CRIVELLI, Taddeo (Taddeo da Ferrara)
Figlio di Niccolò di Bongrazia; sia il padre sia il nonno erano notai e cittadini naturalizzati di Ferrara, molto probabilmente originari della Lombardia. Nonostante le abbondanti prove docuinentarie della sua vita e della sua attività di miniatore nel secolo XV (se non diversamente indicate sono riferite da Bertoni, 1925), è difficile identificarne l'opera. Secondo D'Adda (1885), che però non documenta la sua aflermazione, il C. fece parte del gruppo di miniatori del ducato milanese che lavorò sui corali per la certosa di Pavia, e avrebbe perciò iniziato in Lombardia la sua attività.
Già nel 1451 il C. era attivo a Ferrara: si ha un'ampia documentazione della produzione e della vendita di un gran numero di miniature eseguite nei venti anni vissuti in questa città. Punto culminante della sua attività fu la commissione per la Bibbia di Borso d'Este, alla quale si dedicò fra il 1455 e il 1461. Lavorò inoltre per notabili della corte estense, per istituzioni religiose, per librai e altri cittadini di Ferrara e delle città vicine. Il C. doveva essere uno dei miniatori eminenti di quel periodo, e viene riconosciuto, di solito, come il creatore principale di ciò che si considera oggi lo stile ferrarese. Da una lettera di Borso. d'Este a Ludovico Casella (Bertoni, 1925, pp. 3 s.) risulta che dipinse quadri, che non ci sono pervenuti, per il duca. Nonostante gli alti onorari che percepiva e l'apparente prosperità della sua bottega, la sua situazione economica era instabile per cui, qualche volta, onde procurarsi del denaro, dava in pegno pezzi dei manoscritti che gli venivano affidati perché li illustrasse. Si trovò, appunto, in questa situazione penosa dopo la morte di Borso nel 1471, quando il ricco mercato delle miniature improvvisamente si inaridì; il C. allora, forse attirato dal mecenatismo dei Bentivoglio, si recò a Bologna dove continuò la sua attività nello stesso modo, con commissioni da Ordini religiosi e da privati.
A Bologna, nel 1473, il C. accettò di miniare un graduale - e probabilmente anche altri libri - per i benedettini cassinesi di S. Procolo e, nel 1476, un officiolo per Brumino de Bianchi (Malaguzzi Valeri, 1896, pp. 275 s.). Nello stesso anno, iniziò le miniature di graduali per la cattedrale di S. Petronio (Frati, 1896). Due di queste opere, date in pegno, furono ricuperate e furono quindi date a completare a Martino da Modena.
Nello stesso periodo, si impegnò in una attività del tutto inconsueta, cominciando ad interessarsi a progetti di incisione e di stampa; ma intanto aumentavano le difficoltà; sono infatti documentati incassi più bassi, commissioni non eseguite e un ulteriore ricorso al Monte dei pegni. Dopo il 1476 viene a mancare qualsiasi riferimento all'attività artistica del C.; nel 1479 era già morto, secondo un documento bolognese che allude a un manoscritto "principiato per olim magistrum Tadeum de Feraria" (Frati, 1896, p. 92).
Dalla moglie Margherita ebbe tre figli - Bongrazia, Gerolamo e Giacomo Maria - e una figlia, Lodovica, che sposerà il pittore Lorenzo Costa.
Il C. tenne un Libro di comto di dibituri e crededuri (Arch. di Stato di Modena; pubbl. in Bertoni, 1925, pp. 57-73), in cui registrò tutti i suoi affari fra il 145 1 e il 1457. A questo testo non ufficiale si aggiungono a complemento gli ottimi documenti notarili della corte estense'e, più tardi, quelli dei suoi mecenati bolognesi. I documenti indicano che il C. fu capo di una prospera bottega con un numero fluttuante di lavoranti: a volte egli stesso eseguiva le commissioni, a volte si serviva di un gruppo di garzoni e di colleghi, tra i quali Cristoforo Mainardi, Sebastiano dal Portello, Rodrigo Bonaccorsi, Giacomo Filippo d'Argenta, Pietro Maiante, Giovanni Maria Spari, Niccolò d'Achille e Francesco da Soventizo. A volte fungeva da intermediario, dando lavoro ad altri miniatori affermati; ad esempio, Giovanni da Lira, Giovanni da Gaibana, Giovanni Tedesco e Malatesta di Pietro Romano.
