svizzeri
Il tema degli s. si rintraccia variamente, a più riprese, in molteplici scritti di M., di diversa destinazione e importanza, con diverso approccio, ora con interessi eminentemente pratici, ora con intenti e propositi propriamente teorici. Il termine svizzeri implica distinti richiami e prospettive: un primo aspetto riguarda la forza militare di quel popolo (con le connesse questioni polemologiche: con speciale rilevanza di due problematiche distinte, da un lato quella della qualità e dell’efficacia degli armamenti, dei modi di fare la guerra, nonché del peculiare apparato strategico; e, d’altro lato, quella della pratica mercenaria); un secondo aspetto riguarda i tratti etnoculturali (e le connesse questioni antropologiche: con un progressivo sovvertimento delle valutazioni riguardo agli assetti comunitari degli s., in base all’esperienza diretta avutane nel 1507); un terzo aspetto, infine, concerne l’assetto politico-statuale degli s., con le connesse questioni storicopolitologiche.
In uno scenario europeo quotidianamente sconvolto dalla guerra, fra poteri statuali in via di strutturazione anche sul terreno specifico dell’organizzazione militare, gli s. vennero ad assumere, nel corso del 15° sec., una presenza distintiva proprio in quanto corpo armato (per altri aspetti, le terre elvetiche erano, invece, ben poco conosciute nel mondo al di qua delle Alpi, fatta eccezione per quei territori ‘lombardi’ che con taluni luoghi e talune vie degli s. si trovavano in uno stretto nesso). Torna significativa, a proposito degli s. in quanto forza armata, la valutazione che ne propone M. nella lettera del 10 dicembre 1514 a Francesco Vettori:
Veggo e svizeri atti a mettere dua exerciti insieme da potere combattere con quelli franzesi che venissino in Borgogna, e con quelli che venissino verso Italia, perché se in questo caso s’uniscono tutti e svizeri, et che sieno con e cantoni e grigioni et e vallesi, possono mettere insieme più che 20 mila uomini per banda (Lettere, p. 333).
Di fatto, la presenza in Europa delle armate degli s. era a mano a mano divenuta memorabile e temibile, dopo le vittorie contro Carlo il Temerario tra il 1476 e il 1477, a Grandson, a Morat e a Nancy; e ancor più dopo la vittoria, di grandi valenze politiche, sugli Asburgo nel 1499, sconfitti da ultimo nella battaglia di Calven, che per più aspetti risuonava come vicenda tragica ed eroica. Se si viene più vicini al tempo in cui M. ne discorre con Vettori, tra il 1513 e il 1514, si registrano ulteriori vittorie decisive degli s., come quelle ottenute contro Luigi XII a Pavia nel 1512 (con essa gli s. vennero a esercitare un dominio reale sul ducato di Milano, che affidarono in titolarità puramente nominale a Massimiliano Maria Sforza) e a Novara nel 1513. Ben si comprende come M. prestasse vivissima attenzione alle sorti degli s., ponendosi vari interrogativi in relazione ai differenti aspetti ai quali si è sopra fatto cenno. A più riprese
M. confessa di temere che gli s. si rendano protagonisti di un’occupazione armata di terre italiche, anche oltre i confini del ducato di Milano. Tale timore nasce anche dal paradigma strutturale machiavelliano, in forza del quale chi può comandare buone armi può conseguire crescenti successi: «vedrete come agl’uomini prima basta potere difendere se medesimo e non esser dominato da altri; da questo si sale poi a offendere altri et a volere dominare altri» (M. a Francesco Vettori, 10 ag. 1513, Lettere, p. 278). Perciò M. conclude che agli s. «non sia per bastar [...] dare una rastrellata e tornarsene, anzi si ha da temere maravigliosamente di loro». Era infatti più che ragionevole, dopo i fatti del 1512-13, congetturare che
alla prima occasione e’ se ne [=di Milano] insignoriscono in tutto, spegnendo la stirpa ducale e tutta la nobiltà di quello stato; alla seconda scorreranno tutta Italia per loro, faccendo el medesimo effetto (Lettere, p. 278).
