PEPOLI, Taddeo
PEPOLI, Taddeo. – Taddeo Pepoli, figlio primogenito di Romeo di Zerra e di Azzolina Tettalasini, nacque a Bologna verso il 1290.
Già dalla metà del XIII secolo, la famiglia paterna e quella materna, appartenenti entrambe all’élite del ceto creditizio bolognese, occupavano posizioni di prestigio nella vita politica comunale, pur militando su opposti fronti, essendo Geremei (guelfi) i Pepoli, Lambertazzi (ghibellini) i Tettalasini. Dopo Taddeo, Romeo ebbe altri sei figli (Zerra, Giovanni, Romeo, Nanne, Francesco detto Tarlato, Andrea) e tre figlie (Giacoma, Giuliana, Margherita). Nel primogenito, tuttavia, egli individuò, probabilmente assai presto, l’erede ideale, destinato a perfezionare il progetto signorile che Romeo stesso aveva intrapreso a Bologna negli ultimi anni del Duecento, occupando con metodi istituzionali ed extraistituzionali posizioni di potere sempre più rilevanti nelle strutture comunali. Sia pure attraverso sviluppi politici non previsti, e con alcuni decenni di ritardo, Taddeo realizzò poi i progetti paterni.
Le scelte fatte da Romeo per Taddeo sembrano indicare infatti questa precoce e precisa designazione. Già nel 1308 il banchiere concludeva per il figlio un matrimonio dagli evidenti significati politici, dandogli in sposa Bartolomea, sorella di Bornio Samaritani, personaggio di primo piano della scena politica, che di Romeo era stato negli anni precedenti il principale alleato, ad esempio capeggiando con lui nel 1306 un tumulto che avrebbe indirizzato a favore dei guelfi radicali gli equilibri interni cittadini (Sommari, 142, p. 40). Da quel matrimonio Taddeo ebbe, oltre a Giacomo e Giovanni, che gli succedettero nella signoria, altri due figli (Romeo e Bornio) e tre figlie (Zanna, Zanna Chiara e Giovanna). Ma soprattutto, il legame con i Samaritani e il prestigio del cognato Bornio rafforzavano la posizione pubblica del giovane Taddeo.
D’altra parte, Romeo da tempo andava distendendo nella società bolognese una fitta rete di alleanze, trasversale rispetto agli schieramenti di parte, proprio attraverso un’abilissima strategia matrimoniale: già nel 1276, nel ruolo di tutore, aveva dato in sposa la sorella Donella a Uguccione Tettalasini, uomo politico ghibellino di grande prestigio ed esperienza diplomatica, e nel 1281 aveva maritato l’altra sorella, Giovanna, a Giacomo Caccianemici, autorevole esponente del partito guelfo; dopo il matrimonio di Taddeo con Bartolomea Samaritani, realizzò un altro legame significativo con la più antica e bellicosa aristocrazia guelfa, attraverso le nozze del figlio Francesco con Besia Galluzzi, ma soprattutto conseguì uno straordinario successo sullo scenario extracittadino, oltre ad acquisire un potente alleato politico, dando in sposa, nel 1317, la figlia Giacoma al futuro marchese Obizzo d’Este (Giansante, 1991, pp. 35 s., 66 s.).
Nel frattempo, la formazione culturale e professionale di Taddeo seguiva un percorso non rapidissimo, ma coerente e lineare. Già immatricolato fin da bambino (1294) alla società dei cambiatori, come era costume all’epoca per gli esponenti di quel ceto (Liber matricularum artium 1294-1321), Taddeo fu registrato nel 1312, insieme con il padre e i fratelli, alle venticinquine (elenchi di atti alle armi) della cappella di S. Agata, in cui tutta la famiglia risiedeva (Venticinquine, b. 16, S. Agata); nel 1314, sempre con padre, fratelli e altri membri della famiglia, fu immatricolato alla società d’armi dei Castelli, in cui militavano anche altre famiglie di cambiatori residenti nel quartiere di Porta Procola (Liber matricularum armorum 1314-1365). Era un percorso perfettamente allineato a quello previsto per tutti gli esponenti del ceto creditizio, che in quelle strutture associative definivano la propria identità sociale e rafforzavano decisivi rapporti personali, professionali e politici.
