Koscina, Sylva
Attrice cinematografica, nata a Zagabria il 22 agosto 1933, da padre greco e madre polacca, e morta a Roma il 26 dicembre 1994. Brillante promessa del cinema italiano degli anni Cinquanta, ebbe una carriera altalenante: il primo ruolo da protagonista, in Il ferroviere (1956) diretto da Pietro Germi, la rese subito celebre grazie all'intensa parte di una giovane donna fallita. Successivamente, a causa dell'aspetto vulnerabile, diede vita a personaggi sexy ma sempre raffinati, in grado di catalizzare il desiderio di uomini fatui e guasconi, diventando un'attrice familiare a tutti gli italiani, pur senza mai riuscire a trasformarsi in una vera stella. Lontana dallo stereotipo delle maggiorate, la K. comparve all'interno di ogni filone del cinema italiano, dalla commedia farsesca al peplum, dal film a episodi alla coproduzione internazionale. La frequentazione del grande cinema d'autore, grazie a registi quali Federico Fellini, Dino Risi, Mauro Bolognini, Luigi Zampa e molti altri, non le impedì tuttavia di seguire il corso dei generi popolari, nei quali recitò anche nella fase della loro decadenza.
Con la famiglia giunse in Italia alla fine del secondo conflitto mondiale. Dopo intermittenti studi di fisica e alcuni concorsi di bellezza vinti, esordì nel 1955 con Siamo uomini o caporali? di Camillo Mastrocinque. Esempio atipico di pin-up senza forme prosperose, la K. poteva contare sul fisico minuto e su un'aria poco mediterranea. Il fascino emanato dalla sua figura non era, però, sufficiente a imporla con la dovuta forza. Nei suoi numerosi film, quindi, dovette esercitare la propria avvenenza con malizia e ironia. Le toccarono ruoli amari in Guendalina (1957) di Alberto Lattuada e Giovani mariti di Bolognini, e brillanti in Ladro lui, ladra lei di Zampa, Totò nella Luna di Steno, Mogli pericolose di Luigi Comencini, tutti del 1958, e nel film a episodi Made in Italy (1965) di Nanni Loy. Spesso relegata a ruoli puramente decorativi, come in Copacabana Palace (1962) di Steno, o nei 'cappa e spada', per es. Cyrano e D'Artagnan (1963) di Abel Gance, seppe dimostrare forte senso dell'autoironia in Il vigile (1960) diretto da Zampa, dove, nella parte di sé stessa, incanta il pubblico ufficiale interpretato da Alberto Sordi, in una divertente sequenza divenuta giustamente celebre.
Tra un film spionistico e una commedia balneare, questa protagonista 'inoffensiva' del cinema italiano trovò modo anche di conquistare Fellini, che la volle per una piccola parte in Giulietta degli spiriti (1965). Nella seconda metà degli anni Sessanta fu coinvolta nella massiccia tendenza alla coproduzione internazionale che stava investendo il cinema italiano e in cui lei non poteva che essere favorita per il proprio cosmopolitismo. Nemmeno i film di Yves Robert (Monnaie de singe, 1966, I sette falsari), Yves Allégret (Johnny Banco, 1967) e Robert Siodmak (Kampf um Rom, 1968, La calata dei barbari) o del montenegrino Veliko Bulajić (Bitka na Neretvi, 1969, La battaglia della Neretva), però, riuscirono a consentirle di affermarsi all'estero e la sua carriera risultò improntata più alla quantità che alla qualità. Mentre le cronache enfatizzavano le sue sfortune in amore (aveva sposato un bigamo), lei calcava anche i palcoscenici e partecipava a numerosi sceneggiati televisivi. La lenta agonia del cinema di genere italiano, che la vide coinvolta anche nel sexy (Mazzabubù… Quante corna stanno quaggiù?, 1971, di Mariano Laurenti), nel 'poliziottesco' (La mala ordina, 1972, di Fernando Di Leo), nell'horror (La casa dell'esorcismo, 1975, di Mario Bava) e nella parodia (Il cav. Costante Nicosia demoniaco, ovvero: Dracula in Brianza, 1975, di Lucio Fulci), convinse l'attrice a privilegiare altre strade. L'ultima apparizione risale al film C'è Kim Novak al telefono (1994) di Enrico Roseo.
V. Spinazzola, Cinema e pubblico. Lo spettacolo filmico in Italia 1945-1965, Milano 1974, pp. 332-33; E. Giacovelli, La commedia all'italiana, Roma 1990, p. 244.