Vedi Svizzera dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Svizzera sorge nel cuore del continente europeo, in un’area prevalentemente montuosa e senza sbocchi sul mare. Nonostante la superficie limitata e la carenza di risorse naturali, la posizione geografica e la stabilità politica hanno permesso al paese di assumere un ruolo politico ed economico di rilievo in Europa.
Il principio di neutralità costituisce il perno della politica estera elvetica. Nella sua odierna interpretazione e nell’ambito dell’attuale contesto internazionale, la neutralità offre al paese un ampio margine di manovra. In campo internazionale la Svizzera mira ad estendere le opportunità di cooperazione e ad esercitare maggiore influenza politica ed economica attraverso una più attiva partecipazione ai forum internazionali e tramite il rafforzamento delle relazioni bilaterali. La difesa degli interessi nazionali, tuttavia, deve essere perseguita senza compromettere l’autonomia e la sovranità del paese.
Peculiare, in tal senso, è il rapporto della Svizzera con l’Unione Europea (Eu). Il paese non è membro dell’Eu, sebbene l’adesione rimanga una possibilità di lungo termine, almeno finché non comporti un obbligo vincolante di assistenza militare reciproca che violerebbe il principio della neutralità. Inoltre, l’adesione comporterebbe un limite agli istituti di democrazia diretta – elemento peculiare del sistema elvetico – nelle materie di competenza dell’Eu, poiché le normative europee prevarrebbero sulla legge nazionale. Tuttavia il legame con l’Eu, primo partner commerciale e primo investitore, è molto forte. I cittadini si sono espressi contro l’adesione, ma poi hanno approvato la partecipazione all’accordo di Schengen e l’estensione della libera circolazione delle persone. Inoltre, la Svizzera ha concluso accordi bilaterali con l’Eu su numerosi aspetti, quali il commercio, le tasse, le pensioni, l’agricoltura e l’energia. Di conseguenza, rimanere al di fuori dell’Unione significa non partecipare a processi decisionali che hanno un forte impatto sull’economia interna, per l’intensità dei legami esistenti. Dall’altra parte, la stessa Eu preme per la definizione di un quadro di cooperazione più coerente.
Recentemente la Svizzera ha adottato una politica estera volta a rafforzare le relazioni politiche ed economiche con Stati Uniti, Russia, Giappone e con le economie emergenti: Cina, India, Brasile, Sudafrica. Inoltre, il paese mantiene un forte interesse nell’area mediorientale, una regione strategica per garantire sia la sicurezza internazionale, sia quella energetica europea.
Tradizionalmente si fa risalire la fondazione della Svizzera al 1291, anno in cui l’alleanza di tre comunità rurali diede vita al primo nucleo della futura confederazione. In seguito, il paese ha vissuto una fase di espansione nel Quattordicesimo e Quindicesimo secolo, per poi assumere l’attuale conformazione tra il 1815 e il 1848. La struttura statale della Svizzera è ancora oggi di stampo federale e si articola su tre livelli: confederazione, cantoni e comuni. Anche i partiti sono per lo più organizzati su base cantonale e mantengono una struttura nazionale più debole. L’Unione democratica di centro, schieramento di centro-destra con una base elettorale molto forte tra le comunità rurali e le piccole imprese nelle zone germanofone, alle elezioni dell’ottobre 2015 si è riconfermata come primo partito del paese, conquistando il 29% delle preferenze e 65 seggi dei 200 del Consiglio nazionale. Dietro di lei si è posizionato il Partito socialista, che è riuscito a ottenere solo il 19% dei consensi e 43 seggi. Altri importanti partiti sono il Partito liberale radicale e il Partito popolare democratico. Dal 1959 questi quattro partiti hanno governato insieme, nell’ambito di un sistema politico detto della ‘concordanza’, non basato sull’alternanza di governo.
La Svizzera ha quattro lingue nazionali, la cui distribuzione sul territorio è eterogenea. Il tedesco è la lingua più diffusa (63,7% della popolazione) ed è adottata in 19 cantoni. Il francese (20,4%) è parlato soprattutto nelle regioni occidentali – denominate Romandia – dove si trovano i cantoni francofoni di Ginevra, Vaud, Neuchâtel e Giura. L’italiano è parlato dal 6,5% della popolazione, concentrata nel cantone Ticino e nelle quattro valli dei Grigioni, cantone trilingue in cui risiede anche la minoranza (0,5%) che parla il romancio, riconosciuta costituzionalmente come lingua nazionale, ma non utilizzata come lingua ufficiale. Alla pluralità linguistica e culturale corrisponde una certa eterogeneità religiosa, che vede la presenza di due grandi gruppi: i cattolici e i protestanti, articolati nelle diverse chiese. Infine, le comunità si distinguono anche per i diversi orientamenti politici ed economici: mentre la comunità germanofona promuove generalmente un’interpretazione restrittiva della neutralità e una riduzione del ruolo dello stato nell’economia, la comunità francese appoggia tradizionalmente una politica estera più aperta e un maggiore interventismo statale.
