Tabù
Il termine tabu (dall'inglese taboo, adattamento del termine polinesiano tapu, che significa "sottoposto a restrizioni" e, in senso più ampio e in relazione alle concezioni rituali e religiose, anche "sacro" o "proibito") in etnologia e in storia delle religioni indica l'interdizione di avere contatto con determinate persone, di frequentare certi luoghi, di cibarsi di alcuni alimenti, imposta per motivi di rispetto, per ragioni rituali o igieniche ecc. Culturalmente la sua funzione consiste nell'ordinare la realtà sociale costituendo una guida alle azioni umane in moltissime circostanze altrimenti ambigue. In psicoanalisi per tabu si intende ogni atto proibito o pensiero non ammissibile alla coscienza e, in particolare, le restrizioni del comportamento che si hanno nella nevrosi ossessiva.
l. Definizione Il concetto polinesiano di tabu, nelle sue numerose varianti linguistiche, racchiude una costellazione di significati difficile da risolvere con una definizione. Nella lingua maori, tapu significa "sottoposto a restrizioni, proibito", in una doppia accezione: nel senso di 'sacro' e 'consacrato', ma anche nel senso di 'contaminato', nel caso per es. di una persona che sia entrata in contatto, in forme dirette o indirette, con il corpo di un capo sacralizzato, che sia entrata in un luogo proibito o che abbia toccato un cadavere oppure delle ossa umane (Steiner 1956). Estrapolata dai diari di viaggio del capitano J. Cook (che per primo, intorno alla fine del 18° secolo, descrisse le usanze polinesiane), la parola tabu esercitò un forte fascino nell'Inghilterra vittoriana, dove si diffuse rapidamente e divenne di uso comune. Parallelamente, gli antropologi del tempo fecero di questo termine una categoria interpretativa, applicabile a tutti quei contesti umani, in varie parti del mondo, dove si praticavano rituali di evitamento o prescrizioni di vario genere; oppure dove si incontravano concezioni nelle quali la dimensione del sacro era correlata in qualche modo a quella dell'impurità e della contaminazione. Attraverso questa generalizzazione, che è stata ampiamente discussa e contestata, ci si allontanò dal significato originario del concetto polinesiano, e il termine tabu diventò un utile strumento intellettuale che le classi colte europee potevano usare indifferentemente per parlare dei costumi degli 'altri' come di quelli propri. S. Freud, per es., in linea con gli antropologi vittoriani, utilizzò questo termine per costruire il suo discorso sulla nevrosi ossessiva, considerata in analogia ai tabu delle società primitive (v. oltre: Aspetti psicologici). Sostanzialmente è in questa accezione psicoanalitica che la parola è entrata nel nostro uso comune, insieme a un'idea piuttosto vaga di azioni o dimensioni proibite, la cui violazione può innescare minacciose sanzioni soprannaturali, nell'ambito di quel substrato superstizioso che continua a convivere con la nostra mente razionale.
