SVIZZERA
(XXXIII, p. 73; App. I, p. 1041; II, II, p. 936; III, II, p. 885; IV, III, p. 565)
Popolazione. − Progredendo con ritmi accelerati rispetto ai decenni scorsi, la popolazione svizzera assomma (1993) a 6.908.000 ab., rispetto ai 6.365.960 censiti nel 1980 e ai 6.297.600 del 1970, con un tasso d'accrescimento del 9ı annuo per il periodo 1987-92 (nel 1992: natalità, 12,6ı; mortalità, 9,1ı), in virtù anche di una sempre nutrita immigrazione, che comporta circa la metà dell'incremento stesso. L'anomalia più rilevante sembrerebbe costituita dal calo demografico dello stato di Basilea Città, passato dai 203.915 ab. del 1980 ai 196.600 del 1993: si tratta, in realtà, di un fenomeno comune a tutti gli altri principali centri cittadini svizzeri, che perdono abitanti ma a vantaggio delle rispettive agglomerazioni dove, al contrario, gli abitanti risultano aumentati (1990: Zurigo 839.127, Ginevra 391.086, Basilea 358.487, Berna 298.363).
La dinamica demografica si presenta tuttavia assai differenziata in senso etnico e regionale, soprattutto a causa dell'immigrazione e dei relativi comportamenti demografici diversificati. Variazioni sono intervenute anche nella composizione dei tradizionali gruppi linguistici: nel 1990 la popolazione germanofona rappresentava il 63,6% del totale (1970: 64,9%), essendo maggioritaria in 17 dei 26 cantoni della Confederazione; francofono era il 19,2% (18,1% nel 1970), maggioritario in 4 cantoni, mentre l'italiano è parlato dal 7,6% (11,9%) della popolazione, maggioritaria nel Canton Ticino; il romancio si è mantenuto numericamente stabile, essendo parlato da meno dell'1% della popolazione complessiva, ma va riducendosi quanto a estensione territoriale. Tende a squilibrarsi anche il rapporto fra gruppi religiosi, fino a pochi decenni fa nettamente favorevole ai culti protestanti, scesi dal 52,7% del 1960 al 47,8% nel 1970, al 40% nel 1990, mentre la religione cattolica, praticata nel 1960 dal 45,4% degli abitanti, ha accresciuto la sua quota: 49,4% nel 1970, ma 46,1% nel 1990. La novità più sostanziale è rappresentata dalla diffusione di altre religioni (in particolare, quella islamica), che complessivamente interessano circa il 10% della popolazione (rispetto al solo 2,8% nel 1970, e a meno del 2% nel 1960). Risulta evidente, specie da queste ultime cifre, l'incidenza della popolazione di origine straniera, spesso estranea all'ambiente antropico strettamente europeo: nel 1992 gli stranieri residenti erano valutati 1.213.000 (con buona presenza di turchi, iugoslavi e nordafricani), dopo che negli anni Settanta si era assistito a una temporanea diminuzione degli stranieri fino a poco più di 400.000 unità. La presenza di immigrati italiani si mantiene considerevole (oltre un quarto del totale).
Condizioni economiche. - In conseguenza di interventi di sostegno da parte dello stato (specie per la zootecnia), di ristrutturazioni fondiarie, di valorizzazione di aree marginali, le produzioni del settore primario si mantengono su buoni livelli − compatibilmente, però, con la modestia delle superfici agrarie (meno del 10%) e degli attivi (3,7% nel 1992) − e continuano a sostenere un importante settore industriale dedito alla trasformazione e conservazione di prodotti alimentari di pregio. Inoltre, sia pure non sempre in misura pienamente soddisfacente, le attività agricole e zootecniche sono ancora in grado di frenare l'abbandono delle aree montane. Anche l'industria, centrata sui tradizionali comparti della meccanica di precisione, dell'alimentare, della chimica fine (farmaci, coloranti, ecc.), ha mantenuto, ma a prezzo di incisive riconversioni rese possibili dalla mobilità della manodopera straniera, il suo ruolo caratterizzante: tuttavia, se si esclude il classico settore degli orologi (28.000.000 di orologi esportati nel 1986), si tratta sempre di produzioni quantitativamente modeste, benché di qualità assai elevata. Tra i settori più vivaci, va citata l'elettrometallurgia, che si può avvalere di una produzione di energia elettrica di circa 57.800 milioni di kWh (1991), per poco meno della metà di origine idrica. Estremamente importante rimane, d'altra parte, l'insieme delle attività di servizio legate alla finanza e all'intermediazione, i cui proventi (con le entrate derivanti dal turismo: 10 milioni di presenze nel 1990) consentono anche di riequilibrare una bilancia commerciale costantemente in aumento, ma deficitaria (circa metà del valore riguarda gli scambi con Germania, Francia e Italia). Da molti anni, il PNL svizzero per abitante (35.000 dollari nel 1993) risulta di gran lunga il più elevato del mondo.
Bibl.: AA.VV., Geography in Switzerland/La géographie en Suisse, in Geographica Helvetica, 5 (1980), n. monogr.; Id., Genève. Aménagement d'un espace urbain, in Le Globe, 121 (1981), n. monogr.; A.-L. Sanguin, La Suisse: essai de géographie politique, Gap 1983; G.B. Benko, La Suisse: une économie à part, in L'information géographique, 1987, 3, pp. 131-32; G. Broggini, J.-C. Vernex, Un siècle de recensements linguistiques en Suisse, in Le Globe, 129 (1989), pp. 19-36; AA.VV., Historische aktuelle und zukünftige Schweiz, in Geographica Helvetica, 46 (1991), 2; Id., La Suisse et l'intégration européenne, in Bulletin de l'Association de géographes frana̧is, 68 (1991), 5; Switzerland in perspective, a cura di J.E. Hilowitz, New York 1991; AA.VV., La Suisse Romande, in Geographica Helvetica, 49 (1994), 2.
Politica economica e finanziaria. - Nel periodo 1979-88 la S. ha conseguito in campo economico risultati molto positivi. Il tasso di crescita si è infatti mantenuto su livelli relativamente elevati, il tasso di disoccupazione è rimasto al di sotto dell'1% senza che ciò causasse tensioni sui prezzi e la bilancia delle partite correnti ha registrato avanzi consistenti. Questi risultati sono stati favoriti dal clima di stabilità creato dalle politiche economiche adottate dal paese.
La politica fiscale ha cercato di mantenere il bilancio pubblico in pareggio, ma quest'obiettivo è stato perseguito in modo flessibile per stimolare la domanda nelle fasi di stagnazione. La S. ha inoltre continuato a fare pieno affidamento sulle forze di mercato: il peso del settore pubblico nell'economia, misurato dal rapporto tra spesa pubblica e PIL, è stato circoscritto ed è rimasto sensibilmente inferiore a quello prevalente negli altri paesi industriali. La politica monetaria ha cercato di mantenere un tasso costante e moderato di creazione della liquidità in modo da favorire la stabilità dei prezzi. In particolare, negli ultimi anni l'obiettivo è stato quello di mantenere la crescita della base monetaria in linea con quella dello sviluppo potenziale del prodotto.
Malgrado gli elevati livelli occupazionali, il mercato del lavoro ha mantenuto una certa flessibilità a causa dell'immigrazione, che ha consentito sia di reperire forza lavoro in fasi di espansione sia di ridurre l'occupazione in fasi recessive. Inoltre, grazie al pragmatismo seguito dalle parti sociali nelle contrattazioni salariali, in questo periodo non si sono verificate spinte derivanti dal costo del lavoro tali da compromettere la stabilità dei prezzi o la competitività dei prodotti svizzeri.
Nel periodo 1979-80 si è registrato un tasso di crescita elevato, sostenuto dallo sviluppo della domanda interna. La politica monetaria è stata abbastanza espansiva nel 1979 a seguito degli interventi effettuati sul mercato dei cambi per contrastare l'apprezzamento del franco. La politica monetaria è tuttavia diventata restrittiva negli anni successivi sia per riassorbire gli eccessi di liquidità creati in precedenza sia, soprattutto, per contrastare la tendenza al rialzo del tasso d'inflazione generata dall'aumento del prezzo del petrolio. Anche la politica fiscale è diventata moderatamente restrittiva a partire dal 1980. Nel 1981-82 si è pertanto verificata una contrazione della domanda interna e una stagnazione dell'attività economica che è stata accentuata dalla recessione in atto nel resto del mondo. Al fine di rilanciare l'economia, le politiche finanziarie sono state moderatamente espansive nel 1983: è stato infatti adottato un programma di spesa pubblica e la base monetaria è cresciuta di oltre il 5%. Questa manovra ha ottenuto risultati positivi e il reddito ha ripreso a crescere.
Nel periodo 1984-88 si è avuta una fase di crescita alimentata dalla domanda interna. Nel corso di questo quinquennio si è in particolare avuta una rapida crescita degli investimenti che hanno consentito di aumentare la produttività, mantenendo così la competitività dell'industria manifatturiera malgrado l'apprezzamento del tasso di cambio. D'altra parte il paese ha continuato il processo di specializzazione in settori del terziario avanzato, e in particolare nell'area dei servizi bancari e finanziari. Tra il 1984 e il 1987 il tasso di crescita annuo della base monetaria è stato in media di circa il 2,5%. Si è tuttavia verificato un progressivo aumento della velocità di circolazione della moneta, che sembra ascrivibile alla più attenta gestione di tesoreria effettuata dalle banche. Pertanto, la politica monetaria può essere stata meno restrittiva di quanto previsto. A partire dal 1987 gli interventi effettuati a sostegno del dollaro in cooperazione con altri paesi industriali hanno contribuito ad accelerare la crescita della liquidità. In questo periodo la politica fiscale è stata moderatamente restrittiva e a partire dal 1986 si sono verificati modesti avanzi nel bilancio pubblico.
Gli anni Novanta si aprono con un calo contenuto della domanda interna e con un PIL stagnante, mentre l'inflazione, già dal 1990, superava il 5%. La politica monetaria anti-inflazionistica è probabilmente uno dei fattori che ha determinato la fase di recessione che ha colpito l'economia svizzera negli anni successivi e che, iniziata tra la fine del 1990 e il 1991 e terminata verso la fine del 1993, è stata la più lunga attraversata dalla S. sin dalla fine della guerra. Dopo l'impennata del biennio 1990-91, l'inflazione è tornata a scendere, ma la disoccupazione ha toccato livelli molto elevati per gli standard svizzeri. La ripresa del 1993 è proseguita nel 1994, trainata dalle spese per investimenti, ma è rimasta contenuta a causa di una politica monetaria abbastanza restrittiva e di interventi di politica fiscale miranti a ridurre il deficit pubblico determinatosi durante la recessione.
Storia. - Consolidatasi nelle generazioni e corroborata dagli apprezzamenti internazionali, la fiducia nella validità del modello politico e socio-culturale elvetico è stata messa, nell'ultimo quarto di secolo, in discussione. Il dibattito sulla democrazia svizzera, che ha interessato lo stesso principio della Konkordanzdemokratie criticata da alcuni quale un sistema, ''per eccellenza, di democrazia senza il popolo'' al cui posto sarebbe stato preferibile introdurre un sistema basato sull'alternanza, non è rimasto circoscritto all'accademia, anzi, è stato ripreso da tutte le élites, e poi dal grande pubblico del paese, trovando un riflesso prettamente istituzionale nel dossier della revisione globale della Costituzione federale, aperto dal Parlamento nel 1966 e, pur dopo il rilancio tentato dall'Associazione per la riforma costituzionale fondata nel 1984, tuttora lontano dall'essere concluso. Nel 1990 fu pure avviata una riforma delle procedure parlamentari.
