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La Svizzera è situata nel cuore del continente europeo, in un’area prevalentemente montuosa e senza sbocchi sul mare. Nonostante la superficie limitata e la carenza di risorse naturali, la posizione geografica e la stabilità politica hanno permesso al paese di assumere un ruolo politico ed economico di rilievo in Europa.
Il principio di neutralità costituisce il perno della politica estera elvetica. Nella sua odierna interpretazione, e nel quadro dell’attuale contesto internazionale, la neutralità offre al paese un ampio margine di manovra. In campo internazionale la Svizzera mira infatti a estendere le opportunità di cooperazione e a esercitare maggiore influenza politica ed economica, tanto attraverso una più attiva partecipazione ai fori internazionali quanto tramite il rafforzamento delle relazioni bilaterali. La difesa degli interessi nazionali, tuttavia, deve essere perseguita senza compromettere l’autonomia e la sovranità del paese.
Peculiare, in tal senso, è il rapporto della Svizzera con l’Unione Europea (Eu). Il paese infatti non è membro dell’Eu, sebbene l’adesione rimanga una possibilità di lungo termine, almeno finché essa non comporti un obbligo vincolante di assistenza militare reciproca, che violerebbe il principio della neutralità. Inoltre, l’adesione comporterebbe un limite agli istituti di democrazia diretta – elemento peculiare del sistema elvetico – nelle materie di competenza dell’Eu, poiché le normative europee prevarrebbero sulla legge nazionale. Tuttavia il legame con l’Eu, primo partner commerciale e primo investitore nel paese, è molto forte. Nonostante i cittadini si siano espressi contro l’adesione, essi hanno poi approvato la partecipazione all’Accordo di Schengen e l’estensione della libera circolazione delle persone. Inoltre, la Svizzera ha concluso accordi bilaterali con l’Eu su numerosi aspetti quali il commercio, le tasse, le pensioni, l’agricoltura e l’energia. Di conseguenza, rimanere al di fuori dell’Unione significa che il paese non parteciperà a processi decisionali che di fatto hanno un forte impatto sull’economia interna, a causa dell’intensità dei legami che già esistono. Dall’altra parte, la stessa la stessa Eu preme per la definizione di un quadro di cooperazione più coerente.
La neutralità svizzera è permanente, scelta liberamente e armata. Essa è il risultato di una lunga tradizione, risalente al 1516; sebbene vi siano stati numerosi adattamenti a vincoli interni ed esterni, il principio è parte dell’identità nazionale (gode infatti di ampio sostegno da parte della popolazione) e ha contribuito a rafforzare la coesione interna di un paese culturalmente eterogeneo.
Durante la Guerra fredda la neutralità svizzera era detta ‘integrale’ in quanto richiedeva non solo che il paese si astenesse dalla partecipazione ad alleanze militari, ma che rimanesse anche fuori dalle maggiori organizzazioni internazionali. Viceversa, dopo la Guerra fredda si è affermata un’interpretazione più ampia e che lascia un maggiore margine di manovra, simile a quella della cosiddetta neutralità ‘differenziata’ degli anni Venti, quando il paese aderì alla Società delle Nazioni e si dichiarò disposto ad attuare sanzioni economiche. Nel 1990, infatti, a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che decretò le sanzioni contro l’Iraq, il Consiglio federale dichiarò compatibile l’esecuzione autonoma di sanzioni economiche con la neutralità e in seguito la Svizzera ha partecipato anche alle sanzioni contro Libia, Haiti e Iugoslavia. Inoltre, nel rapporto sulla neutralità del 1993 il Consiglio federale riconosce che per affrontare le nuove sfide – quali terrorismo, criminalità organizzata e cambiamenti climatici – occorre avviare una maggiore cooperazione anche in materia di sicurezza. Dal 1996 la Svizzera è poi parte del programma Partnership for Peace della Nato, compatibile con la neutralità in quanto non è previsto l’obbligo di fornire sostegno militare in caso di conflitto armato. Infine, la Svizzera è sembrata più propensa a partecipare a organizzazioni internazionali non militari: dal 2002 è membro delle Nazioni Unite e quindi è tenuta a partecipare alle sanzioni economiche decretate dall’organizzazione e non può ostacolare l’attuazione di sanzioni militari decretate dal Consiglio di sicurezza. Il paese partecipa alle operazioni di peacekeeping sotto mandato Osce e delle Nazioni Unite. In ultima analisi, la tendenza ufficiale è quindi quella di una neutralità ‘attiva’, sebbene rimangano divergenze anche profonde nella percezione e definizione della medesima, sia tra i partiti che tra le comunità.
