GADDI, Taddeo
Pittore attivo a Firenze nella prima metà del Trecento, immatricolato nell'Arte dei medici e speziali nel 1330 ca. (Firenze, Arch. di Stato, Arte dei medici e speziali, VIII, cc. 74v, 75). Figlio del pittore Gaddo di Zanobi G., propositivamente identificato con il mosaicista autore tra l'altro dell'Incoronazione della Vergine nella lunetta di controfacciata del duomo di Firenze (Boskovits, 1976) o con il Maestro della S. Cecilia (Bietti, 1983), padre dell'ancora non artisticamente conosciuto Giovanni e del ben noto e prolifico pittore Agnolo, Taddeo lavorò prevalentemente a Firenze e in Toscana tra il secondo e il settimo decennio del Trecento. La notizia, fornita da Cennino Cennini nel Libro dell'arte (1390 ca.), che G. fu allievo e collaboratore di Giotto (m. nel 1337) per ventiquattro anni, spingendo a supporlo garzone del maestro già intorno al 1310, consente di fissarne la nascita alla fine del Duecento o agli inizi del Trecento, mentre la data 1366 posta accanto al suo nome nel libro della Compagnia di S. Luca (Firenze, Arch. di Stato, Accademia del disegno, già Compagnia dei pittori, I, c. 3) induce a ritenere la sua morte avvenuta in tale anno, come conferma la notizia della vedovanza della moglie a quella data (Firenze, Bibl. Naz., Poligrafo Gargani, 885).La formazione di G., strettamente compiutasi sul magistero di Giotto nonostante il padre pittore, può deporre sia a favore della prima ipotesi sull'identità paterna (lo stile ormai arcaico del padre avrebbe potuto spingere il figlio a frequentare un pittore più aggiornato) sia della seconda, dal momento che il Maestro della S. Cecilia appare essere stato se non un sicuro collaboratore di Giotto (Assisi) almeno un suo significativo e precoce seguace.La ricostruzione del corpus delle opere di G. si basa su due tavole firmate: il trittichetto di Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal., inv. nrr. 1079-1081), datato 1334, e l'anconetta con la Vergine e il Bambino, ora a Firenze (Uffizi, inv. nr. 3, deposito), probabilmente eseguita per la cappella Segni in S. Lucchese a Poggibonsi, datata 1355, che confermano con l'evidenza dello stile quanto è affermato dalle fonti, ossia lo stretto legame che unì G. a Giotto. Altre opere menzionate dalle fonti (prevalentemente da Vasari) sono andate perdute (ad Arezzo, nelle chiese di S. Agostino, Spirito Santo e palazzo Vescovile; a Firenze, in Santa Croce, cappella di S. Andrea, cappella Bardi di S. Luigi, cappella nel tramezzo, in S. Stefano al Ponte e nella SS. Annunziata, polittico; a Pisa, in S. Francesco). Relativamente scarse sono le notizie concernenti la giovinezza e la prima maturità di Gaddi. Tra il 1335 e il 1342 si articola la serie dei pagamenti relativi alla decorazione della cripta di S. Miniato al Monte (Firenze, Arch. di Stato, Spogli strozziani, Ser. II, LI,1; LI,11; Ladis, 1982, pp. 254-255); entro il 1353 G. dovette invece portare a termine il polittico da identificare con quello ora sull'altare maggiore di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia (Ladis, 1982). Una lettera indirizzata a Tomaso Strozzi da G., primo esempio epistolare conosciuto di un artista italiano, testimonia il soggiorno pisano del pittore, impegnato in una committenza della famiglia Gambacorti in S. Francesco forse nel 1342 (Firenze, Arch. di Stato, Carte Strozzi-Uguccioni, Ser. III, filza 103, c. 8). Dopo la metà del secolo, G. è ricordato in una serie di documenti dell'Opera di S. Maria del Fiore, che attestano il suo ruolo di artista consulente nell'edificazione del duomo fiorentino; egli figura pagato, infine, nel 1365 per l'esecuzione di alcune pitture di S. Maria Nuova (Firenze, Arch. di Stato, S. Maria Nuova, 4417, Uscita 