GIUSTINIAN, Taddeo
Figlio del procuratore Giustiniano, appartenne al ramo della famiglia patrizia veneziana abitante nel sestiere di S. Marco. Non si conosce la data di nascita del G., ma sicuramente non è anteriore al 1308, dato che nel 1358 fu scelto fra dodici nobili di età compresa fra i venti e i cinquanta anni aggiunti al Consiglio dei dieci.
La prima notizia sulla sua attività risale al 25 febbr. 1349, quando, membro del Consiglio dei dieci, venne eletto fra i capi del sestiere di S. Marco a partire dal 1° marzo successivo.
Nel 1354 fu inviato a Padova dal padre, allora podestà di Chioggia, per ricevere con le imbarcazioni della Repubblica Marino Falier, appena eletto doge, di ritorno da Avignone, dove si trovava quando fu scelto per assumere la più alta magistratura veneziana. Il G. vi si recò con quindici imbarcazioni armate, dette ganzaroli, su cui prese posto il nuovo doge con il suo seguito per essere condotto a Venezia, dove entrò il 5 ottobre sul bucintoro.
Di nuovo membro del Consiglio dei dieci nel 1358, venne eletto il 21 febbraio dello stesso anno fra i capi del sestiere di S. Marco, destinato come tale a restare in carica per un anno a decorrere dal 1° marzo. Nel 1361 fu uno dei cinque legati inviati a Creta dal Senato veneziano per cercare di mettere fine alle turbolenze che agitavano l'isola. In seguito fu castellano di Corone (nel Peloponneso) e mentre svolgeva l'ufficio, il 16 genn. 1365, il Senato deliberò di inviargli il materiale necessario per il restauro dell'arsenale.
Nel 1366, dopo la fine della rivolta di Creta, che impegnò seriamente il governo veneziano, fu uno dei cinque provveditori inviati nell'isola per riformare le leggi e due anni più tardi, tornato in patria, ebbe parte attiva nella repressione della ribellione di Trieste.
La sollevazione della città, mal disposta verso il dominio veneziano, ebbe una causa occasionale legata all'arresto da parte di una delle galere veneziane di guardia alle coste istriane di un'imbarcazione triestina che trasportava merci di contrabbando. I Triestini nella notte successiva assalirono la galera veneziana uccidendone il capitano e, malgrado il successivo trattato stipulato con Venezia per ricomporre l'incidente (3 sett. 1368), rifiutarono di accogliere in città il vessillo di S. Marco tentando la sorte delle armi. I Veneziani assediarono la città e nel corso dell'inverno, a causa della difficoltà delle operazioni militari, il Senato inviò nuove truppe al comando del G. e di Paolo Loredan. I Triestini, messi alle strette, ricorsero all'aiuto del duca d'Austria Alberto III promettendo di riconoscerne la sovranità. L'esercito austriaco, intervenuto in soccorso di Trieste, venne però sconfitto grazie all'azione decisiva del G., che, all'arrivo del duca, fece sbarcare quanti più soldati possibile mantenendo sulle galere il minimo equipaggio necessario per la custodia del mare. Abbandonata dagli alleati, Trieste finì per capitolare, il 28 nov. 1369, e si consegnò a Paolo Loredan, governatore generale dell'Istria, accettando le condizioni poste dal governo veneziano. Domenico Michiel venne nominato capitano della città e, per tenerne sotto controllo gli abitanti, fu iniziata la costruzione del castello di S. Giusto.
