tacere [imperf. ind. III plur. anche taciensi; pass. rem. I e III singol. anche tacetti e tacette; imperf. cong. i singol. tacesse]
Per quanto sia presente in tutte le opere, compresi il Fiore e il Detto, oltre la metà delle occorrenze appartengono alla Commedia e sono collegate a episodi del viaggio di D. nell'aldilà e all'intrecciarsi del dialogo fra lui e gli spiriti.
Da notare che frequentemente si usa la forma pronominale ‛ tacersi ', senza che tra le due forme ci sia apprezzabile diversità, sia pure in sfumatura di significato.
I valori semantici espressi dal verbo non si discostano notevolmente da quelli che gli sono tuttora propri.
Nella sua accezione più frequente indica l'astensione continuata dal parlare: Tacevansi ambedue già li poeti, / di novo attenti a riguardar dintorno, Pg XXII 115; e così XV 59 e Pd IV 7 i' mi tacea. Nella maggior parte degli esempi è accostato per antitesi a ‛ parlare ' o ad altro verbo di significato analogo: Cv IV II 8 Salomone dice ne lo Ecclesiaste: " Tempo è da parlare, e tempo è da tacere " (Eccl. 3, 7 " tempus tacendi et tempus loquendi "); If XIII 79 " Da ch'el si tace ", / disse 'l poeta a me, " non perder l'ora; / ma parla, e chiedi a lui... "; XXVII 98 domandommi consiglio, e io tacetti; Pg XVIII 5 di fuor tacea, e dentro dicea; Pd XV 9 quelle sustanze... per darmi voglia / ch'io le pregassi, a tacer fur concorde; XVIII 81 Prima, cantando, a sua nota moviensi; / poi... / un poco s'arrestavano e taciensi; e così in If XIII 56, Pd IV 10, XXIX 8, XXX 127. Il gerundio ha per lo più il significato di " restando in silenzio ": If XIV 76 Tacendo divenimmo là 've spiccia / ... un picciol fiumicello; XX 8, Pd XX 81; in If XXIV 78 la dimanda onesta / si de' seguir con l'opera tacendo, è implicita la topica contrapposizione fra le parole e le opere; ha funzione strumentale, e quindi il significato di " con il loro silenzio ", in Pg XIV 128 quell'anime... tacendo, / facëan noi del cammin confidare. Con il ‛ fare ' causativo, in Pg XV 84 tacer mi fer le luci vaghe.
In senso estensivo, è riferito a quanto ci si astiene dal trattare in un'opera scritta: leronimo... dice che meglio è tacere che poco dire (Cv IV V 16; altro esempio nello stesso paragrafo).
In un gruppo di esempi vale " astenersi dal parlare " di un determinato argomento, perché ne manca il tempo o perché non verrebbe a proposito il farlo: If XV 104 Saper d'alcuno è buono; / de li altri fia laudabile tacerci, / ché 'l tempo saria corto a tanto suono; e così in X 120, XIV 131, XXXII 113, Rime LXXXIII 64, Detto 448 e' si taccia. La consapevolezza, vivissima in D., della superiorità della sua descrizione delle metamorfosi dei ladri su quella di Lucano e di Ovidio imprime vivacità e immediatezza al modulo espressivo Taccia Lucano omai là dov'e' tocca / del misero Sabello e di Nasidio (If XXV 94); e così al v. 97.
L'idea di astensione acquista un significato particolare quando al ' parlare ' si dia il valore di una rivelazione, come nell'invito di Carlo Martello a D.: Taci e lascia muover li anni (Pd IX 4); allude a un silenzio imposto dalla prudenza e dal timore, in Rime Cv 10 [il] gran tiranno... messo ha di paura tanto gelo / ... che ciascun tace, che nessuno " osa prendere le difese della virtù conculcata " (Barbi- Pernicone).
Frequentemente, in connessione con la trama narrativa della Commedia, indica l'atto di cessare dal parlare: If II 75 Tacette allora, e poi comincia' io; Pg XVIII 127 Io non so se più disse o s'ei si tacque; Pd XX 9 'l segno del mondo e de' suoi duci / nel benedetto rostro fu tacente. Altri esempi in If IX 48, Pd XVII 100, XXIV 150 (si tace); Fiore CLXXVI 11 (si taccia). Ricorre più volte in formule stereotipate: si tacque (Pg XXX 82); si tacette (Pg XXIV 63, Pd IX 64); come si tacque (Pd XIV 5, e anche Pg XV 92); com'io tacqui (Pd XXVI 67, XXIV 152). In direzione del tutto opposta, in coerenza con la figurazione animalesca di Pluto, e anzi in antitesi con essa, esalta la superiorità di Virgilio sul demone per il tono perentorio di cui si carica: e disse: " Taci, maladetto lupo! ... " (If VII 8).
