Svizzera
Stato dell’Europa centrale.
Incerto è l’originario popolamento degli abitanti della S. per le età più antiche, e ancora nel periodo di La Tène (secc. 5°-1° a.C.). La data d’immigrazione dei celti è sconosciuta; le prime notizie certe sul territorio dell’attuale S. risalgono all’epoca delle campagne di Cesare, il quale costrinse gli elvezi, che da tempo arretravano davanti ai germani, a fissarsi in queste terre. Da quell’epoca cominciò la colonizzazione latina della S., che fu intensa, sebbene la regione non raggiungesse mai l’alto grado di civiltà delle altre province centrali dell’Impero. Gli elvezi divennero leali sudditi di Roma, che rafforzò il suo dominio con colonie di veterani, come Julia Equestris (Nyon) e Augusta Raurica (Augst, presso Basilea). Sottomessi gli agri decumates tra il Reno superiore e il Meno, la S. divenne da provincia di frontiera provincia interna, e vi si sviluppò una più raffinata vita culturale, specie nella parte occidentale. La città più importante della regione fu Aventicum (corrispondente all’od. Avenches, della quale era venti volte più grande). Lo stato di sicurezza che aveva garantito lo sviluppo delle città svizzere cessò intorno al 260 d.C., quando l’ostinata pressione germanica costrinse Roma a sgomberare gli agri decumates; forse allora fu distrutta Aventicum. Nella seconda metà del sec. 3° Roma riuscì a recuperare la frontiera renana, ma lo stabilirsi degli alamanni nel Württemberg rese impossibile d’allora in poi la vita pacifica della S., che però, grazie alle sue buone fortificazioni e all’attenta sorveglianza romana, fu ancora a lungo preservata (fino alla seconda metà del sec. 5°) da una occupazione permanente da parte dei barbari. Tuttavia neppure il cristianesimo, penetrato dalla valle del Rodano, poté arrestare il progressivo imbarbarimento della S.: invasioni sempre nuove si succedevano, e neppure la vittoria conseguita a Strasburgo dall’imperatore Giuliano (357) era servita a fermarle. Ma una certa attenuazione dei contrasti il cristianesimo la portò, perché alcune delle stirpi germaniche avevano accolto la nuova religione.
Occupato stabilmente intorno al 455 dai burgundi (regioni occidentali e meridionali) e dagli alamanni (zona settentrionale e orientale), il territorio che sarebbe poi stato della Confederazione svizzera fu diviso, dopo la fine del dominio romano, fra questi due popoli, di cui il primo (i burgundi) era costituito da cattolici, il secondo (gli alamanni) da pagani convertiti solo nel sec. 8°. Solo i Grigioni erano rimasti chiusi all’invasione germanica; le valli subalpine caddero sotto la dominazione dei longobardi. Entrati a far parte, nei secc. 6°-7°, del regno e poi dell’impero franco, dopo la morte di Carlomagno elementi romanzi ed elementi germanici si separarono di nuovo, entrando però insieme nell’orbita dell’egemonia borgognona, finché nel 1033 (conquista di Corrado il Salico) anche la Borgogna fu inserita entro la cornice dell’impero germanico. Durante la crisi della lotta per le investiture, acquistarono potere nelle regioni svizzere i feudatari di Zähringen, fondatori di Friburgo (1157) e di Berna (1191): attraverso i Kyburg le loro proprietà passarono agli Asburgo (N ed E), mentre a S e O predominavano i Savoia e si formavano i vescovati di Basilea, Losanna, Coira, Sitten e le città venivano ottenendo la libertà dalla soggezione feudale mercé la dipendenza immediata dall’autorità imperiale. In questo periodo si costituivano pure libere comunità di contadini. Fu questo il momento storico che vide sorgere la reazione alla politica dinastica iniziata dal conte, e futuro re di Germania, Rodolfo III d’Asburgo da parte delle tre comunità alpine di Uri, Schwyz e Unterwalden: reazione comunale che dette origine a una Confederazione subito mostratasi solidissima e divenuta centro di attrazione anche per le comunità cittadine già unite