Cruciali in tale prospettiva risultano le esperienze vissute da M. in occasione del già ricordato viaggio nelle terre elvetiche per svolgere, in appoggio a Vettori, una legazione presso l’imperatore Massimiliano. Partito da Firenze il 17 dicembre 1507, M. raggiunge Ginevra il giorno 25, e di là s’avvia verso Costanza. L’11 gennaio 1508 è a Bolzano, donde, il 17, scrive una lettera ai Dieci, nella quale svolge un rendiconto, rapido, ma di incisiva accuratezza, sulle terre degli s., attestando di aver ricercato «con la diligenza che ho potuto maggiore di loro essere e qualità» (M. ai Dieci, da Bolzano, 17 genn. 1508, LCSG, 6° t., p. 109). Sorprendono (come già osservato da diversi studiosi) la prontezza d’osservazione, la varietà d’attenzione, l’acume penetrante con cui M. acquisisce, in un serrato rapporto di indagine e di riflessione critica, un’idea sia dell’assetto naturalistico, sia dell’assetto politico delle terre elvetiche. In pochi giorni, nel viaggio da Ginevra a Costanza, M. riesce a sapere degli s. quanto nessuno mai in quel tempo aveva saputo cogliere con tanta perspicacia.
Grazie alla rapida, ma intensissima esperienza di viaggio in Svizzera, M. acquisì (come già rilevato da Gennaro Sasso) una nuova apertura d’orizzonte sulla politica europea del tempo, soprattutto ponendo in risalto la differenza tra le forme statuali della Francia e della Magna (termine, questo, con cui M. usava ricomprendere, non senza approssimazione, sia terre elvetiche, sia terre germaniche, benché di queste ultime avesse visitato soltanto un poco di Tirolo, essendosi spinto, nel suo viaggio, fino a Innsbruck). Contrariamente a quanto talvolta si è ritenuto (per es. da Federico Chabod), i giudizi di M. sugli s. sono rigorosamente coerenti, nell’intreccio che egli tesse tra le osservazioni concernenti la forza militare degli s., quelle attinenti il loro assetto sociale, quelle relative alle loro possibili strategie politiche nei confronti degli Stati con loro confinanti.
Degli aspetti militari, M. discorre a più riprese, con trattazioni in dettaglio, sia nei Discorsi (per es. I lv 9-17, II xix 18 e 23) sia nell’Arte della guerra (per es. II). M. notava che gli s., contrariamente a qualsiasi altra comunità politica del tempo, riuscivano a trarre denaro dall’esercizio della guerra, invece che spenderne. Il servizio mercenario, ancorché rimesso prevalentemente a una scelta volontaria, era strutturato in una sorta di arruolamento centralizzato, con l’unificazione delle forze e la loro messa in campo di volta in volta, ora con l’uno, ora con l’altro degli Stati d’Europa, a seguito di negoziati condotti unitariamente. Si trattava, di fatto, di una sorta di esercito arruolato in proprio, per prestare servizio di guerra nell’interesse di altri Stati, lucrandone una cospicua ricchezza. D’altra parte, gli s., per far fronte a eventuali esigenze di difesa del proprio territorio, potevano disporre la leva coercitiva di un esercito di interesse collettivo, formato con il concorso di tutte le comunità. Degli s. M. rileva anche il coraggio e molte scelte di arte militare, a partire dal quadrato di fanterie, armate di picca, capace di tenere saldamente il campo anche contro l’artiglieria. Insomma, gli s., esempio paradigmatico di popolazione armata, «soli dell’antica milizia ritengono alcuna ombra» (Arte della guerra II 144). E offrono un modello attuale di «armi proprie» (→ armi).
Riguardo all’assetto antropologico nonché sociale e politico degli s., il giudizio di M. suona ben diverso, per es., da quello di Francesco Guicciardini, che li considera «villani nati nelle montagne» (come li aveva qualificati sdegnosamente il re di Francia), «generazione che abita nelle montagne più alte, uomini per natura feroci, rusticani, e per la sterilità del paese più tosto pastori che agricoltori [...] gente tanto orrida e inculta» (Storia d’Italia, X viii, nonché IX i). M., per contro, mentre si distacca criticamente dai modelli elogiativi elaborati da Tacito a proposito dei Germani, elogia la vita degli s. aliena dal lusso, attenta a commisurare le spese a criteri di convenienza e devota all’osservanza di una «buona religione», nel rispetto sacro dei legami costitutivi della solidarietà civile per il bene comune, anche attraverso il comune impegno alla guerra di difesa (Zanzi 2009). È questo che M. chiama la «libera libertà» degli svizzeri. Nel Ritratto delle cose della Magna (§§ 16-22) mostra di aver ben compreso gli «ordini» con cui gli s. avevano costruito la loro comunità politica, imperniata su una fondamentale condizione di «equalità»:
perché li Svizzeri, non solamente sono i nimici alli principi come le comunità, ma eziandio sono inimici alli gentili uomini: perché nel paese loro non è della una specie, né dell’altra, e godonsi, sanza distinzione alcuna di uomini, fuori di quelli che seggono nelli magistrati, una libera libertà (§ 18).