1363-1367, c. 46v; S. Maria Nuova, 4420, Entrata e Uscita 1364-1367, c. 25v), delle quali sopravvive un frammento di Risurrezione. Sulla base di questi dati, delle due tavole firmate e datate, degli affreschi fiorentini documentati e dell'assegnazione a G. dell'affresco di Cristo tra i dottori in prossimità della porta di sagrestia in Santa Croce da parte di una fonte attendibilissima quale i Commentari di Lorenzo Ghiberti (1450 ca.), è stato ricostruito un cospicuo corpus delle opere di G., oggetto talvolta di controversie attributive e cronologiche specialmente in relazione alla fase giovanile del pittore o all'intervento della bottega.Pittore altamente considerato dai contemporanei, G. sembra dovere alla solida reputazione conferitagli dalle fonti la sua sfortuna critica in tempi più recenti. L'enfasi con cui Cennino Cennini diede conto del suo apprendistato presso Giotto, l'aura di deferenza da cui sembra circondato allorché in una novella di Franco Sacchetti (Trecentonovelle, CXXXVI) G. sentenzia che l'arte dopo Giotto è venuta meno, le formule sussiegose con cui Ghiberti lo tratteggia ("fu di nobile ingegno", "fu dottissimo maestro") o ne descrive l'opera ("fatta con grandissima perfezione") a proposito del perduto affresco in Santa Croce con il Miracolo di s. Francesco che salva il bambino (Commentari, II, 6), tutto congiura per spingere a esaltarne l'aspetto di settatore giottesco; aspetto che Vasari già sottolineò con accenti negativi affermando che "Taddeo mantenne continuamente la maniera di Giotto, ma non però la migliorò molto salvo che nel colorito" (Le Vite, II, 1967, p. 214). In realtà l'adesione a Giotto non esaurisce le peculiarità dello stile di G., animato da un desiderio di ricerca, soprattutto spaziosa, come ben comprese Filippo Villani (De origine civitatis Florentiae, 1390 ca.), che ne colse la capacità di dipingere architetture, sì da paragonarlo a Dinocrate o a Vitruvio, in una prospettiva da teorico dell'architettura che suona di concezione protoumanistica. Da qui la credenza vasariana secondo cui G. sarebbe stato architetto tra l'altro sia del campanile di Giotto in una sua fase sia del ponte a Santa Trinita (Le Vite, II, 1967, p. 215). Nella storiografia moderna valga quale esempio di sfortuna critica il giudizio di Offner (1921), che, pur volendolo riscattare dalla definizione invalsa di "pittore di alcuni affreschi trasandati", afferma che "fin dal suo primo apparire Taddeo è essenzialmente un frescante che amplifica con arroganza la maniera giottesca". Dopo che al problema critico di G. si è sentita l'esigenza di dedicare un apposito studio storiografico (Gandolfo, 1956), spetta a Longhi (1959) il merito di un'indagine ricca di aperture, cui hanno fatto seguito nella stessa linea interpretativa e attributiva le monografie di Donati (1966) e di Ladis (1982).Tuttavia, il costante riferimento all'opera di Giotto, sebbene assecondi un'angolazione di giudizio limitante e non esaustiva ai fini di una corretta comprensione delle qualità formali di G., torna utile per sistemare cronologicamente le opere del primo periodo dell'artista. A segnare l'avvio tra le opere conosciute appaiono sia la tavola raffigurante la Madonna con il Bambino già in S. Francesco a Castelfiorentino (S. Verdiana, Pinacoteca; Sirén, 1908), che nell'impianto spaziale e nella resa plastica e solenne delle figure rigidamente frontali mostra la consapevole ispirazione alla Madonna di Ognissanti di Giotto (Firenze, Uffizi), sia la grandiosa tavola con le Stimmate di s. Francesco a Cambridge (Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), chiaramente ispirata all'omonimo dipinto giottesco di Parigi (Louvre), sebbene la figura sia risolta con una linea di