L'erosione delle antiche certezze e il rodente dubbio sull'identità elvetica fra il retaggio del passato e le sfide di un contesto nazionale, europeo e mondiale in rapida trasformazione si manifestarono, nella società svizzera, di frequente e in molti modi, dalla discussione sulla celebrazione del settimo centenario (1291-1991) al referendum, promosso da un raggruppamento (fondato nel 1982) favorevole all'abolizione delle Forze Armate, sul ruolo dell'esercito, colonna portante della nuova S. fin dal 1848, che, sebbene bocciato da due terzi dei votanti (1989), costituì tuttavia un evento impensabile nel passato, fino allo stesso comportamento elettorale. Lo scenario politico nazionale (i due rami del Parlamento e l'esecutivo federale) ha, certo, continuato a presentare, almeno a prima vista, un quadro di impressionante stabilità: il Consiglio Federale (cioè il governo) continua a essere composto invariabilmente, secondo la cosiddetta ''formula magica'' in vigore dal 1959, da 2 radicaldemocratici, 2 cristiano-popolari, 2 socialdemocratici e un rappresentante della UDC (Unione democratica di centro), e i rapporti di forza fra i principali partiti svizzeri sono rimasti notevolmente stabili nelle elezioni al Consiglio Nazionale (la prima camera del Parlamento), con i partiti socialdemocratico (PSD), radicaldemocratico (PLR, di orientamento liberale-moderato) e cristiano-popolare (PPD, essenzialmente cattolico) oscillanti fra il 20-25% dei voti validi, e con il partito popolare svizzero (UDC), erede di una concentrazione di forze agrarie e di ceto medio classico, attestato intorno al 10%.
Tuttavia, i cambiamenti intervenuti lungo l'arco di due decenni, per quanto limitati, non sono privi di significato: anzitutto, si registra un progressivo calo della partecipazione alle urne, scesa per la prima volta nel 1979 sotto la metà degli aventi diritto al voto, per giungere nelle elezioni del 1991 al minimum storico del 46%. All'interno poi dei quattro partiti per così dire governativi, si è registrata una tendenza regressiva a lungo termine del PSD, che, oltre a non ripetere i successi degli anni Trenta, quando lambiva la soglia del 30%, è sceso man mano, calando nelle elezioni del 1987 e 1991 a poco più del 18%, mentre il partito radicaldemocratico aumentava, sia pur con oscillazioni, superando, per la prima volta dopo il 1928, i socialdemocratici nel 1983, per mantenere fino a oggi, pur con alcune flessioni, il suo primato in percentuali e seggi. Le ultime elezioni nazionali (1991) hanno infatti dato il seguente risultato per il Consiglio Nazionale: PLR 44 seggi, PSD 41, PPD 37, UDC 25, Partito liberale 10, Verdi 14, Landesring der Unabhängigen (LdU) e partito evangelico 8, Partito della libertà (ex partito degli automobilisti) 8, Democratici svizzeri (ex Azione nazionale, di estrema destra) con la Lega dei ticinesi 5, Partito del lavoro (comunista) 2, altri 6. Il bilancio del movimento elettorale di due decenni e più risulta dunque soprattutto in un calo della partecipazione alle elezioni nazionali, in una maggiore mobilità elettorale, con un'erosione complessiva dell'elettorato dei partiti dell'establishment (PLR, PSD, PPD, UDC), e in una maggiore frammentazione.
Infine, è significativo che, a distanza di 25 anni dalla sua inaugurazione, il meccanismo principe del proporzionalismo elvetico, applicato all'esecutivo, la ''formula magica'', sia stato per la prima volta messo in crisi, per la mancata elezione di una candidata socialdemocratica in sede del congresso straordinario del PSD, sullo sfondo di crescenti dubbi sull'opportunità di una continuata collaborazione da posizione di debolezza con gli altri tre partiti (1983-84).
Un'analisi più approfondita della vita politica svizzera non può però prescindere dal paesaggio estremamente complesso e variegato dei cantoni, vera dimensione fondamentale della vita pubblica del paese, e soprattutto dai frequenti referendum e iniziative legislative popolari, che, mentre danno spazio alle più svariate tendenze sia innovative che tradizionaliste, riducono la pressione sul sistema istituzionale del Consiglio Federale e del Parlamento, consentendogli un graduale adeguamento agli orientamenti dell'opinione pubblica con effetto stabilizzatore. Siffatto meccanismo si riscontra con molta evidenza nel delicato problema dell'immigrazione e dell'asilo politico, la Confederazione contando alla fine del 1993 una popolazione straniera residente salita al 18,1% (esclusi i funzionari di organizzazioni internazionali, gli stagionali, i pendolari e i richiedenti asilo politico): alla pressione popolare manifestatasi col sorgere di movimenti xenofobi e in sede referendaria, il Consiglio Federale e il Parlamento hanno risposto con un progressivo inasprimento della legislazione sull'asilo politico e sulla posizione degli stranieri (leggi del 1979 e del 1986), trovando un largo consenso in un referendum del 1987 e riuscendo ad arginare, soddisfacendola in parte, la prevalente corrente del sentimento popolare. Altri argomenti di vivace dibattito pubblico e di consultazioni popolari furono, oltre la posizione della S. in Europa e nel mondo, l'aborto (1985) e l'ecologia: una serie di incidenti nell'industria chimica lasciò un'impressione non passeggera (1981); dopo una preparazione ventennale, nel 1988, venne definitivamente abbandonato il progetto della centrale nucleare di Kaiseraugst; e infine, preoccupati in misura crescente per l'incidenza del traffico di transito per strada, gli elettori elvetici appoggiarono nel referendum del 20 febbraio 1994 l'iniziativa ''per la protezione delle valli alpine contro il traffico in transito'', esigendo un suo completo spostamento su rotaia entro un decennio.
La politica estera elvetica fu caratterizzata, in questo periodo, dalla ricerca, cauta, articolata e costante al tempo stesso, di un adeguamento delle posizioni tradizionali, facenti capo al concetto della neutralità permanente, a un contesto internazionale, europeo e globale, in via di trasformazione e destinato, dal 1989 in poi, a cambiare radicalmente tutte le sue coordinate. Questo sforzo di adeguamento veniva peraltro rallentato da una persistente resistenza dell'elettorato, specie dei cantoni di lingua tedesca, alle innovazioni proposte dalle élites politiche, orientate verso l'assunzione di maggiori responsabilità internazionali e un più attivo coinvolgimento della Confederazione nella politica europea. Il problema dei rapporti con la Comunità/Unione Europea ha posto a un certo punto gli elvetici davanti a un bivio drammatico, come avrebbe testimoniato la spaccatura che si ebbe in seno al Consiglio Federale, quando la S. chiese, nel maggio 1992, l'adesione alla Comunità Europea. La revisione della posizione della Confederazione nella comunità internazionale a tutti gli altri livelli, europei e globali, poteva espletarsi, a piccoli passi, all'insegna della continuità, con successive modifiche parziali.
Adottato da tempo il concetto della neutralità qualificata, anziché di quella integrale, la S., che aveva aderito con molto ritardo al Consiglio d'Europa nel 1963, passò successivamente a svolgere un ruolo assai attivo in questo consesso, tanto sul piano politico generale, a cominciare dalla stessa riflessione su un nuovo ruolo del Consiglio d'Europa, quanto su quello delle singole aree d'attività, dalla protezione dell'ambiente alla messa al bando della tortura.
La partecipazione, fin dall'inizio, della S. alla CSCE, comprese le conferenze successive a quella di Helsinki e le organizzazioni nate dagli sviluppi della CSCE, e il ruolo attivo svolto, soprattutto in seno al ''gruppo N + N'' (stati neutri e non-allineati), testimoniano della graduale adozione di un'interpretazione più dinamica della neutralità elvetica e del passaggio, in genere, a una politica estera più attiva, avviata già sotto la direzione dello svizzero romando P. Graber (1970-78), il quale aveva pure negoziato l'accordo di libero scambio con la CEE (1972). L'Atto finale della CSCE (Helsinki, 1975) aveva peraltro comportato due punti di particolare interesse per la S.: il riconoscimento del diritto alla neutralità e il principio, del quale proprio la diplomazia elvetica si era fatta promotrice, della ricerca di accordi sulle procedure di composizione di vertenze precedentemente al sorgere d'un eventuale conflitto.
I limiti posti dall'opinione pubblica alla dinamizzazione della politica estera svizzera emersero in modo drammatico nel referendum del 16 marzo 1986, quando gli elettori bocciarono a stragrande maggioranza la proposta di adesione alle Nazioni Unite. Siffatto orientamento, fondamentalmente scettico nei confronti di impegni globali della Confederazione, venne ribadito dall'esito negativo del referendum sulla partecipazione a missioni di pace dell'ONU, celebrato nel 1994.
In un primo tempo, gli accordi di libero scambio conclusi dalla Confederazione, come dagli altri stati EFTA (European Free Trade Association), erano parsi costituire una soddisfacente base per conciliare la tradizionale neutralità elvetica e l'intreccio crescente dell'economia svizzera con la CEE. Tuttavia, il duplice processo di approfondimento (in particolare l'Atto Unico Europeo con la creazione del mercato unico interno nel 1986) e di allargamento della Comunità, con la conseguente prospettiva dello sfaldamento della residua EFTA, avrebbe ristretto i margini di manovra della politica elvetica nei riguardi dell'integrazione europea, impostata fino ad allora sulla ricerca di una linea mediana fra l'ipotesi scartata dell'adesione e l'isolamento. Ancora nel 1986 era stata ribadita la validità della tradizionale strategia del ''pragmatismo bilaterale'': cioè una linea che, senza adesione alla Comunità, consentisse alla S. di sfuggire alla necessità di recepire la normativa comunitaria, sia pur in forme legislative rispettose della sovranità elvetica, e, d'altra parte, provvedesse alla ''compatibilità europea'' della legislazione della S. e al contempo salvaguardasse una ''partecipazione consultiva'' della Confederazione alla legislazione della Comunità nei settori di interesse svizzero. Questa ''politica attiva d'integrazione'', che mirava ad assicurare alla S. una co-decisione senza essere stato membro della CEE, dipendeva però in ultima analisi dalla disponibilità della Comunità di perpetuare una siffatta prassi di bilateralismo articolato e privilegiato.