La spiegazione eschimese del tabu (o di espressioni analoghe come inuin aglerpägtun, che per i netsilik significa "divieto di fare certe cose") è che questo sistema di prescrizioni serve a mantenere l'equilibrio tra società umana e natura circostante. Quando una di queste regole di vita tradizionali viene violata, l'equilibrio si infrange, gli spiriti si adirano e le forze della natura da essi controllate diventano forze avverse e nefaste. La violazione delle regole si riflette anche sul corpo dei trasgressori, provocando le malattie (Rasmussen 1932, pp. 36, 62). Focalizzando l'attenzione sul corpo si possono considerare, nell'ampia letteratura etnografica, quegli aspetti del tabu che riguardano specificamente le concezioni relative al contatto e alla contaminazione. La questione può essere affrontata su due versanti, comunque intersecati: le pratiche di evitamento del contatto con particolari sostanze, alimenti, oggetti o regioni del corpo da parte di individui che si trovano in una speciale condizione fisica, psichica o sociale; le caratteristiche peculiari di alcune sostanze, di zone del corpo, di persone (e più in generale di cose o di luoghi), per le quali si tende a evitare, in modo permanente, di entrare in contatto con esse (oppure di recarsi in un determinato luogo, di toccare un particolare oggetto sacro o di avvicinare una casta di 'intoccabili'). Da un lato vi sono dunque prescrizioni temporanee, legate a un particolare status o condizione rituale attraversata dal soggetto, dall'altro si stabilisce una condizione permanente di evitamento. Tutto questo va però considerato in senso più ampio e complesso (e in ciò sta la debolezza della categoria tabu). È necessario cioè ricorrere a quella metafora 'energetica' che solitamente si usa per spiegare il pensiero magico e simbolico, per osservare come in queste concezioni i poli possano continuamente invertirsi: ciò che non deve essere toccato può diventare, in speciali condizioni, terapeutico; si può avere accesso a un luogo sacralizzato in particolari fasi di un rito; oggetti o effigi sacre possono essere deliberatamente toccate, secondo l'inversione dello stesso principio per cui venivano rigorosamente custodite o perfino celate allo sguardo. Un esempio tipico è quello che riguarda le concezioni e le prescrizioni relative al sangue mestruale, diffuse un po' dappertutto in vari contesti sociali e culturali (v. mestruazione). La tradizione occidentale ha ereditato dalla Naturalis historia di Plinio, ma anche dall'Antico Testamento (Levitico 15, 19-32) una concezione particolarmente severa, per la quale il sangue mestruale è una sostanza altamente pericolosa, in grado non solo di contaminare o deteriorare gli alimenti ma anche di influenzare negativamente i processi generativi e di inaridire i raccolti. In questo senso la donna nel periodo del ciclo mestruale (ma anche in quello successivo al parto) diventa essa stessa pericolosa e contaminante per le persone con cui può entrare in contatto, e per questo deve essere segregata (e dunque 'tabuizzata', nel senso classico del termine). F.B. Steiner (1956) riporta le versioni polinesiane di queste concezioni, precisando che esse non sono caratteristiche del complesso locale del tabu, e che vi è un'ampia variabilità, da un'isola all'altra e presso le diverse società, nel rigore e negli oggetti che risultano connessi ai tabu mestruali. Nelle Isole Marchesi la donna veniva segregata per tre giorni. Presso i maori, invece, le donne durante il ciclo erano libere di svolgere i lavori domestici e soltanto il sangue mestruale era tabuizzato. Per i tuhoe erano specialmente gli assorbenti usati a essere tabu: si doveva utilizzare una particolare specie di muschio per confezionarli, uno speciale luogo della foresta per nasconderli ed era fortissima l'umiliazione e la vergogna della donna se un uomo vedeva il suo kopa usato. Esempi di tabu mestruale sono presenti, con diverse accentuazioni (e diversi significati), in Africa come pure in varie parti del mondo. Un'ampia gamma di concezioni si trova nelle culture native dell'America Settentrionale. Oltre alle