Si distingue invece, piuttosto nettamente, da quello di fratelli e colleghi, il percorso culturale di Taddeo. Avviato agli studi, come i fratelli Nanne e Giovanni, che intrapresero poi la professione notarile, Taddeo conseguì la laurea in diritto civile nel febbraio del 1320. Fu certamente quella la tappa più significativa, non solo nel suo percorso culturale, ma anche, secondo i progetti paterni, nella sua formazione, propedeutica all’esercizio del potere e, soprattutto per la dimensione clamorosamente pubblica dell’evento, nella costruzione della sua immagine di futuro signore cittadino. Già prima del conferimento della licentia docendi, Taddeo produsse consulenze giuridiche di un certo rilievo, collaborando, ad esempio, alla compilazione degli statuti comunali del 1317, oggi perduti. Mentre è tuttora controversa l’ipotesi di un suo insegnamento presso l’università cittadina e anche quella dei suoi consilia rimane una tradizione piuttosto esile, è però indubitabile che Taddeo godesse, negli ambienti comunali, di un notevole prestigio culturale, che si dimostrò del resto non ingiustificato (Antonioli, 2004, pp. 53-56). Alla costruzione di questa pubblica fama contribuì certamente la cerimonia celebrata nel maggio del 1320: i grandi festeggiamenti per la sua laurea, cui partecipò gran parte della cittadinanza, oscurarono ogni precedente in materia. Era del tutto inedita, soprattutto, e suscitò per questo polemiche negli ambienti politici e accademici, la decisione delle autorità comunali di finanziare con denaro pubblico un evento che riguardava un cittadino privato, ancorché stimato e autorevole (Giansante, 1991, pp. 70 s.). Si trattava infatti, e in tutta evidenza, di un tributo di gratitudine offerto dalle autorità al padre del laureato, il banchiere Romeo, che ripetutamente negli anni precedenti aveva finanziato di persona la politica annonaria e le iniziative militari del Comune. Nessuno a Bologna, verso il 1320, poteva ormai nutrire dubbi che quella dipendenza finanziaria del Comune nei confronti di Romeo Pepoli dovesse prima o poi trasformarsi in diretto dominio personale e che quindi i festeggiamenti pubblici per la laurea di Taddeo costituissero una sorta di legittimazione indiretta dell’imminente successione. Le vicende politiche presero, si diceva, indirizzi diversi: alimentando un diffuso malumore per quella e per numerose altre violazioni del costume repubblicano, la fazione maltraversa, ostile a quella scacchese dei Pepoli, sollevò una rivolta, che nel luglio 1321 costrinse Romeo e i suoi alla fuga e all’esilio (1321-28).