La maggior parte dei manoscritti illustrati dal C. e dai suoi assistenti, non è mai stata identificata; si hanno tuttavia delle indicazioni circa i tipi di testi e di decorazione.
Alcune descrizioni sono assai vaghe, e si riferiscono solo a "lettere" intendendo iniziali o "principi", ma altre volte il C., nel suo Libro di comto, indica gli autori o il contenuto dei testi, e altre anche il nome del committente o quelli degli aiuti. Nel periodo di otto anni che è coperto dal Libro..., il C. registrò l'illustrazione delle seguenti opere: più di venticinque officioli, oltre trenta copie dei testo di Elio Donato, dodici salteri, dieci regole, sei messali, quattro breviari, tre epistolari, due antifonari, tre copie degli scritti di Cicerone oltre a commedie di Terenzio e scritti di Tolomeo, s. Girolamo, Dante. Registrò inoltre due copie di un libro di Zanipolo Bondinaro, una "Pisanella", una "vacheta", una "confessione" una "librezola". Molte miniature furono eseguite per "cartolari", quali Niccolò Todesco, Niccolò Nigresuolo (secondo Hermann, 1900, la stessa persona), Gregorio di Gasparino e Giovanni da Bologna; i quali fungevano da intermediari nelle condizioni quasi industriali della produzione delle miniature.Quando si considerano le opere che si presumono eseguite dalla mano dei C., l'elenco è, in verità, molto breve. La più importante è la famosa Bibbia di Borso d'Este (Modena, Bibl. Estense V. G. 12 = Lat. 429; ediz. facsimile, Modena 1937, rist. 1961; tutti i docc. in Campori, 1872; Hermann, 1900; Bertoni, 1925; Venturi, 1937; v. anche Fava-Salmi, 1950; Rosenberg, 1991) che costituisce il punto di partenza per valutare la personalità artistica del Crivelli.
Il contratto originale, in data 11 luglio 1455, fra Galeotto dell'Assassino, il maestro cameriengo di Borso, e i miniatori C. e Franco Russi prevedeva la decorazione in miniatura di una Bibbia secondo esigenze specifiche di formato. Nel contratto venivano stabiliti, appunto, il periodo di lavoro di circa sei anni, il compenso e alcuni particolari della decorazione. Benché si accenni ad altri nomi importanti, ad esempio Giorgio Tedesco (o d'Alemagna) e Marco dell'Avogaro, è evidente che il C. e F. Russi erano i direttori artistici del progetto e che il C. eseguì la maggior parte del lavoro. Risulta, infatti, che il 26 ott. 1465, a lavoro completato, al C. furono riconosciuti 42 quinterni e mezzo, per i quali venne pagato L. 3.551.0.6, mentre al Russi vennero riconosciuti 17 quinterni e mezzo per la somma di L. 1.373.11.0. Malgrado l'apparente precisione della contabilità, è difficile stabilire con certezza quali pagine di questo magnifico libro vadano attribuite alla mano dei Crivelli. Come si è g ià detto, il C. si serviva di un gruppo di garzoni, il cui contributo comprendeva semplici incarichi come quelli di Sebastiano dal Portello, che "metteva d'oro" e "campezava", o di Pietro Maiante che "ombrava e relevava", ma anche della collaborazione di maestri esperti come Giovanni Maria Spari che miniava lettere e faceva paragrafi.
Ogni pagina della Bibbia è miniata con decorazioni in margine e almeno un riquadro con figure. Le pagine iniziali di ogni libro sono, però, come di consueto, le più ornate; il C. venne pagato due fiorini per ognuno dei cinquantotto "principi" - mentre il Russi, invece, ne completò solo undici - e, in più, ricevette una somma di quindici fiorini "per lo primo prencipio fato per lui". Questa citazione viene generalmente considerata come un riferimento alle due elaborate pagine iniziali della Genesi (ff. 5v, 6r). Si considerano queste due pagine, quindi, come un esempio della pura espressione dell'arte del C. e come punto di riferimento stilistico per stabilire l'autenticità delle altre sue opere. Hermann (1900) riconosce l'autenticità di quasi ottantasei pagine, mentre Fava e Salmi (1950), più circospetti, limitano l'elenco- oltre alla Genesi - ai Salmi (f. 241r), all'Ecclesiaste (f. 280v), e al Cantico dei cantici (f. 284r), che sono tutti del primo volume. Del secondo volume, l'elenco comprende l'Isaia (f. 3v) e gli Atti (ff. 215v-216r). Inoltre Salmi (1943, 1958, 1961) attribuisce al C. alcune altre pagine, fra cui i Paralipomeni (f. 279r) e Bertoni (1925) aggiunge, in modo convincente, i principi dei seguenti libri: Numeri (f. 56r), Deuteronomio (f. 73r) e il terzo libro dei Re (f. 139r).