In questo contesto, la proposta del presidente della Commissione J. Delors, formulata nel gennaio 1989 e mirante a una forma di partnership nuova e più articolata sul piano delle istituzioni, aprì un nuovo capitolo nella storia dei rapporti CEE-EFTA, che sarebbero sboccati nelle trattative per l'EWR (Europäischer WirtschaftsRaum, Area economica europea): l'accordo, espresso nel settembre 1989 dal capo della delegazione elvetica F. Blankart, sulla recezione dell'acquis communautaire (insieme del diritto comunitario primario e secondario) nel futuro trattato EWR, segnò il vero punto di svolta della politica della Confederazione verso la piena accettazione della dinamica economica e giuridica dell'integrazione comunitaria. Dopo il difficile negoziato, complicato successivamente dalla sentenza della Corte di giustizia della CE, la partecipazione all'EWR quale alternativa all'adesione andava in misura crescente rivelando il suo carattere illusorio, mentre si faceva strada la strategia, propugnata dai consiglieri federali R. Felber e J.-P. Delamuraz e dal segretario di stato Blankart, che concepiva l'EWR non più come alternativa, bensì come tappa intermedia all'adesione alla CE. Si arrivò così alla decisione, peraltro contrastatissima (4:3 voti), del Consiglio Federale in favore della richiesta d'adesione alla CE (18 maggio 1992). Alla luce della difficile genesi di questa decisione, delle persistenti incertezze e persino lacerazioni in seno a tre dei partiti dominanti in materia europea (la UDC era invece schierata sul fronte del no) e dell'attivo antieuropeismo diffuso non solo ai margini dello scacchiere politico, ma anche in molti settori tradizionali della società svizzera, risulta meno sorprendente il verdetto negativo espresso dal referendum del 6 dicembre 1992, che, con l'altissima partecipazione al voto del 78,3%, bocciò di strettissima misura di voti (49,7% sì), ma a largo distacco di cantoni sfavorevoli, la partecipazione all'EWR, costituendo anzitutto un voto implicito contrario alla prospettiva dell'ingresso alla CE.
Mentre il complesso dossier del traffico di transito alpino si è complicato a seguito del successo del referendum del 1994, la S., sfaldatasi l'EFTA dopo l'adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia all'UE (1995), e ridottosi l'EWR a poco più di rapporti bilaterali UE-Norvegia, si è vista costretta a ridefinire la sua politica nei confronti dell'integrazione europea da una posizione sostanzialmente più difficile, tanto più che già prima dell'ultimo allargamento della Comunità, quasi i 3/4 delle importazioni della S. provenivano da questa e vi erano dirette quasi i 3/5 delle sue esportazioni.
Bibl.: Fondamentali i volumi dell'annuario pubblicato dal Forschungszentrum für schweizerische Politik an der Universität Bern, Année politique suisse/Schweizerische Politik; nonché l'Annuaire suisse de science politique/Schweizerisches Jahrbuch für politische Wissenschaft, in particolare il vol. 26 (1986), dedicato a Politische Parteien und neue Bewegungen/Partis et nouveaux mouvements politiques; Handbuch Politisches System der Schweiz/Manuel Système politique de la Suisse, 4 voll., a cura rispettivamente di A. Riklin, U. Klöti, R.E. Germann, E. Weibel, H.P. Graf, G. Schmid, Berna-Stoccarda-Vienna 1983-93. V. inoltre: H.R. Penniman, Switzerland at the polls. The national elections of 1979, Washington-Londra 1983; AA.VV., Geschichte der Schweiz und der Schweizer, vol. 3, Basilea-Francoforte s.M. 1983; P.J. Katzenstein, Corporatism and change. Austria, Switzerland, and the politics of industry, Ithaca-Londra 1984; Bewegung in der Schweizer Politik. Fallstudien zu politischen Mobilisierungsprozessen in der Schweiz, a cura di H. Kriesi, Francoforte s.M.-New York 1985; Neutrals in Europe: Switzerland, a cura di B. Huldt e A. Lejins, "The Swedish Institute of International Affairs, Conference Papers" 10, Stoccolma 1988; H.-P. Brunner, Neutralität und Unabhängigkeit der Schweiz im ausgehenden 20. Jahrhundert - Bestandesaufnahme und Ausblick. Die Fragen der Europäischen Integration und der Sicherheits- und Friedenspolitik als Fallbeispiele, Zurigo 1989; R. Senti, Switzerland, in The Wider Western Europe. Reshaping the EC/EFTA Relationship, a cura di H. Wallace, New York-Londra 1991; Die Schweiz und Europa/La Suisse et l'Europe, n. speciale dell'Annuaire suisse de science politique/Schweizerisches Jahrbuch für politische Wissenschaft, 32 (1992); Neues Handbuch der schweizerischen Aussenpolitik/Nouveau Manuel de la politique extérieure suisse, a cura di A. Riklin, H. Haug, R. Probst, Berna-Stoccarda-Vienna 1992; R. Langejürgen, Die Eidgenossenschaft zwischen Rütli und EWR. Der Versuch einer Neuorientierung der Schweizer Europapolitik, Zurigo 1993; Th. Pedersen, European Union and the EFTA Countries. Enlargement and integration, Londra-New York 1994.
Letteratura. - Ci si può legittimamente chiedere se un paese con meno di sette milioni di abitanti, dove circa il 64% dei cittadini parla dialetti tedeschi, il 19% il francese, l'8% l'italiano e l'1% il ladino/romancio, possieda una letteratura nazionale; se vi sono ragioni fondate per ammettere l'esistenza d'una letteratura o di letterature svizzere; e se sussistono motivi per cui possiamo considerare appartenenti allo stesso mondo culturale opere scritte in tedesco, in francese, in italiano, in almeno due varianti del ladino, e che trattano tutte di temi e di problemi scarsamente imparentati tra di loro. Pochi credono ormai all'esistenza d'una letteratura svizzera caratterizzata, al di là delle lingue in cui s'esprime, da un afflato e da esigenze comuni; mentre numerosi sono quelli che mettono in dubbio l'esistenza d'una letteratura nazionale o che rivendicano il puro e semplice raggruppamento di opere e scrittori nell'ambito delle rispettive culture, tedesca, francese e italiana. Senza prendere posizione in merito a una disputa lunghissima e probabilmente insolubile, non si può tuttavia disconoscere che esistono nel territorio elvetico una storia comune, una tradizione politica collettiva, un ideale e una pratica di vita simili, un civismo generalizzato, che determinano una forte convergenza delle tre culture in un'identità specifica percepita da tutti quale particolare e caratteristica; così come non è certo possibile misconoscere che tutti gli Svizzeri sono animati da una sorta di patriottismo confederale che li fa sentire assai diversi dai Francesi, dagli Italiani o dai Tedeschi. È altrettanto vero, però, che le opere letterarie non riflettono quasi mai questo modo di essere Svizzeri, né trattano i temi delle esperienze sociali comuni, del destino e dei particolarismi elvetici.
In quanto cittadini della Confederazione, gli scrittori rivendicano sovente con orgoglio questa loro condizione, ma in quanto poeti o romanzieri si considerano di diritto esponenti delle grandi letterature delle loro rispettive lingue: il che spiega forse l'assenza di un ambiente letterario conviviale fra le tre grandi tradizioni linguistiche del paese e il fatto che, nonostante l'esistenza di ottime case editrici locali, gli scrittori svizzeri ambiscono pubblicare le proprie opere a Francoforte o a Parigi o a Milano.
Nonostante gli sforzi della Pro Helvetia, fondazione svizzera per la cultura, e di innumerevoli altre istituzioni private miranti a far conoscere i patrimoni letterari delle quattro culture − e ciò mediante una politica di sovvenzioni per traduzioni e un'eccellente attività di promozione culturale −, non si può affermare che esistano fattive e costanti relazioni letterarie fra le diverse regioni della Confederazione. Si dà l'assurdo che un Romando sappia tutto o quasi di quanto avviene nella vita culturale francese e pochissimo o nulla affatto sull'altrettanto importante produzione svizzera in lingua tedesca, a meno che un editore parigino non ne pubblichi le traduzioni e gliela faccia così conoscere. È quanto avvenuto a M. Frisch (1911-1991) e a F. Dürrenmatt (1921-1990), a P. Bichsel (n. 1935) e J. Steiner (n. 1930), conosciuti e valorizzati più in Francia che in patria; e così è accaduto anche ad A. Muschg (n. 1934) tradotto da Ph. Jaccottet (n. 1925), oppure ad H. Meier (n. 1928), K. Guggenheim (1896-1983), R. Walser (1878-1956), superbamente tradotti in francese da W. Weideli (n. 1927) e da B. Lortholary.
J. Hersch ha parlato di sfiducia, d'incomprensione, d'attaccamento eccessivo alle proprie tradizioni, d'un sentimento debole d'appartenenza e di eccessiva consapevolezza dell'alterità. J. Starobinski (n. 1920) ha scritto pagine magistrali sulla condizione ambigua dell'intellettuale svizzero sballottato tra appartenenza e alterità: pensa e scrive in una delle tre grandi lingue ma non è né italiano, né francese, né tedesco; resta sempre uno straniero o uno spettatore invitato. Ciò spiegherebbe altresì la sua prudenza, la sua timidezza, anzi il suo conservatorismo formale, e nello stesso tempo il suo rifiuto radicale dell'ordine esistente, la sua violenza rivoluzionaria, il suo rigetto della politica di neutralità. In questo senso è assai vero che Frisch e N. Meienberg (n. 1940), scrittori impegnati e sempre pronti alla protesta, sono figure tra le più emblematiche. A tutto ciò bisogna aggiungere che fra le tre grandi culture esiste un profondo dislivello determinato dal fatto che una di esse è la più forte, demograficamente, economicamente e politicamente, ma che tutte sono fortemente segmentate, multidimensionali, con un numero indescrivibile di subculture, strette tra frontiere linguistiche rigidissime. Stando così le cose, gli scrittori debbono confrontarsi con un doloroso dilemma: se scrivere per i lettori della propria regione oppure diventare scrittori tedeschi, francesi, italiani. Il policentrismo svizzero facilita certamente l'autonomia e lo sviluppo locali, senonché l'assenza di modelli normativi letterari comuni spinge gli scrittori a vivere nell'individualismo esacerbato, nella rivolta, nella nevrosi d'insuccesso, a ripiegarsi sulle esperienze le più intime oppure a rifugiarsi nel misticismo più assoluto, come può constatarsi agevolmente negli scritti di A.W. Martin (n. 1929) o in poesia, per esempio nella raccolta Schweigeminute (1988), di qualità stilistica assai pregevole, di E. Burkart (n. 1922).
Policentrismo culturale e assenza di modelli normativi comuni producono altresì un'altra serie di tratti qualificanti le opere di tutti gli scrittori svizzeri delle tre lingue: realismo, pragmatismo, una naturale inclinazione al pedagogismo e al moralismo, dissimulati da una speciosa tenuta a distanza del mondo degli altri, la quale trascende − talvolta in forme d'interiorità e d'egotismo − in paura dell'immediato, in difficoltà di comunicare con gli altri, in pedantismo, in circospezione, in prudenza eccessiva. Proprio perciò il liberalismo o il progressismo proclamati restano sempre valori nominali, mentre la pratica reale è costantemente conservatrice. Anche gli scrittori più notevoli non si sottraggono a questi stimmi: Dürrenmatt resta infatti bernese, Frisch zurighese, Chessex vodese, Chappaz vallesano e Haldas ginevrino, ciascuno con qualità e difetti delle subculture d'appartenenza. Gli ultimi tre o quattro lustri sono stati caratterizzati dalla scomparsa di scrittori svizzeri noti a livello mondiale: Dürrenmatt, Frisch, M. Raymond (1897-1981), H.U. von Balthassar (1905-1988), J. Piaget (1896-1980) e altri. Nessuno dei viventi ha ancora raggiunto la loro notorietà, a eccezione forse dello scrittore e teologo cattolico dissidente H. Küng (n. 1928) e di Starobinski.