Nel marzo 1328, morto ormai Romeo da alcuni anni, Taddeo e i fratelli rientravano a Bologna, in seguito a un decreto del cardinale legato Bertrando del Poggetto, che dal febbraio 1327 governava la città, per dedizione votata dal Consiglio del Popolo e in rappresentanza del pontefice Giovanni XXII. Al suo rientro in città, Taddeo instaurò con Bertrando un rapporto ambiguo e improntato a reciproca diffidenza (Trombetti Budriesi, 2007, pp. 761-768). Formalmente vicini al legato, fin dai primi mesi dopo il rientro Taddeo e i suoi ricoprirono ruoli importanti nell’amministrazione interna e in missioni diplomatiche. In effetti, l’appoggio della fazione scacchese dei Pepoli era indispensabile a Bertrando e costituiva una condizione necessaria per la realizzazione dei suoi progetti di pacificazione interna e di consolidamento dell’autorità legatizia. Taddeo si dimostrò tuttavia per Bertrando un alleato inaffidabile e anzi, proprio intorno ai Pepoli e ai Gozzadini, si organizzò, nel 1332, una congiura antilegatizia, scoperta e repressa da Bertrando. Incarcerato nella rocca di Galliera, insieme con i suoi più stretti alleati, Bornio Samaritani e Brandelisio Gozzadini, Taddeo fu liberato in seguito a una sollevazione popolare e nel marzo del 1334 guidò, con gli stessi alleati, il tumulto decisivo, che costrinse alla fuga il legato. Prima conseguenza della sua cacciata fu il riaccendersi violento delle lotte di fazione, concluse con l’espulsione della fazione maltraversa e dei principali avversari dei Pepoli: Sabadini, Rodaldi, Boattieri, Beccadelli. Seguì una complessa opera di restaurazione del sistema comunale di governo, che si sviluppò attraverso la ricostituzione delle magistrature e degli organi assembleari, Consiglio del Popolo e Consiglio degli Ottocento, la riforma del Consiglio degli Anziani e Consoli e il ripristino delle funzioni giudiziarie del podestà e delle competenze di ordine pubblico del barisello.
Protagonista della cacciata del legato, Taddeo Pepoli lo fu anche della successiva rifondazione comunale, operando sempre al fianco dei fedelissimi Bornio Samaritani e Brandelisio Gozzadini. A coronamento del processo rifondativo furono redatti, fra il 1334 e il 1335, i nuovi statuti comunali, pubblicati con la consulenza di una commissione di giuristi di cui faceva parte Taddeo (Trombetti Budriesi, 2007, pp. 768-773). Altri ruoli importanti, in organi ordinari e in commissioni straordinarie, egli ricoprì nel biennio successivo, caratterizzato da gravi emergenze di ordine pubblico e soprattutto dalla difficoltà che il Comune incontrava nel ristabilire un efficace controllo del contado e nel fronteggiare le continue scorribande dei fuoriusciti maltraversi e dei loro alleati. La situazione di mobilitazione militare permanente e l’accentuarsi dei problemi finanziari del Comune finirono per favorire l’ascesa politica di Taddeo, come accaduto trent’anni prima per il padre Romeo. E anzi, in modo ancor più evidente, lo strumento decisivo per svuotare di potere le istituzioni repubblicane fu offerto in questo caso dalle commissioni straordinarie, in cui Taddeo era affiancato dai più fidati collaboratori, che progressivamente esautorarono gli organi costituzionali nella gestione degli affari più delicati, in ambito militare e fiscale soprattutto (Antonioli, 2004, pp. 114-124).
Si facevano intanto sempre più espliciti i privilegi di cui godevano i Pepoli, oltre a Taddeo il fratello Zerra, i figli Giacomo e Giovanni, il cognato Bornio Samaritani, il collega e alleato Brandelisio Gozzadini: fra tutti, era di grande valore simbolico, oltre che pratico, il diritto di portare anche all’interno del palazzo comunale armi difensive e offensive proibite alla generalità dei cittadini. Iniziava poi a farsi sentire, sul piano della politica estera, il peso del legame familiare fra i Pepoli e i marchesi d’Este. Con l’appoggio militare dell’alleato bolognese, infatti, gli Estensi perfezionarono nel 1336 la conquista di Modena e la nuova situazione politica della città vicina, tradizionale nemica di Bologna, non poteva non rafforzare in modo decisivo la posizione interna di Taddeo e dei suoi. La loro ascesa vorticosa nella scena politica mise però in crisi l’alleanza con i Gozzadini, un tempo concorrenti e rivali, ma dall’epoca dell’esilio del 1321 collaboratori e alleati fedeli dei Pepoli. Soprattutto Brandelisio vedeva frustrate le sue ambizioni, per l’indirizzo di una politica comunale sempre più accentrata sulla persona di Taddeo Pepoli. Nel gennaio del 1337, il contrasto degenerò in aperto scontro di piazza fra i sostenitori dei Pepoli e quelli dei Gozzadini. Sedati una prima volta, per intervento diretto di Taddeo nei confronti del vecchio alleato Brandelisio, i tumulti riesplosero nel luglio dello stesso anno, concludendosi questa volta con il bando dei Gozzadini e il confino di Brandelisio. Una commissione di 14 sapienti, fra cui Taddeo, Bornio e altri personaggi legati ai Pepoli, ottenne pieni poteri per affrontare la nuova situazione e, di fatto, preparò l’ultimo, decisivo passaggio verso l’affermazione signorile di Taddeo Pepoli.
