MANFREDI, Taddeo
Nacque nel 1431 da Guido Antonio e da Bianca di Niccolò Trinci, signore di Foligno. Poco è noto dell'infanzia e adolescenza del M.: a otto anni si recò con il padre a Bologna, dove l'imperatore bizantino Giovanni Paleologo lo creò cavaliere, e frequentò per qualche tempo a Mantova la scuola di Vittorino da Feltre.
Alla fine degli anni Quaranta del Quattrocento i Manfredi controllavano Faenza - su cui esercitavano da più di un secolo un'egemonia consolidata dal 1379 con il vicariato apostolico concesso loro collegialmente dalla S. Sede -, la Val di Lamone, eretta in contea ereditaria nel 1413, e la città di Imola, possesso del solo Guido Antonio cui Filippo Maria Visconti l'aveva ceduta nel 1439. Alla morte improvvisa di Guido Antonio, nel giugno 1448, si pose il problema della signoria di Imola e in generale della successione nel vicariato e nei beni faentini.
Secondo fonti coeve, il M. avrebbe cavalcato su Imola facendosene proclamare signore poco dopo la morte del padre: i Manfredi vennero comunque a un accordo fra loro (probabilmente propiziato da Firenze, ai cui ordini militava Astorgio [II]), secondo il quale il M. ebbe la signoria su Imola e Astorgio (II) e Gian Galeazzo (II), che peraltro non partecipò mai attivamente al governo, il vicariato su Faenza e la Val di Lamone.
Astorgio contava probabilmente di dare così piena soddisfazione al nipote e di salvaguardare per sé e per i figli il dominio faentino: iniziava al contrario fra i due rami manfrediani un conflitto che si sarebbe trascinato, oltre la morte di Astorgio, sino almeno alla fine della signoria del M. su Imola. Radice di questo conflitto era in realtà la profonda instabilità della regione: la Romagna, governata sin dal secolo precedente da una pletora di piccoli signori dai fragili poteri e formalmente dominata dalla S. Sede, nel pieno Quattrocento era appetita da tutti i maggiori poteri italiani per la sua posizione strategica e la sua debolezza. In particolare la regione fra Imola, Cotignola (signoria degli Attendolo) e Faenza era destinata a divenire nel secondo '400 un campo aperto ai giochi politici e militari più serrati. Le vicende di Imola e di Faenza erano dunque legate agli equilibri politici peninsulari e i contrasti fra i loro signori erano pesantemente condizionati dagli interessi politici dei protagonisti della scena italiana, come Venezia, Milano, Firenze, Roma e Napoli.
L'accordo fra il M. e Astorgio si mostrò subito fragile: nel 1450 Astorgio occupò i castelli di Monte Battaglia, Baffadi, Casola, Stifonte e Riolo, in territorio imolese, e attaccò il M., secondo Zama sospettato dallo zio di avere ordito una congiura contro di lui; nell'estate Astorgio mosse addirittura contro Imola. Il M. inviò emissari per chiedere una tregua e i due si rimisero all'arbitrato di Francesco Sforza e di Cosimo de' Medici. Non abbiamo notizie del contenuto dell'arbitrato, ma tra i due dovette intervenire una temporanea tregua. L'attenzione milanese, forte sia per Faenza, sia per Imola, si appuntava in particolare su Imola: il giovane M., dopo avere militato per Firenze e Napoli, entrò rapidamente nell'orbita sforzesca e nel 1454 fu nominato fra gli aderenti del duca di Milano Francesco Sforza in occasione della pace di Lodi e della successiva Lega italica.
La protezione sforzesca si trasformò presto in tutela armata: dal 1455 a Imola erano stabilmente stanziate truppe milanesi e il M. era continuamente a contatto con emissari dello Sforza, al quale egli si era rivolto per ricomporre il dissidio con lo zio Astorgio e anche perché lo Sforza intercedesse col papa per ottenere la remissione del debito di 2000 fiorini dovuti alla S. Sede per l'investitura della città, di cui evidentemente il M. aveva ricevuto in qualche momento il vicariato apostolico. Nel 1456 egli si recò a Milano: in aprile girò voce che il duca di Milano gli avesse proposto di scambiare Imola con Tortona. I legami del M. con gli ambienti milanesi si strinsero sempre più anche grazie al matrimonio, nel febbraio 1458, della sorella Cornelia con il condottiero sforzesco di origini romagnole Tiberto Brandolini.