Nella S. tedesca la letteratura detta della ''nuova oggettività'', con le sue descrizioni pedanti, coi suoi inventari critici, coi suoi conati di rivolta e di rifiuto, è predominante. O.F. Walter (1928-1994), scrittore molto impegnato, con un gusto spiccato per le ricerche formali insolite, nei suoi romanzi − da Die ersten Unruhen, 1972; Die verwilderung, 1977; Das Staunen der Schlafandler am Ende der Nacht, 1983; Zeit des Fasan, 1988; Der Stumme, 1990 − e nelle sue opere più recenti (Wie wird Beton zu Grass e Auf der Suche nach der anderen Schweiz, 1991) descrive i pericoli del fascismo e dell'imperialismo, le minacce che pesano sulla democrazia, sulle libertà individuali, sull'ambiente, oltre a denunciare i misfatti e gli orrori del militarismo elvetico. I suoi romanzi vorrebbero indurre ad amare la vita in comunità conviviali, in repubbliche autogestite, in ambienti semplici, naturali, non corrotti. A. Muschg aggiunge all'impegno sociale, a una critica sarcastica della correctness elvetica, un senso acuto della finitezza delle cose umane, un rifiuto di quello scandalo assoluto che è la morte. Ossessione della morte, persistente e assillante, amori disperati, casi di coscienza insolubili si ritrovano in tutti i suoi romanzi, da Im Sommer des Hausen (1965) a Gegenzauber (1967), da Mitgespielt (1969) a Albisser Grund (1974), ai più recenti e fortunati Das Licht der Schlüssel (1984), Der Turmhahn und andere Liebegeschichten (1987), Empörung durch Landschaften (1988), Texte (1989) e Die Schweiz am Ende, am Ende Schweiz (1991).
Gli stessi temi, trattati con sensibilità diverse, si ritrovano in scrittori meno noti come M. Beutler (n. 1936), che descrive personaggi alla ricerca disperata di identità perdute narrando storie di vita quotidiana in cui la banalità è trattata con humour corrosivo (Die wortfalle, 1983); come H. Burger (1912-1989), che costruisce racconti paradossali e si serve d'una scrittura sfavillante; come Ch. Geiser (n. 1949) che dissimula dietro le sue descrizioni immagini a forte contenuto simbolico; come H. Loetscher (n. 1929), G. Meier (n. 1917), P. Nizon (n. 1929), G. Späth (n. 1939) e J. Steiner (n. 1930), i cui mondi poetici restano ancora aperti e fatti tutti di sfumature molto sottili. Tra i più promettenti, M. Werner (n. 1944), autore di Zündels Abgang (1984), Froschnacht (1985), Die Kalte Schulter (1989), A bientôt (1994), spicca per la qualità della sua scrittura, lirica e limpida, caustica e malinconica ad un tempo, per il suo appassionato rifiuto dell'ordine sociale mercantile, per i valori della modernità descritti come incomprensibili e inumani. Persino le cose banali della vita quotidiana sono sempre cariche d'una violenza tragicomica. L'allegrezza e la leggerezza dello stile, un periodare vivace e ritmato armoniosamente, una sensibilità innata per le sfaccettature delle parole, un'arte del racconto che mette sempre in primo piano i sentimenti e le emozioni, fanno prevedere per Werner una carriera letteraria non dissimile, sul piano internazionale, da quelle di Frisch o di Dürrenmatt. Tra i commediografi più in vista, Th. Hürlimann (n. 1950), autore anche di una raccolta di novelle (Das Gartenhaus, 1989), ha scritto commedie dall'atmosfera irreale, intrise d'ironia, nelle quali il grigiore della quotidianità viene rivestito dai forti colori dello scherzo e della satira (Grossvater und Halbbruder, 1981; Stichtag, 1984; Der Letze Gast, 1990; Der Gesandte, 1991). La saggistica, dopo la scomparsa di J.R. von Salis e il ritiro di H. Luthy a vita privata, sembra segnare il passo. Se si eccettuano gli interventi in questo settore degli scrittori-poeti, i soli saggisti di un certo rilievo sono K. Schmidt e l'anziano pubblicista F. Bondy.
La S. romanda nell'ultimo quindicennio ha visto ancora attivo J. Mercanton (n. 1910), l'autore di L'eté des sept-dormants (1974) e di altre smaglianti costruzioni, ora raccolte nelle Oeuvres complètes (1980 ss.). Scrittore tenero, compassionevole, ironico, ma tutto intriso di sentimenti decadenti e tragici a un tempo (Celui qui doit venir, 1985), Mercanton racconta che la vita di tutti i giorni è monotona e insopportabile, che la morte è orribile e ognora presente, che il destino umano è terribile e senza senso. Tra gli anziani ancora attivi, G. Borgeaud (n. 1914) continua a scrivere libri − per es. Le soleil sur Aubiac (1987) − con personaggi teneri e seducenti, alla ricerca dell'innocenza perduta, d'un assoluto irraggiungibile, accasciati dal timore d'essere abbandonati dalle persone care, persuasi d'essere condannati alla solitudine e all'esilio interiore. Il tutto è espresso con uno stile semplice ma raffinato, agli antipodi di quello mistico, appassionato, barocco nelle immagini e nelle evocazioni di M. Chappaz (n. 1916).
J. Chessex (n. 1934), ostinato, sprezzante, barocco, ossessionato dalla morte, veemente e virulento, continua a scrivere libri in cui tutti i personaggi sono attratti dall'abisso, sono vittime di violenze e di situazioni estreme. Una morale calvinista vissuta come un'indebita coercizione, il suicidio d'un padre odiato e amato, sono il filo rosso che lega tutti i romanzi di Chessex. L'analisi psicologica e realistica, l'angoscia della malattia e della morte, un'austerità calvinista che trattiene le emozioni, e una serenità apparente e contratta animano anche gli scritti di Ph. Jaccottet, poeta, romanziere, saggista, traduttore raffinatissimo di Musil, Hölderlin, di Th. Mann, Rilke, Leopardi, Ungaretti e di romanzieri contemporanei, italiani e tedeschi. La sua poesia colta, raffinata, d'un lirismo possente, originale ed erudita, è ritenuta classica e nello stesso tempo moderna per ispirazione e invenzioni. A.-L. Grobety (n. 1949) continua a scrivere sull'antico e caro tema della rivolta contro la competizione, contro le convenzioni, contro la rassegnazione, su come trasformare la coscienza individuale e cambiare il mondo. E. Barilier (n. 1947) costruisce romanzi i cui protagonisti trovano un'uscita di sicurezza e di salvezza nella creazione letteraria e nella ricerca metafisica. J.-L. Benoziglio (n. 1941), A. Cuneo (n. 1936), H. Debluë (n. 1950), R. Garzaroli (n. 1950) e i più anziani G. Cherpillod (n. 1925) e J.-C. Fontanet (n. 1925) riprendono e approfondiscono questi temi, senza scosse e senza rotture, nei loro romanzi e nelle loro opere saggistiche.
Tra gli scrittori più dotati di creatività e ammirati soprattutto per l'eccezionale eleganza dello stile, si ricordano N. Bouvier (n. 1929), considerato ormai un maestro della letteratura di memoria, e Y. Velan (n. 1925) sempre alla ricerca d'un mondo giusto e libero, senza pregiudizi, generoso e compassionevole. G. Haldas (n. 1917) è forse l'autore romando più prolisso e prolifico; la sua scrittura è lenta, minuziosa, angolosa e molto vicina alle parlate locali. In Meurtre sous les géraniums (1994) ricostruisce gli anni dell'ultimo dopoguerra, privilegiando le vicende di quel periodo che in qualche modo hanno avuto una qualche incidenza sulla sua vita. Il rifiuto dell'ordine esistente s'accompagna alla visione d'un mondo ambiguo e all'angoscia della morte.
Tra i giovani più promettenti spicca B. Comment (n. 1960), autore di L'ombre de la mémoire (1990), di Allées et venues (1992) e di Florence, retour (1994). Anche in questo giovane scrittore il tema dell'oblio, della memoria, della trasmissione impossibile dei sentimenti profondi, della vita senza un senso ultimo, sono tipicamente romandi e svizzeri. La poesia di V. Godel (n. 1931) raccolta in Faits et gestes (1983) costituisce una ricerca sperimentale avventurosa e azzardata di costruzioni poetiche e di elaborazioni ritmiche. A. Perrier (n. 1922) ha dato corpo, con La voie nomade (1986), a una lirica fatta di assonanze e di risonanze, di fluidità e di asperità.
La saggistica è degnamente rappresentata da J. Rousset (n. 1910), i cui scritti sul barocco sono divenuti riferimenti obbligati; e da J. Starobinski, la cui prodigiosa erudizione e la cui acutezza e perspicacia intessono libri e articoli universalmente conosciuti e apprezzati.
La S. italiana ha numerosissimi scrittori. Qui il dilemma ''essere scrittori ticinesi o scrittori italiani'' è più forte che per altre letterature della Confederazione. A. Alberti (n. 1936) che ripercorre la storia d'una famiglia locarnese; A. Buletti (n. 1946) che schizza scene assurde e insolite di vita locale (Trenta racconti brevi, 1984); C. Nembrini (n. 1946) che evoca la vita in un paesetto ticinese (La locandina gialla e altri racconti, 1987); E. Pedretti (n. 1930) che schizza ritratti di persone, panorami ed emozioni con grazia suprema; A. Nessi (n. 1940) scrittore della marginalità e di un mondo scomparso per sempre (Terra matta, 1984; Tutti discendono, 1989), si trovano nell'occhio di questo dilemma. G. Orelli (n. 1921) si colloca all'incrocio: L'anno della valanga (1965), La festa del ringraziamento (1972) stanno sul versante regionalistico, mentre Il giuoco del Monopoly (1980) lo porta sull'altro, grazie a descrizioni impietose e letterariamente ben calibrate delle istituzioni bancarie e capitalistiche della S. moderna. Orelli è inoltre un poeta intimista, prezioso, dai toni amari, col gusto del paradosso: la raccolta Sinopie (1977) e Spiracoli (1989) rivelano accesa immaginazione e un polifonico senso musicale. La S. italiana annovera un saggista di respiro europeo, storico e critico della letteratura fra i più originali, G. Pozzi (n. 1923), autore fra l'altro dei suggestivi e intensi saggi raccolti in La rosa in mano al professore (1974) e La parola dipinta (1981).
Accanto a queste letterature, ne esiste una quarta, la ladina, che gli Svizzeri chiamano romancio. Le discussioni se sia una letteratura regionalistica o una letteratura à part entière sono sempre molto vivaci; ma quale che sia la risposta, un autore esce dai ranghi e s'impone per la bellezza del mondo che descrive. Trattasi di Cla Biert (1920-1981), i cui libri tradotti in italiano (L'erede, 1981), in francese (La mutation, 1989; Une jeunesse en Engadine, 1981), e in tedesco (Il descendent/Der Nachkomme, Die Wende, 1981), rivelano un poeta finissimo ma con sentimenti ed emozioni di tempi perduti per sempre. I testi originali, finora poco diffusi (come La müdada, 1963, e Fain manü, 1969) cominciano ad essere letti col supporto delle traduzioni.