Il 28 agosto del 1337, i sostenitori di quest’ultimo occuparono militarmente la piazza e il palazzo del Comune e, senza resistenze di rilievo e con schiacciante maggioranza nel Consiglio del Popolo, Taddeo fu proclamato «governatore generale e perpetuo del Comune e del popolo di Bologna», titolo che in seguito il signore corresse in quello di «conservatore di pace e giustizia», così come i suoi poteri vennero poi meglio precisati da un’ulteriore risoluzione del Consiglio, anch’essa approvata ad ampia maggioranza (Trombetti Budriesi, 2007, pp. 780-788). La piena autorità politica, legislativa, finanziaria e militare si concentrava dunque nelle mani del signore che, tuttavia, volle subito presentarsi come continuatore delle prerogative e dei poteri del Comune. In questo atteggiamento cauto e formalmente rispettoso della tradizione repubblicana si esprimevano, ovviamente, esigenze di legittimazione di poteri straordinari ed extraistituzionali, condivise del resto da tutti i fenomeni signorili di area padana, più o meno contemporanei. Non può sfuggire, tuttavia, nel caso di Taddeo Pepoli, un carattere invece peculiare di questa fittizia quanto esibita continuità con il sistema comunale di governo, ed è il rifiuto di ogni autorità o tutela ecclesiastica sul Comune bolognese: i poteri che nel 1327 il Consiglio aveva concesso a Bertrando del Poggetto vennero esplicitamente annullati per decreto del signore; nessun potere superiore, nessuna sovranità incombeva sull’autorità che Taddeo esercitava sulla città e sul contado di Bologna, per delega del Comune, ma in effetti senza alcun condizionamento (Antonioli, 2004, pp. 125-130).
Il pontefice Benedetto XII affrontò la nuova situazione con una certa durezza, minacciando l’interdetto alla città, qualora non si fosse riconsegnata all’autorità del legato. Taddeo decise di resistere alle pressioni e nel marzo 1338 il papa decretò l’interdetto sulla città e l’università di Bologna. Seguirono trattative diplomatiche lunghe e assai complesse e, dopo alterne vicende di avvicinamento e raffreddamento fra le parti, solo nell’estate del 1340 si giunse a una riconciliazione che compose il contrasto, a condizioni sostanzialmente soddisfacenti per entrambe: i cittadini giurarono fedeltà alla Chiesa e Taddeo Pepoli venne nominato vicario apostolico, titolo che, se da un lato assecondava le esigenze della sovranità pontificia, dall’altra conferiva un’importante legittimazione al signore. Consolidato così il suo potere e la sua immagine pubblica, Taddeo poteva dedicarsi alla riorganizzazione delle strutture di governo (Antonioli, 2004, pp. 134-136).
