swappista
s. m. e f. Chi si dà al baratto di oggetti che non ama più o che è pentito di aver comprato.
• Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna già da qualche anno gli swapping parties, feste del baratto chic, hanno creato circoli virtuosi di beni e comportamenti: vestiti griffati da portarsi a casa al posto dei propri lasciando intatta la carta di credito e anche la responsabilità etica. In Italia il fenomeno è più artigianale e familiare, come è tipico della nostra tradizione economica, anche se esistono marchi come il bolognese Swap club, filosofia eco-glamour e parecchi iscritti. Gli «swappisti» sono assai motivati, sono gruppo. Si cercano, si incontrano, scambiano. Creano, come le community sul web. Bar e locali le loro piazze, appuntamenti anche da migliaia di invitati. Più che altro donne, 20-30enni, buon conto in banca, credenziali verdi. (Alessandra Retico, Repubblica, 3 agosto 2007, p. 31, Cronaca) • Trenta swap a Roma (segnalata la location di via del Babuino, «My cup of tea»), dieci a Bologna, venticinque a Milano, alcuni recensiti su Internet come eventi mondani: qualità degli oggetti, spazio, catering, galateo. Certo, il baratto è legato alla moda, perché le swappiste felici, brutto neologismo, sono soprattutto donne. E proprio tra le fashion victim si annida il senso di colpa per incauti acquisti, tipo un abito taglia 38 di Alberta Ferretti (comprato senza aver prima perso sei-sette chili), che rende lo scambio con una borsa Gucci plausibile e gratificante. Ma una volta accettato il principio non esiste un limite. (Roselina Salemi, Stampa, 28 dicembre 2008, p. 25, Cronache Italiane).
- Derivato dal s. ingl. swap ‘scambio’ con l’aggiunta del suffisso -ista.