Recentemente la Svizzera ha adottato una politica estera volta a rafforzare le relazioni politiche ed economiche con Stati Uniti, Russia, Giappone e con le economie emergenti: Cina, India, Brasile, Sud Africa. Inoltre, il paese mantiene un forte interesse nell’area mediorientale, una regione strategica per garantire sia la sicurezza internazionale che la sicurezza energetica europea.
Tradizionalmente si fa risalire la fondazione della Svizzera al 1291, anno in cui l’alleanza di tre comunità rurali dette vita al primo nucleo di quella che sarà la futura Confederazione. In seguito, il paese ha vissuto una fase di espansione nel 14° e 15° secolo, per poi assumere l’attuale conformazione tra il 1815 e il 1848. La struttura statale della Svizzera è ancora oggi di stampo federale e si articola su tre livelli: Confederazione, cantoni e comuni. Anche i partiti sono per lo più organizzati su base cantonale, mantenendo una struttura nazionale più debole. L’Unione democratica di centro, che alle ultime elezioni dell’ottobre 2007 ha conquistato 62 seggi su 200 al Consiglio Nazionale, è inquadrabile nello schieramento di centro-destra e ha una base elettorale molto forte tra le comunità rurali e le piccole imprese nelle zone germanofone, sebbene stia aumentando i consensi anche nella comunità francofona. Gli altri maggiori partiti sono il Partito liberale radicale, il Partito popolare democratico e il Partito socialista. Dal 1959 questi quattro partiti hanno governato insieme, nell’ambito di un sistema politico detto della ‘concordanza’ e non basato sull’alternanza di governo. Tuttavia da alcuni anni è in atto un processo di polarizzazione a scapito del centro.
L’architettura istituzionale prevede che a livello confederale i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario siano detenuti rispettivamente dall’Assemblea federale, dal Consiglio federale e dai Tribunali federali. L’Assemblea federale - il Parlamento - è costituita dal Consiglio nazionale e dal Consiglio degli stati, camere equiparate che deliberano separatamente. Il Consiglio nazionale rappresenta il popolo svizzero e conta 200 membri, eletti con sistema proporzionale e maggioritario, mentre il Consiglio degli stati rappresenta i cantoni ed è costituito da 46 deputati, due per ogni cantone, eccezion fatta per sei di essi che hanno un solo rappresentante. Le decisioni parlamentari hanno valore esecutivo solo se approvate da entrambi i rami dell’Assemblea federale, che per procedere alle elezioni, risolvere conflitti di competenza tra le autorità federali supreme e decidere sulle domande di grazia si riunisce in plenaria.
Il governo, detto Consiglio federale svizzero, è costituito da sette membri, eletti dall’Assemblea federale plenaria e in carica per quattro anni. I sette membri sono ministri dei dipartimenti federali degli affari esteri, dell’interno, di giustizia e polizia, di difesa, della protezione della popolazione e dello sport, delle finanze, dell’economia, dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni.
Il presidente della Confederazione è eletto a rotazione per un anno tra i sette membri del governo e dirige il Consiglio federale, all’interno del quale svolge un ruolo da primo inter pares e di rappresentanza istituzionale.
La Svizzera presenta quattro lingue nazionali, la cui distribuzione sul territorio è eterogenea. Il tedesco è la lingua più diffusa (63,7% della popolazione) ed è adottata in ben 19 cantoni. Il francese (20,4%) è parlato soprattutto nelle regioni occidentali – denominate Romandia – dove si trovano i cantoni francofoni di Ginevra, Vaud, Neuchâtel e Giura. L’italiano è parlato dal 6,5% della popolazione, concentrata nel cantone Ticino e nelle quattro valli del Grigioni, cantone trilingue in cui risiede anche la minoranza (0,5%) che parla il romancio, riconosciuta costituzionalmente lingua nazionale, ma non utilizzata come lingua ufficiale.
Alla pluralità linguistica e culturale corrisponde una certa eterogeneità religiosa, che vede la presenza di due grandi gruppi di fedeli: i cattolici e i protestanti. Infine, le comunità si distinguono anche per i diversi orientamenti politici ed economici: mentre la comunità germanofona promuove generalmente un’interpretazione restrittiva della neutralità e una riduzione del ruolo dello stato nell’economia, la comunità francese appoggia tradizionalmente una politica estera più aperta e un maggiore interventismo statale.