varie regole di isolamento della donna mestruata, o di protezione dallo sguardo dell'adolescente nel periodo del menarca, è ampiamente diffuso tra i popoli cacciatori del subartico il terrore dei maschi che una ragazzina sbadata e 'nella sua luna' inciampi sulle loro gambe, o beva alla loro scodella, o tocchi le loro armi e i loro amuleti, o anche soltanto posi lo sguardo sulla selvaggina uccisa mentre viene portata nell'accampamento. Tuttora, in molte cerimonie religiose, le donne durante il ciclo vengono escluse o segregate in un luogo speciale, o viene loro rigorosamente proibito di toccare gli oggetti sacri durante le funzioni. Elementi interessanti per la comprensione di questo sistema ideologico legato alle mestruazioni emergono da una ricerca sui cacciatori cree del Manitoba canadese. Nella concezione cree il sangue mestruale, al momento in cui si trova all'interno del corpo, costituisce la materia prima dalla quale la vita umana prende forma. Quando invece esso viene espulso all'esterno, come residuo inutilizzato, questo stesso elemento può diventare veleno, causare malattie, morte, sterilità (ovvero interrompere i processi di rigenerazione della selvaggina, nel ciclo rituale della caccia). Le mestruazioni sono parte di un sistema, insieme al sesso, al concepimento e alla nascita, corrispettivo a quello del nutrimento e dell'abbondanza sul piano della natura (Brightman 1993). In definitiva, quello che i cacciatori del subartico vogliono sottolineare, attraverso i tabu mestruali, è l'ambivalenza del potere generativo femminile: ciò che dà la vita può semplicemente invertirsi di segno e togliere la vita. La fecondità può rovesciarsi in sterilità o carestia. Per questo le ragazze nel periodo del menarca si trovano a possedere un potere generativo (affine al potere spirituale, presso queste culture) che deve essere circoscritto e in un certo senso 'schermato'. Risulta dunque più chiaro il fatto che in molti riferimenti relativi al tabu della donna mestruata le proprietà 'contaminanti', in determinati contesti, possono risultare benefiche. Così le donne mestruate ai tempi di Plinio venivano portate a passeggio nei campi, perché eliminassero con i loro poteri i parassiti del terreno (Magli 1982); oppure le ragazze chippewa (tribù nordamericana) potevano confezionare mocassini durante il periodo di segregazione mestruale, o guarire alcune malattie tramite la loro saliva. La saliva è un altro esempio di sostanza corporea considerata tabu, ossia contaminante, ma anche carica di virtù magiche o terapeutiche. I marabù dell'Africa occidentale, per es., lasciano colare la propria saliva sulla testa del malato, pronunciando formule magiche. Le Scritture riportano che Gesù stesso guarì un cieco con la sua saliva, mescolandola con la terra e poi passandogliela sugli occhi (Giovanni 9, 6). Presso i bramini havik dell'India la saliva è considerata invece un sostanza molto impura e contaminante, e rispetto a essa vi sono regole di protezione rituale particolarmente rigide. Come riporta M. Douglas (1966), basta il contatto fisico con una persona impura o di casta inferiore per trasferire l'impurità sul bramino e renderlo inabile alle funzioni rituali. Per questo è necessario almeno un bagno quotidiano e numerosi lavacri delle mani e dei piedi a seconda dei contatti avuti durante la giornata e in occasione dei pasti. I cibi possono essere contaminanti se sono stati manipolati da persone di casta inferiore. Per la natura contaminante della saliva, anche quella del bramino stesso, l'atto del mangiare è circondato da prescrizioni. Se il bramino inavvertitamente tocca le sue labbra con le dita deve lavarsi o cambiarsi d'abito. Il potere contaminante della saliva si trasferisce sugli oggetti, donde l'usanza di bere l'acqua versandola direttamente in bocca, per evitare di accostare le labbra al contenitore. Gli alimenti che possono essere introdotti interi nella bocca determinano minore contaminazione rispetto a quelli che devono essere morsi. I cuochi del bramino, da parte loro, non devono assaggiare il cibo che stanno preparando, perché il contatto delle loro