Imai, Tadashi
Regista cinematografico giapponese, nato a Tokyo l'8 gennaio 1912 e morto ivi il 22 novembre 1991. Principale figura tra i cineasti di sinistra del cinema indipendente giapponese del secondo dopoguerra, I. fu autore di un nutrito numero di film che denunciavano le contraddizioni sociali del suo Paese, sia nel passato sia nel presente. La capacità di far leva sui sentimenti e di emozionare lo spettatore hanno determinato il successo commerciale di molti suoi lavori. Per Jun'ai monogatari (1957, Storia di un puro amore) e Bushidō zankoku monogatari (1963, Storia crudele della via dei guerrieri) fu premiato al Festival di Berlino nel 1958 per la miglior regia e nel 1963 con l'Orso d'Oro.
Dopo aver frequentato l'Università imperiale di Tokyo, dove venne arrestato due volte per la sua attività contro il regime, entrò nel 1937 negli studi JO, assorbiti l'anno successivo dalla casa di produzione Tōhō. Durante gli anni di guerra realizzò, insieme a molti suoi altri colleghi, film patriottici di propaganda, come la sua opera d'esordio Numazu heigakkō (1939, L'accademia militare di Numazu). Dopo la fine del conflitto ritornò ai suoi ideali di sinistra, che lo portarono a iscriversi al Partito comunista. Ottenne i primi successi con Aoi sanmyaku (1949, Montagne blu), sul conflitto tra le vecchie e le nuove generazioni, e, soprattutto, con Mata au hi made (1950, Fino al nostro prossimo incontro), la storia d'amore di due giovani separati dalla guerra, di cui rimase celebre la scena del bacio attraverso il vetro di una finestra. Cacciato dalla Tōhō in seguito alla sua militanza politica, I. si impegnò soprattutto nell'ambito della produzione indipendente che gli consentì di realizzare alcuni dei suoi film più personali, dove, talvolta, i modi della finzione si mescolano a tecniche semidocumentaristiche. Dokkoi ikite iru (1951, Eppure noi viviamo), influenzato dal Neorealismo italiano, è il duro ritratto della disoccupazione negli anni del dopoguerra; Yamabiko gakkō (1952, La scuola dell'eco) ha per protagonista un insegnante che in un povero paese di montagna cerca di educare i suoi allievi alla democrazia; Himeyuri no tō (1953, La torre dei gigli) racconta il sacrificio nel 1945 di un'unità di infermiere militari durante l'avanzata americana a Okinawa; Mahiru no ankoku (1956, Ombre in pieno giorno) è una denuncia della corruzione di polizia e magistratura; Kiku to Isamu (1959, Kiku e Isamu) è incentrato su due fratelli, nati da una giapponese e da un soldato americano di colore, vittime delle discriminazioni della società.
Talvolta I. utilizzò anche soggetti letterari, come accadde per Nigorie (1953, Acque torbide), tratto da tre racconti di Higuchi Ichiyo, che denuncia, con finezza psicologica, la difficile condizione delle donne nel periodo Meiji (1868-1912). Importante anche la sua produzione nell'ambito del jidaigeki (dramma storico), genere che egli usò in modo fortemente critico verso le tradizioni del Giappone feudale (come per es. in Yoru no tsutsumi, 1958, Tamburi nella notte, e in Bushidō zankoku monogatari). Poco incline al compromesso con le esigenze del cinema commerciale, lontano dallo spirito della nuova generazione, I. finì nel corso degli anni Sessanta e Settanta con il realizzare ancora film di un certo interesse e impegno ‒ come Ani to imōto (1976, Fratello e sorella), Kobayashi Takiji (1974) e Sensō to seishun (1991, Guerra e giovinezza) ‒ incapaci però di lasciare un segno, come era invece accaduto per quelli del decennio precedente.
R. Tayama, Imai Tadashi, in "Image et son", juillet 1964.
J. Mellen, Voices from Japanese cinema, New York 1975, pp. 95-112.
J. Mellen, The waves at Genji's door: Japan through its cinema, New York 1976, pp. 290-93.
T. Satō, Imai Tadashi, in Schermi giapponesi. La finzione e il sentimento, a cura di M. Müller, Venezia-Pesaro 1984, pp. 78-86.