La popolazione è di 8 milioni di abitanti, di cui il 26% circa sono immigrati (escludendo i richiedenti asilo politico e i lavoratori stagionali). La percentuale di stranieri in Svizzera è la più alta in Europa dopo Liechtenstein e Lussemburgo, soprattutto perché le leggi confederali rendono difficile la naturalizzazione degli stranieri (sia pure figli di immigrati nati nel paese). La questione dell’immigrazione ha contraddistinto il dibattito pubblico svizzero e, dalla metà degli anni Duemila, è entrata prepotentemente nell’agenda politica delle forze di governo, influenzando fortemente an-che le elezioni dell’ottobre 2015. Tramite alcune iniziative referendarie è stata vietata nel 2009 la costruzione di nuovi minareti e, nel 2010, è stata approvata una legge per l’espulsione automatica dalla Svizzera degli stranieri che commettono gravi violazioni di legge. Nel 2011 l’Unione democratica di centro ha annunciato di avere raccolto le firme necessarie per lanciare un referendum contro l’immigrazione di massa, in particolare per arrestare i flussi di persone provenienti dall’Unione Europea, soprattutto dall’Italia. Nel dicembre 2012 il Consiglio federale ha però affermato di essere contrario alla proposta del partito, poiché non compatibile con l’attuale politica migratoria del paese. Ciò nonostante il referendum si è tenuto nel febbraio 2014, sancendo la vittoria di coloro a favore delle restrizioni.
Il referendum rappresenta lo strumento partecipativo più caratteristico della democrazia elvetica. Il dibattito pubblico assorbe spesso i temi referendari, contribuendo così a creare una cittadinanza informata, attenta alle opinioni delle varie comunità cantonali e dunque vicina a un modello di democrazia deliberativa. I referendum sono obbligatori per le modifiche costituzionali, l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sovranazionali, le leggi federali dichiarate urgenti, prive di base costituzionale e con durata di validità superiore a un anno. Sono invece facoltativi nel caso di leggi, modifiche di legge e di alcuni trattati internazionali. Negli ultimi quattro anni il popolo svizzero è stato chiamato ad esprimersi su oltre 40 referendum. Molte delle consultazioni hanno ottenuto meno del 50% dei voti e sono state respinte: è accaduto, per esempio, a fine novembre 2013 con la proposta dei ‘Giovani socialisti’ di limitare gli stipendi dei manager. Tuttavia, la maggior parte delle iniziative non fallisce del tutto: le esigenze formulatevi suscitano generalmente un ampio dibattito e nel tempo sono inglobate in una legge.
Il sistema scolastico svizzero è ampiamente decentrato, tanto che non esiste un Ministero della pubblica istruzione. Sono i cantoni che, eccezion fatta per la durata dell’anno scolastico e del numero di anni di scuola dell’obbligo, decidono le linee guida scolastiche e versano i finanziamenti necessari a sostenere l’istruzione della cittadinanza. In maniera analoga il sistema sanitario, considerato tra i migliori al mondo, cambia secondo il cantone di riferimento. I dirigenti hanno libertà di decisione sulla spesa, sull’organizzazione e sull’offerta della sanità.