La guerra di Trieste fu seguita da un conflitto di proporzioni ancora più ampie con Padova. Il sospetto della violazione degli accordi precedentemente stipulati da parte di Francesco da Carrara, signore di Padova, aveva infatti spinto il governo veneziano ad assumere una posizione sempre più ostile nei suoi confronti. Per allontanare il pericolo di guerra, vennero tuttavia condotte trattative diplomatiche e, su richiesta degli ambasciatori di Ungheria, Firenze e Pisa, il governo veneziano accettò che la soluzione delle questioni aperte sui confini fosse rimessa a un collegio di arbitri composto da membri delle due parti. Venne perciò nominata una giunta, composta da cinque veneziani e altrettanti padovani, per cercare di mettere fine alla controversia. La commissione dei dieci, composta per parte veneziana da Jacopo Moro procuratore di S. Marco, Lorenzo Dandolo, Jacopo Priuli, Pantaleone Barbo e il G., si insediò il 1° maggio 1372, dopo aver prestato solenne giuramento nel palazzo ducale di Venezia, con un mandato della durata di due mesi a decorrere dal 24 aprile. Le trattative si rivelarono però inutili, anche a causa dei reiterati tentativi fatti dal da Carrara per assassinare eminenti cittadini veneziani, e venne dichiarata la guerra. La Repubblica assoldò come capitano delle forze di terra il senese Ranieri del Guasco e nominò provveditori Andrea Zen e il G., con l'ordine di avanzare su Padova da Mestre, dove le truppe furono radunate. La guerra procedette per qualche tempo con esito alterno, ma Venezia subì una grave sconfitta allorché intervennero in aiuto del Carrarese le forze inviate dal re d'Ungheria Luigi I. La battaglia ebbe luogo a Nervesa (sul Piave) e, fra i prigionieri, vi fu lo stesso G., che fu portato a Padova. La sorte delle armi veneziane fu tuttavia risollevata da una successiva battaglia vittoriosa sulle forze nemiche, nel corso della quale venne fatto prigioniero il voivoda di Transilvania, che guidava le truppe ungheresi, e il 21 sett. 1373 si arrivò alla pace con Padova. Nel frattempo il G. era stato trattenuto per qualche tempo a Padova e qui, all'inizio del 1373, aveva convinto il da Carrara a intavolare trattative di pace con il Comune veneziano, senza però che queste arrivassero all'esito sperato. Era stato quindi trasferito in Ungheria, dove il re lo aveva ordinato cavaliere in omaggio al suo valore militare, e infine era tornato in patria a seguito della conclusione del trattato di pace che prevedeva la restituzione dei prigionieri di entrambe le parti.
Il G. in seguito ebbe un ruolo di rilievo nella guerra tra Venezia e Genova, scoppiata in Oriente nel 1378 per le rivalità commerciali tra le due Repubbliche, e culminata nella conquista genovese di Chioggia (16 ag. 1379), che mise in grave pericolo la città lagunare.
Il G., comandante di sei galere preposte alla difesa del Lido di Venezia, fu tra i candidati alla carica di capitano generale, ma gli venne preferito Vettor Pisani, sebbene al momento si trovasse in carcere a motivo della sconfitta subita qualche tempo prima a Pola, per la quale era stato condannato all'esclusione da ogni ufficio per cinque anni e ai sei mesi di detenzione. Di fronte alla gravità del pericolo, tuttavia, il governo veneziano preferì liberarlo e destinarlo al comando, tenendo conto in questa scelta anche della volontà popolare, dato che, a differenza del G., il Pisani era amato dal popolo e dai marinai al servizio della Repubblica.
Il G. continuò a prestare la sua opera in difesa di Venezia e fu inviato dal doge Andrea Contarini a sedare i contrasti tra i mercenari italiani e inglesi, la cui discordia era stata fomentata dai Genovesi. Fece quindi parte dell'armata navale che, nella notte fra il 21 e il 22 dic. 1379, uscì da Venezia per andare ad affrontare i Genovesi a Chioggia, e durante il blocco della città ebbe l'incarico di scortare con dodici galere un convoglio mercantile diretto a Manfredonia per fare rifornimento di vettovaglie. Qui venne però raggiunto dalle navi nemiche guidate dall'ammiraglio genovese Matteo Maruffo e, costretto ad accettare battaglia a terra, fu sconfitto e fatto prigioniero il 13 marzo 1380 insieme con altri duecento compatrioti. Condotto a Genova, riuscì a fuggire nel 1381, lo stesso anno in cui la pace di Torino mise fine alla guerra con Genova, grazie all'intercessione di Amedeo VI conte di Savoia.
Il G. morì a Venezia nel 1383.
Tra i fratelli del G. sono ricordati Maria, che sposò Giovanni Michiel, e Marino detto di S. Moisè. Si ignora con chi si sia sposato, ma conosciamo il nome di un figlio, Giustiniano, e l'esistenza di due figlie, che sposarono Antonio Contarini e Girolamo Girardi.
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (=8305): G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, c. 139r; G. Stella - G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVII, 2, p. 35; D. Chinazzo, Cronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1958, pp. 46, 58 s., 64, 66, 72, 97 s., 115-117; F. Thiriet, Régestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, I, Paris-La Haye 1958, n. 422; Consiglio dei dieci. Deliberazioni miste registro V (1348-1363), a cura di F. Zago, Venezia 1993, nn. 530, 538; V. Lazzarini, Storie vecchie e nuove intorno a Francesco il Vecchio da Carrara, in Nuovo Arch. veneto, X (1895), p. 336; Id., Marino Faliero, Firenze 1963, pp. 123, 259; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1972, pp. 175-178, 199, 202, 207, 210 s.; G. Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel Medioevo dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, p. 145; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Giustiniani di Venezia, tav. IV.