Lo stile del C., quale si definisce in queste pagine, rivela un eclettismo di fonti che abbraccia sia un goticismo persistente sia modelli rinascimentali contemporanei. Le sue figure dimostrano una conoscenza dei maestri lombardi del periodo tardo gotico, come Belbello da Pavia che aveva miniato la Bibbia per Niccolò III d'Este (Bibl. Apost. Vaticana, Barb. lat. 613).
È da questa fonte lombarda che deriva la tendenza del C. alla caricatura, specialmente per i personaggi vecchi e non aristocratici, e alcuni elementi di iconografia, quale l'uso dell'aureola triangolare per la figura del Creatore nella Genesi (motivo che fu ripreso dagli artisti ferraresi). Altri aspetti che risentono dell'influsso gotico sono le proporzioni esagerate delle sue figure piene di energia, con fianchi snelli, teste grandi e atteggiamento affettato, una ricercata preziosità nei dettagli e l'uso dell'oro, con effetti antiillusionistici, per la rappresentazione dei raggi del sole nei paesaggi e per i dettagli ornamentali degli edifici. D'altra parte, egli assorbì anche aspetti dell'arte dei pittori attivi alla corte estense, pittori questi che fino ad un certo punto furono a loro volta influenzati dagli ospiti famosi della corte, come Piero della Francesca, Pisanello e Mantegna.
Il suo stile è stato paragonato a quello di Pisanello (Hermann, 1900), di Cosmè Tura e di Piero della Francesca (Fava - Salmi, 1950) e, secondo un giudizio non condiviso da altri, a quello di Filippino Lippi (Venturi, 1937). Esso sembra, in realtà avvicinarsi, soprattutto, allo stile di Francesco Del Cossa e di altri artisti che parteciparono alla decorazione del salone dei Mesi nel palazzo Schifanoia a Ferrara. Dal momento però che la Bibbia di Borso d'Este precede gli affreschi di Schifanoia di quasi quindici anni, bisogna pensare a una fonte comune per il C. e per Del Cossa: per es. Cosmè Tura, il più eminente artista dell'officina ferrarese.
Ci sono numerose pagine che, pur rivelando affinità con lo stile del C., mancano tuttavia delle caratteristiche peculiari della sua arte: quali, ad esempio, la vigile perfezione dell'illusionismo, la cura attenta e minuziosa dei dettagli, le, superfici che sembrano smaltate, l'estrema delicatezza del tocco. Non c'è dubbio che queste pagine sono opera della bottega del C. e, quindi, eseguite da suoi assistenti sotto la sua direzione. In tutte si nota la decorazione dei margini tipica dello stile ferrarese, che consiste in un fondo di tratti di penna e puntini d'oro sul quale vengono esposti a profusione fiori, uccelli, putti, ume e altre forme naturali e fantastiche, come rosoni e cartigli con gli stemmi e gli emblemi di Borso d'Este. Questo tipo di decorazione è spesso associato al nome del C., ma non può ritenersi inventato da lui, né peraltro fu usato esclusivamente da lui, dato che si riconosce in manoscritti antecedenti decorati sotto Lionello d'Este. là però vero che nelle mani del C. tale decorazione acquista una qualità eccezionale: è molto più delicata, più precisa, più complessa e, di solito, essa viene accompagnata da iscrizioni trattate illusionisticamente tanto che sembrano incise nella pietra o scritte su nastri svolazzanti.