nella confederazione burgunda attorno a Berna. La storia della Confederazione coincide di fatto con la storia della S., pure se, per esempio, Ginevra rimase costituzionalmente fuori dalla Confederazione fino al 1815. Iniziata nel 1291, quando i tre cantoni originari rinnovarono e rinsaldarono, in occasione della morte di Rodolfo III, un patto precedente, regolata dalle clausole della perpetuità e della stretta connessione degli interessi politico-sociali, la Confederazione affermò definitivamente la propria forza durante la guerra per il trono imperiale fra Federico I d’Asburgo e Ludovico il Bavaro. Schieratasi con quest’ultimo, la Confederazione sconfisse gli asburgici a Morgarten (1315), ottenendo da Ludovico il Bavaro il riconoscimento giuridico (1316). Il numero dei cantoni confederati aumentò progressivamente, giungendo a otto nel 1353 (i tre originari e Lucerna, Zurigo, Glarona, Zug, Berna), mentre la Confederazione fu definitivamente riconosciuta dagli Asburgo dopo le battaglie di Sempach (1386) e Näfels (1388). Dalla metà del sec. 14°, gli assetti politico-sociali interni alla Confederazione iniziarono a mutare con l’ascesa del ceto medio, che, sostenuto dal potere delle corporazioni, affiancò e talvolta sostituì nella gestione degli affari pubblici il vecchio patriziato locale. L’autonomia dei cantoni nella Confederazione era completa: la dieta federale si riuniva solo nel caso di attacchi militari che esigevano una difesa comune e per la reciproca garanzia della sovranità giurisdizionale (i principali atti che definirono l’organizzazione giuridica e militare della Confederazione furono il Pfaffenbrief del 1370 e il Sempacherbrief del 1393). La Confederazione, così saldamente costituita, iniziò la politica di espansione, entrando in lotta coi Visconti per le valli subalpine, allentando sempre più i vincoli che la legavano all’impero, accogliendo come alleati Appenzell, San Gallo, il Vallese (contro casa Savoia) e conquistando la Val Leventina, quella di Urseren (controllo del Gottardo), e l’Argovia asburgica. Superata la grave crisi interna della lotta fra Zurigo e Schwyz per il controllo dei passi tra il Lago di Zurigo e la Rezia (guerra per il Toggenburg), stabilitosi definitivamente (fino alla Controriforma) il principio dell’inscindibilità della politica della Confederazione, i cantoni apparvero come un blocco fortissimo che, grazie anche alla fama delle sue milizie, riversatesi per tutta l’Europa nel servizio mercenario, trovò il suo riconoscimento in un sistema di alleanze con la Francia, con i Savoia (da parte della città di Berna), con Milano e con la Borgogna. La vittoria di Nancy (1477) su Carlo il Temerario, la cui politica aveva indotto la Confederazione, con la mediazione di Luigi XI di Francia, a un accordo (1474) con gli Asburgo, segnò per la Confederazione l’ascesa al rango di potenza europea. Superati i contrasti interni causati dall’entrata di Friburgo e Solothurn (1481), la Confederazione, con una nuova guerra vittoriosa contro gli Asburgo, respinse il tentativo di Massimiliano I di restaurare su di essa il controllo imperiale e con la Pace di Basilea (1499) si emancipò di fatto definitivamente dall’impero. Vinta così la prima lotta armata per il riconoscimento della sua esistenza indipendente, la S. manifestò la sua autonomia non partecipando alla recezione del diritto romano che avveniva allora in Germania e completando la sua espansione con l’accettazione come membri di Basilea e Sciaffusa (1501), e poi di Appenzell (1513; si ebbero così i 13 cantoni, che costituirono fino al 1798 l’«antica Confederazione», riconosciuta di diritto soltanto con la Pace di Vestfalia del 1648). Una svolta in tale processo evolutivo fu segnata dalle guerre d’Italia del primo Cinquecento, che videro la S., alleata con il papato, combattere contro la Francia e conquistare il ducato di Milano (1512), per essere