La politica economica elvetica è caratterizzata dal fatto che le responsabilità sono condivise tra più enti e su differenti livelli di governo, con l’eccezione della politica monetaria, condotta dalla Banca centrale svizzera. La capacità del governo federale di perseguire una propria agenda di politica economica è quindi limitata, poiché condivide con i cantoni e le autorità locali alcune competenze, come la politica fiscale, mentre ha maggiori poteri sulla politica di concorrenza e del mercato del lavoro.Nel 2015 la moneta svizzera, il franco svizzero, è stata sganciata dall’euro. L’economia si basa su una produzione di qualità e una manodopera qualificata. I principali settori comprendono la microtecnologia, l’hi-tech, la biotecnologia, la farmaceutica, le banche e le assicurazioni. Allo stesso tempo, poiché il paese è privo di risorse minerarie e ha un mercato interno limitato, la sua prosperità dipende dal commercio con l’estero. Dagli anni Novanta l’apertura economica è notevolmente aumentata e le importazioni rappresentano circa un terzo del pil, così come le esportazioni. La Svizzera è tradizionalmente a favore della liberalizzazione commerciale, sebbene i dazi sui prodotti agricoli rimangano piuttosto elevati. Commercia prevalentemente con l’Eu (la Germania è il primo partner commerciale) e, in minor misura, con gli Stati Uniti. Il paese è un importatore netto di prodotti alimentari, di energia e di materie prime, mentre esporta beni ad alto valore aggiunto, in particolare prodotti chimici e farmaceutici, macchinari, strumenti di precisione, orologi e gioielli. Ultimamente però il calo della domanda estera dovuto alla crisi economica globale ha contribuito a una contrazione delle esportazioni, affidando alla domanda interna il ruolo di traino dell’economia.
Il settore finanziario ha una lunga tradizione e riveste grande importanza sull’economia svizzera: l’espansione del settore è avvenuta anche grazie alla collocazione del paese nel cuore dell’Europa, alla stabilità politica, alla moneta forte, a leggi che proteggono il segreto bancario e all’elevato livello di sviluppo. Inoltre, il paese ospita la Banca dei regolamenti internazionali, un’organizzazione internazionale che promuove la cooperazione monetaria e finanziaria internazionale. Un cambio radicale dovrebbe avvenire, sia pure progressivamente, dopo l’entrata in vigore di una legge che obbliga gli istituti di credito a fornire dati sui correntisti esteri alle autorità straniere che ne fanno domanda. La misura, invocata dalle istituzioni internazionali e dagli altri paesi nella lotta ai paradisi fiscali e al riciclaggio, ha reso meno impenetrabile l’ombrello della privacy bancaria che ha fatto della Svizzera il caveau anche di oscure operazioni finanziarie.
Quanto al settore turistico, sebbene registri un calo, rimane una risorsa economica rilevante. La Svizzera è stata colpita dalla crisi economica globale in misura inferiore rispetto ad altri paesi europei: nel 2009 il pil elvetico ha registrato una flessione del 2,1%, ma già nel 2010 il tasso di crescita è stato pari al 2,9%, scendendo però all’1,9% nel 2011 fino ad assestarsi attorno all’1% per il 2015. Dopo gli scossoni derivanti dalla crisi, il pil ha continuato a crescere. Anche il sistema bancario è tornato a una relativa stabilità, ma si prospetta comunque un graduale declino di un’area significativa delle attività non tassate provenienti dall’estero.
Poiché la Svizzera è priva di petrolio, gas e carbone, i due assi portanti della politica energetica sono l’incremento di politiche riguardanti le energie rinnovabili e lo sviluppo di programmi di efficienza energetica. Grazie alle rinnovabili e al nucleare il paese produce più della metà dell’energia che consuma. Sul territorio sorgono cinque centrali nucleari di cui quattro attive: nel 2014 hanno contribuito per il 37,9% del totale dell’energia prodotta nel paese. Inoltre, sebbene dipendente dalle importazioni di idrocarburi, la diversificazione della fornitura di petrolio e gas garantisce la sicurezza energetica. Il petrolio, che continua a essere la prima fonte nel mix energetico (36,6%), è principalmente importato da paesi europei non-Oecd, Kazakistan, Libia, Nigeria e Algeria.
La Confederazione elvetica, nonostante adotti una politica di neutralità e di non belligeranza, prevede il servizio militare obbligatorio. Nel 2001 fu avanzata la proposta di smantellare le forze armate, composte da 21.250 unità, ma gli elettori rifiutarono la mozione. Tuttavia i grandi cambiamenti internazionali e le minacce terroristiche globali hanno indotto la Confederazione ad avviare, dal 2004, un processo di riforme che, a fronte della riduzione di soldati, rendessero l’esercito meglio preparato ed equipaggiato per affrontare operazioni internazionali nelle aree più instabili del mondo. La Svizzera, negli ultimi anni, ha preso parte a due importanti missioni di peacekeeping: la Kfor della Nato in Kosovo, in cui attualmente dispiega 186 soldati, e l’Eufor dell’Unione Europea nella Bosnia-Erzegovina, con 20 effettivi. Alcuni osservatori elvetici sono stati inoltre impegnati in Medio Oriente con l’Organizzazione di supervisione per l’armistizio delle Nazioni Unite (Untso). Infine va ricordato che le guardie vaticane del papato, in virtù di un tradizionale sodalizio tra Svizzera e Vaticano che affonda le radici nel XVI secolo, sono cittadini svizzeri che hanno svolto il servizio militare nell’esercito elvetico. Secondo il regolamento, la Guardia svizzera è composta da 110 uomini: 78 alabardieri, 26 sotto-ufficiali e sei ufficiali.