contorno più fluente e articolata e più accentuata divenga la tipizzazione del volto. Quanto stretta fosse da parte di G. la frequentazione giottesca - che Previtali (1967) ha enfatizzato riconoscendo la partecipazione di G. nel polittico ora a Bologna (Pinacoteca Naz.), nelle parti decorative della cappella di Castel Nuovo a Napoli e nella predella del Polittico Baroncelli a Santa Croce - sembra testimoniarlo anche il polittico di Capesthorne Hall (Bromley Davenport Coll., Macclesfield), con al centro un Cristo passo e nei laterali i Ss. Pietro, Francesco, Paolo e Andrea, se, come è probabile (Gregori, 1974; Ladis, 1982), se ne inferisce la provenienza da Santa Croce, dove la cappella Lupicini dedicata a s. Andrea è detta dalle fonti essere stata affrescata proprio da Gaddi. Del resto lo stile delle figure, che privilegia in questa prima fase forme secche, asciutte, sottolineate da profilature scure, come si ritrova anche negli affreschi della cappella Baroncelli, più che manifestare la discendenza da Giotto degli affreschi della cappella Peruzzi, si riallaccia a Giotto più antico e si mostra prossimo a quello che adottò anche Bernardo Daddi in opere come gli affreschi della cappella Pulci Berardi sempre in Santa Croce, databili verso la metà del terzo decennio, a conferma di quanto il santuario francescano a Firenze sia stato dal secondo al quinto decennio del secolo quasi esclusivo campo d'intervento della bottega di Giotto e dei pittori a lui associati, con un monopolio che ammette soltanto limitate incursioni quali quella di Ugolino di Nerio per il polittico dell'altare maggiore.Del resto anche la grandiosa impresa della decorazione della cappella Baroncelli sempre in Santa Croce, affidata a G., è da inserire o nell'ambito di una sorta di divisione degli incarichi all'interno della 'compagnia' giottesca (impegnata in quel giro di anni nella cappella Bardi) o ancora meglio nell'ambito di una strategia imprenditoriale. Infatti, cadendo tra il 1328 e il 1332 il soggiorno napoletano di Giotto, è molto probabile che sia stato affidato a G. il compito di continuare a rappresentare a Firenze la consorteria giottesca con un'opera che costituisce il raggiungimento della sua piena maturità artistica e l'espressione della sua maggiore adesione al momento gotico. In essa, infatti, G. medita, al di là degli affreschi della cappella Peruzzi, su fatti giotteschi più antichi (Padova), specialmente in senso spaziale, come mostra la ricerca di un illusionismo architettonico sia in scala monumentale (prospetto della cappella) sia nelle nicchie trompe-l'oeil dipinte nella zoccolatura, primi esempi di natura morta (Sterling, 1952) con quelli già sperimentati da Pietro Lorenzetti ad Assisi, ma giunge anche a proposte impaginative e illustrative che riscossero in seguito grande successo, come la Presentazione della Vergine al Tempio, imitata da Daddi fino ai fratelli Limbourg. Novità gaddiane sono inoltre: una sensibilità per la luce (Parronchi, 1964) a tratti 'fenomenica'; un senso fortemente costruttivo del chiaroscuro in chiave plastica, che testimonia il pittore attento ai contemporanei fatti scultorei, in primis alla tomba Baroncelli nella stessa cappella, opera di Giovanni di Balduccio; un originale apporto illustrativo alla resa iconografica dei temi legati alla vita della Vergine e del Cristo che si squadernano nella parete sinistra e di fondo della cappella, ma tuttavia non così raro da dover essere giustificato con il determinante contributo di Simone Fidati, frate agostiniano di cui si conserva un epistolario (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. III, 107, già 2905). Non è escluso comunque che G. avesse stretto rapporti con il frate se è da individuare