poi definitivamente sconfitta dai francesi nella battaglia di Marignano (1515). Un’alleanza perpetua con la Francia (1516), che doveva rimanere per tutta l’epoca moderna a fondamento dei rapporti politici ed economici tra i due Paesi, suggellò questo periodo di lotte per l’espansione al di qua delle Alpi. Una divisione profonda tra i cantoni si creò con l’adesione di un gruppo di essi alla Riforma, introdotta, dopo l’umanesimo riformatore erasmiano di Basilea, da H. Zwingli e sviluppata in nuova Chiesa e nuova teologia da Calvino. Partita da Zurigo, la riforma di Zwingli si diffuse a Berna, Basilea e in parte anche a Sciaffusa, Appenzell, Glarona, nei Grigioni e in altre terre di alleati e sudditi; incontrò invece la ferma opposizione della S. centrale, conservatrice e rurale (Lucerna, Zug e i tre cantoni originari della Confederazione). La guerra fra Zurigo e i cantoni cattolici (decisa con la battaglia di Kappel nel 1531, che vide la sconfitta dei riformisti) lasciò la S. divisa. Mentre la Riforma penetrava a Ginevra, trionfandovi assieme all’indipendenza della città dai Savoia e instaurandovi la teocrazia calvinista, mentre Basilea e Zurigo diventavano con Ginevra (città indipendente, non membro della Confederazione, ma alleata di Berna e poi di Zurigo) centri di rifugio del protestantesimo, i cantoni cattolici formarono la Lega Borromea del 1586, che di fatto li portò ad allearsi con Filippo II di Spagna. La scissione definitiva dell’unità politica svizzera fu impedita dall’egemonia esercitata dalla Francia, che dominò la Confederazione dai primi del Seicento fino all’età napoleonica. Entro questi due secoli si ebbe un notevole processo d’involuzione politica e sociale: emersero nuove oligarchie patrizie e furono duramente represse le rivolte contadine (1653), mentre lo scontro tra cantoni cattolici e protestanti si rinnovò con le guerre di Villmergen (1656 e 1712). Le idee dell’Illuminismo, propagate soprattutto da F.-C. de la Harpe e P. Hochs, e successivamente l’influenza della Rivoluzione francese sconvolsero il già precario equilibrio interno. Invasa dagli eserciti napoleonici (1798) e organizzata in Repubblica elvetica con l’annullamento dell’indipendenza cantonale, nel 1803 la S. riacquistò lo status di Confederazione (atto di mediazione di Napoleone del 18 febbr.), ricomprendendo altri sei membri (San Gallo, Grigioni, Argovia, Turgovia, Ticino e Vaud). Il Congresso di Vienna (1815) riconobbe la definitiva struttura territoriale della nuova Confederazione, passata a 22 cantoni con l’adesione di Ginevra, Neuchâtel e Vallese (si giungerà a 23 cantoni nel 1979, con il distacco del Giura da Berna), sancendo solennemente il principio della sua neutralità perpetua. Cresciuto durante il periodo della Restaurazione, grazie al contributo ideale di una folta schiera di esuli politici provenienti da tutta Europa, il movimento liberale svizzero giunse al potere in numerosi cantoni dopo i moti rivoluzionari del 1830-31, determinando la spaccatura del mondo politico elvetico: da una parte i conservatori, gelosi custodi delle sovranità cantonali, dall’altra i liberal-radicali, che, con diversi accenti, aspiravano al rafforzamento dei poteri federali e alla laicizzazione dello Stato. Una lunga serie di frizioni tra i cantoni a guida conservatrice e quelli a guida liberale condusse nel 1847 alla guerra civile, che oppose sette cantoni cattolici, legati nel Sonderbund, alla Dieta federale. La vittoria di quest’ultima rese definitiva l’affermazione dei principi liberal-radicali: la nuova Costituzione del 1848, abolite le barriere doganali tra i cantoni, lasciò loro ampie competenze legislative, demandando la competenza sulle principali materie di interesse nazionale (politica estera, difesa ecc.) a istituzioni federali. Il potere legislativo fu attribuito all’Assemblea, composta dal Consiglio nazionale, eletto con sistema