La neutralità è un principio fondamentale della politica estera elvetica ed è volta ad assicurare l’indipendenza e l’integrità territoriale. Nella Costituzione svizzera la neutralità è menzionata nella sezione relativa alle autorità federali e non in quelle concernenti gli scopi della confederazione e i principi della politica estera, perché essa viene considerata come uno strumento della politica estera e non come un fine in sé. La neutralità svizzera è permanente, scelta liberamente e armata. È il risultato di una lunga tradizione, risalente al 1516. Sebbene vi siano stati numerosi adattamenti a vincoli interni ed esterni, il principio è parte dell’identità nazionale, gode di ampio sostegno da parte della popolazione, e ha contribuito a rafforzare la coesione interna di un paese culturalmente eterogeneo. Durante la Guerra fredda la neutralità svizzera era detta ‘integrale’ in quanto richiedeva non solo che il paese si astenesse dalla partecipazione ad alleanze militari, ma che rimanesse anche fuori dalle maggiori organizzazioni internazionali. Viceversa, dopo la Guerra fredda si è affermata un’interpretazione più ampia, che lascia un maggiore margine di manovra, simile a quella della cosiddetta neutralità ‘differenziata’ degli anni Venti, quando il paese aderì alla Società delle Nazioni e si dichiarò disposto ad attuare sanzioni economiche. Nel 1990, a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che decretò le sanzioni contro l’Iraq, il Consiglio federale dichiarò compatibile l’esecuzione autonoma di sanzioni economiche con la neutralità. In seguito la Svizzera ha partecipato anche alle sanzioni contro Libia, Haiti e Iugoslavia. Inoltre, nel rapporto sulla neutralità del 1993, il Consiglio federale riconosce che, per affrontare le nuove sfide – terrorismo, criminalità organizzata e cambiamenti climatici –, occorre avviare una maggiore cooperazione anche in materia di sicurezza. Dal 1996 la Svizzera è parte del programma Partnership for Peace della Nato, compatibile con la neutralità in quanto non è previsto l’obbligo di fornire sostegno militare in caso di conflitto armato. Infine, la Svizzera è sembrata più propensa a partecipare a organizzazioni internazionali non militari: dal 2002 è membro delle Nazioni Unite e quindi è tenuta a partecipare alle sanzioni economiche decretate dall’organizzazione e non può ostacolare l’attuazione di sanzioni militari decretate dal Consiglio di sicurezza. Il paese partecipa alle operazioni di peacekeeping sotto mandato Osce e delle Nazioni Unite. In ultima analisi, la tendenza ufficiale è quindi quella di una neutralità ‘attiva’, nonostante rimangano divergenze anche profonde nella percezione e definizione della medesima, sia tra i partiti che tra le comunità.
La Confederazione elvetica è una democrazia parlamentare articolata sulla base di un sistema federale. È strutturata in maniera tale che la cittadinanza possa partecipare direttamente alla vita politica attraverso gli organi cantonali, in alcuni casi con votazioni ad alzata di mano, più spesso tramite lo strumento partecipativo del referendum, che può essere indetto se richiesto da otto cantoni o da 50.000 cittadini. Inoltre, il potere esecutivo è fortemente decentralizzato: i 26 cantoni svizzeri godono di un elevato livello di autonomia e hanno un proprio parlamento, eletto a suffragio universale, un governo e una Costituzione. Le competenze dei cantoni sono molto ampie, in particolar modo nei settori della sanità, dell’istruzione e della cultura e si estendono su tutti gli ambiti che non sono di competenza del governo federale. L’architettura istituzionale prevede che a livello confederale i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario siano detenuti rispettivamente dall’assemblea federale, dal consiglio federale e dai tribunali federali. L’assemblea federale – il parlamento – è costituita dal consiglio nazionale e dal consiglio degli stati, camere equiparate che deliberano separatamente. Il consiglio nazionale rappresenta il popolo svizzero e conta 200 membri, eletti con sistema proporzionale e maggioritario, mentre il consiglio degli stati rappresenta i cantoni ed è costituito da 46 deputati, due per ogni cantone, eccezion fatta per sei (i cosiddetti semicantoni) che hanno un solo rappresentante. Le decisioni parlamentari hanno valore esecutivo solo se approvate da entrambi i rami dell’assemblea federale, che per procedere alle elezioni, risolvere conflitti di competenza tra le autorità federali supreme e decidere sulle domande di grazia si riunisce in plenaria. Il governo, detto consiglio federale svizzero, è costituito da sette membri, eletti dall’assemblea federale plenaria e in carica per quattro anni. I sette membri sono ministri dei dipartimenti federali degli affari esteri, dell’interno, di giustizia e polizia, di difesa, della protezione della popolazione e dello sport, delle finanze, dell’economia, dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni. Il presidente della confederazione è eletto a rotazione per un anno tra i sette membri del governo e dirige il consiglio federale, all’interno del quale svolge un ruolo da primus inter pares e di rappresentanza istituzionale.