Il Decameron di Holkham Hall in Inghilterra (già nella Biblioteca di lord Leicester, ms. 531, ora Oxford Bodleian Libr., ms. Holkham, misc. 49: cfr. Apollo, CXVII [1982], 252, p. 85, tavv. I, III; de la Mare, 1982) è molto simile alla Bibbia di Borso, sia nello stile sia nella disposizione delle decorazioni. Bertoni (1925, p. 20) ha identificato questo libro con quello delle Cento nuele illuminato nel 1467 dal C. per il cortigiano estense Teofilo Calcagnini. I Sermoni di s. Agostino sul Vangelo di s. Giovanni della Bibl. Malatestiana a Cesena (ms. D. 111. 3) sono stati attribuiti al C. anche in base al contratto firmato il 5 febbr. 1452 tra l'artista e il dottor Franceschino da Verona, il quale rappresentava Malatesta Novello, signore di Cesena (ibid, p. 57); le differenze con la Bibbia di Borso possono essere spiegate con il fatto che i Sermoni furono eseguiti anteriormente e per un committente di altra città. Hermann (1900) attribuisce al C. il cosiddetto Messale di Borso d'Este (Modena, Bibl. Estense, α W. 5. 2.= Lat. 239): ritiene infatti di identificare in esso il messale che contiene "uno prencipio con lo crocifisso" per il quale il C. chiese il pagamento al servita fra' Benedetta il 5 genn. 1455, e per il quale pagò Giovanni da Lira, che lo aveva aiutato, il 29 luglio dello stesso anno (Bertoni, 1925, pp. 65, 68).
Fra le attribuzioni, questa è quella che ha suscitato più polemiche e, anche se nel 1954 gli studiosi che hanno preparato la Mostra nazionale della miniatura hanno ribadito il punto di vista di Hermann, la maggior parte degli altri critici (tra i quali Salmi; Fava; Venturi; Samek Ludovici, 1966) ha messo in rilievo in quest'opera le divergenze dallo stile consueto del C. quale si ravvisa nelle miniature più importanti a piena pagina.
Più vicino allo stile del C. appare il Graduale nel Museo di S. Petronio a Bologna (Cor. 111); ma solo tre delle miniature furono eseguite dalla sua mano perché il lavoro fu completato da Martino da Modena.
Altre opere meno note attribuite al C. sono le Ore Gualenghi, già nella collezione Dyson Perrins (ms. 72: cfr. Warner, 1920) e ora nel Museo Getty a Malibu, che von Euw e Plotzek (1982) ritengono da lui eseguite intorno al 1470, forse in occasione delle nozze fra Andrea Gualenghi e Orsina d'Este celebrate nel 1469; un Corale (Reggio Emilia, Bibl. com., Cor. 17 A 144). che secondo Fava (in Salmi, 1932, p. 188) o è assai vicino al C. o è addirittura suo, e la pagina di un altro Corale (Milano, coll. U. Hoepii, CXXIV) indicata da Toesca (1930) come "assai prossimo" al Crivelli.
La partecipazione del C. al progetto che portò alla pubblicazione delle prime carte geografiche stampate nel 1477 è, come molti aspetti della sua carriera. poco verificabile. Non c'è dubbio che egli sapeva disegnare carte geografiche. là probabile che abbia visto la copia manoscritta della Cosmografia di Tolomeo che "Nicolaus Germanus" aveva mandato a Borso nel 1466 (cfr. facsimile, Amsterdam 1963; Campori, 1872, p. 257; Hermann, 1900, p. 261); il C. aveva anche illustrato un'opera di Tolomeo nel 1454 (Bertonii 1925, p. 62). Si sa che egli si unì al Puteolano a Bologna nell'aprile del 1474. in una società di breve durata, per la pubblicazione di mappamondi (Sighinolfi, 1908) e che, nello stesso anno e allo stesso scopo, fece parte di un'altra società insieme a Filippo Balduino, al libraio Giovanni degli Accursi e ai tipografi Lodovico e Domenico de Ruggeri. Non si sanno le sorti di questa impresa, ma si ritiene comunemente che le carte preparate per essa dal C. siano poi state incorporate nell'edizione della Cosmografia stampata nel 1477 da Domenico de Lapis e che esse si basino in gran parte sulla tradizione di Nicolaus Germanus. Dato che il nome del C. non appare in questo volume, ci si può limitare a notare che lo stile delle teste, delle città viste dall'alto, dell'accavallarsi delle onde e delle iscrizioni si avvicina, in effetti, a quello della Bibbia di Borso. La tecnica scadente suggerisce però che, se il C. stesso eseguì i disegni e le incisioni, egli non raggiunse quel livello di perfezione che caratterizzò la sua arte di miniatore.
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