Una finissima variazione sulle possibilità semantiche implicite nel verbo si ha nella scenetta del riconoscimento fra Virgilio e Stazio (Pg XXI). Nel giro di una decina di versi, il verbo torna quattro volte, usato sempre in accezioni lievemente diverse, punteggiando così di un sottile contrappunto la sorridente e vivacissima immediatezza del breve episodio: Volser Virgilio a me queste parole / con viso che, tacendo, disse ‛ Taci ' (v. 104); Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca; / per che l'ombra si tacque, e riguardommi / ne li occhi (v. 110); Or son io d'una parte e d'altra preso: / l'una mi fa tacer, l'altra scongiura / ch'io dica (v. 116).
Ricorre due volte in accezioni diverse anche in un passo della Vita Nuova di non facile interpretazione (v. Barbi, ad l.): Poi che dissi questi tre sonetti, ne li quali parlai a questa mia donna... credendomi tacere e non dire più però che mi parea di me assai avere manifestato, avvegna che sempre poi tacesse di dire a lei, a me convenne ripigliare matera nuova e più nobile che la passata (XVII 1). Nella prima occorrenza tacere forma con non dire più una dittologia sinonimica che indica l'intenzione di D. di " non comporre più " altre liriche analoghe per ispirazione e per tematica a quelle dettate fino ad allora; tacesse di dire a lei vale invece " lasciassi di rivolgermi " a lei, secondo un uso di t. ampiamente attestato nella lingua del tempo, come ha documentato il Barbi (ad locum). Nella duplicità di queste accezioni, il verbo emblematicamente sottolinea il passaggio dall'antica alla nuova materia della lirica giovanile dantesca, che costituisce il nucleo del racconto di Vn XVII-XIX e ha il suo esempio caratteristico in Donne ch'avete (cfr. U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 46 ss.).
Gli esempi di uso estensivo, pur nella limitatezza delle attestazioni, rivelano la ricchezza espressiva della lingua di D. per la varietà dei fatti fonici cui il verbo è applicato: dal canto degli uccelli (Pd XX 74 Quale allodetta che 'n aere si spazia / prima cantando, e poi tace contenta) alla musica (XXI 58 si tace in questa rota / la dolce sinfonia di paradiso) e al cupo rimbombo di un vento tempestoso: If V 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Quest'ultimo verso, è noto, offre molti motivi di discussione all'esegesi. Incerta la lezione, per la quale accanto a ci tace, accolta dalla '21 e dal Petrocchi (v. ad l.), la tradizione manoscritta conosce la variante si tace difesa dal Pagliaro (Ulisse 135 n. 19); tutt'altro che pacifico il valore da attribuirsi a ci (v.), considerato da alcuni un pronome personale (" per noi ") e da altri (Parodi, Lingua 343; Barbi, Problemi I 263-264) un avverbio locativo (" qui "); diversi i modi con i quali, anche per riflesso della lezione adottata, si propone di risolvere la contraddizione fra ci (o si) tace e il v. 31 La bufera infernal, che mai non resta: " nel mugghio della bufera c'è un ritmo alterno di pause e di riprese " (Sapegno); il luogo dove D. e Virgilio si trovano e dove Francesca e Paolo li raggiungono, è al riparo dal vento (Barbi, cit.; Chimenz). Questa varietà d'interpretazioni coinvolge naturalmente anche il senso da attribuirsi a tace, che per alcuni è usato con il suo valore proprio, anche se in un'accezione estensiva (" cessa il rombo del vento, momentaneamente ", Fallani), mentre altri (Mattalia, Chimenz, Pagliaro, cit.) gli assegnano traslatamente il significato di " non soffia ", " non spira ". Meritano inoltre di essere segnalate l'antitesi rilevata dal Mattalia fra tace e parlar (v. 94), nonché la possibile fonte biblica (Ecli. 43, 25 " In sermone eius siluit ventus ") segnalata dallo stesso studioso per l'espressione dantesca.
Come accade per altri analoghi traslati dell'Inferno (cfr. I 63 chi per lungo silenzio parea fioco; V 28 d'ogne luce muto), in If I 60 la bestia sanza pace / ... a poco a poco / mi ripigneva là dove 'l sol tace, t. è trasferito dall'ambito delle sensazioni percepibili mediante l'udito a quelle visive; il verbo sembra infatti indicare un'assenza di luce, ché la selva oscura, dove la lupa sospinge D., è immersa nelle tenebre; ma anche senza accogliere la proposta di Scartazzini-Vandelli, secondo cui il verbo avrebbe il valore figurato di " non penetra, e però non fa sentire la sua benefica azione ", e tanto meno accogliendo l'ipotesi che il poeta abbia voluto alludere alla dottrina dell'armonia prodotta dal moto delle sfere celesti, è difficile sottrarsi alla suggestione che l'ardita metafora sia carica di un sottile valore simbolico, in quanto la luce è anche ‛ parola ' come segno dell'intelletto e il sole è immagine del verbo divino, il cui silenzio alla coscienza offuscata di D. peccatore è appunto impersonato dalla selva.
