontanea e volontaria, a mettere a disposizione della comunità le proprie risorse, capacità, informazioni e tempo, il sistema giuridico sembrava privo di strumenti, tanto che non sono rari i casi in cui i cittadini attivi incorrevano in procedimenti sanzionatori, talvolta perfino penali (Calamandrei, P., In difesa di Danilo Dolci, in Il ponte, 1956, 529 ss.). Attraverso il principio di sussidiarietà, quindi, si offre un contributo al riconoscimento di nuove forme di cittadinanza, quelle che vanno sotto il nome di cittadinanza attiva, caratterizzate dal fatto che la legittimazione allo svolgimento di un interesse generale è prodotto dall'esercizio di doveri di solidarietà civica che i cittadini assolvono spontaneamente (Arena, G., Cittadini attivi, Roma-Bari, 2006).
In questo senso il principio di sussidiarietà rinsalda la valorizzazione della persona umana che è alla base della costituzione repubblicana, facendo derivare dal compimento dei doveri civici la legittimazione a collaborare con le autorità pubbliche per la risoluzione di problemi di interessi generali. La sussidiarietà permette così di dare alle esperienze di solidarietà, che normalmente restano collocate all'interno di rapporti interprivati, una valenza sistemica che è ben colta dalla recente riforma del terzo settore d.lgs. 3.7.2017, n. 117, che non si limita più a promuovere il volontariato e altre esperienze solidali ma stabilisce nell'art. 2 il principio generale di collaborazione con i soggetti che costituiscono la Repubblica per la realizzazione di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Questa è, d'altra parte, l'unica lettura del principio di sussidiarietà orizzontale davvero capace di offrire un senso originale al principio, dal momento che le altre eterogenee interpretazioni che sono state presentate dal legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono tutte facilmente riconducibili a istituti e principi che il nostro ordinamento già conosceva, rispetto ai quali la sussidiarietà finiva per avere un ruolo ancillare (si fa riferimento a quelle letture che attribuiscono alla sussidiarietà il significato di liberalizzazione, privatizzazione, esternalizzazione e semplificazione).
Nel corso degli anni il legislatore statale e quelli regionali hanno dato corpo a forme di collaborazione tra enti pubblici e cittadini, singoli e associati, concretizzando così il principio di sussidiarietà orizzontale. Si va dalle discipline di veri e propri servizi strutturati, come è il caso del servizio di protezione civile e del servizio civile, a discipline generali, come è il caso del già ricordato codice del terzo settore che fa riferimento alla co-programmazione e alla co-progettazione, ad altre molto specifiche e settoriali (nel settore agricolo, per esempio, si trovano art. 14 e 15, d.lgs. 18.5.2001, n. 228 e art. 2, co. 134, l. 24.12.2007, n. 244). Anche in questo caso, però, il principio è stato capace di trovare la propria affermazione anche in assenza dell'interposizione legislativa. Due esempi sembrano emblematici. La Corte costituzionale, ad esempio, con sentenza 25.6.2015, n. 119, ha ritenuto eccessivamente restrittiva la riserva garantita ai soli cittadini formalmente italiani l'accesso al servizio civile nazionale, sulla base del ragionamento che l'esercizio di doveri di solidarietà espresso volontariamente dal cittadino straniero regolarmente residente deve trovare un'adeguata corrispondenza da parte delle istituzioni repubblicane. L'altro esempio può essere tratto dai regolamenti comunali di collaborazione tra amministrazione e cittadini per la cura e gestione dei beni comuni urbani che, a partire dal 2014 per merito del comune di Bologna, si sono diffusi per tutta Italia: tali regolamenti, prendendo forza dall'art. 117, co. 6, Cost. e dal principio di sussidiarietà orizzontale, si prefiggono di disciplinare le forme di collaborazione per la cura, gestione e rigenerazione di beni e spazi urbani attraverso la stipula di appositi patti di collaborazione (Giglioni, F., I regolamenti comunali per la gestione dei beni comuni urbani come laboratorio per un nuovo diritto delle città, in Munus, 2016, 271 ss.). Ciò avviene senza una copertura legislativa preventiva e in esecuzione diretta del dettato costituzionale.