labbra con le dita provocherebbe la perdita di quella condizione di purezza necessaria per il compito di protezione degli alimenti che è stato loro affidato. Durante i pasti, il bramino si trova dunque in una situazione limite, di impurità potenziale. Se incidentalmente tocca la mano o il mestolo dell'inserviente, quest'ultimo deve cambiarsi d'abito prima di poter nuovamente servire il cibo. Dato che questo genere di contaminazione si può trasmettere attraverso oggetti, quali le sedie, un ospite appartenente a un'altra casta dovrà sedersi in un posto separato. L'unica persona che non subisce la contaminazione è la moglie del bramino, in virtù della sua relazione personale con il marito. Nella vita privata le regole si infittiscono, ripartendosi in suddivisioni sempre più sottili, stabilendo comportamenti rituali relativi alle sostanze che fuoriescono dal corpo e alla pulizia personale. Così, per es., va usata la mano sinistra per la pulizia delle parti intime (secondo un'usanza diffusa anche in tutto il mondo islamico), mentre per mangiare si adopera soltanto la destra. Un altro interessante esempio nel quale si può osservare come il corpo fisico venga 'ridisegnato' dal corpo sociale è quello degli zingari rom, che molto probabilmente hanno ereditato dall'India le concezioni di purezza e contaminazione relative alle diverse parti del corpo. Anche per essi, come per i bramini, vi sono regole precise per il trattamento e la preparazione del cibo. Per evitare contatti contaminanti, tutte le stoviglie e gli utensili di cucina devono essere lavati in bacinelle speciali e asciugati con speciali salviette. Consapevoli che i non-zingari (gaje) non osservano minimamente questo genere di prescrizioni, i rom tradizionalisti che si trovano a mangiare fuori delle loro comunità preferiscono acquistare cibo da asporto, o frequentare quei locali dove il cibo è servito in piatti e posate di plastica e le bevande in bicchieri di carta. In casi estremi, preferiscono servirsi delle proprie mani piuttosto che usare posate non lavate secondo i loro criteri (Sutherland 1977). Il concetto rom di contaminazione, che è indicato con il termine marime, offre una prospettiva molto utile per chiarire in generale il concetto di tabu. Marime rappresenta un insieme complesso di significati: letteralmente indica ciò che è contaminato, macchiato o sporco. Il termine deriva probabilmente dalla radice sanscrita mrks ("denigrare, macchiare") da cui la parola hindi mala, con lo stesso significato di sporco o macchiato. Per A. Sutherland, che ha condotto ricerche tra i rom dell'America Settentrionale, il concetto di marime può essere ricondotto a due categorie di significato. Può indicare, in primo luogo, la sporcizia o l'impurità in senso fisico, morale e rituale. Il termine viene sempre comunque distinto da quello che indica una condizione di sporcizia temporanea. Per es., le mani sporche di grasso di chi lavora in officina sono melalo, le mani che hanno toccato i genitali sono marime. In secondo luogo, marime significa reietto, nel senso di chi, moralmente impuro, è stato bandito dalla comunità. I non-zingari sono considerati marime in senso ampio, perché sono situati al di fuori dei confini morali del gruppo, non osservando le corrette regole di purezza e di pulizia del corpo. Nel caso di matrimoni misti, se un uomo rom sposa una donna non-zingara, lo status di purezza della moglie va costantemente verificato; una donna rom che decide di prendere un marito non-zingaro, cosa alquanto rara, diventa automaticamente impura e deve allontanarsi permanentemente dalla comunità. Marime è dunque, come precisa Sutherland, un concetto flessibile, che definisce dei confini nelle varie situazioni sociali, e un codice di comportamento cui conformarsi. Il principale confine resta comunque quello etnico, tra i rom e i non-zingari. I contatti fisici con i gaje, in modo speciale quelli sessuali, sono marime. I gaje sono inoltre considerati responsabili di gran parte delle malattie, per cui i rom, nei locali pubblici, evitano il più possibile di toccare le superfici e gli oggetti che possono veicolare