CALUSCO, Taddeo
Nacque a Milano nel 1657 da una famiglia di antiche tradizioni lombarde, che improntò la sua educazione ai principi della più rigorosa ortodossia cattolica. Preso l'abito degli agostiniani eremitani nel monastero di S. Marco, a Milano, si dedicò agli studi di filosofia e teologia con tanto zelo e acutezza che ben presto gli venne affidato l'insegnamento di queste discipline nel seminario della città ambrosiana. Divenuto reggente degli studi emaestro di teologia, il C. acquistò fama di predicatore valente ed erudito in virtù dei quaresimali tenuti nelle principali città dell'Italia settentrionale (famosa soprattutto una serie di orazioni pronunciate a Rimini nel 1696).
Nel 1699, eletto segretario generale dell'Ordine, si trasferì a Roma divenendo poi consultore delle congregazioni del S. Uffizio e della Revisione dei libri della Chiesa orientale. Come consigliere di Niccolò Serrano, generale degli agostiniani, a cui s'era molto legato, il C. ebbe modo d'interessarsi vivamente alla controversia sui riti cinesi, allorché Innocenzo XII affidò l'esame dell'ordinanza di Charles Maigrot, vicario apostolico del Fuchien (26 marzo 1693) - che vietava ai missionari a lui sottoposti di adottare il tollerante comportamento dei gesuiti nei confronti del culto di Confucio e degli antenati -, a una commissione di autorevoli teologi: il suddetto Serrano (che fu il più intransigente sostenitore del Maigrot), il carmelitano Filippo di S. Niccolò, il cisterciense Giambattista Gabrielli e Carlo Francesco Varese, ex generale dei minori riformati, unico favorevole alle tesi gesuitiche.
All'inizio del secolo il C. lasciò Roma e fece ritorno, per motivi di salute, alla sua Milano, dove l'arcivescovo di questa città, Giuseppe Archinto, lo nominò esaminatore sinodale. In questi anni il C. si dedicò anche alla stesura di alcuni scritti di divulgazione della cultura religiosa. Nel 1708 pubblicò a Milano Varie notizie molto utili per facilitare l'intelligenza e lo studio della Sagra Scrittura, con una dissertazione sopra l'ultima Pasqua di Gesù Cristo, dedicata al cardinale Archinto.
Il libro tratta le istituzioni politiche, giuridiche e religiose del popolo ebraico e le varie versioni della Bibbia, concludendosi con una sottile dissertazione teologica in cui si esamina se Cristo, prima della morte, abbia celebrato la Pasqua nel vero tempo prescritto dalla legge. Dopo un rapido excursus tra le tesi di vari teologi, Bernard Lamy e Louis-Ellies Du Pin soprattutto, il C. concilia l'apparente discordanza fra la versione di Giovanni e quella degli altri evangelisti sul tempo dell'ultima cena di Gesù, rifacendosi alla differenza fra il giorno naturale e quello civile del calendario ebraico. L'operetta "di picciol mole" e "in lingua comune" dichiara il suo carattere divulgativo e il fine di offrire il "sugo" di tante ponderose trattazioni teologiche troppo ardue per i lettori comuni.
Indiretto partecipe durante il suo periodo romano della polemica sui riti cinesi, il C. fu anche l'autore della Lettera ad un amico che contiene una risposta generale a tutte le ragioni che furono addotte in difesa dei riti della Cina già condannati con pubblico decreto della Sede Apostolica, s.n.t., composta durante la nuova querelle sorta intorno all'interpretazione del decreto dell'Inquisizione (20 nov. 1704) che aveva condannato i riti cinesi (e pubblicata a Roma soltanto nel marzo 1709).
Contrariamente a quanto sostenuto dai gesuiti, il C. negava che l'esistenza di tali rituali fosse tollerabile secondo le regole della religione cattolica: infatti gli onori che i Cinesi tributavano a Confucio, considerandoli ora puramente civili, erano in tutto simili a quelli che essi stessi, prima della nascita del filosofo, e altri popoli offrivano alle loro divinità. Per di più non era ammissibile celebrare le stesse cerimonie, ora a Dio nel tempio ora privatamente a Confucio. Il C. dimostra che, volendo seguire fino in fondo la logica delle tesi gesuitiche, si giungerebbe all'assurdo di dover ammettere che anche le popolazioni europee possono istituire tali forme di culto per le grandi figure della cultura occidentale. Esaminando poi il decreto di Alessandro VII (1656), cui si appellavano i gesuiti, egli ne mette in rilievo il carattere condizionato "sublatis tamen superstitionibus" e limitato solo a quei riti descritti allora al pontefice da M. Martini: il decreto di condanna di Clemente XI (1704) non contraddice quindi la precedente posizione della S. Sede, ma è la diretta conseguenza di un maggior approfondimentodel problema. Il C., in genere lontano da simpatie giansenistiche, non esita in questo trattato ad abbracciarne le tesi, commentando ironicamente: "Parli pure un dimonio quando parli a proposito".
Nel 1720 venne pubblicato a Venezia l'Esame della religione protestante o sia pretesa riformata, tipico esempio dell'apologetica cattolica controriformistica, ancora viva all'inizio del '700, in cui il C. confuta l'accusa protestante circa la volontà della Chiesa di Roma di ostacolare un'ampia diffusione presso il popolo dei fondamenti della religione cristiana, vietando la volgarizzazione della Bibbia; pertanto egli, onde respingere in concreto e "atroce calunnia", sceglie un linguaggio accessibile a tutti, e affronta senza timore i problemi più controversi.
Il C. morì a Milano il 21 apr. 1720.
Altre opere manoscritte, già conservate a Milano nella Bibl. del monastero S. Marco, risultano ora irreperibili (Dissertazione sopra la Maddalena, Dissertazione sopra la Sibilla, Prediche e Panegirici).
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., cod. Vat. lat., 9263, ff. 280 s.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, col. 264; J. F. Ossinger, Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadii 1768, pp. 180 s.; G. Lanteri, Postrema Saecula Sex…, III, Romae 1860, pp. 110 s.; H. Hurter, Nomenclator Literarius Theologiae Catholicae, IV, Oeniponte 1910, col. 794 n. 1; T. Lopez Bardón, Monastici Augustiniani N. Cruserii continuatio, III, Vallisoleti 1916, p. 502; A. Perini, Bibliographia Augustiniana, I, Firenze 1929, pp. 169 s.; G. Moroni, Dizionario di erudiz. stor.-eccl., VI, p. 271; Enciclopedia Cattolica, III, col. 400.