Se il principio di collaborazione costituisce il frutto conseguente della sussidiarietà, lo strumento con cui questo si concretizza non può che essere di natura negoziale e, in fondo, anche su questo si misura l'apporto innovativo del principio costituzionale che si sta trattando. La natura di questo strumento negoziale è tuttavia incerta, perché può assumere la connotazione di accordo, convenzione o, perfino, contratto. Dalla differente qualificazione dello strumento negoziale discendono conseguenze rilevanti in ordine al regime applicativo delle regole, ai poteri che restano in capo agli enti pubblici e alla giurisdizione.
Nel dirimere tale questione si deve partire dalla considerazione che alla base di questa distinzione vi è, innanzitutto, la natura onerosa o meno del rapporto giuridico che sostanzia la collaborazione in sussidiarietà. Da quanto sopra ricostruito si deve intendere che la collaborazione civica non ha carattere di onerosità, perché la remunerazione dei costi sostenuti dai cittadini attivi non deve costituire elemento fondante della relazione giuridica, come invece è chiaramente nei contratti pubblici. Sicché, sebbene sia vero che la sussidiarietà obbliga i soggetti repubblicani a favorire i cittadini attivi anche sotto forma di vantaggi, questi non si sostanziano in oneri corrispettivi né diretti, né indiretti. Ne è conferma l'art. 7, co. 1, l. n. 131/2003, nel quale si legge che quando il favor nei confronti dei cittadini attivi avviene con l'utilizzo di risorse pubbliche, si applica l'art. 12, l. 7.8.1990, n. 241, che – come è noto – disciplina le fattispecie che garantiscono vantaggi senza corrispettivi con una funzione incentivante e non remunerativa. Ne discende che più propriamente gli strumenti negoziali che danno vita alla collaborazione civica appartengono alla categoria degli accordi.
Se da un punto di vista teorico questo sembra piuttosto chiaro, nel concreto ci sono rischi di sovrapposizione e confusione, fortemente accresciuti dall'introduzione nel codice dei contratti pubblici delle fattispecie di partenariato sociale. Infatti, agli articoli 189 e 190, d.lgs. 19.4.2016, n. 50, rispettivamente denominati «Interventi di sussidiarietà orizzontale» e «Baratto amministrativo», sono presenti istituti che erano vigenti già prima dell'approvazione del codice nel 2016 e che erano pacificamente considerati fattispecie da ricondurre alla categoria dei vantaggi economici senza corrispettivi. L'inserimento nel codice, però, dovrebbe produrre chiaramente una tramutazione di quegli istituti in negozi a carattere oneroso con tutte le conseguenze del caso e le evidenti contraddizioni, dal momento che nella sostanza la disciplina originaria di questi istituti non è stata modificata.
D'altro canto, analoga incertezza si verifica anche con riferimento alle convenzioni. Queste ultime possono essere ascritte alla categoria degli accordi con la peculiare differenza di trovare applicazione in uno specifico settore, quello del terzo settore. Infatti, il vigente art. 56, d.lgs. n. 117/2017, prevede che le pubbliche amministrazioni siano tenute solo a rimborsare i costi sostenuti da organizzazioni di volontario e da associazioni di promozione sociale, determinando così il carattere sostanzialmente gratuito delle attività o prestazioni fornite da questi soggetti privati. Esiste però una giurisprudenza, tanto eurounitaria (C. giust., 19.12.2012, C-159/11, Ordine degli ingegneri della provincia di Lecce e a.) quanto nazionale (Cons. St., V, 3.10.2017, n. 4614), che, ampliando il significato di onerosità, non esclude di poter ricomprendere le prestazioni gratuite se comunque prevedano scambi di risorse finanziarie o se, comunque, garantiscano vantaggi economici anche se indiretti. Pure in questo caso, così, i confini tra convenzioni e contratti divengono più sfumati con i conseguenti rischi di incertezza circa la disciplina da applicare. Parrebbe corretto, tuttavia, sostenere che, poiché l'art. 56 prevede l'uso delle convenzioni «se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato», esse andrebbero in realtà ascritte tra i negozi a titolo oneroso, a cui si applica una disciplina speciale e alternativa a quella dei contratti pubblici qualora si dimostrino più convenienti nei termini stabiliti dalla giurisprudenza eurounitaria (C. giust., 11.12.2014, C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a.; C. giust., 28.1.2016, C-50/14, CASTA). Da questo consegue che le convenzioni disciplinate dall'art. 56, codice del terzo settore, fuoriescono dal perimetro delle fattispecie dei vantaggi senza corrispettivo, entro cui, invece, sono presenti altri accordi variamente denominati che possono essere stipulati anche dagli enti del terzo settore. Per questi ultimi, ad esempio, si può richiamare l'art. 55, d.lgs. 117/2017, che si riferisce alle soluzioni di co-programmazione o co-progettazione o, ancora, altre forme negoziali atipiche.