la contaminazione. Il concetto di marime stabilisce inoltre altri confini interni alla comunità, tra i diversi gruppi cognatici e le classi di età. I bambini sono considerati genericamente puri (wuzho) nel corpo e nelle azioni, perciò sono lasciati liberi di comportarsi come credono. Alla pubertà i ragazzi sono educati e introdotti all'idea del pudore, al controllo delle secrezioni corporee contaminanti, come lo sperma o il sangue mestruale, e dei rapporti sessuali. Gli anziani recuperano gradatamente la loro condizione wuzho e vengono per questo rispettati e venerati. In relazione al corpo umano, i rom stabiliscono una precisa linea di demarcazione tra la parte bassa e la parte alta, all'altezza della cintola. La parte inferiore del corpo è marime. Le mani, che si muovono lungo le due metà del corpo, hanno uno stato di contaminazione determinato da cosa hanno toccato. Le secrezioni della parte inferiore del corpo, come il sangue mestruale, le feci o l'urina, sono contaminanti, le secrezioni della parte superiore non lo sono. La saliva è considerata una sostanza pulita, che può essere usata per curare le ferite, per alleviare i dolori del parto o contrastare il malocchio. Le ragazze dopo la prima mestruazione devono osservare particolari regole per la pulizia personale, il vestiario, la preparazione del cibo, il modo di mangiare, e cominciare a comportarsi come le donne adulte. A partire da questo periodo indosseranno il tipico abbigliamento della donna zingara, che segna la separazione tra la parte superiore del corpo, vestita con abiti spezzati alla vita, e la parte inferiore, coperta da un'ampia gonna e da sottovesti. I vestiti della parte alta vanno lavati separatamente da quelli della parte bassa, e ancora distinti dal bucato maschile e da quello dei bambini. In generale, sia gli uomini sia le donne, per la pulizia personale, devono usare saponi e salviette distinte per la parte superiore e inferiore del corpo. Le ragazze divenute donne devono rispettare gli uomini, evitando incontri frontali, e facendo attenzione a non calpestare i loro vestiti o sfiorare il loro corpo con il lembo della gonna. Durante il ciclo mestruale, le ragazze devono dormire in un letto separato da quello delle più giovani, per evitare di entrare in contatto fisico, tenere il viso verso la parete e le gambe incrociate. È preferibile che si astengano dal preparare il cibo. Per la cucina vi è uno speciale grembiule, l'unico abito non spezzato alla cintola. È considerato un indumento 'pulito' e viene tenuto separato dal corpo da uno strato di vestiti. Alcuni di questi grembiuli hanno significato rituale e vengono usati come amuleti. Il sistema wuzho/marime suddivide dunque il corpo umano in quattro sensi: alto/basso; adulto/bambino; maschile/femminile; interno/esterno, riguardo alle sostanze che entrano o che escono dal corpo, e agli indumenti che toccano la superficie del corpo stesso (Sutherland 1977). La demarcazione di zone tabu del corpo fa parte, del resto, anche del complesso polinesiano. Nei tabu anatomici citati da Steiner (1956), che presso i maori segnalavano l'attribuzione di particolari beni in connessione con il corpo tabuizzato di una persona di rango, alcune parti del corpo possedevano un particolare ruolo e valore simbolico. La spina dorsale era, per es., considerata la parte più importante del corpo, insieme agli arti, in quanto questi venivano pensati in continuità con essa. La testa, al di sopra del corpo, era invece considerata la sede del mana, un concetto che definisce la forza vitale universale e insieme l'anima e la condizione rituale della persona. La condizione di tabu (di impurità o pericolosità) attribuita a diverse parti del corpo rivela dunque l'ambivalenza che il pensiero umano esprime nei confronti delle energie generatrici, situate nella sfera sessuale e quindi nelle parti 'basse' del corpo. Nel tabu viene inoltre messa in opera una doppia volontà ordinatrice: sul corpo fisico, assegnando a diverse zone differenti valori simbolici ed 'energetici'; sul corpo sociale, demarcando i ruoli, gli spazi e i comportamenti dei singoli individui.
