sviluppo
In economia, lo s. è un fenomeno durevole nel tempo consistente nella crescita di alcune variabili reali del sistema: produzione, consumi, investimenti, occupazione. Generalmente come indice del grado di s. economico raggiunto da un Paese si assume il reddito reale per abitante o il prodotto interno lordo (PIL) pro capite, sebbene quest’ultimo indice sia stato sottoposto a forti critiche e sia da più parti ritenuto inadeguato. D’altra parte, laddove è stato realizzato, lo stesso s. economico non ha sempre assicurato il conseguimento di altri importanti obiettivi come una maggiore giustizia sociale, la realizzazione di una migliore qualità della vita, la riduzione dei divari esistenti tra le classi sociali e tra aree geografiche del mondo, la diminuzione della disoccupazione e l’eliminazione dell’emarginazione sociale anche nei Paesi più progrediti. Lo s. economico è inoltre un fenomeno complesso, non facilmente riconducibile a interpretazioni generalizzabili: l’esperienza storica dimostra infatti la presenza di modelli di s. assai diversi, per politiche economiche attuate e per fasi e tempi di realizzazione. Lo s. economico al quale si fa oggi riferimento presenta aspetti del tutto particolari che lo contraddistinguono dai meccanismi che caratterizzavano le epoche precedenti. Mentre nell’epoca medievale, tra il sec. 11° e il sec. 15°, il ruolo centrale nello s. è stato assunto dalla città e dalle innovazioni indotte dalla crescita dell’economia urbana, negli anni compresi tra il 1500 e il 1570 il motore della crescita economica si è fondato principalmente sul capitalismo mercantile, cioè sulle scoperte e le conquiste del Nuovo mondo, ma anche sulle consistenti trasformazioni che hanno interessato il settore agricolo, le prime attività manifatturiere e il commercio. Tuttavia, solo con lo s. industriale, avvenuto inizialmente in Inghilterra a partire dalla fine del sec. 18° e diffusosi nei due secoli successivi negli altri Paesi europei, negli USA e nel resto del mondo, il processo economico ha assunto le caratteristiche fortemente intensive che connotano le società moderne. Tali caratteristiche, che hanno portato i Paesi europei a svilupparsi a ritmi di incremento del PIL mediamente superiori all’1% rispetto allo 0,1-0,2% dei secoli precedenti, possono essere così sintetizzate: crescente introduzione dell’innovazione nei processi di lavorazione dei manufatti con conseguente realizzazione di nuovi prodotti e nuovi macchinari, forte espansione dell’attività industriale a scapito di quella agricola, realizzazione di elevati profitti con mantenimento di alti tassi di accumulazione del capitale, maggiore ricorso al lavoro qualificato, sviluppo delle risorse naturali. I Paesi che per primi si sono industrializzati hanno tratto, grazie anche a un assetto liberistico degli scambi internazionali, consistenti vantaggi dall’insieme degli ingredienti dello s. qui descritti, mentre quelli che si sono sviluppati successivamente, dovendo affrontare la concorrenza dei Paesi già affermati sui mercati esteri, sono ricorsi spesso a misure protettive delle loro economie, anche se hanno potuto usufruire della maggiore disponibilità di tecnologie avanzate e meno costose, di una riserva di manodopera da impiegare a salari contenuti e della presenza di un mercato interno in espansione non totalmente dipendente dalle importazioni dei Paesi terzi. In seguito alla diffusione dello s., e soprattutto delle innovazione scientifiche e dell’applicazione del progresso tecnologico ai processi produttivi, la struttura del sistema economico subisce profonde modificazioni sia nel contributo delle diverse attività produttive alla formazione del PIL che negli usi finali della produzione; al minore peso nella composizione del PIL del settore agricolo e in parte anche dei settori industriali più tradizionali (minerario, tessile e metallurgico) fa riscontro una maggiore crescita di quelli dove più intenso risulta lo sforzo di innovazione di processo e/o di prodotto (la meccanica, l’elettronica, le telecomunicazioni ecc.), ma anche un incremento del peso del settore dei servizi destinati alla vendita (banche, assicurazioni, commercio, trasporti e comunicazioni ecc.). A questa imponente trasformazione nelle modalità di utilizzo delle risorse produttive disponibili, capitale (umano e fisico), lavoro e terra, si accompagnano importanti mutamenti di carattere sia istituzionale che culturale: i processi di s. delle società moderne vedono il crescente coinvolgimento dello Stato nella vita economica, la ricerca di istituzioni efficienti, la formazione di sistemi di istruzione in grado di diffondere le nuove conoscenze. Un’altra caratteristica dello s. economico moderno è quella di presentare un’elevata variabilità nell’andamento nel tempo delle grandezze economiche; a fasi di crescita rapida di tali grandezze (il PIL, gli investimenti, le esportazioni ecc.) si succedono periodi di rallentamento, talvolta di contrazione o di vera e propria recessione economica. Alcuni studiosi (C. Clark, 1957; W.W. Rostow, 1960; S.S. Kuznets, 1966) hanno individuato nel processo di s. una successione naturale di tali fluttuazioni, tanto da poter parlare di regolarità dei cicli economici, da quelli di breve e medio periodo a quelli di più lungo periodo. Ma tali fenomeni sono difficilmente prevedibili nel tempo e comunque non sempre da attribuire allo stadio di s. (più o meno avanzato) raggiunto dal Paese, bensì a un insieme di cause o shock che possono essere dettati talvolta da fenomeni economici, più spesso da avvenimenti provocati da tensioni sociali e politiche, sia interne che internazionali, la cui influenza sull’evoluzione del ciclo economico non è facile da determinare. Le fluttuazioni verificatesi in particolare a partire dagli anni Settanta hanno evidenziato, anche per la crescente integrazione dei mercati e delle economie dei Paesi più avanzati, caratteristiche sia di maggiore rapidità nella successione del ciclo sia di maggiore intensità; è sufficiente pensare agli shock petroliferi degli anni 1973 e 1979 e ai processi inflattivi che ne sono conseguiti, alla recessione mondiale dei primi anni Ottanta, alla persistenza nel decennio 1980-90 di condizioni sfavorevoli alla crescita economica in molti Paesi in via di sviluppo, al problema della disoccupazione strutturale nella gran parte delle società avanzate degli anni Novanta. A partire dal 2008, infine, una nuova crisi ha colpito i Paesi capitalistici più sviluppati, USA in primis. La crisi è stata determinata essenzialmente da un calo generalizzato di salari e stipendi prodottosi negli anni precedenti, e dal conseguente diffondersi degli acquisti a credito, spesso basati su prestiti concessi dalle banche in virtù del crescente valore degli immobili che gli stessi clienti stavano acquisendo tramite mutui; essa è esplosa allorché il mercato immobiliare ha fermato la sua ascesa, i crediti si sono interrotti, i titoli derivati che intanto si erano diffusi sul mercato finanziario hanno perso valore e l’intera piramide è crollata, aprendo seri interrogativi sullo stesso modello di s. iper-liberista perseguito nel trentennio 1980-2010.