La vita culturale del paese (cinema, teatro, arti plastiche, ecc.) è caratterizzata dagli stessi problemi delle letterature. I mondi culturali svizzeri sono separati e distinti e ciò nondimeno gli Svizzeri tedeschi, francesi ed italiani vogliono vivere insieme sotto l'ombrello protettore della Confederazione Elvetica. L'unità politica non è data dalla lingua, ma dalle istituzioni politiche che arrivano a tradurre la volontà di quelli che vogliono vivere insieme.
Bibl.: C. Nembrini, Incontri con scrittori svizzeri, Bellinzona 1977; M. Gsteiger, La nouvelle littérature romande. Essai, Vevey 1978; Modern Swiss literature, unity and diversity. Papers from a symposium, a cura di J.J. Flood e O. Wolff, Londra 1985; D. Bevan, Ecrivains d'aujourd'hui, Losanna 1986; M. Gsteiger, Nationales Selbstverständnis in den Literaturen der Schweiz, in Schweizer monatshefte, 66/6, giugno 1986, pp. 499-507; Aspeckte der Verweigerung in der neuren Literatur aus der Schweiz, Zurigo 1988; G. Orelli, La Svizzera italiana, in Letteratura italiana, a cura di A. Asor-Rosa, Storia e geografia. iii. L'età contemporanea, Torino 1989, pp. 885-918; M. Gsteiger, Letteratura in nome dell'ambiente? Testi classici e scrittori svizzeri moderni, in Quaderni di Gaia, n. 4 (1991), pp. 37-55; Geschichte der deutschsprachigen schweizer Literatur im 20. Jahren, a cura di K. Pezol, Berlino 1991; Dictionnaire des littératures suisses, Losanna 1991; Figure du refus et de la révolte dans la littérature contemporaine en Suisse. Colloque de l'Académie Suisse de sciences humaines et sociales, Friburgo 1993; W. Schieltknecht, G. Musy, Romanciers-ières de Suisse alémanique, Ginevra 1993, nn. 2-4.
Archeologia. - Negli ultimi anni l'attività archeologica in S. è continuata con scavi e interventi di emergenza che hanno interessato sia i centri abitati sia il territorio. Ad Augst (Basilea), colonia fondata nel 44 a.C. e riorganizzata da Augusto secondo uno schema urbanistico geometrico, negli anni 1983-84 è stata portata alla luce una costruzione destinata ad attività artigianali che va ad aggiungersi ai molti edifici, pubblici e privati, già conosciuti. Si tratta di un complesso caratterizzato da più ambienti nei quali sono stati individuati una fullonica e un vano con un hipocaustum perfettamente conservato. A Vitudurum, l'odierna Winterthur, gli scavi condotti nei primi anni Ottanta nella zona detta Unterer Bühl hanno rivelato l'esistenza di numerose costruzioni in legno risalenti al 1° secolo d.C. Si tratta in particolare di edifici destinati a uso abitativo, di una cisterna e di una struttura a doppia cortina costruita a ridosso di una sorgente allo scopo di renderla fruibile. Altre tre case del tipo a graticcio sono venute alla luce nei pressi della chiesa di S. Arbogast.
Gli scavi condotti a Losanna, a metà degli anni Ottanta, nell'area del vicus che qui sorse tra il 1° e il 2° secolo d.C., hanno rivelato a ovest del foro e a un centinaio di metri dalle ultime case dell'insediamento romano, un'area sacra, che è caratterizzata da un Umgangstempel con una cella i cui lati misurano 8 m e da due edifici secondari. Altri Umgangstempel, caratteristici dell'area celtica, sono stati individuati a Riaz (Friburgo) e a Porrentruy (Giura). Per il primo tempio sono state riconosciute due fasi costruttive, una in legno e l'altra in muratura. L'interno della cella, che misura 7,30 m per ciascun lato, presenta una vivace decorazione pittorica. Importanti sono i ritrovamenti monetali i cui esemplari più antichi risalgono ad Augusto, quelli più recenti al regno di Probo. A Porrentruy, invece, le tracce del tempio sono state individuate grazie all'aerofotogrammetria. Si sono così potute ricostruire le dimensioni dell'edificio che ha una cella di 8,50 m di lato e una muratura esterna di 15,50 m di lato.
Continuano anche le indagini sul tratto del limes renano compreso tra Basilea e Stein am Rhein. Esso comprendeva i castella di Basilea, Kaiser-Augst, Zurzach e Stein am Rhein e numerose torri poste tra un castellum e l'altro. Sinora se ne conoscono una cinquantina, di pianta quadrata o rettangolare e circondate da un fossato. Negli anni Ottanta è stata scavata una torre a Freienstein Teufen (11,80 × 12 m) e un'altra (2,50 × 2,70 m) è stata scoperta a Sulz (Argovia). In due distinte località, Isel e Bürgeln, del comune di Ägerten (Berna) sono venuti alla luce casualmente due edifici di pianta simile, entrambi del 4° secolo. Essi si compongono di un grande vano rettangolare di 23 × 50 m con uno dei lati corti rinforzato da un muro spesso 5 m e l'altro caratterizzato da una torre semicircolare. In base alla particolare tipologia struttiva si è avanzata l'ipotesi che possa trattarsi di costruzioni destinate alla difesa. Sempre a età tardo romana va attribuita la rocca di Castriel (Grigioni). L'abitato, del quale sono state scavate almeno una dozzina di abitazioni, risulta circondato da un muro spesso 80 cm in cui è inserita una torre dalla pianta trapezoidale. Le mura sono state rifatte nel 6° secolo. Di recente non sono mancate indagini sul sistema viario. Sullo Julierpass (2284 m s.l.m.) sono state identificate le tracce della strada romana: in sette punti si vedono scavati nella roccia due solchi per il passaggio dei veicoli, distanti tra loro 107 cm. In precedenza, negli anni Trenta, era stato individuato il perimetro del santuario del passo. Anche sul Septimierpass (2310 m s.l.m.), che costituiva il collegamento più rapido tra la Rezia e l'Italia, e dove erano già noti i resti di una costruzione di età augustea, è stata scoperta la via romana e anche in questo caso i solchi per il passaggio dei carri sono in parte ricavati nella roccia alla medesima distanza. A Lenk, inoltre, la presenza di tracce di un muro di fondazione lungo 14 m e di numerose tegole rinvenute nel 1985 sulla riva occidentale dell'Iffigersee (2056 m s.l.m.), fa pensare all'esistenza sul luogo di una mutatio o di un santuario collocato sul passo.
Negli ultimi anni ai già numerosi rinvenimenti di decorazioni parietali (Avenches [Vaud], Winkel [Zurigo], Buchs [Zurigo], Meikirch [Berna], Martigny [Vallese], Chur [Grigioni]) che coprono un arco cronologico che va dal 1° al 3° secolo d.C. se ne sono aggiunti altri. A Riom (Grigioni) è stata scavata una mutatio datata al 2° o 3° secolo d.C. che presenta un interessante affresco geometrico caratterizzato da elementi circolari su sfondo bianco o rosso, mentre a Pully (Vaud) è stato scoperto un criptoportico che si fa risalire alla fine del 1° secolo d.C. o agli inizi di quello successivo, decorato con scene raffiguranti una corsa di carri.
A Vallon, durante uno scavo di emergenza, è stata rinvenuta una villa romana che risale al 1° secolo d.C. ed è stata distrutta circa un secolo e mezzo dopo. Oltre a una ricca decorazione parietale è stato trovato anche un bellissimo mosaico che per le sue caratteristiche viene datato alla metà del 1° secolo d.C. Esso si compone di una serie di esagoni, circondati da una ricca cornice, in cui sono iscritte diverse raffigurazioni, quali un domatore con la frusta o un orso.
Bibl.: W. Drack, Neuentdeckte römische Wandmalereien in der Schweiz, in Antike Welt, 11 (1980), 3, pp. 3-14; 11 (1980), 4, pp. 17-24; 12 (1981), 1, pp. 17-32; H. Schwab, Entdeckung eines Mosaiks des 3. Jahrhunderts in Vallon/Carignan (Schweiz), in Antike Welt, 16 (1985), 3, p. 14; W. Drack, R. Fellmann, Die Römer in der Schweiz, Stoccarda 1988 (ivi la bibliografia citata).
Arte. - Negli ultimi venti anni il panorama artistico in S. è stato caratterizzato da un sensibile declino della corrente astrattista, fino allora preminente e con la quale spesso l'arte svizzera era stata identificata all'estero: basti pensare alle figure di R.P. Lohse (m. 1988) e soprattutto di M. Bill (m. 1994). Si è verificato, d'altra parte, il consolidamento di una forma d'arte antitetica, basata sull'assemblaggio e sulla manipolazione di oggetti trovati o bizzarri, nella quale non è errato ravvisare il riemergere di una visione dadaista e surrealista, seppure risolta in chiave intimista, a volte ironica. In questo modo di fare emerge una componente della sensibilità elvetica (comune in misura diversa alle tre culture del paese, ma presente soprattutto nella parte di lingua tedesca), rintracciabile anche in opere letterarie e cinematografiche, nella quale si riflette l'isolamento dell'individuo, la difficoltà di comunicare e il ripiegarsi su se stessi che genera un fantasticare un po' coattivo, efficacemente definito con il verbo tedesco spinnen, nel senso di ''divagare'', ma anche di ''ordire'', ''tramare'' (come il ragno, Spinne).
Pur manifestandosi in forme diverse, questo atteggiamento è proprio di un gruppo di artisti, alcuni attivi già nei decenni precedenti, come D. Spoerri, F. Eggenschwiler, A. Hüppi, D. Rot, A. Thomkins, J. Tinguely, altri più giovani, come gli artisti della S. tedesca L. Castelli, R. Winnewisser, W. Meier, C.O. Melcher, H. Suter, M. Disler, H. Kielholz, I. Lüscher, M. Raetz, i ginevrini G. Ducimetière e J. Armleder e il ticinese F. Paolucci. È comunque difficile separare nettamente il loro lavoro, che si incentra essenzialmente sull'oggetto trovato, manipolato o creato, da esperienze più apertamente concettuali, come le scritte di B. Vautrier (Ben), le installazioni luminose di A. Walker o addirittura la presenza senz'opera, con messaggio esplicativo, di E. Schurtenberger, in alcune collettive degli anni Settanta. "Processi mentali visualizzati", una variante dell'arte concettuale, sono stati definiti questi orientamenti, da curatori di mostre, come H. Szeemann e J.C. Ammann, e da critici, come T. Kneubühler; in quest'ottica sono stati anche scoperti artisti di una generazione precedente rimasti sconosciuti, come I. Weber, ed è stata considerata in una nuova luce l'opera di altri, come P. Schibig.