Per trattare degli aspetti psicologici del tabu è tuttora indispensabile rifarsi a quanto elaborato da S. Freud in Totem und Tabu: nonostante le numerose critiche avanzate alla concezione antropologica freudiana, infatti, il chiarimento del significato psicologico fornito in questo testo rimane fondamentale. Dato che il tabu si esprime con divieti e restrizioni inderivabili, cioè non inseriti in un sistema che li giustifichi e ne spieghi l'origine, le proibizioni che esso impone risultano prive di fondamento, e, secondo la descrizione di W. Wundt, costituiscono "il più antico codice di leggi non scritte dell'umanità" (Freud 1912-13, trad. it., p. 27), risalente a tempi più remoti di qualunque religione. Gli obiettivi perseguiti dal tabu riguardano la protezione dei capi e dei sacerdoti, la difesa dei deboli, la tutela dalla contaminazione, per es. dei cadaveri, la difesa degli atti principali della vita, come nascita e matrimonio, la protezione dall'ira degli dei ecc. I divieti riguardano soprattutto la possibilità di godere di qualcosa, la libertà di movimento e di rapporti. Il tabu costituisce dunque l'espressione della credenza in entità demoniache dei popoli primitivi e può essere riassunto in un unico comandamento originario: guardati dall'ira dei demoni. Freud, inquadrando il problema in una prospettiva psicoanalitica, giunse a formulare ipotesi più complesse. La sua idea era che tutti i tabu richiamassero il nucleo dei desideri infantili e delle nevrosi (v.), in particolare della nevrosi ossessiva. In entrambi i casi, i divieti sono immotivati e misteriosi e devono essere osservati perché esiste la certezza interiore che la loro trasgressione porterebbe sventura. Sia nei tabu sia nella nevrosi ossessiva, le prescrizioni si consolidano per necessità interiori, sono spostabili da un oggetto a un altro e danno luogo a cerimoniali. Soprattutto, entrambi sono sottesi dal desiderio intensissimo di fare proprio quello che la prescrizione oppure il sintomo vietano. Nel caso della nevrosi ossessiva, la paura, per es., di toccare origina dal desiderio, insorto nella prima infanzia, di toccare i propri genitali, desiderio vietato prima dall'esterno, poi da forze interiori. La pulsione viene rimossa e diviene così inconscia, mentre il divieto viene serbato ed è pienamente cosciente: da qui nasce l'ambivalenza emotiva verso l'atto. La motivazione del divieto rimane sconosciuta a causa della rimozione del desiderio e la proibizione è tanto più forte quanto più intensa è la controparte inconscia di questo. Tale componente si sposta su surrogati per evitare lo sbarramento cui è soggetta, ma anche il divieto si sposta e diviene più aspro. L'inibizione reciproca delle due forze deve essere scaricata nelle pratiche ossessive, che sono azioni di compromesso: da un lato testimoniano pentimento ed espiazione, dall'altro costituiscono pratiche sostitutive che risarciscono la pulsione proibita. È possibile trattare il tabu come se fosse un divieto ossessivo? I tabu colpiscono attività verso le quali esisteva in origine un forte desiderio: il permanere stesso del tabu testimonia che il desiderio di fare ciò che è proibito sopravvive anche nei popoli che rispettano il divieto, per cui il tabu può essere definito come "un'azione proibita verso la quale esiste nell'inconscio una forte inclinazione" (Freud 1912-13, trad. it., p. 40). La violazione del tabu spaventa perché desiderata, e il timore è più forte del desiderio. Da ciò si deduce che verso l'azione vietata dal tabu esiste un desiderio fortemente ambivalente, che rischia di indurre in tentazione: il tabu rappresenta dunque una rinuncia a qualcosa di desiderabile. È proprio questa ambivalenza emotiva che è racchiusa nel duplice significato del termine, sacro e impuro, e il divieto del tabu è un esito di questa stessa ambivalenza. Ma qual è l'oggetto primitivo dell'ambivalenza emotiva? Per Freud, il significato del tabu può essere riassunto in due divieti principali: non uccidere l'animale totem e non avere rapporti sessuali con membri dell'altro sesso appartenenti allo stesso totem. Questi dovrebbero essere i desideri più antichi e intensi dell'uomo. In effetti, alla base del tabu esiste un desiderio, altrimenti non vi sarebbe ragione di proibire ciò che nessuno vuol fare: nel caso dei popoli primitivi possiamo dunque pensare che tra le tentazioni più forti vi fosse quella di uccidere i loro sovrani e di commettere l'incesto. Allargando il significato del tabu a quanto espresso dalla nostra coscienza morale, possiamo