In conclusione si deve dare atto che il principio di sussidiarietà orizzontale è stato utilizzato dalla giurisprudenza amministrativa anche per ampliare la legittimazione processuale attiva. Di questo indirizzo, sicuramente non prevedibile nel momento in cui il principio fu introdotto in costituzione, è stato dato, però, dalla giurisprudenza un diverso significato.
In alcuni casi la citazione del principio di sussidiarietà orizzontale per affermare la legittimazione a ricorrere di certi soggetti ha assunto solo un argomento di rinforzo rispetto all'applicazione di norme positive, che potevano già bastare per sostenere tale conclusione. Di fatto, in questi casi, il principio costituzionale non ha aggiunto nulla.
In altre circostanze, il principio di sussidiarietà orizzontale è stato utilizzato per confermare e arricchire gli argomenti che la giurisprudenza, per la verità, già sosteneva per ampliare la legittimazione processuale, oltre il dato formale della legge, nei casi in cui fosse riscontrabile una lesione dell'interesse soggettivo del ricorrente attraverso i criteri della vicinitas o della mera connessione tra interessi soggettivi e interessi oggettivi lesi. Si tratta di una giurisprudenza importante che si colloca, tuttavia, in una linea di continuità con quell'indirizzo preoccupato di estendere la legittimazione per la tutela soggettiva (Cons. St., IV, 2.10.2006, n. 5760).
Ci sono, però, alcune pronunce che invece presentano potenzialità fortemente innovative, quando, cioè, la legittimazione processuale è affermata in virtù del ragionamento che il ruolo dei cittadini è indefettibile anche per la tutela di interessi pubblici, cosicché la loro attivazione per la tutela giurisdizionale deve essere interpretata in funzione di collaborazione per la buona cura degli interessi generali (TAR Puglia, Lecce, 5.10.2005, n. 1847; Cons. St., V, 27.7.2011, n. 4502). In questo caso, la legittimazione processuale, che si avvale del principio di sussidiarietà orizzontale, tende a estendere per ragioni oggettive la legittimazione a ricorrere, andando ben oltre i traguardi già raggiunti in passato. Utilizza il ricorrente come “guardiano” diffuso della legalità, arricchendo la natura puramente soggettiva della tutela processuale amministrativa.
Vale la pena notare che in questi casi il principio di sussidiarietà trova un campo di applicazione che non ha alcun riferimento legislativo alla base, se non in ipotesi molto specifiche puntualmente previste dall'ordinamento giuridico (cfr. art. 146, co. 12, d.lgs. 22.1.2004, n. 42), facendo emergere ancora una volta la dinamica dialettica con il principio di legalità.
Fonti normative
Art. 118, co. 1 e 4, Cost.; art. 11 e 12, l. 7.8.1990, n. 241; art. 3, co. 5, d.lgs. 18.8.2000, n. 267; art. 7, l. 5.6.2003, n. 131; art. 189 e 190, d.lgs. 18.4.2016, n. 50; art. 1, 2, 55, 56 e 57, d.lgs. 3.7.2017, n. 117.
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