in lui il Taddeus de Florentia suo corrispondente in anni più tardi con un'epistola in latino (Maione, 1914) e se si vuole ravvisare un'incidenza di Fidati anche per la cospicua illustrazione iconografica delle tavolette per la sagrestia di Santa Croce (Firenze, Gall. dell'Accademia). La cronologia della cappella Baroncelli è controversa: un Sepoltuario del 1439 ca. della chiesa francescana (Firenze, Arch. di Stato, 619, c. IV) la data al 1339, nonostante il sicuro a quo della data 1328 quale inizio della sua erezione, riportata all'ingresso della cappella stessa, fatta costruire per volontà di Bivigliano, Bartolo e Salvestro Manetti e di Vanni e Piero Bandini della famiglia dei Baroncelli. A questo termine hanno, infatti, accordato fiducia Isermeyer (1937) e quindi Ladis (1982), mentre, anche dopo il contributo documentario fornito da Borsook (1961-1962), ha prevalso la tendenza generalizzata a spostare gli affreschi al quarto decennio (Donati, 1966; Gardner, 1971; Conti, 1972). Da una messa a punto cronologica del panorama pittorico fiorentino del primo trentennio e dal confronto con la parallela opera daddesca (per es. la Madonna con il Bambino, intenso nell'espressione e ardito nella posa, nella lunetta del monumento Baroncelli, a fronte del trittico di Firenze, Uffizi, firmato da Daddi nel 1328), gli anni tra il 1328 e il 1330 appaiono i più probabili: non solo si spiega in tale contesto (assenza di Giotto da Firenze) l'affidamento di tale impresa a G. ancor giovane, ma trovano così posto e spiegazione, nell'ambito della sua intraprendente bottega, opere quali gli affreschi del castello di Poppi, riconosciuti giustamente da Longhi (1959) quali 'idee' se non 'esecuzione stessa' del pittore, oppure la Madonna di Castiglion Fiorentino (Pinacoteca Com.), il frammento con la Madonna e sei santi a Monza (già Coll. Modoranti; Skaug, 1994), il trittico di Strasburgo (Mus. des Beaux-Arts, inv. nr. 202), il tabernacolo di Stoccolma (Nationalmus., inv. nr. 2951), il pannello con S. Domenico a Prato (S. Domenico, Mus. di Pittura murale), che con il polittico di Voltiggiano (ora Castelfiorentino, S. Verdiana, Pinacoteca) e gli affreschi di Poppi potrebbe connotare (Ladis, 1982) un'altra personalità della bottega gaddesca.Il trittico portatile di Berlino, uno dei massimi esemplari di questo genere, prezioso nell'elaborazione della carpenteria e delle dorature quanto raffinato nell'esecuzione, segue di un anno l'analoga opera daddesca di Firenze (Mus. del Bigallo; è però da accogliere con riserva la data 1333, che appare ritoccata nei numeri delle decine e delle unità) e pone il problema di un eventuale prototipo illustre, da Coletti (1950) ipotizzato in una perduta opera di Giotto, da Longhi (1959) supposto opera di Maso. A questo momento sono riferiti anche il pannello con Madonna e santi di Berna (Kunstmus., inv. nr. 877) e lo scomparto di predella con la Natività di Digione (Mus. des Beaux-Arts, inv. nr. 1470), i quattro laterali di polittico di Fiesole (Mus. Bandini, inv. nrr. 37-40; Bandera Viani, 1981), cui è prossimo il S. Giovanni Evangelista di New York (proprietà Piero Corsini), e una serie di pannelli: Crocifissione di Bristol (City of Bristol Mus. and Art Gall., inv. nr. K 2771), che propone contatti con i modi di Jacopo del Casentino; Natività di Portland (Art Mus., inv. nr. 69.68); Natività e Deposizione di Budapest (Szépművész Múz., inv. nrr. 73.7-1; 73.7-2); Madonna con il Bambino di Firenze (Mus. Horne, inv. nr. 77) e di Bloomington (Indiana Univ. Art Mus., inv. nr. 62.162); pannello con S. Domenico (già Londra, mercato antiquario, ora coll. privata italiana). Ancora alla metà del decennio si può riferire il trittico già a Venezia (Fond. Cini), che