Maturava intanto la guerra per la successione di Ferdinando d'Aragona al padre Alfonso sul trono di Napoli: la rivolta di Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto, e di buona parte dei signori napoletani, che offrirono la Corona a Renato d'Angiò, squilibrò l'intera penisola. Mentre Astorgio (II) si allineava a Firenze, il M. il 16 genn. 1460 fu assoldato dal duca di Milano con la provvisione annua di 3000 fiorini. Egli, però, con il sostegno di Brandolini, colse l'occasione per riaprire il suo conflitto personale con il signore di Faenza e nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1460 assaltò Faenza.
Fallita la sorpresa faentina, il 14 maggio mosse, senza esito, anche contro Solarolo. Il duca di Milano intervenne una volta di più, anche perché l'attacco del M. era stato compiuto con l'ausilio di truppe sforzesche: i Manfredi inviarono a Milano propri messi (Astorgio vi mandò il figlio Galeotto), lo Sforza, i Fiorentini e papa Pio II furono scelti come arbitri, ma la questione si trascinò senza soluzione sino a che Pio II, che alla fine del 1460 aveva scomunicato Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Rimini, non decise di agire risolutamente in Romagna contro di lui. Il M. allora si avvicinò a Malatesta grazie alla mediazione di Borso d'Este e promise la sorella Leta al figlio di Sigismondo Pandolfo, Roberto, nel novembre 1461: dagli accordi intercorsi fra i due signori risulta chiaro che il M. si risolse a questa scelta spinto dal desiderio di difendersi da Astorgio; in realtà questa mossa servì solo a giustificare quest'ultimo nei suoi reclami contro il nipote, indebolito nelle sue trame locali anche dalla morte del cognato Brandolini (aprile 1462).
Astorgio approfittò infatti della mossa falsa del nipote e nell'agosto 1462 occupò Monte Battaglia e Riolo e assediò la stessa Imola: Pio II, cui serviva avere mano libera in Romagna contro Malatesta, intervenne per dirimere questo conflitto. Nell'autunno 1462 inviò a Faenza Angelo Geraldini, vescovo di Sessa, a imporre ad Astorgio la consegna dei due castelli contesi e con la funzione di arbitro fra i congiunti. L'anno successivo, dopo che la questione malatestiana si era conclusa, si giunse finalmente a un accordo anche sul caso manfrediano: Astorgio restituì al nipote ogni suo diritto e possesso in Imola e nelle ville di Pediano, Mezzocollo, Monte Medio, Publico e Toricchio, e in cambio fu investito da Geraldini di Riolo e Monte Battaglia. Con la morte di Francesco Sforza nel 1466 e di Astorgio (II) nel 1468, lo scenario mutò in peggio per il M.: Galeazzo Maria Sforza continuò la politica romagnola del padre, ma senza la consumata cautela politica di Francesco.
Nella guerra che vide Bartolomeo Colleoni, formalmente libero dalla condotta veneziana e al soldo dei fuorusciti fiorentini antimedicei, muovere attraverso la Romagna contro Firenze per far cadere la criptosignoria medicea rimasta nelle mani di Piero di Cosimo, l'antica fedeltà milanese del M. lo espose nella primavera 1467 - unico fra i signori romagnoli - ai colpi di Colleoni. Questi occupò i castelli di Mordano, Bubano e Bagnara e assediò Imola all'inizio dell'estate 1467 e, dopo che l'assedio si era rivelato vano, mosse contro gli eserciti della Lega alla Molinella (25 luglio 1467). Il M. partecipò a quella battaglia dall'esito incerto combattendo agli ordini di Federico da Montefeltro.
Solo nel 1468 si giunse alla pace: i territori sottratti al M. durante la guerra gli furono restituiti. L'influenza dello Sforza sul M. si accentuò sempre più divenendo vera e propria tutela, sancita nel 1468 dalla promessa di dare Fiordalisa, sorella naturale del duca di Milano, in moglie al figlio del M., Guido detto Guidaccio. La morte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, nell'ottobre 1468, fece precipitare nuovamente l'equilibrio romagnolo: Imola divenne la base dei collegati milanesi che contrastavano l'iniziativa papale volta a controllare sempre più direttamente le signorie romagnole. Il M. in queste vicende e nelle successive è dipinto dagli storici locali come mero strumento nelle mani dello Sforza, di cui non vide - o di cui non seppe contrastare - l'insidiosità. Così, il legame stretto nel 1470 fra il M. e Pino Ordelaffi, signore di Forlì, con il matrimonio di Zaffira, figlia del M., portò a un cauto riavvicinamento di Ordelaffi al partito sforzesco: nel 1470-71 infatti lo Sforza tentò di assicurarsi la condotta dei Manfredi di Imola e di Faenza e di Pino Ordelaffi, per contrastare in Romagna Venezia e il Papato.