maggioritario e a suffragio universale maschile, e dal Consiglio degli Stati, nel quale sedevano due rappresentanti eletti da ogni cantone; l’attività di governo fu affidata a un Consiglio federale di sette membri eletti dall’Assemblea, mentre competenze giurisdizionali penali e civili spettavano al Tribunale federale. Sotto la guida del Partito radicale (PR), durata ininterrottamente fino alla fine della Prima guerra mondiale, fu fondato a Zurigo il Politecnico federale e si uniformarono i sistemi monetario, postale, dei pesi e delle misure e il sistema ferroviario, premesse, queste, all’unificazione economica del Paese. Nel 1874 si procedette a una profonda revisione della Costituzione che, oltre a rafforzare i poteri federali, estendeva alle leggi ordinarie il principio del referendum, già sancito nel 1848 per le leggi costituzionali. Contemporaneamente allo sviluppo industriale, avviatosi negli ultimi decenni del sec. 19° e incentrato particolarmente sulle industrie di trasformazione, si sviluppò in S. il movimento socialista che ebbe tendenze piuttosto moderate, data la decentralizzazione delle industrie e conseguente minore inurbamento, il doppio lavoro dei contadini in fabbrica e nei propri campi, nonché l’ampia potenzialità di espressione popolare, consentita dall’istituto del referendum e, in alcuni cantoni, da forme di democrazia diretta; nel 1888 si organizzò su scala nazionale nel Partito socialdemocratico (PSD). Rimasta neutrale durante la Prima guerra mondiale, la S. conobbe ugualmente gravi difficoltà economiche che portarono alla proclamazione di uno sciopero generale nel nov. 1918; represso dall’intervento dell’esercito, lo sciopero conseguì comunque alcuni dei suoi obiettivi: la settimana lavorativa fu abbassata a 48 ore e, dal 1919, fu adottato il sistema proporzionale per l’elezione del Consiglio nazionale. Già ospite di molte istituzioni internazionali (Croce rossa, Unione postale universale, BIT), la S. fu scelta come sede della Società delle nazioni, alla quale aderì nel 1920 dopo aver ottenuto l’esenzione dagli impegni relativi alla partecipazione a eventuali sanzioni militari. Governata da una coalizione composta dal PR, dal Partito dei contadini degli artigiani e dei cittadini (PCAC) e dal Partito conservatore (PC), nel periodo tra le due guerre mondiali la S. superò, non senza difficoltà, gravi problemi economici (in particolare nel 1921 e negli anni 1930-35) e politici, questi ultimi causati dall’emergere di gruppi estremisti sia di destra sia di sinistra. Neutrale anche nella Seconda guerra mondiale, al termine del conflitto la S. aderì alle agenzie specializzate delle Nazioni unite, ma non alle Nazioni unite stesse, restando estranea alle iniziative intese a rafforzare i legami occidentali ed europei (Piano Marshall, NATO, CECA, CEE ecc.), che potessero compromettere da un punto di vista politico il principio della neutralità. La S. aderì tuttavia al GATT (1958), all’EFTA (1960), all’OCSE e al Consiglio d’Europa (1963), mentre nel 1972 stipulò un accordo di libero scambio con la CEE. In politica interna, il mutamento più rilevante si ebbe nel 1959 con l’entrata del PSD nella coalizione tripartita che aveva guidato il Paese fin dal 1919: i sette seggi del Consiglio federale furono divisi assegnandone due ai tre partiti più votati della coalizione e uno al quarto. Stabilità politica e bassa conflittualità sociale avviarono la S. nel secondo dopoguerra a un forte sviluppo economico, richiamo per un massiccio afflusso di manodopera straniera. La cospicua presenza di immigrati, insieme alle flessioni registrate dall’economia dalla fine degli anni Sessanta, e particolarmente all’inizio del decennio successivo, provocarono la crescita di movimenti a carattere xenofobo, che conseguirono affermazioni elettorali ragguardevoli a livello cantonale e municipale. Bocciate in una serie di referendum le