nella soluzione della carpenteria rimanda alla tavoletta con la Vergine e santi di Daddi di Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte, inv. nr. 1); mentre di collocazione dubbia in questi anni appare il trittico ora a Napoli (Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), che sembra ridipinto anche nella data 1336, come hanno finora supposto soltanto Ladis (1982) e Skaug (1994).Sullo scorcio degli anni trenta è da collocare l'importante commissione per la sagrestia di Santa Croce, di cui restano le citate tavolette con Storie di Cristo e s. Francesco (Firenze, Gall. dell'Accademia, inv. nrr. 8581-8593; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal., inv. nrr. 1073-1074; Monaco, Alte Pinakothek, inv. nrr. 10676-10677), che con le loro cornici mistilinee affermano la fortuna di quesa tipologia, sperimentata aniconicamente nella cappella Pulci Berardi prima della sua adozione da parte di Andrea Pisano. Sicuramente appartenenti all'arredo della sagrestia di Santa Croce, la loro disposizione è stata pensata in funzione della decorazione degli armadi delle reliquie, con le lunette di Firenze (Gall. dell'Accademia) a coronamento delle ante (Marcucci, 1960); è di Boskovits (1988) l'ipotesi ricostruttiva secondo cui, sulla scorta di fonti e descrizioni antiche e sull'esempio del banco di sagrestia di S. Lucchese a Poggibonsi, esse avrebbero costituito la spalliera di un'analoga suppellettile nella chiesa francescana.Anche se appare vanificata l'ipotesi longhiana che vedeva nell'opera di Maso la fonte stilistica e tipologica per i trittici ricordati di Daddi e di G. - fonte che è invece da riscontrare nel momento 'classico' di Giotto a cui gradualmente si accostano tutti e tre i pittori -, resta il fatto che nel corso del quarto, ma soprattutto nel quinto decennio del sec. 14° i rapporti tra G. e Maso divennero stringenti. Non soltanto perché si trovarono affiancati nei lavori di Santa Croce (Compianto di G. nella lunetta su una delle porte laterali a pendant dell'Incoronazione della Vergine di Maso; Deposizione nel sepolcro di G. nella masesca cappella Bardi di Vernio), quanto perché le opere menzionate e gli stessi affreschi della cripta di S. Miniato - dell'analoga scena perduta Bellosi (1985) ha ritenuto di riconoscere il modello nel disegno con il Martirio di s. Miniato a New York (Pierp. Morgan Lib.) - mostrano un convinto allineamento alle proposte spaziali di Maso (per es. il sorprendente effetto da sotto in su della lunetta con il Compianto) e, insieme al polittico con la Madonna in trono e santi di New York (Metropolitan Museum of Art, inv. nr. 1097), al trittico di S. Martino a Mensola presso Firenze, all'Annunciazione di Fiesole (Mus. Bandini, inv. nr. 22) e al S. Giuliano di New York (coll. privata), una netta e sintetica definizione di contorni e la volumetria delle figure. Non a caso in un campo così minato come quello delle vetrate (in cui molti dubbi sono ingenerati dai pesanti restauri) si è di fronte ad attribuzioni ancora dibattute tra Maso e G. per quanto riguarda le vetrate della cappella Bardi di S. Ludovico e quella Bardi di Vernio sempre in Santa Croce, da Ladis (1982) assegnate con sicurezza a G., da Wilkins (1985) a Maso. E non a caso affreschi non ancora sorretti da una misura prospettica masesca, ma ugualmente strutturati da una profonda esigenza spaziale sviluppata più sul registro delle visioni ampie e a volo d'uccello, come sono le Storie di Giobbe nel Camposanto pisano, assegnate a G. da Billi e da Vasari (ma soltanto nella prima edizione de Le Vite; Le Vite, II, 1967, p. 204), gli sono stati completamente sottratti da Ladis (1982) con una collocazione al settimo decennio, mentre ben si intendono nel clima