Il settore bancario svizzero è una componente essenziale per l’economia del paese e continua a dimostrarsi in piena crescita: nel 2014 ha realizzato utili per 14 miliardi di franchi, il 19% in più rispetto all’anno precedente. Secondo i dati forniti dall’Associazione svizzera dei banchieri (Asb) contribuisce per il 6% alla creazione di valore aggiunto, offrendo 104.000 posti di lavoro. Anche per quanto riguarda la gestione transfrontaliera di patrimoni di clienti privati, la Svizzera è il primo attore mondiale. Tuttavia, negli ultimi anni si è fatta particolarmente forte, prevalentemente da parte dei paesi membri dell’Oecd, la pressione per una maggiore trasparenza in materia fiscale e contro il mantenimento del segreto bancario, che prevede il divieto per le banche svizzere di divulgare a terzi informazioni sui loro clienti. Nel 2009 la Svizzera ha acconsentito, assieme ad Austria e Lussemburgo, all’adozione degli standard internazionali sullo scambio di informazioni in materia fiscale stabiliti dall’Oecd, sebbene la condivisione non sia automatica. Le autorità hanno dunque accesso alle informazioni bancarie anche in caso di sospetto di attività criminali come terrorismo, crimine organizzato e riciclaggio di denaro. L’Oecd ha quindi rimosso la Svizzera dalla ‘lista grigia’ dei paradisi fiscali. Nel febbraio 2015 anche l’Italia ha firmato un accordo con il paese per mettere in atto lo scambio di informazioni a fini fiscali secondo gli standard Oecd: il primo scambio automatico di informazioni finanziarie tra Italia e Svizzera avverrà entro il settembre 2018, con riferimento all’anno 2017. Si pone sostanzialmente fine al segreto bancario tra i due paesi: l’Italia ha dunque rimosso la Svizzera dalla propria ‘lista nera’ dei paesi non collaborativi in ambito fiscale.
Le elezioni di ottobre 2015 hanno confermato l’Unione democratica di centro (Svp) come principale partito del paese, con un risultato storico (29,4% delle preferenze) e un forte incremento nel numero di seggi detenuti al Consiglio Nazionale (65 sui 200 rispetto ai 54 ottenuti con le elezioni del 2011). Anche in Svizzera come in altri stati europei il tema della lotta all’immigrazione è stato ampiamente cavalcato in campagna elettorale, nonostante il paese non sia stato particolarmente colpito dall’emergenza migranti dell’estate 2015. D’altronde le tematiche di stampo nazionalista e anti-immigrazione non sono certo nuove alla Svp, che già nel 2009 si era fatta promotrice di una riuscita campagna per imporre lo stop alla costruzione di nuovi minareti. Nel 2014, inoltre, la Svizzera aveva risposto affermativamente a un referendum che chiedeva di porre un limite al numero di lavoratori stranieri, anche provenienti dai paesi Eu (la legge è ora in fase di negoziazione tra l’Unione Europea e il Consiglio federale). Nonostante il risultato della Svp sia il più alto degli ultimi anni, la sua ascesa ha avuto inizio fin dal 1999. Anche il Partito Liberale (Fdp) alle elezioni di ottobre 2015 ha visto aumentare i propri seggi per la prima volta dopo più di trent’anni: la Fdp e la Svp, assieme a due partiti minori, detengono ora la maggioranza assoluta dei seggi nella camera inferiore del parlamento (101 su 200) rendendo altamente probabile uno slittamento verso destra nella politica nazionale elvetica. Un cambiamento che potrebbe essere in parte bilanciato dal maggiore equilibrio tra le forze politiche presenti nel Consiglio federale.