dedurre che la tentazione di uccidere il nostro prossimo è più forte e frequente di quanto pensiamo, e il tabu e il divieto morale non sono affatto superflui, ma, come dice Freud, "giustificati dall'atteggiamento ambivalente verso l'impulso omicida" (trad. it., p. 77). Dunque, un desiderio malvagio, in genere un desiderio di morte, sottende sempre la formazione del divieto: la punizione per l'infrazione del divieto sostituisce l'ostilità del desiderio. In sintesi: "Il tabu è un antichissimo divieto imposto dal di fuori (da un'autorità) e diretto contro le brame più intense degli uomini. La voglia di violare il tabu permane nel loro inconscio. Gli uomini che rispettano il tabu hanno un atteggiamento ambivalente verso ciò che è da esso colpito. La forza magica attribuita al tabu è riconducibile alla capacità di indurre gli uomini in tentazione. Essa agisce come un contagio perché l'esempio è contagioso, e perché nell'inconscio le voglie proibite si spostano su oggetti diversi. Il fatto che la violazione del tabu possa essere espiata mediante una rinuncia dimostra che alla base del rispetto del tabu c'è una rinuncia" (Freud 1912-13, trad. it., p. 43). L'intuizione freudiana è che questo meccanismo è del tutto analogo a quello dei divieti edipici: i tabu principali del totemismo, non uccidere il totem e non avere rapporti sessuali con una donna appartenente allo stesso totem, coincidono con i desideri principali del bambino, il cui ridestarsi nella vita adulta forma il nucleo della nevrosi. La conclusione è la formazione del totemismo a partire dalle condizioni del complesso edipico. La proiezione dei propri impulsi malvagi sui demoni, che sta alla base del sistema animistico, non è che un modo per eliminare il conflitto emotivo: per liberarsi dell'oppressione interna, viene creato un affanno esterno. Il tabu quindi non sarebbe che un esito dell'ambivalenza emotiva. L'animale totemico è il sostituto del padre: la sua uccisione è un'occasione festosa, eppure esso viene compianto, e questo atteggiamento emotivo ambivalente è analogo a quello del complesso paterno nei bambini. Inoltre, l'animale totemico viene divorato, e così facendo ci si appropria della sua forza. L'uccisione del padre, ammirato e temuto ma odiato in quanto ostacolo ai desideri sessuali dei figli, è seguita dalla sua incorporazione e permette l'identificazione con lui e con la sua potenza. Ma l'ambivalenza emotiva che caratterizza l'atteggiamento nei suoi riguardi dà origine a un senso di colpa espresso come rimorso collettivo: con una sorta di 'obbedienza posteriore' i figli si proibiscono spontaneamente quel che il padre aveva proibito in passato, con la sua esistenza, dichiarano proibita l'uccisione del suo sostituto, il totem, e si interdicono il possesso delle donne che erano divenute disponibili: il senso di colpa crea dunque i tabu del totemismo, che coincidono con i desideri edipici rimossi. Secondo Freud, quindi, "[...] gli inizi della religione, della moralità, della società e dell'arte convergono nel complesso edipico" (trad. it., p. 159); il loro punto di partenza è rappresentato dal rapporto con il padre, nonché dall'ambivalenza emotiva che lo caratterizza: questa è "un fenomeno fondamentale della nostra vita emotiva" (trad. it., p. 160), originata dal complesso edipico. Nei soggetti nevrotici non si riscontrano atti ostili realmente compiuti, ma soltanto il desiderio di compierli, che è stato trattenuto, ma che ha comunque dato origine al senso di colpa, dal momento che la realtà psichica è posta al di sopra della realtà di fatto. Tuttavia, durante l'infanzia, questi desideri ostili vengono avvertiti intensamente, e sono agiti solo nella misura consentita dall'impotenza del bambino, per cui la realtà psichica ha coinciso in una determinata epoca con la realtà di fatto, sia nel caso dei nevrotici sia, probabilmente, dei primitivi. La visione psicoanalitica freudiana del tabu è stata oggetto di forti critiche da parte degli antropologi, che le contestano di non tenere abbastanza conto dei dati scientifici che si hanno a disposizione. Totem und Tabu andrebbe quindi considerato come una grande opera di science-fiction; il suo valore è quello di una grande metafora, illuminante ed esplicativa su alcuni aspetti del funzionamento e della struttura della mente, a proposito del rapporto arcaico con il padre, del Super-Io, della colpa e dell'evoluzione verso l'autonomia e la maturità dell'individuo, se non dei popoli.
Romolo Rossi
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