Vicina a una scelta più realistica, seppur rientrante nella manipolazione ironica di oggetti, è l'opera di H. Distel e di P. Travaglini. In questo ambito si colloca anche la ricerca con connotazioni mistico-simboliche del ticinese G. Camesi, attivo a Parigi. Il realismo conta numerosi esponenti − tra gli altri, H. Schuhmacher, F. Gertsch, B. Burkhard, M. Jäggli − influenzati soprattutto dall'iperrealismo americano con l'uso generalizzato del riporto e dell'ingrandimento fotografici. La figurazione realistica di U. Bänninger ironizza su una serie di feticci elvetici, mentre U. Lüthy usa il fotomontaggio nella ricerca di una propria identità dalla definizione sfuggente che, nonostante il mezzo impiegato, può rientrare nella categoria dei "processi mentali visualizzati".
La corrente derivata dall'informale materico e gestuale ha mantenuto una certa importanza ancora negli anni Settanta e Ottanta con l'opera di F. Fedier, M. Spescha, P. Terbois, R. Iseli (di gran lunga il più originale, con le sue ''terre'' incombenti) e dei ticinesi M. Cavalli ed E. Dobrzanski. Quest'ultimo ha mantenuto un legame con la figurazione, così come i più giovani ticinesi legati all'espressionismo astratto, di matrice lombarda, R. Ferrari e C. Lucchini. La figurazione fantastica, surrealisteggiante, è un'altra costante dell'arte svizzera: tra gli esponenti più recenti si possono ricordare A. Sadkovsky, C. Sandoz e H.R. Giger, divenuto famoso per la scenografia del film di fantascienza Alien. Al gruppo classico dei costruttivisti elvetici bisogna aggiungere i nomi di G. Honegger, G. Glattfelder, A. Christen, C. Megert, W. Müller-Brittnau, A. Fuhrmann, F. Bordoni, V. Haller, H. Mertens. Nell'ambito dell'astrattismo geometrico un capitolo a sé è dato dalle sperimentazioni cinetiche e ottiche di E. Sommer, A. Duarte e J. Urban. Il neoespressionismo della Transavanguardia italiana e della Wilde Malerei tedesca ha avuto ripercussioni anche in S.: L. Castelli, che lavora a Berlino, e K. Prior, di origine tedesca e da tempo operante a Lugano, possono essere considerati i più significativi esponenti di questa corrente.
Nell'ambito della scultura, R. Gilardi, con opere in pietra e in bronzo, e B. Lunginbühl, che compone elementi industriali metallici, continuano una ricerca ''classica'', di masse astratte monumentali.
Una forte componente ironica caratterizza le macchine mobili di J. Tinguely (m. 1991), mentre una componente più lirica caratterizza quelle ''idrauliche'' di H. Eigenmann, recentemente apparso sulla scena italiana e su quella svizzera. Un tocco di realismo fantastico permea le figure filiformi di S. Hutter, mentre il tono si fa più allusivo, avvicinandosi alla pittura diaristica, nelle opere di A. Egloff. Al confine tra assemblages di oggetti e installazioni derivate dall'arte povera è l'interessante ricerca del ticinese P. Selmoni che combina objet trouvé con interrogativi cosmici. Valide sono anche le opere di K.L. Metzler e di M. Weiss nel campo della figurazione allusiva, mentre su un versante completamente diverso si colloca la ricerca di C. von den Steinen, con la realizzazione di opere caratterizzate da numerosi personaggi modellati nell'argilla e colti nella loro quotidianità. Vedi tav. f.t.
Bibl.: D. Bachmann, in Du, 8 (1986); Asa Art, Annuario dell'arte svizzera, 1990-91. Cataloghi di mostre: Giovane arte svizzera, Milano 1972 (testi di G. Schönenberg e T. Kneubühler); Profile X - Schweizer Kunst heute, Bochum 1972 (testi di M. Staber e G. Schönenberger); Arte contemporanea svizzera, Collezione Banca del Gottardo, Lugano 1979 (testi di H. Szeemann e R. Hanhart); Biennale di Venezia, cataloghi 1980-93.
Architettura. - Dopo la seconda guerra mondiale, in S. l'architettura è stata influenzata dai modi figurativi dei paesi confinanti, soprattutto a causa della particolare struttura etnica della Confederazione. Nei cantoni francesi così il principale referente figurativo è stato il repertorio tardo di Le Corbusier, nella versione legittimata e diffusa dai CIAM (Congreso Internacional de Arquitectura Moderna). In quelli tedeschi, ci si è rivolti invece alle contemporanee concezioni figurative di Germania e Austria, differenziandosene per la maggiore frammentazione dei volumi e per una cura particolare nella realizzazione dei dettagli.
Questa seconda tendenza ha trovato la sua migliore espressione nel lavoro dello studio Förderer & Zwimpfer, che ha progettato architetture caratterizzate da una notevole capacità di integrarsi col paesaggio e, per la prima volta nel dopoguerra, ha dato risonanza all'architettura svizzera anche all'estero (Kantonschule a Schaffhausen, 1963-66; caffè-ristorante ''Park'' alle cascate del Reno a Neuhausen, 1961-63). Tra le altre realizzazioni del periodo, vanno segnalate alcune ultime opere del Movimento Moderno, come il Centre Le Corbusier a Zurigo, di Le Corbusier (1962-67), e la torre di appartamenti Wohnhochaus Schönbühl a Lucerna/Shönbühl, di A. Aalto (1965-68). A queste si aggiungono, come episodi significativi, il complesso di uffici e negozi Hochhaus Zur Palme, di M.E. Haefeli, W.M. Moser, R. Steiger & A.M. Studer (1959-64); la Kantonsschule Freudenberg a Zurigo, di J. Schader (1956-60); la Boilerfabrik a Thun e la Siedlung Halen a Berna, dell'Atelier 5 (1958-59; 1959-61); il parco attrezzato Vallée des Jeunes a Losanna, di M. Magnin (1964); la Terrassensiedlung Mühlehalde a Brugg/Umiken, del Team 2000 (1962-71).
Nel corso degli anni Settanta, anche in S. hanno avuto largo seguito le idee dell'International style, centrate sull'esibizione della tecnologia come elemento figurativo qualificante, e comunque mediate, di volta in volta, dalle preferenze dei progettisti per i diversi repertori figurativi dei singoli maestri del Novecento o delle contemporanee tendenze emergenti. In tal senso il razionalismo scandinavo di A. Aalto è riprodotto nel liceo per il Principato del Liechtenstein, di E. Gisel e C. Zweifel (1969-73) e nella casa studio a Zurigo di E. Gisel (1972-73); il magistero di L. Mies van der Rohe, nella scuola internazionale per l'ONU a Pregny vicino a Ginevra, di J.-M. Lamuniere (1970-74), nell'edificio per i campi sportivi del liceo di Bienne, di M. Schlup (1978-79), e nella scuola delle ferrovie federali svizzere a Loewenberg vicino a Murten, di F. Haller, A. Barth e H. Zaugg (1978-82); il ''brutalismo'' dell'ultimo Le Corbusier nella scuola elementare Ruopingen a Littau (1975-76) e nell'ampliamento e ristrutturazione della Amsthaus a Berna, dell'Atelier 5 (1976-81); alcuni stilemi di F.L. Wright nel Centro Macconi a Lugano, di A. Tibiletti e L. Vacchini (1975-77), e nel gruppo di case a schiera a Muri, vicino a Berna, di U. Stucky e H. Hoestettler (1978-80); la concezione di R. Piano e R. Rogers realizzata con il Beaubourg a Parigi, nella torre trasmittente sul monte Ulmizberg vicino a Koeniz, del gruppo ARB di Berna (1973-74), e nella centrale telefonica di Zurigo, di T. Hotz (1977-80); i modi di J. Stirling nella fabbrica Sferax a Cortaillod, di M.-C. Bétrix, E. Consolascio, B. Reichlin (1978-81).
La preferenza verso modelli figurativi esterni alla S. è confermata anche negli anni Ottanta e nei primi Novanta, sempre rivolta a Germania e Francia e oscillante tra le diverse esperienze in atto. Ciò ha dato luogo a scelte figurali le più varie, anche se filtrate da una compostezza pacata e priva di eccessi caratteristica di tutta l'architettura svizzera del 20° secolo, e dal tentativo costante di dialogare con l'ambiente circostante. A questo modo di procedere appartiene tutto il filone di pensiero che oggi guarda al primo Razionalismo degli anni Trenta, e che di recente ha prodotto diversi lavori di qualità.
Nell'ambito di queste realizzazioni, si ricordano, tra l'altro, quelle di M. Campi e F. Pessina (casa Felder a Lugano, 1979; palestra della Fondazione Soldati a Neggio, 1980; casa Polloni a Origlio, 1981; casa Boni a Massagno, 1981; case a schiera a Massagno, 1985-86), l'edificio per abitazioni e uffici in Missionstrasse a Basilea, di R. Diener, D. Righetti, A. Rüedi, P. Langlotz, M. Stingelin (1982-85), l'edificio per abitazioni e negozi a St. Alban-Tal (Basilea), di R. Diener, D. Righetti, W. Schett, M. Buser (1983-86), l'edificio per abitazioni in Allschweilerstrasse a Basilea, di A. Baumgartner, R. Diener, L. Guetg (1984-86). Analogo modo di procedere ispirato a modelli figurali esterni si riscontra anche nei casi di scelte minimalistiche consapevoli del recentissimo Decostruttivismo (sistemazione del Centre d'Art Contemporain di Ginevra, di L. Chenu e P.-A. Croset, terminato nel 1983; casa in legno a Langnau, di M. Burkhalter e C. Sumi, 1986-87; magazzino automatizzato ''Ricola'' presso Laufen, 1986-87, ed edificio per uffici a Basilea, 1991, ambedue di J. Herzog e P. de Meuron).
Un caso a parte è quello del Canton Ticino che, rispetto al resto della S., vanta solide tradizioni di autonomia e di capacità figurali difficilmente riconducibili a una tendenza sola. Per limitarci all'ultimo quindicennio e ai temi emergenti, nel Canton Ticino hanno avuto un seguito particolare sia le esperienze contemporanee locali, sia quelle venete e lombarde. Rese note al pubblico nel 1975 dalla mostra ''Tendenzen'' di Zurigo, dopo gli anni Settanta tali idee architettoniche sono state riprese e condotte verso esiti nuovi, connettendole con alcuni modi d'oltreoceano molto diversi e più complessi.
In un primo momento si è assistito all'imitazione delle caratteristiche figurative del patrimonio storico-architettonico esistente, grazie al lavoro, tra gli altri, di B. Reichlin (n. 1941) e F. Reinhart (n. 1942) nella casa Tonini a Torricella (1972-74) e nella casa Sartori a Riveo (1976). In seguito, nuovi contributi validi sono venuti da altri architetti, che di recente hanno riscosso anche una vasta eco internazionale. Disponibile allo stesso tempo verso l'eredità dell'International style e verso i fermenti opposti, questa tendenza ha saputo imporsi in breve tempo soprattutto per la chiarezza di programmi e di scelte. Ne sono esponenti significativi M. Botta (n. 1943) e I. Gianola (n. 1944); a loro vanno affiancati, anche se con provenienze culturali diverse, L. Snozzi (n. 1932), L. Vacchini (n. 1933) e A. Galfetti (n. 1936).