iniziative popolari più drastiche contro la presenza degli immigrati, dagli inizi degli anni Ottanta governo e Parlamento federali hanno comunque risposto alla pressione dell’opinione pubblica con un progressivo inasprimento della legislazione sul diritto d’asilo e sul trattamento degli stranieri. Altro tema fonte di vivaci contrasti fin dagli anni Sessanta è stato quello relativo alla politica energetica. Respinti con referendum i tentativi ecologisti di rinunciare definitivamente all’uso dell’atomo a scopi sia militari sia civili, si è giunti nel 1990 alla decisione popolare di indire una moratoria di 10 anni nella costruzione di centrali nucleari. Riflesso del dibattito ecologista è stata la crescita elettorale del Partito verde, assurto dalla fine degli anni Ottanta a quinto partito svizzero in termini di suffragi. Sul piano della politica estera, nonostante la spinta di ampi settori della classe politica a un maggiore impegno nelle organizzazioni internazionali, che ha portato all’entrata del Paese nel FMI e nella Banca mondiale nel 1992, la S. ha sostanzialmente mantenuto il tradizionale isolamento politico. Il tentativo di saldare i legami con la CE attraverso l’adesione allo Spazio economico europeo (comprendente i Paesi EFTA e CE) fu respinto da un referendum nel 1992; anche l’adesione alle Nazioni unite fu bocciata da una consultazione popolare nel 1986, posizione indiret;tamente ribadita dal referendum del 1994, che ha respinto la proposta di partecipazione della S. alle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni unite stesse. L’alleanza che si formò nel 1959 ottenne la maggioranza assoluta dei seggi, anche dopo la concessione del diritto di voto alle donne a livello federale (1971), seppur con sensibili variazioni a livello di singole formazioni della coalizione. Le elezioni del 1995 assegnarono ai partiti di governo 162 su 200 seggi nel Consiglio nazionale, con una netta prevalenza del PSD (54 seggi), seguito dal PR, dal Partito popolare cristiano democratico (ex PC) e dall’Unione democratica di centro (erede del PCAC), rispettivamente con 45, 34 e 29 seggi. Nei rapporti con l’Europa, tra le questioni in trattativa vi fu quella del traffico di transito alpino: il progetto che avrebbe dovuto condurre al divieto di trasporto di merci per via stradale attraverso il territorio svizzero nell’arco di dieci anni (approvato nel referendum del febbraio 1994) fu riconsiderato e nel 1998 si giunse a un accordo che stabiliva l’adozione di una tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni del veicolo (TTPCP), in vigore dal 2001; nel maggio 2000 un referendum popolare approvò con il 67,2% dei votanti una serie di accordi bilaterali tra la S. e l’Unione Europea riguardanti il movimento di persone e di mezzi di trasporto. L’atteggiamento diffidente e spesso ostile di tanta parte dell’opinione pubblica elvetica verso il fenomeno dell’immigrazione e la durezza che tradizionalmente caratterizzava la linea politica governativa su questi temi portarono, nel dicembre 1994, all’approvazione tramite referendum popolare di misure fortemente repressive nei confronti di immigrati e rifugiati politici, misure che prevedevano fra l’altro l’arresto immediato e la detenzione fino a tre mesi senza processo per quanti venissero sorpresi senza documenti. A partire dalla fine del 1995, la S. dovette affrontare un grave problema relativo alla posizione assunta dal Paese, tradizionalmente neutrale, durante il secondo conflitto mondiale. Il problema riguardava, in primo luogo, la faticosa restituzione del denaro che al principio della guerra cittadini ebrei di varia nazionalità europea avevano depositato nelle banche svizzere: nel maggio 1996 fu istituita una commissione al fine di determinare l’entità dei conti giacenti e di rintracciarne i titolari ancora in vita o gli eredi. I lavori procedettero tra le vibrate proteste delle associazioni ebraiche, che lamentavano un impegno insufficiente da parte delle autorità preposte all’incarico, nonché l’atteggiamento ostile di alcuni esponenti politici elvetici, tra cui lo stesso presidente della Confederazione per il 1996, J.