La popolazione totale è di 7,7 milioni di abitanti, di cui circa il 21% (esclusi i richiedenti asilo politico e i lavoratori stagionali) sono immigrati. La percentuale di stranieri in Svizzera è la più alta d’Europa dopo Lussemburgo e Liechtenstein, soprattutto perché le leggi confederali rendono difficile la naturalizzazione degli immigrati (anche di prima e seconda generazione), sebbene questa sia triplicata dal 1992 al 2005. La questione dell’immigrazione ha storicamente contraddistinto il dibattito pubblico svizzero e, a partire dalla metà degli anni 2000, è entrata prepotentemente nell’agenda politica delle maggiori forze di governo. Già nel 2007 il Partito popolare svizzero aveva infatti impostato una campagna elettorale sul tema dell’immigrazione dai forti toni discriminatori, soprattutto nei confronti della comunità musulmana, diffondendo cartelloni elettorali offensivi e molto discussi anche oltre confine. Tramite iniziative referendarie, inoltre, nel 2009 è stata vietata la costruzione di nuovi minareti e, nel 2010, è stata approvata una legge per l’espulsione automatica dalla Svizzera degli stranieri che commettono gravi violazioni di legge.
Proprio il referendum rappresenta lo strumento partecipativo più caratteristico della democrazia elvetica, infatti il dibattito pubblico assorbe spesso i temi referendari, contribuendo così a creare una cittadinanza informata, attenta alle opinioni delle varie comunità cantonali e dunque vicina a un modello di democrazia deliberativa. I referendum sono obbligatori per le modifiche costituzionali, l’adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sopranazionali, le leggi federali dichiarate urgenti, prive di base costituzionale e con durata di validità superiore a un anno; sono invece facoltativi nel caso di leggi, modifiche di legge e alcuni trattati internazionali. Delle 118 iniziative sulle quali si è votato negli ultimi decenni solo 10 sono state accolte; la maggioranza ha ottenuto meno del 50% dei voti ed è stata respinta. Tuttavia, la maggior parte delle iniziative non fallisce del tutto: le esigenze formulatevi suscitano generalmente ampio dibattito e nel tempo vengono inglobate in una legge.
Il sistema scolastico svizzero è ampiamente decentrato, tanto che non esiste un ministero della pubblica istruzione. Sono i cantoni che, ad eccezion fatta per la durata dell’anno scolastico e del numero di anni di scuola dell’obbligo, decidono le linee guida scolastiche e versano i finanziamenti necessari a sostenere l’istruzione della cittadinanza. In maniera analoga il sistema sanitario, considerato tra i migliori al mondo, cambia a seconda del cantone di riferimento, i cui dirigenti hanno libertà di decisione sulla spesa, sull’organizzazione e sull’offerta della sanità.
La politica economica elvetica è caratterizzata dal fatto che le responsabilità sono condivise tra più enti e su differenti livelli di governo, con l’eccezione della politica monetaria, condotta dalla Banca centrale svizzera. La capacità del governo federale di perseguire una propria agenda di politica economica è quindi limitata, in quanto esso condivide con i cantoni e le autorità locali alcune competenze, come la politica fiscale, mentre ha maggiori poteri sulla politica di concorrenza e del mercato del lavoro.
L’economia si basa su una produzione di qualità e una manodopera altamente qualificata. I principali settori comprendono la microtecnologia, l’hi-tech, la biotecnologia, la farmaceutica, le banche e le assicurazioni. Allo stesso tempo, essendo praticamente priva di risorse minerarie e avendo un mercato interno limitato, la prosperità della Svizzera dipende dal commercio con l’estero. Infatti, dagli anni Novanta l’apertura economica del paese è notevolmente aumentata e attualmente le importazioni rappresentano il 41% del pil, mentre le esportazioni il 51% del pil. La Svizzera è tradizionalmente a favore della liberalizzazione commerciale, sebbene i dazi sui prodotti agricoli rimangano piuttosto elevati, e commercia prevalentemente con l’Eu (la Germania è il primo partner commerciale) e, in minor misura, con gli Stati Uniti. Il paese è un importatore netto di prodotti alimentari, di energia e di materie prime, mentre esporta beni ad alto valore aggiunto, in particolare prodotti chimici e farmaceutici, macchinari, strumenti di precisione, orologi e gioielli.
Il settore finanziario riveste grande importanza per il paese, contribuendo per oltre l’11% alla creazione del valore dell’economia elvetica. L’espansione del settore, che ha una lunga tradizione in Svizzera, è avvenuta anche grazie alla sua collocazione geografica nel cuore dell’Europa, alla stabilità politica, alla moneta forte, a leggi che proteggono il segreto bancario e all’elevato livello di sviluppo del settore. Inoltre, il paese ospita la Banca dei regolamenti internazionali, un’organizzazione internazionale che promuove la cooperazione monetaria e finanziaria internazionale. Infine anche il settore turistico, sebbene registri un calo, rimane una risorsa economica rilevante.
