Pollack, Sydney
Regista, produttore e attore cinematografico statunitense, nato a Lafayette (Indiana) il 1° luglio 1934, da genitori ebrei di origine russa. È stato tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta uno dei registi che hanno inciso con maggior vigore nel panorama cinematografico del suo Paese. Nella sua filmografia si possono individuare alcuni temi e motivi stilistici ricorrenti: il rimpianto di un'America rurale ormai scomparsa e di quella intellettuale e combattiva del New deal, tipico del 'cinema della nostalgia' degli anni Settanta; il lavoro di revisione critica e di contaminazione di generi consolidati (la commedia sentimentale, il western, il thriller), pur condotto all'interno di meccanismi di racconto tradizionali; un certo gusto dell'esotismo, che negli esiti meno felici diventa maniera, ma in quelli più interessanti si fa attenzione alla diversità delle culture. Democratico sincero, non ha tuttavia mai trascurato le ragioni dello spettacolo, passando da opere critiche e spesso amare, in cui si è avvalso del contributo di sceneggiatori di valore, a realizzazioni più commerciali, pur sempre sostenute da una grande abilità professionale, che gli ha fruttato l'Oscar alla regia nel 1986 per Out of Africa (1985; La mia Africa). Ha dimostrato una notevole abilità nel dirigere gli attori, privilegiando fin dall'inizio Robert Redford, suo amico dal 1962 e divenuto per lui, nel corso di ben sette film, una sorta di alter ego. Negli ultimi anni ha affiancato al lavoro di regista quello di produttore, e ha riscoperto il piacere di misurarsi con la recitazione.
Compiuti gli studi superiori, si trasferì a New York per intraprendere la carriera di attore. Frequentò le lezioni di Sanford Meisner alla Neighborhood Playhouse, dove dal 1956 al 1960 si fece apprezzare anche come insegnante. Dopo le prime interpretazioni teatrali, si orientò verso la regia, grazie anche all'appoggio di John Frankenheimer, che lo aveva diretto in un episodio della serie televisiva Playhouse 90. Trasferitosi a Hollywood, nella prima metà degli anni Sessanta lavorò come regista per il piccolo schermo. Passò al cinema nel 1965, con The slender thread (La vita corre sul filo), melodramma di impianto teatrale che risente ancora di un certo schematismo di origine televisiva. Il suo stile personale iniziò a definirsi l'anno seguente con This property is condemned (Questa ragazza è di tutti), il primo film con Robert Redford (tratto da un dramma di T. Williams e sceneggiato, tra gli altri, da Francis Ford Coppola), commossa rivisitazione dell'America della Grande depressione. Ma il talento di P. si rivelò pienamente nel 1969 con They shoot horses, don't they? (Non si uccidono così anche i cavalli?) tratto da un romanzo di H. McCoy e ambientato nello stesso periodo del precedente film, in cui la vicenda di una massacrante maratona di danza diventa metafora della condizione umana. Altrettanto memorabile è il western Jeremiah Johnson (1972; Corvo rosso non avrai il mio scalpo), sceneggiato, tra gli altri, da John Milius, che ha rappresentato una delle principali tappe della ridefinizione di questo genere cinematografico iniziata alla fine degli anni Sessanta: in questo film i pellerossa sono ancora dei nemici, ma la loro civiltà non è più vista come inferiore. Più irrisolto appare The way we were (1973; Come eravamo), tratto da un romanzo e con la sceneggiatura di Arthur Laurents. La relazione contrastata tra due persone profondamente diverse, una militante anticonformista e politicamente coerente (Barbra Streisand) e uno scrittore più disposto al compromesso, viene raccontata sullo sfondo dell'offensiva maccartista contro il mondo del cinema: i produttori, spaventati dalla carica polemica del film, ne tagliarono più di un terzo. L'irritazione di P. per la censura a cui era stato sottoposto si riflette nello spionistico Three days of the Condor (1975; I tre giorni del Condor), dal romanzo di J. Grady, girato non a caso nei giorni dello scandalo Watergate: il classico meccanismo dell'uomo comune coinvolto suo malgrado in una vicenda dai contorni oscuri è inserito all'interno di un'esplicita critica nei confronti della CIA. Ma l'apice del lavoro di P., secondo molti, è stato toccato nello stesso anno con il sottovalutato The Yakuza (Yakuza), sceneggiato, tra gli altri, da Paul Schrader, inedita mescolanza di generi ambientata nel mondo della mafia giapponese: all'apparenza solo un poliziesco, è piuttosto una sorta di neowestern crepuscolare, in cui un uomo stanco e disilluso (un amaro Robert Mitchum) si trova a doversi confrontare tragicamente con i temi dell'amicizia, del codice d'onore, del rispetto per le culture diverse dalla propria.
Nelle opere successive, meno originali, hanno cominciato a evidenziarsi i limiti dell'ambivalenza di fondo di P., al quale non ha forse giovato la frequente collaborazione con lo sceneggiatore Kurt Luedtke. Nel western moderno The electric horseman (1979; Il cavaliere elettrico) appaiono poco convincenti l'elogio romantico del mondo dei pionieri e la proposta di un ritorno alla natura. Più incisiva, ma nel complesso limitata, la critica allo strapotere della stampa di Absence of malice (1981; Diritto di cronaca); mentre la commedia satirica Tootsie del 1982, intelligente riflessione sul mondo dello spettacolo e sull'ambiguità dei ruoli sessuali, ha il suo punto di forza nella grande performance di Dustin Hoffman nella parte di un attore costretto a travestirsi da donna per poter lavorare in un serial televisivo. È significativo che proprio per un film visivamente affascinante seppur accademico, Out of Africa, dall'autobiografia di Karen Blixen, siano arrivati gli Oscar: ben sette, tra cui oltre a quello per la regia anche quello per il miglior film. Non dissimili da quest'ultima sono state le opere seguenti: il costosissimo Havana (1990), ispirato a Casablanca (1942) di Michael Curtiz; il thriller The firm (1993; Il socio); Sabrina (1995), remake lontano dallo scintillante originale di Billy Wilder; il sentimentale Random hearts (1999; Destini incrociati), da un romanzo di Warren Adler.
Dagli anni Settanta è anche produttore, e dagli anni Ottanta è tornato a recitare, in opere dirette sia da lui (Tootsie, Random hearts) sia da altri: da ricordare Eyes wide shut (1999) di Stanley Kubrick, in cui interpreta il personaggio di un ambiguo esponente della upper class. Ma è stato Husbands and wives (1992; Mariti e mogli) di Woody Allen il lavoro in cui P., nel ruolo di un intellettuale ebreo di mezz'età, deluso da sé stesso ma ancora pieno di vitalità, è sembrato delineare un ritratto impietoso e sincero della propria vita e della propria carriera.
Sydney Pollack, éd. J.A. Gili, Nice 1971.
R. Trotta, Sydney Pollack, Milano 1977.
F. La Polla, Sydney Pollack, Firenze 1978.
W.R. Taylor, Sydney Pollack, Boston 1981.
S. Dworkin, Making Tootsie: a film study with Dustin Hoffman and Sydney Pollack, New York 1983.
M. Leon, Sydney Pollack, Paris 1991.
Sydney Pollack cineasta e gentiluomo, a cura di F. La Polla, Torino 1997.
J.L. Mayer, Sydney Pollack: a critical filmography, Jefferson (NC) 1998.