Rientrano nella sfera delle metafore tuttora correnti gli altri due esempi di uso figurato: Cv IV X 6 non è da lasciare, tutto che 'l testo si taccia, che...; Pg X 39 L'angel... / quivi intagliato... / non sembiava imagine che tace, non sembrava un'immagine " muta " ma una persona viva e parlante.
Usato come transitivo, vale " omettere di dire ", " tralasciare di riferire ", " passare sotto silenzio ": Vn XXIV 6 propuosi di scrivere per rima a lo mio primo amico (tacendomi certe parole le quali pareano da tacere), credendo io che ancor lo suo core mirasse la bieltade di questa Primavera (l'occorrenza si riferisce al fatto che nel sonetto Io mi senti' svegliar, D. non riferisce quanto gli era stato detto da Amore, e cioè che alla donna amata da Guido Cavalcanti era stato imposto il soprannome di Primavera perché prima verrà lo die che Beatrice si mosterrà [§ 4]); Cv IV XI 9 ciascuno... vedrà quello che io mi taccio per non abominare alcuno; If X 18 satisfatto sarà tosto / ... al disio / ... che tu mi taci, " che non mi esprimi ", " che non manifesti "; Pg XXXI 37 Se tacessi o se negassi / ciò che confessi, non fora men nota / la colpa tua (la funzione e il valore del verbo non sono facilmente definibili: oltre che transitivo, e reggente, insieme con negassi, di ciò che confessi, potrebb'essere considerato intransitivo; in tal caso significherebbe " se conservassi il silenzio "); e così in Vn XXIII 15, Cv II V 12, If XVI 127, Pg XVII 139. È retto da ‛ fare ' causativo e ha valore pregnante, in Cv IV XXV 9 Oh quanti falli rifrena erto pudore! quante disoneste cose e dimande fa tacere!: il pudore induce a " non riferire " cose disoneste e a " non porre " domande sconvenienti. In tre esempi compare con il ‛ si ' passivante, in accezioni di volta in volta diverse: If XIX 39 tu... sai ch'i' non mi parto / dal tuo volere, e sai quel che si tace, sai quanto io, per scrupolo o ritegno, " mi astengo dal chiederti "; Pg VIII 55 Nullo bel salutar tra noi si tacque, " venne omesso "; Pd XXIX 96 quelle [le invenzioni] son trascorse / da' predicanti e 'l Vangelio si tace, i predicatori si abbandonano alle loro opinioni sottili e fantasiose, e il Vangelo " non viene predicato ".
L'infinito usato come sostantivo equivale alla nozione espressa dal verbo, di solito nella sua forma intransitiva: Pd V 88 Lo suo tacere [l'aver Beatrice " cessato di parlare "] e 'l trasmutar sembiante / puoser silenzio al mio cupido ingegno; XXI 47 [da Beatrice] io aspetto il come e 'l quando / del dire e del tacer, " restar zitto " (cfr. il v. 49); If XXVII 107 Allor mi pinser li argomenti gravi / là 've 'l tacer [" l'astenermi dal rispondere "] mi fu avviso 'l peggio; Rime XCVI 6 Null'altra cosa appo voi m'accagioni / del lungo e del noioso tacer mio [del mio ostinato " silenzio ", del fatto che da tanto tempo " io non vi scriva "] / se non il loco ov' i' son (per i probabili rapporti fra questo passo e il sonetto di Cino Se tu sapessi ben com'io aspetto, v. Contini, ad l., e Poeti II 651; M. Marti, Poeti del Dolce stil novo, Firenze 1969, 608).
È modulo espressivo caro alla poesia dantesca il ricorso all'infinito sostantivato ogni volta che si voglia sottolineare l'opportunità di accennare solo velatamente a cose che non si vogliono nominare o di toccare di sfuggita un argomento, senza affrontarlo o approfondirlo. Alla medesima perifrasi D. ricorre due volte per alludere agli organi sessuali femminili (Rime CIV 28 Amor prima per la rotta gonna / la vide in parte che il tacere è bello) o maschili (Pg XXV 44 Ancor digesto, [il sangue] scende ov'è più bello / tacer che dire). Un pari senso di misura gli è suggerito quando il silenzio è consigliato dal freno dell'arte (If IV 104 andammo infimo a la lumera, / parlando cose che 'l tacere è bello) o anche dalla semplice opportunità, ma sempre in attinenza all'economia di un discorso avviato a toccare altri argomenti: Pd XVI 45 Basti d'i miei maggiori udirne questo; / chi ei si fosser e onde venner quivi, / più è tacer che ragionare onesto. Significhi infatti onesto " onorevole ", " dignitoso " o non piuttosto, come sembra plausibile, " opportuno " (per la questione, v. Barbi, Problemi I 288), la reticenza di Cacciaguida, e per lui di D., a diffondersi sui propri ascendenti ha la sua motivazione poetica nel senso di equilibrio della poesia dantesca, quand'anche si voglia ammettere con il Parodi che il poeta " avrebbe insistito con ben altra chiarezza " (Lett. Dant. 1674) sull'argomento, se fosse stato meglio informato sulle origini della sua famiglia.