Tuttavia, negli ultimi anni si è fatta particolarmente forte, prevalentemente da parte dei paesi membri dell’Oecd, la pressione per una maggiore trasparenza in materia fiscale e contro il mantenimento del segreto bancario, che prevede il divieto per le banche svizzere di divulgare a terzi informazioni sui loro clienti. Nel 2009 la Svizzera, pur sostenendo che il segreto bancario rappresenta una tutela della privacy dei clienti, ha acconsentito, insieme a Austria e Lussemburgo, all’adozione degli standard internazionali sullo scambio di informazioni in materia fiscale stabiliti dall’Oecd, sebbene la condivisione dei dati non sia automatica e continui a dover essere valutata caso per caso. D’altra parte, il segreto viene abolito e le autorità possono accedere alle informazioni bancarie anche in caso di sospetto di attività criminali come terrorismo, crimine organizzato e riciclaggio di denaro. Di conseguenza, e grazie alla conclusione di accordi in materia fiscale con numerosi paesi europei, l’Oecd ha rimosso la Svizzera dalla ‘lista grigia’ dei paradisi fiscali.
La Svizzera è stata colpita dalla crisi economica globale in misura inferiore rispetto ad altri paesi europei: nel 2009 il pil elvetico ha registrato una flessione del 1,9%, ma già nel 2010 il tasso di crescita è stato pari al 2,6%. Dopo gli scossoni derivanti dalla crisi finanziaria, il sistema bancario è tornato a una relativa stabilità, ma si prospetta comunque un graduale declino di un’area significativa delle attività non tassate provenienti dall’estero.
Nel febbraio 2011 è poi entrata in vigore la cosiddetta ‘legge Duvalier’ (dal nome dell’ex dittatore haitiano): un provvedimento che prevede la restituzione allo stato originario degli averi conseguiti illecitamente da dittatori o politici corrotti anche nel caso in cui una domanda d’assistenza giudiziaria internazionale non possa avere esito, a causa della situazione di dissesto del sistema giudiziario dello stato richiedente. Tale norma ha permesso alla Confederazione di intentare una causa di confisca dei beni dell’ex dittatore di Haiti (circa 6 milioni di franchi), così da restituirli al governo haitiano al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione duramente colpita dal terremoto del 2010. Nei primi mesi del 2011 la Svizzera ha bloccato i beni che si ritiene possano appartenere all’ex presidente egiziano Hosni Mubarak e all’ex presidente tunisino Ben Ali, e ha parimenti sancito il blocco degli eventuali averi del rais libico Gheddafi.
Essendo un paese privo di petrolio, gas e carbone, i due assi portanti della politica energetica svizzera sono la promozione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Grazie alle rinnovabili e al nucleare il paese produce quasi la metà dell’energia che consuma. Sul territorio elvetico sono presenti cinque centrali nucleari che nel 2006 producevano circa il 40% dell’energia consumata e nel 2007 il governo ha annunciato la possibilità di costruzione di nuovi impianti. Inoltre, sebbene dipendente dalle importazioni di idrocarburi, la diversificazione della fornitura di petrolio e gas garantisce la sicurezza energetica del paese. Infatti il petrolio, che continua a essere la prima fonte nel mix energetico (42%), è importato da Libia, Nigeria, repubbliche ex sovietiche, Algeria, Angola, Arabia saudita, Norvegia e Kuwait tramite gli oleodotti che passano da Francia e Italia.
La Confederazione elvetica, nonostante adotti una politica di neutralità e di non belligeranza, prevede il servizio militare obbligatorio. Nel 2001 fu avanzata la proposta di smantellare l’esercito, attualmente composto da poco più di 22.000 soldati, ma i votanti rifiutarono la mozione. Tuttavia i grandi cambiamenti internazionali e le minacce terroristiche globali hanno indotto la Confederazione svizzera ad avviare, a partire dal 2004, un processo di riforme militari che, a fronte della riduzione di soldati, rendesse l’esercito meglio preparato ed equipaggiato per affrontare operazioni internazionali nelle aree instabili del mondo. La Svizzera, infatti, negli ultimi anni ha preso parte a due importanti missioni di peacekeeping: la Kfor della Nato in Serbia, con 207 soldati, e l’Eufor dell’Unione Europea nella Bosnia-Erzegovina, con 25 effettivi. Alcuni osservatori elvetici sono inoltre impegnati in Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Corea del Sud, Nepal e in Medio Oriente all’interno dell’Organizzazione di supervisione per l’armistizio delle Nazioni Unite (Untso).
Infine va ricordato che le Guardie vaticane del Papato, in virtù di un tradizionale sodalizio tra Svizzera e Vaticano che affonda le radici nel 16° secolo, sono cittadini svizzeri che hanno svolto il servizio militare nell’Esercito svizzero. Attualmente gli alabardieri papali sono 78, i sotto ufficiali sono 26 e gli ufficiali 6.