-P. Delamuraz. I primi risarcimenti furono infine erogati alla fine del 1997, anche se ancora alla metà del 2002 non era stato ancora istituito, come promesso dal governo svizzero nel marzo 1997, un Fondo svizzero di solidarietà, ovvero un fondo a scopi umanitari finanziato attraverso la rivalutazione di una parte delle riserve auree della Banca nazionale svizzera. In secondo luogo, veniva chiamato in causa in modo diretto il ruolo della S. nei rapporti con la Germania nazista, a seguito dello scandalo dell’oro proveniente dai saccheggi effettuati dai tedeschi ai danni dei Paesi occupati e rivenduto alla S. in cambio di minerali o rifornimenti e della scoperta che in S. si usava contrassegnare i documenti dei cittadini ebrei per renderne facile il riconoscimento da parte delle autorità naziste. In risposta ai rapporti delle commissioni d’inchiesta, la Confederazione riconobbe in parte gli errori commessi, pur respingendo il giudizio globale di colpevolezza (1997). La tendenza conservatrice elvetica lasciò in ogni modo spazio ad alcune aperture al rinnovamento. Da segnalare, in particolare, in un Paese in cui il suffragio femminile era stato una conquista recente (completata nel 1989 e nel 1990 per i cantoni di Appenzell Ausser-Rhoden e Inner-Rhoden), l’elezione dell’ex sindacalista e all’epoca ministro degli Interni R. Dreifuss alla presidenza della Confederazione per il 1999, socialdemocratica e prima donna (e prima cittadina ebrea) ad accedere alla carica. Le due questioni dell’immigrazione e dei rapporti con l’Europa segnarono tuttavia, almeno in parte, i risultati delle elezioni politiche dell’ottobre 1999 che, accanto alla riconferma alla guida del Paese della coalizione di governo nel suo complesso, registrarono una notevole affermazion;e dell’Unione democratica di centro: questa, infatti, in seguito a una campagna elettorale contrassegnata da una linea fortemente antieuropeista e xenofoba, divenne, in termini di voti ma non di seggi, la prima forza politica del Paese. Nel marzo 2002 un referendum popolare approvava con il 54,1% dei voti l’ingresso della S. nell’ONU. Dopo le elezioni del 2003 l’Unione democratica di centro divenne il partito con la più grande rappresentanza in Parlamento e rimise in discussione la ripartizione dei sette seggi del Consiglio federale che aveva visto assegnati dal 1959 due seggi ciascuno ai tre partiti principali, Partito liberale radicale, Partito socialista e Partito popolare democratico, e un seggio all’Unione democratica di centro. Forte del risultato elettorale, l’UDC domandò e ottenne un seggio supplementare in Consiglio federale a scapito del Partito popolare democratico in perdita di consensi. Per la prima volta in 131 anni un membro del Consiglio presentatosi per la rielezione (il rappresentante del PPD) fu rifiutato dal Parlamento. Tuttavia nel dicembre 2007 il Parlamento non ha confermato il mandato a uno dei due candidati ufficiali dell’Unione democratica di centro, divenuta peraltro nelle elezioni politiche per la prima volta il maggior partito del Paese, preferendogli all’interno dello stesso partito una candidata più moderata. Il 12 dicembre 2008 la Confederazione è entrata nell’area Schengen come 25º Paese. Da allora non vi è più nessun controllo alla frontiera per le persone, mentre sono stati mantenuti i controlli per le merci. L’8 febbraio 2009 il popolo svizzero attraverso un referendum ha risposto positivamente con il 59,6% di preferenze alla domanda se allargare l’accordo sulla libera circolazione delle persone anche alla Romania e alla Bulgaria e al rinnovo dello stesso accordo con gli altri Stati europei.