sviluppo
s. m. – Per una definizione del concetto di sviluppo vanno specificati due approcci sostanzialmente opposti: il primo presuppone che ogni sistema socio-culturale-territoriale abbia un proprio cammino di sviluppo diverso e non comparabile con gli altri; il secondo, che lo sviluppo sia tracciato da una cultura dominante che tutte le altre devono seguire rinunciando alla loro specificità. Il primo approccio conduce a una geografia delle diversità che osserva lo sviluppo come un fenomeno complesso; il secondo conduce a tracciare una geografia delle diseguaglianze rispetto a un unico modello che mette in discussione la grande varietà culturale e territoriale riscontrabile sul pianeta. Una definizione di sviluppo che non sia riconducibile totalmente né al modello unico, né alla complessità va posizionata a un grado intermedio variabile a seconda di come essa possa definire un indirizzo strategico per realizzare un tipo di sviluppo desiderabile, che per l’opinione pubblica mondiale e per le maggiori istituzioni internazionali coincide ormai da decenni con lo sviluppo sostenibile: quello cioè che garantisce agli abitanti futuri del pianeta la stessa qualità di vita degli abitanti di oggi. Un tale approccio necessita di un’attenta analisi dei sistemi territoriali a vari livelli, con principi organizzativi autonomi e indipendenti gli uni dagli altri ma con funzioni che rappresentano il prodotto di interazioni transcalari che presuppongono la combinazione tra input esterni e dinamiche interne. L’individuazione della scala locale come dimensione attiva nei processi dello sviluppo richiede l’adozione di una visione del territorio come entità complessa e differenziata, con specificità che derivano dalla storia e dalle relazioni sociali al suo interno. La dimensione locale è in grado di indurre processi di sviluppo solo se gli attori locali definiscono azioni collettive rivolte alla valorizzazione delle specificità territoriali (patrimonio, valori, risorse) identificabili perché non riproducibili altrove. Il riconoscimento del ruolo svolto da queste ultime e dalle capacità di azione degli attori locali ridefiniscono anche le politiche di promozione dello sviluppo rispetto a quelle che hanno guidato l’intervento del soggetto pubblico negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, e che si configurano schematicamente nel passaggio da un approccio top-down a uno bottom-up. Mentre le politiche top-down sono indirizzate a erogare incentivi diretti secondo procedure standard, le politiche bottom-up mirano a supportare le condizioni del contesto e a promuovere lo sviluppo del sistema territoriale dal basso. Accanto alle politiche nazionali lo sviluppo locale è anche al centro di molte politiche messe in atto dalle Organizzazioni internazionali (Banca mondiale, OCSE, Nazioni Unite) le quali presentano, tuttavia, il pericolo che l’irriproducibilità sostanziale del modello di sviluppo locale da un luogo a un altro porti a trasferire unicamente gli aspetti procedurali e a finanziare iniziative spesso avulse dal territorio in cui agiscono. Lo sviluppo locale promosso dagli organismi internazionali rischia di operare quindi come riduttore della diversità reintroducendo schemi interpretativi e di azione tradizionale e riproducendo i meccanismi di dominio che si intendeva superare proprio attraverso il riconoscimento della complessità.