In direzione filosforzesca va vista anche l'iniziativa, poi rivelatasi disastrosa per il M., di favorire una congiura contro Borso d'Este ideata dal suo segretario Andrea da Vigliarana e da Gian Ludovico Pio signore di Carpi, fratello della moglie del M. Marsabilia (figlia di Galasso Pio di Carpi e di Margherita, figlia naturale di Niccolò d'Este) e appoggiata da Milano. La congiura fallì, Vigliarana e Pio furono imprigionati: nonostante gli sforzi del M. e della moglie, Pio fu decapitato il 12 ag. 1469.
Nel 1471 la stretta milanese su Imola si fece più decisa, mentre la forza e la determinazione del M. cominciavano a vacillare, anche per i contrasti con Marsabilia, rifugiatasi a Forlì dalla figlia Zaffira. Il re Ferdinando d'Aragona infatti riuscì, nell'autunno 1471, ad assoldare Carlo (II) Manfredi signore di Faenza: questa mossa napoletana spinse lo Sforza a sbarazzarsi rapidamente della vicina signoria manfrediana di Imola, ponendovi un presidio milanese. Prese a girare voce che il M., ormai impotente di fronte ai dissidi con Marsabilia e con il figlio Guidaccio, stesse per vendere la città a Venezia per 100.000 ducati grazie alla mediazione di Colleoni. Tale voce ebbe come effetto immediato di accendere tutte le mire possibili su Imola: Lorenzo de' Medici inviò nella città Francesco Sassatelli per trattare un'eventuale cessione di Imola alla Re
pubblica fiorentina; Galeazzo Maria mandò a Bologna Donato Del Conte con istruzioni per impadronirsi di Imola. In realtà, Guidaccio risultò la via più sicura per far precipitare le sorti del M. e con esse il destino della città. Con il probabile consenso dello Sforza e il sostegno interno di alcuni nobili imolesi, il 13 dic. 1471 Guidaccio si impadronì del potere in città e rinchiuse il padre nella rocca. Alla fine di dicembre Imola era nelle mani dello Sforza, che manovrava da lontano Guidaccio. Solo ai primi di febbraio 1472 al M. fu consentito di recarsi a Milano, dove lo raggiunse il figlio: lo Sforza impose un temporaneo ritorno nominale del M. al governo di Imola ma, mentre i due Manfredi rimanevano a Milano, sottoposti alle pressioni sforzesche perché rinunciassero anche formalmente ai propri diritti su Imola, nella città romagnola rimanevano la sola Marsabilia, chiusa nella rocca, e gli inviati sforzeschi, che di fatto già governavano la città, vi mantenevano un presidio stabile e vi predisponevano l'edificazione di una rocca.
Quella di Imola fu un'occupazione militare in piena regola: la condotta che legava il M. al duca divenne "un mero riflesso del protettorato del duca sulla città romagnola" (Covini, p. 331). L'evento suscitò tensione a Firenze, cui il M. era legato in accomandigia sino al marzo 1473: quando, dopo lunghe trattative, il 5 maggio 1473 il M. firmò il trattato con cui cedeva Imola allo Sforza in cambio di Tortona, iniziò anche un complesso giro diplomatico fra lo Sforza, Lorenzo de' Medici e papa Sisto IV, alla fine del quale la città fu consegnata dal duca al cardinale Pietro Riario dietro il pagamento di 40.000 ducati. Il 7 nov. 1473 Sisto IV pubblicò la bolla di investitura della città in favore del nipote, il conte Girolamo Riario, di cui il 17 genn. 1473 erano state stipulate le nozze con Caterina Sforza, figlia illegittima di Galeazzo Maria. Riario, tramite procuratori, prese possesso della città il 6 dic. 1473.
Il M. non ottenne neppure Tortona: il duca di Milano gli diede, nel maggio 1473, Castelnuovo Tortonese, che nel 1474 passò a Roberto Sanseverino; in cambio, ricevette Bosco Alessandrino e Cusago, dove viveva ancora nel 1475, con un appannaggio di 5000 ducati. Nonostante i tentativi di riottenere Imola, facendo balenare a Firenze l'opportunità di rientrarvi personalmente o per mezzo di Guidaccio (con cui il M. mantenne rapporti altalenanti), o ordendo trame diverse, il M. trascorse gli ultimi anni in bilico fra Milano, Bologna e Firenze combattendo al soldo della Repubblica fiorentina sino al 1480 e di Venezia durante la guerra di Ferrara (1482-84).
Dovette morire poco dopo il 1484, in luogo non precisabile.
Oltre a Guido, ebbe le figlie Taddea, moglie di un Codronchi di Imola, e Zaffira, sposa nel 1470 di Pino Ordelaffi signore di Forlì (morta nel 1473); Litta ricorda anche un secondo maschio, Sigismondo, dedito alla carriera delle armi, di cui non si hanno notizie.
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