Fra tutti, Botta è quello che riscuote i maggiori consensi a causa del suo repertorio di schemi spaziali e figurativi elementari, in gran parte mutuato dall'opera di L.I. Kahn. Formatosi con C. Scarpa e maturato professionalmente con Le Corbusier, egli ha innestato su una decisa limpidezza volumetrica e tipologica un decorativismo talvolta compiacente, ispirato alla tradizione moderna viennese di A. Loos, O. Wagner e J. Hoffmann. Tra le opere realizzate va ricordata una lunga serie di case unifamiliari (tra le quali, a Riva S. Vitale, 1971-73; Pregassona, 1979-80; Stabio, 1980-82; Morbio Superiore, 1982-83; Morbio Inferiore, 1986-88). A queste si aggiungono alcuni edifici più complessi (scuola media a Morbio Inferiore, 1972-77; Freiburger Staatsbank, 1977-82); la biblioteca del convento dei Cappuccini a Lugano, 1976-79; l'edificio ''Caimato'' a Cassarate, Lugano, 1986-92. È invece più recente l'interesse di Botta verso i teorici neoclassici francesi (E.-L. Boulée, C.-N. Ledoux, J.-J. Lequeu), che ha prodotto il teatro e la casa della cultura ''André Malraux'' a Chambéry e la mediateca di Villeurbanne, ambedue in Francia (1982-87; 1984-88), e la chiesa di Pordenone in Italia (1987-91).
Gianola è dedito invece a riflessioni più di sostanza sui temi austriaci dell'inizio del 20° secolo, a loro volta meditati attraverso le concezioni percettive del pittore americano D. Hockney e puntuali riferimenti all'edilizia minore locale. Di lui si segnalano la casa Bernasconi a Balerna (1978), la casa Rusconi a Castel S. Pietro (1984), la casa delle Orsoline a Mendrisio (1984-86), il Centro Tognano a Coldrerio (1984-87), la ristrutturazione e l'ampliamento dell'opificio La Fiandra a Mendrisio (1982-88).
Tra gli altri, va infine notato Vacchini, per il suo rivolgersi continuo a soluzioni tipologiche della fine del 18° secolo; dietro apparenti concessioni figurative ai modelli razionalistici degli anni Venti, va sottolineata la sua rivisitazione di alcuni elementi costitutivi dell'architettura assunti come archetipi (simmetria bilaterale, volta a botte, colonna, finestra incorniciata, modanature continue), così come gli sono suggeriti dalla trattatistica settecentesca (J.-N.-L. Durand, A. Quatremère de Quincy) e dalle tecnologie costruttive. Tra le sue opere più recenti, la scuola elementare di Saleggi a Locarno (1972-79), il liceo a Losone, con A. Galfetti (1973-75), la scuola elementare a Montagnola (1978-82), una villa unifamiliare ad Ascona (1983-84), l'edificio per il proprio studio a Locarno (1984-85), lo stabilimento balneare di Ascona (1982-87).
A proposito degli architetti ticinesi va anche detto che all'intensa attività progettuale condotta su temi anche vasti e molto impegnativi, non sempre ha corrisposto un'uguale frequenza di esiti concreti e, soprattutto tra i più giovani, la capacità di dominare grandi volumi e spazi vasti. Così che la maggior parte delle opere migliori da loro realizzate sono di dimensioni contenute, e in alcuni casi (per es. l'edificio ''Ransila'' e la Banca del Gottardo a Lugano, di Botta, del 1981-85 e 1982-88) essi non sembrano ancora in grado di lavorare con pienezza di risultati a scale diverse da quelle piccole. Vedi tav. f.t.
Bibl.: In generale, C. Rowe, R. Slutzy, B. Hoesly, Transparenz, Basilea 1968; S. Von Moos, D. Bachmann, New directions in Swiss architecture, New York 1969; J. Bachmann, Orientamenti nuovi nell'architettura svizzera, Milano 1970; J. Gubler, Nationalisme et internationalisme dans l'architecture moderne de la Suisse, Losanna 1975; Eidgenössische Technische Hochschule Zürich, 1955-1980, a cura di J.-F. Bergier e H. Werner Tonbler, Zurigo 1980; W. Blaser, Architecture 70/80 in Switzerland, Basilea-Boston-Stoccarda 1981; J. Gubler, Dal collage al tessuto. La scuola di architettura del Politecnico di Zurigo al retrovisore, in Casabella, 497 (1983), pp. 40-49, con bibl.; D.J. De Witt, E.R. De Witt, Modern architecture in Europe. A guide to buildings since the industrial revolution, Londra 1987, pp. 51-62; C. Zeller, Guide to Swiss architecture, voll. 1-3, Zurigo 1992 ss.; annate delle riviste L'Architettura. Cronache e Storia e Casabella. In particolare sul Canton Ticino: Tendenzen. Neuere Architektur im Tessin, a cura di M. Steinmann e T. Boga, Zurigo 1975; H. Von Der Brugghen, 10 Tessiner Architekten, Delft 1979; Biennale di Venezia. La presenza del passato. Prima mostra internazionale di architettura, a cura di P. Portoghesi, Venezia 1980, pp. 271-74; K. Frampton, Modern architecture. A critical history, Londra 1980 (trad. it., Bologna 1982, pp. 342-44); P. Portoghesi, Postmodern. L'architettura nella società post-industriale, Milano 1982, pp. 148-49; 50 anni di architettura in Ticino, numero monografico, Quaderno della rivista tecnica della Svizzera italiana, 1983; T. Boga, Tessiner Architekten 1960-1985, Zurigo 1986; A. Franchini, Canton Ticino. Architetture recenti, Milano 1990; F. Werner, S. Schneider, La nuova architettura ticinese, Milano 1990; C. Menz, Svizzera, in Biennale di Venezia. Quinta mostra internazionale di architettura, catalogo della mostra a cura di P. Portoghesi e F. Dal Co, Venezia 1991, pp. 166-69. Sui modelli figurali più recenti degli architetti ticinesi: E. Kaufmann, Architecture in the age of reason, Cambridge (Mass.) 1955 (trad. it., Torino 1966); E. Kaufmann, Tre architetti rivoluzionari: Boullé, Ledoux, Lequeu, trad. it., Milano 1984; W. Szambien, Jean-Nicolas-Luis Durand (1760-1834): de l'imitation à la norme, Parigi 1984 (trad. it., Milano 1986); A. Quatremère de Quincy, Dizionario storico di architettura, a cura di V. Farinati e G. Teyssot, Venezia 1985; A. Rossi, E. Consolascio, M. Bosshard, La costruzione del territorio. Uno studio sul Canton Ticino, Milano 19862. Sui singoli architetti ticinesi: Mario Botta. Architettura e progetti negli anni '70, catalogo della mostra di New York, a cura di I. Rota, Milano 1980; Luigi Snozzi. Progetti e architetture 1957-1984, ivi 1984; F. Dal Co e altri, Mario Botta. Architetture 1960-1985, ivi 1985; Livio Vacchini. Opere e progetti 1970-1986, Barcellona 1987; Aurelio Galfetti. Opere e progetti 1960-1988, ivi 1989; Aurelio Galfetti, a cura di X. Guell, Berlino 1989; Mario Botta, a cura di E. Pizzi, Bologna 1991; Mario Botta, opere complete, i, 1960-1985, ii, 1986-1990, Berlino-Milano 1994; Mario Botta. Architetture 1986-1991, Milano 1994.
Musica. - Almeno fino alla metà degli anni Quaranta, il mondo musicale svizzero rimane estraneo all'influenza della Seconda Scuola di Vienna, e la generazione di compositori nati nel primo ventennio del secolo risente soprattutto della formazione francese alla scuola di N. Boulanger. Ciò vale non solo per i compositori della S. francofona, come P. Wissmer (n. 1915), R. D'Alessandro (1911-1959) e R. Gerber (n. 1908), ma anche per alcuni di lingua tedesca, come E. Staempfli (n. 1908), P. Mieg (n. 1906), H. Pfister (1914-1969), H. Haller (n. 1914), E. Hess (1912-1968), R. Zturzenegger (1905-1976).
Prime aperture verso la dodecafonia e il serialismo si hanno già durante gli anni Trenta, come si mostra nelle composizioni di W. Vogel (1896-1984), A. Keller (n. 1907), E. Schmid (n. 1907), e ancora in quelle di F. Martin (1890-1974), R. Vuataz (1898-1988) e H. Schäuble (n. 1906). L'avanguardia è rappresentata da musicisti della generazione più giovane, che si affacciano per la prima volta sulla scena musicale dopo la fine della guerra: così J. Wildberger (n. 1922), E. Pfiffner (n. 1922), K. Huber (n. 1924) e G.G. Englert (n. 1927). Tuttavia la diffusione delle nuove tecniche finisce per coinvolgere in quegli anni anche i compositori della vecchia generazione, come Staempfli e Pfister, e ancora Ph. Eichenwald (n. 1915), O. Jaeggi (1913-1963), A. Moeschinger (1897-1985) e C. Regamey (1907-1982). Accanto a questi occorre ricordare A. Schibler (1920-1986), E. Widmer (n. 1927), H. Studer (n. 1911), R. Suter (n. 1919); e R. Liebermann (n. 1910), F. Tischhauser (n. 1921), R. Kelterborn (n. 1931), allievi di Geiser.
Uno degli avvenimenti più significativi degli anni Sessanta è rappresentato dai corsi tenuti per diverso tempo all'Accademia di musica di Basilea da P. Boulez, K. Stockhausen, ed H. Pousseur. Da rilevare che sono stati allievi di Boulez alcuni dei maggiori rappresentanti della musica svizzera di questi ultimi decenni, come J. Wyttenbach (n. 1935), H.U. Lehmann (n. 1937) e H. Holliger (n. 1939). Una figura di rilievo di questo periodo è anche quella del compositore di origine ungherese S. Veress (n. 1907), che ha insegnato per lungo tempo all'università di Berna, influendo sulla formazione di compositori come Holliger e Wyttenbach, e ancora H. Marti (n. 1934) e U.P. Schneider, fondatore quest'ultimo, sul finire degli anni Sessanta, del gruppo di musica d'avanguardia Neue Horizonte Bern.
Anche in S. gli anni Sessanta hanno visto il diffondersi della musica elettronica, e ciò soprattutto grazie all'attività svolta dal Centro di ricerche sonore della Radio svizzera romanza, di cui è stato responsabile W. Kaegi (n. 1926) assieme ad A. Zumbach. Uno Studio di musica contemporanea è sorto a Ginevra sotto la direzione del compositore J. Guyonnet (n. 1933), una delle maggiori personalità della musica svizzera degli ultimi decenni, accanto a compositori come E. Gaudibert e P. Marietan (n. 1935), allievo di Boulez e Stockhausen, A. Dziercatka e M. Tabachnik (n. 1942).
Tra i compositori che si sono messi in luce nel corso degli ultimi anni, occorrerà ricordare J. Demierre (n. 1954), personalità di spicco del gruppo ginevrino Contrechamps, che costituisce un autentico motore della nuova musica svizzera, e ancora compositori della stessa generazione come M. Jarrell (n. 1958), R. Irman (n. 1957) e D. Jordi (n. 1958), D. Glaus (n. 1957), Ch. Giger (n. 1959), B. Furrer (n. 1954) e E. Haubensak (n. 1954).