La libertà degli s. era stata conquistata e costruita ‘dal basso’, non ottenuta in concessione dall’alto. M. comprende il ruolo fondante delle comunità rurali, che avevano progressivamente raggiunto un legame federativo imperniato sull’unità nel difendersi verso i nemici esterni (così già, per es., nel cosiddetto patto di Torre, del 1182) e sull’autonomia di ciascuna comunità nel governo locale imperniato sulle relazioni comunitarie fra liberi contadini (già sancite nel 12° sec.). Preme segnalare, infine, altri due aspetti colti da M.: l’ambiente naturale (considerato condizionante le forme politiche, come rilevato altrove per Venezia: Discorsi I vi 8-11) che consente agli s. di arroccarsi in un «piccolo loro dominio» (è la formula del ‘piccolo Stato’ che si ritroverà in Werner Kaegi) entro la cerchia di montagne che, come una muraglia difensiva, consente loro di vivere in «quiete» (Discorsi II xix 9-19); proprio la quiete dell’ordine interno fa sì che gli s. siano più forti in guerra: «E sanza dubbio gli uomini feroci e disordinati sono molto più deboli che i timidi e ordinati; perché l’ordine caccia dagli uomini il timore, il disordine scema la ferocia» (Arte della guerra II 141). Si coglie qui anche un richiamo significativo alla matrice culturale medico-ippocratica:
Laddove gli uomini non son signori di sé stessi e delle proprie leggi, ma soggetti a despoti, non pensano già a come addestrarsi alla guerra, bensì a come sembrare inetti a combattere (Ippocrate, Le arie, le acque, i luoghi, in Opere, a cura di M. Vegetti, 1965, p. 192).
In un serrato dialogo epistolare con Vettori (cfr. in particolare le lettere di M., 10 ag. 1513 e 10 dic. 1514, Lettere, pp. 274 e 332), M. discuteva la possibilità che gli s., così dotati di forza militare, facessero leva su di essa per estendere sempre più il proprio dominio. Il timore degli s., che M. condivideva con Vettori, si era fatto più vivo da quando Matthias Schiner, vescovo di Sion, si era fatto promotore di un disegno espansionistico. La questione esigeva di essere affrontata, prendendo in considerazione gli ordinamenti statuali elevetici. Vettori, allegando Aristotele, giudicava la lega degli s. (che era propriamente una lega di leghe) come un corpo fragile, che si sarebbe facilmente disgregato. M., per contro, già ai tempi del suo viaggio nel 1507-08, aveva compreso che, per ragioni ambientali e storiche, la lega degli s. avrebbe tenuto:
el corpo principale de’ Svizzeri sono xii comunanze collegate insieme, le quali chiamano Cantoni [...] Costoro sono in modo collegati insieme che quello che è deliberato è sempre osservato da tutti, né alcuno Cantone vi si opporrebbe (M. ai Dieci, da Bolzano, 17 genn. 1508, LCSG, 6° t., p. 104).
Pertanto, M. respinge l’ipotesi di Vettori addirittura dichiarando di voler ignorare Aristotele a vantaggio dell’esperienza storica, la quale attesta come «i Lucumoni tennono tutta l’Italia insino all’Alpe, e insino che ne furono cacciati di Lombardia da’ Galli». Gli s. non smarriranno la loro unità, «in mentre che le loro leggi si osserveranno, che sono per osservarle un pezzo». Fondamento della potenza militare svizzera sono dunque le «leggi», l’ordinamento democratico comunale di una lega federativa imperniata sulla «libera libertà» della comunità.
Bibliografia: A. Daguet, Machiavel et les Suisses. Étude d’histoire nationale et étrangère, Neuchâtel 1877; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 2° vol., Milano 1913; F. Scorretti, Machiavel et les Suisses, Neuchâtel 1942; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954; G. Sasso, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Bologna 1980; V. Reinhardt, Machiavellis helvetische Projektion. Neue Überlegungen zu einem alten Thema, «Schweizerische Zeitschrift für Geschichte», 1995, 45, pp. 301-29; B. Wicht, L’idée de milice et le modèle suisse dans la pensée de Machiavel, Lausanne 1995; D. Fachard, Implicazioni politiche nell’Arte della guerra, in Niccolò Machiavelli. Politico storico letterato, Atti del Convegno, Losanna 27-30 settembre 1995, a cura di J.-J. Marchand, Roma 1996, pp. 149-73; C. Vivanti, Niccolò Machiavelli. I tempi della politica, Roma 2008; L. Zanzi, Machiavelli e gli “Svizzeri”, Bellinzona 2009; L. Zanzi, Il metodo del Machiavelli, Bologna 2014.