SVEVI
. L'origine e la provenienza della stirpe sveva sono molto discusse. Sorprende già il fatto che essa compare nella tradizione scritta con un doppio nome: Suebi e Alamanni. La designazione più antica è quella di Suebi; secondo l'interpretazione più corrente il nome dovrebbe significare: i "liberi"; però viene anche proposta l'interpretazione: i "vaganti" e - come nomignolo - i "neghittosi". Nell'epoca romana e in quella delle invasioni il nome di Suebi si incontra in molte regioni; poi il nome sparisce. In suo luogo compare il nome di Alamanni, che dovrebbe equivalere a "uomini uniti", e che dall'epoca carolingia in poi è a sua volta sostituito dal nome antico, nella forma di "Svevi".
Al tempo di Cesare e di Tacito i Suebi formavano una grande famiglia di popoli. Già Cesare comprende tra i Suebi le stirpi germaniche di Ariovisto. Tacito reca più precise notizie su di loro; secondo lui i Suebi possiedono la maggior parte della Germania; fanno parte di essi tra gli altri i Longobardi, gli Angli, i Marcomanni. In età storica le loro sedi sono da ricercare nella marca di Brandeburgo; alcuni dotti scorgono in loro i rappresentanti della "cultura della Lusazia", che viene localizzata nel Brandeburgo. Tacito considera come il più antico e più illustre popolo dei Suebi quello dei Sennoni, che di solito si identifica con il nucleo dei Suebi residente al principio dell'età storica nella marca di Brandeburgo. I Sennoni sono nominati dalla tradizione per l'ultima volta nell'anno 177; in quel tempo i Quadi volevano emigrare dal confine del Danubio verso di loro, ciò che fu impedito da Marco Aurelio. Nel 213 compaiono al limes della Germania superiore gli Alamanni. L'ipotesi più diffusa scorge negli Alamanni le avanguardie dei Sennoni emigranti dalla marca di Brandeburgo. Il cambiamento del nome rimane però inspiegato. Certo è che nei secoli seguenti la marca fu, se non proprio completamente evacuata, così fortemente spopolata, che i residui poterono essere assorbiti dagli Slavi immigrati dall'oriente nei secoli VII e VIII.
La pressione degli Alamanni sul limes divenne così forte nel corso del sec. III, che gli agri decumates tra il limes e il Reno dovettero esser sgomberati e il confine dell'impero ritirato sul Reno. Nel sec. IV cominciano le incursioni al di là del Reno; nel 357 Giuliano vinse gli Alamanni nelle vicinanze di Strasburgo, nel 368 Magonza fu saccheggiata. Il crollo dell'impero, in seguito alle invasioni dei Germani orientali (Visigoti, Vandali, Burgundi) e degli Unni, specialmente dopo la morte di Ezio (454), aprì la via oltre il Reno. L'alto e il medio Reno furono attraversati da masse compatte. In questa loro offensiva gli Alamanni urtarono nell'offensiva dei Franchi diretta da nord a sud. La battaglia di Tolbiaco (496) determinò il confine settentrionale del territorio di stanziamento degli Alamanni, che oggi ancora rappresenta il confine dialettale (sbocco della Lech nel Danubio - nord di Stoccarda - sud di Karlsruhe-Hagenau).
La conseguenza della sconfitta fu un rigurgito verso sud-est. Teodorico accolse degli Alamanni nella provincia della Rezia e nella Svizzera. In tal modo fu occupato il territorio tra l'Iller, la Lech e la Svizzera. Lo stanziamento si concluse nel sec. VI.
Del territorio complessivo della stirpe alamanna la parte a occidente del Reno passò già nel 536 sotto l'alta sovranità dello stato franco. Nell'Alamannia alla destra del Reno si formò un ducato, che fu vinto solamente da Carlo Martello (verso il 730). La cristianizzazione della regione si effettuò per opera delle città romane. Tutte le sedi vescovili dell'Alamannia sono città romane: Strasburgo, Basilea, Augusta, e anche Costanza, dove si trasferì verso il 580 il vescovo di Vindonissa. Nel corso del sec. VII il paese fu evangelizzato dai monaci iro-scotti. La più antica scrittura giuridica degli Alamanni, il Pactus Alamannorum della. fine del sec. VII, rispecchia condizioni di vita ancora pagane, la Lex Alamannorum, che fu composta probabilmente sotto Carlo Martello, è cristiana.
Dopo il crollo dell'impero carolingio risorse in Svevia il ducato. La dignità ducale fu in possesso di varie famiglie, finché pervenne ad opera di Enrico IV alla casa degli Hohenstaufen, spentasi la quale, la dignità non fu rinnovata.
Bibl.: L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme, Berlino 1918; II; Leges Alamannorum, ed. M. Lehmann, in Monumenta Germaniae hist. Leges, sectio I (Leges nationum Germanicarum, V, I; Hannover 1888); A. Hund, Wanderungen und Siedlungen der Alamannen, in Zeitschr. f. d. Geschichte des Oberrheins, n. s. XXXII e XXXIV (1917-19); A. Baur, Gau und Grafschaft in Schwaben, in Darstellungen aus der württembergischen Geschichte, XVII, Stoccarda 1926; W. Veeck, Die Alemannen in Württemberg, voll. 2, Berlino 1931.