Branca, Taddeo del
Poeta e grammatico (secc. XIV-XV). Trascorsa la fanciullezza e parte della giovinezza nella nativa Verona (ancora canibus ditata), ne esulò avanti il 1405, l'anno della ‛ Bolla d'oro ', che segnava l'estendersi del dominio veneziano in quella città e, insieme, la completa rovina degli Scaligeri. Dell'educazione ricevuta in patria, ricca allora di memorie e fiorente del culto di D. - alimentato quest'ultimo dalla stessa presenza di Pietro, figlio del poeta (presenza immaginosamente celebrata dal parmigiano Maggio de' Maggi) - T. del B. mostrò di ricordarsi con nostalgia anche negli anni della piena maturità. Maestro di grammatica a Torino dal 1393 al 1400, lo ritroviamo assai più tardi, nel 1440, a Chieri, prossimo a concludere la lunga carriera d'insegnante (nel successivo 1441, infatti, usciva di servizio con l'approvazione di quel comune, che pur lo gratificava di una specie di pensione).
Il pratico impegno didattico non lo distolse tuttavia dal perseverare nell'esercizio poetico, che, se da un lato rivela assai mediocri facoltà inventive, rappresenta dall'altro un modo nobilissimo di effusione etico-religiosa, sulla quale altresì si giustifica il monotono allinearsi delle molte migliaia di esametri: ché tanti ne esigettero i suoi tre poemi, intitolati rispettivamente Spreti otii vitatio (di quasi novemila esametri comprovanti la vanità delle cose umane e la conseguente utilità d'impiegare il tempo nelle lodi di Dio), Liber poenitentiae (un discorso di mille-duecento esametri sui vizi capitali e relativi exempla) e Portus (milleduecentosessantotto versi allegorici circa la vera meta degli uomini, che è la vita eterna). Dei tre poemi, riuniti in un unico manoscritto (oggi cod. 245 della Nazionale di Torino) con varianti e postille autografe, T. del B. si giovò per utili esemplificazioni durante le sue lezioni di retorica, e, data la molteplicità di echi e di citazioni da Virgilio e da Ovidio, per un avviamento alla lettura dei classici. Certa animazione, del resto, derivava ai contenuti dell'umanista veronese dalle non infrequenti allusioni autobiografiche (perfino il suo nome si ricava una volta da un acrostico) o a episodi e personaggi reali, che con discreta disinvoltura entrano quali protagonisti a far parte dei suoi esempi morali.
Memorabile e pertinente al caso nostro è quello tramandatoci dal Liber poenitentiae sulla disavventura, ambientata in Verona, di un certo Dante (" cuiusdam Dantis "), parlatore famoso, ad acclamare il quale accorse un giorno, fra le molte genti, una semplice vecchia; a costei che, prostrata ai suoi piedi, lo magnificava per la tanta dottrina, di cui Iddio lo aveva così generosamente illustrato, questo Dante avrebbe superbamente risposto, precisando che non a Dio, sì invece ai suoi studi, protratti in veglie faticose, e a molte altre sue privazioni doveva la sapienza e il successo (" gratia ustis Est mihi candelis in sompnis et vigilatu... Cibus rarus, frigoris algor Aculeusque fuit, sic potus paucus et ymus "): ma poi, salito in cattedra, dimenticò, per punizione divina, l'argomento da trattare e si confuse a tal punto da essere costretto ad allontanarsi, balbettando incoerenti parole. Che il protagonista dell'exemplum - molto simile del resto ad altro riferito nel De modernis gestis del Marzagaia - venisse riconosciuto tout court in D., non meraviglia: infatti, a voler anche escludere le argomentazioni del Cipolla (che nel leggendario episodio vede adombrate le dotte discussioni, sostenute da D. a proposito della famosa Quaestio de aqua et terra o, forse, analoga disputazione, cui accenna anche il Boccaccio), è sufficiente ricordare quanto lo stesso D. in prima persona confessa circa la sua superbia (Pg XIII 136-138). Si oppone, tuttavia, a una tale identificazione la difficoltà filologica del cuiusdam, un indefinito inaccettabile se accompagnato à un nome come quello dell'autore della Commedia. Ben risolve, peraltro, il modesto enigma chi sostiene essersi voluto indicare nel " cuiusdam Dantis " il figlio del poeta, pubblico conferenziere e ‛ sponitore ' a Verona del poema paterno e però, per una specie di patronimica antonomasia, soprannominato il ‛ Dante ': " Petrus Aliger de Florentia, dictus ‛ Dante ' ".
Bibl. - C. Cipolla, T. del B. e una tradizione leggendaria sull'Alighieri, Torino 1887 (estratto dalla " Miscellanea di storia italiana " XXV, 418-423); ID., Nuove congetture e nuovi documenti intorno a Maestro T. del B., in " Giorn. stor. " IX (1887) 415-430; id., Storia politica di Verona, Verona 1954, 214. Sulla cultura e l'opera di T. del B.: O. Zenatti, D. e Firenze, Firenze [1901] 130-131, nota 1; G. Vinay, L'umanesimo subalpino nel sec. XIV, Torino 1935, 33, 85-86. Per la fortuna di D. a Verona: G. Biadego, D. e l'Umanesimo veronese, Venezia 1905. Su Pietro Alighieri a Verona: M. Vattasso, Del Petrarca e di alcuni suoi amici, Roma 1904. Per leggende analoghe: Marzagaia, De modernis gestis et opuscula, a c. di C. Cipolla, Venezia 1890, 30 nota 3; G. Mazzoni, Del " Monte Oliveto " e del " Mondo creato " di Torquato Tasso, Bologna 1891, 9. E più in generale: G. Papanti, D. secondo la tradizione e i novellatori, Livorno 1873; G. Papini, La leggenda di D., Lanciano 1911. Sull'identificazione con Pietro Alighieri cfr. " Bull. " XIII [1902] 47.