più sperimentale precedente gli anni cinquanta.Alla metà del secolo, venuti a mancare per la peste i maggiori colleghi-antagonisti di G., da Lorenzetti, a Daddi, da Maso ai suoi più diretti discendenti quali Alesso d'Andrea, G. assurse a figura eminente nel panorama fiorentino, tanto che dagli operai di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia, come appare in una memoria del 1350 ca. (Chiappelli, 1900), egli è considerato il pittore a Firenze più prestigioso. A lui fu, infatti, assegnata la commissione del polittico completato per la chiesa pistoiese nel 1353 (Pistoia, S. Giovanni Fuorcivitas; pinnacoli, New York, Willard Golovin Coll.; Worcester, già coll. privata; sono più tardi, invece, gli scomparti di predella con Storie di s. Giovanni Evangelista già a Venezia, Fond. Cini). Una sorta di rigidità e di sintesi nella figura della Vergine, che sorprende se posta a confronto con l'altrettanto rigida ma più sfumata Madonna di Firenze (Uffizi, inv. nr. 3, depositi), costringe a meditare sull'ipotesi di Ladis (1982), che pensa essere stata la figura centrale già impostata da Alesso d'Andrea, cui un polittico per S. Giovanni Fuorcivitas era stato in precedenza commissionato, sì che alla sua morte questo può essere stato rilevato e terminato da G., ipotesi a cui aderisce del resto Skaug (1994), anche dopo la disamina dei punzoni. Alla metà del secolo si possono collocare anche l'affresco con la Vergine del parto in S. Francesco di Paola a Firenze e quello staccato dalla chiesa fiorentina di Badia raffigurante la Trasfigurazione; a questo torno di anni si possono riferire anche il pannello con la Madonna e due sante di Esztergom (Keresztény Múz., inv. nr. 55.140), la Madonna di Avignone (Mus. du Petit Palais, inv. nrr. 60-61), la lunetta con la Vergine e il Bambino di Firenze (Gall. dell'Accademia, inv. nr. 448) e il polittico di S. Felicita sempre a Firenze.La spinta creativa e innovativa di G. e specialmente la sua sensibilità spaziale e cromatica sembrano venir meno in questa ultima fase della vita, sempre sorretta però da una grande abilità tecnica, che spingeva Longhi (1959) a distinguere all'interno dell'opera gaddesca il prevalere sull'arte di quella che, in un titolo efficace, definiva industria tout court. E su questo aspetto costringono a meditare per es. anche la monumentale Crocifissione in affresco di Ognissanti (metà del secolo) e la croce nella parrocchiale di Monte San Quirico presso Lucca, per la cui realizzazione è stato anche proposto l'impiego di carta lucida (Ferretti, 1976), con le più tarde croci di S. Giorgio a Ruballa e di S. Lorenzo a Montegufoni, alle quali cronologicamente possono affiancarsi la tavola con la Vergine con il Bambino e il Compianto di New Haven (Yale Univ., Art Gall., inv. nrr. 1943.205, 1871.8). La frequentazione del convento francescano fu comunque per G. fonte inesauribile di stimoli iconografici: a lui infatti spetta la raffigurazione monumentale, dopo la prova su tavola di Pacino, dell'idea bonaventuriana dell'Albero della vita che, con la sottostante Ultima Cena e quattro storie ai lati, campiva una parete del refettorio francescano. A quest'ultima fase, ormai degli anni sessanta, appartengono la Madonna di Quintole e la Crocifissione nella sagrestia di Santa Croce, oltre a un raffinato scomparto di polittico con S. Anna stante (o forse la Vergine) di Indianapolis (Mus. of Art, inv. nr. 52.65), che per lucidità ed essenzialità compositiva e nitore di forme ben rappresentano l'interpretazione gaddiana della tendenza neogiottesca, tendenza seguita anche da pittori toscani delle successive generazioni come Niccolò di Piero Gerini e Spinello Aretino.
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