Demierre, che svolge attività di pianista in gruppi d'avanguardia e scrive per la rivista Contrechamps, è autore di musica strumentale e di opere teatrali: il suo Concerto barocco è stato eseguito a Zurigo nel dicembre 1985. Jarrell, che è stato allievo di K. Huber e già da alcuni anni risiede in Germania, si richiama nelle sue opere ai principi dell'improvvisazione: del 1982 è il Trio per archi, cui sono seguite Assonance per clarinetto (1983), Trace-Ecart per soprano, contralto, batteria e due gruppi strumentali (1984), composizioni eseguite in diverse città europee e per le quali l'autore ha ricevuto diversi premi; nell'ottobre 1985 è stata rappresentata a Ginevra la sua opera teatrale Dérives, su libretto di M. Beretti. Di Irman si ricordano Huegel bei Céret II per due viole e contrabasso, Speculum per quattro clarinetti, batteria, fonte luminosa e specchi di scena (1984). Di Jordi, allievo di Huber, si ricordano le composizioni Tonkeime (1984) e Quirin Kuhlmanns XLI. himmlischer Liebeskuss (1985), entrambe eseguite dal gruppo Neue Horizonte Bern di Schneider. Glaus, che ha studiato con Huber presso l'Istituto per la nuova musica di Friburgo, svolge attività, oltre che di compositore, anche di organista e direttore d'orchestra; nel 1985 ha fondato il gruppo Ad hoc Bern, rivolto al repertorio della nuova musica. Delle sue composizioni si ricordano lo studio per violino Stille (1984), l'opera da camera Zerstreute Wege, per voci, orchestra da camera e nastro magnetico (1981-83) e la Toccata per Girolamo (...pour Claude...) per 24 strumenti. Giger ha composto Musique pour cinq pianos (1982) e Musique pour piano (1983), entrambe incise su disco (1984). B. Furrer, allievo a Vienna di R. Haubenstock-Ramati, è autore di Music for mallets (1985) per xilofono, vibrafono e marimba, Musica per grossa orchestra (1983), Sinfonia per archi e Tiro mis tristes redes per orchestra (1984). Nel 1984 il suo Quartetto per archi eseguito in quell'anno alla Biennale di Venezia, ha ricevuto a Colonia il premio nel concorso internazionale ''La giovane generazione in Europa''. Haubensak ha composto musica per pianoforte (Schwarz Weiss, incisa su disco), il quintetto Tiefer & Tiefer, endless music e 1 & 1 per nastro magnetico, e il pezzo strumentale Gleichgewichte (1984), per il quale ha ricevuto un premio nel seminario di composione di Boswil.
Bibl.: F. Muggier, M. Knauer, Die Avantgarde in der Schweiz, in Oesterreichische Musikzeitschrift, 1969, pp. 165-75; R. Pfluger, Dia ältere Generation der Schweizer Komponisten des 20. Jahrhunderts, ibid., 1969, pp. 156 ss.; K. von Fischer, Précis de l'histoire musicale suisse, in Schweizerische Musikzeitung, 1977, pp. 338-42; D.C. Johnson, La situation de la musique électro-acustique en Suisse, ibid., 1983, pp. 25-29; P. Albera, Contrechamps, in Musica, 1986, pp. 129-30; M. Nyffeler, Den Raendern entlang. Juenge Komponisten in der Schweiz, ibid., pp. 119-22.
Cinema. - Una modesta produzione si avviò a partire dalla metà degli anni Venti nella S. tedesca, per iniziativa della Praesens-Film fondata nel 1924 dall'ebreo polacco L. Wechsler. Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale vennero realizzati, insieme a numerosi documentari turistici, una media di tre lungometraggi all'anno. Dal 1933 operò a Zurigo l'ebreo austriaco L. Lindtberg, sfuggito alle persecuzioni naziste, cui si devono i titoli migliori della nascente cinematografia, in particolar modo Die missbrauchten Liebesbriefe (1940), tratto da un racconto di G. Keller. Con l'inizio della seconda guerra mondiale la produzione si espanse grazie alla chiusura dei mercati internazionali e il cinema svizzero di questo periodo, caratterizzato dall'esaltazione delle tradizioni democratiche e dei miti patriottici, trovò ancora in un'opera di Lindtberg il suo prodotto più significativo: Die letzte Chance (L'ultima speranza, 1945), storia di un gruppo di perseguitati politici che cercano di varcare il confine italo-svizzero. Tra gli altri registi del periodo si segnalano M. Haufler, attivo fin dal 1938, e H. Trommer che, insieme a V. Schmidely, girò Romeo und Julia auf dem Dorf (1941), tratto da un altro racconto di Keller. Nel dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta alle difficoltà croniche di un mercato troppo ristretto si aggiunse la mancanza di adeguati sostegni governativi. Alcuni autori, tra i quali J.-L. Godard, furono così costretti a espatriare. Soltanto a partire dal 1963 la Confederazione è intervenuta con una legge che tuttavia ha migliorato solo leggermente le precarie condizioni produttive. Gli anni Sessanta hanno segnato però l'inizio dell'attività di M. Soutter (Lune avec les dents, 1966), A. Tanner, J.-L. Roy, C. Goretta e Y. Yersin, i fondatori del Gruppo dei Cinque (1969), tutti gravitanti intorno alla televisione ginevrina, che ha giocato un ruolo determinante nel rinnovamento del cinema svizzero del decennio successivo.
Il film che inaugura il nuovo corso è Charles mort ou vif (1969) di Tanner, storia di un piccolo industriale che cerca un'autenticità impossibile sprofondando infine nella follia. Fortemente critico nei confronti della società elvetica, il giovane cinema affronta i temi dell'emarginazione e della rivolta, del disagio e della follia, dell'alienazione e della trasgressione anticonformista. La ricerca linguistica procede di pari passo con un'analisi corrosiva dei rapporti sociali e una riflessione amara sull'esistenza nelle opere di Tanner (La Salamandre, 1971; Le retour d'Afrique, 1973; Le milieu du monde, 1974; Jonas qui aura 20 ans en l'an 2000, Jonas che avrà 20 anni nel 2000, 1976; Messidor, 1979) e di Goretta (Le fou, 1970; L'invitation, L'invito, 1973; La dentellière, La merlettaia, 1977). Mentre la produzione di Yersin rimane prevalentemente circoscritta al documentario lirico, con l'unica eccezione del lungometraggio di fiction, Les petites fugues (1978), Soutter può finalmente emanciparsi dal carattere artigianale e ''povero'' (16 mm e bianco e nero) delle opere realizzate negli anni Sessanta dirigendo L'escapade (Coppie infedeli, 1973) e Repérages (1977). A J.-L. Roy, attivo soprattutto in televisione, si deve infine un film rilevante come Black-out (1970). Ma oltre al Gruppo dei Cinque opera in questo periodo una grande quantità di autori degni di nota quali C. Champion e F. Reusser (Le grand soir, 1976), attivi fin dagli anni Sessanta, J. Veuve (La mort du grand-père, 1978), P. Moraz (Les Indiens sont encore loin, 1977), S. Edelstein.
Nella Svizzera tedesca, meno vivace di quella romanda, e per tutti gli anni Sessanta caratterizzata da una produzione quasi completamente circoscritta ai cortometraggi sperimentali, con rari lungometraggi di rilievo (Ursula oder das unwerte Leben, 1966, di W. Marti e R. Mertens), le istanze del nuovo cinema sono rappresentate da D. Schmid (Heute Nacht oder nie, 1972; La paloma, 1974) e Th. Körfer (Der Tod des Flohzirkusdirektors oder Ottocaro Weiss reformiert seine Firma, 1974; Der Gehülfe, 1976), due autori che rimangono fuori dal grande circuito commerciale impegnandosi in rigorose ed elitarie ricerche linguistiche. Tra i numerosi registi che negli anni Settanta esordiscono nel lungometraggio si segnalano inoltre P. von Gunten e R. Lyssy, autori rispettivamente di Die Auslieferung (1974) e Konfrontation (1974) in cui mescolano originalmente fiction e documentario. Su un registro similarmente ''contaminato'' si muove anche V. Hermann con il suo San Gottardo (1977). In campo documentaristico la personalità di spicco è invece R. Dindo (Die Erschiessung des Landesverräters Ernst S. (1976), dalle forti connotazioni politiche.
Mentre Godard dal 1979 torna a lavorare in patria insieme ad A.-M. Mieville (autrice del bel Mon cher sujet, 1988), il cinema svizzero degli anni Ottanta, pur ricco di nomi e di fermenti, sembra perdere in parte lo spirito corrosivo, violentemente contestatore, che aveva rappresentato il tratto caratteristico del decennio precedente, e continua a dibattersi in annosi problemi come la ristrettezza del mercato interno, una rete di infrastrutture insufficienti, una scarsa distribuzione oltre i confini, un inadeguato apporto governativo. Accanto agli autori già consacrati come Tanner (Les années lumière, Gli anni luce, 1981; Dans la ville blanche, Nella città bianca, 1983; No man's land, 1985; La femme de Rose Hill, 1989), Goretta (La mort de Mario Ricci, La morte di Mario Ricci, 1983; Orfeo, 1985; Si le soleil ne revenait pas, 1987), Soutter (L'amour des femmes, 1981; Signé Renart, 1985), Reusser (Deborence, 1985), Schmid (Le baiser de Tosca, 1985), Körfer (Die Leidenschaftlichen, 1981; Glut, 1983), proseguono l'attività iniziata negli anni Settanta F.M. Murer (Höhenfeuer, 1985), M. Rodde, B. Kürt (Mann ohne Gedächtnis, 1984), C. Kopfenstein (Der Ruf des Sibylla, 1984) e M. Imhoof (Das Boot ist voll, 1980; Die Reise, 1986).
Nei primi anni Novanta si segnalano il documentario di R. Dindo Arthur Rimbaud, une biographie (1991), Le petit prince a dit (1992), una coproduzione maggioritaria svizzera della regista francese C. Pascal, Hors saison (1992) di D. Schmid e Le journal de Lady M. (1993), con cui A. Tanner prosegue la sua esperienza con l'attrice M. Mézières. Reise der Hoffnung (Viaggio verso la speranza, 1990) di X. Koller vince nel 1991 l'Oscar come miglior film straniero.
Bibl.: M. Foglietti, E. Natta, Il nuovo cinema svizzero, Roma 1977; M. Schaub, Il nuovo cinema svizzero 1963-1977, Zurigo 1977; Aspects du cinéma suisse 1979, ivi 1978; N. Vezzoli, Cinema svizzero. Tre cineasti, tre aspetti. Fredi M. Murer, Daniel Schmid, Alain Tanner, ivi 1980; Cinema ed emigrazione, ivi 1981; G. Barblan, G.M. Rossi, Il volo della chimera. Profilo del cinema svizzero 1905-1981, Firenze 1981; H. Dumont, Histoire du cinéma suisse, Losanna 1987; Svizzera-Europa. I volti europei del cinema svizzero, Roma 1987; M. Schlappuer, M. Schaub, Cinema Suisse. Regards critiques 1896-1987, s.l. 1987.