Analogamente a quanto si stava verificando in altre realtà cittadine e a quanto era avvenuto anche a Bologna nel 1327, quando si era imposto il potere del legato Bertrando, la prima conseguenza dell’affermazione signorile di Taddeo Pepoli fu la sospensione delle attività del Consiglio del Popolo, che non fu più riunito, se non in circostanze straordinarie e comunque privato delle sue competenze normative. Rimase in attività invece, ma con poteri ridimensionati e rigidamente controllati dal signore, il Consiglio degli Anziani e Consoli. Drasticamente ridotte furono anche le competenze e l’autonomia del podestà cittadino, vertice dell’amministrazione giudiziaria. Gli interventi diretti di Taddeo in questo settore furono infatti frequentissimi e il podestà si trovò in sostanza sottoposto alla diretta autorità del signore e affiancato, nell’amministrazione della giustizia, dal vicarius domini. L’elezione degli ufficiali del Comune rimase compito del Consiglio dei Quattromila, ma anche in questo caso Taddeo non rinunciò a intervenire decisamente nella nomina dei consiglieri. La novità istituzionale più rilevante fu tuttavia l’organizzazione di una curia domini, integralmente costituita da personale notarile, cui fu riservato il compito fondamentale di redigere i decreti signorili (Orlandelli, 1962, pp. 73-81). Si trattava di un ruolo assolutamente centrale nella nuova struttura di governo, dato che il decreto, eventualmente suscitato dalla supplica di un cittadino, prendeva il posto che nel regime comunale avevano avuto le riformagioni del Consiglio del Popolo, espressione delle funzioni politiche e legislative più rilevanti, con evidenti vantaggi in termini di efficienza amministrativa e rapidità burocratica, ma con effetti altrettanto evidenti, e irrimediabili, sul piano dei valori ideologici e della civiltà politica repubblicana.
Il decennio di governo di Taddeo Pepoli (1337-47) è stato oggetto, in particolare sul piano della politica interna e da parte di autori bolognesi, di valutazioni storiografiche piuttosto indulgenti (Antonioli, 2004, pp. 198-212). Si trattò in effetti per Bologna di una parentesi relativamente tranquilla in un’epoca caratterizzata, all’opposto, da conflitti violenti e prolungati, instabilità istituzionale, tensioni politiche convulse. L’immagine tradizionalmente positiva di quegli anni è in parte effetto di una politica culturale piuttosto efficace da parte del signore e del prestigio derivante dalla sua formazione universitaria, ma è certo anche il frutto delle capacità amministrative e diplomatiche di Taddeo e in particolare di un’attenta gestione dell’ordine pubblico, che seppe evitare gli eccessi repressivi di altri regimi signorili e mettere in campo scelte sapientemente distensive nei confronti degli avversari politici, più volte richiamati dall’esilio. Sullo scenario esterno, invece, la città viveva in quegli anni una condizione di grande fragilità politica e militare, minacciata com’era, nei primi anni della signoria, dall’espansionismo scaligero, dopo il 1340 da quello visconteo. Ne risultarono rafforzati i rapporti, già intensi, con Firenze e quelli personali fra Taddeo e il duca d’Atene, così come l’altro legame privilegiato che Bologna e i Pepoli avevano con la signoria estense. Tuttavia, non si può certo dire che, nonostante la tradizionale prudenza e l’equilibrio più volte dimostrato da Taddeo, la posizione di Bologna nello scacchiere diplomatico uscisse rafforzata da quel decennio. Nel lungo termine, anzi, il legame privilegiato dei Pepoli con Gualtieri di Brienne finì per rivelarsi controproducente per i rapporti politici fra Bologna e Firenze. Anche per l’economia cittadina gli anni di Taddeo Pepoli non costituirono un’epoca brillante: stagnanti il commercio e le attività manifatturiere, colpita da crisi ricorrenti e gravissime la produzione agricola. Assai difficile, tuttavia, in questa situazione complessivamente depressa, distinguere gli elementi frutto di vere scelte politiche, ad esempio una certa, indubbia ostilità del signore verso le società delle arti e il loro ruolo socioeconomico, dalle conseguenze di andamenti climatici e ambientali di lungo periodo e di incontrollabili meccanismi macroeconomici.
Taddeo Pepoli morì nel settembre 1347.
Alla sua scomparsa, il Consiglio del Popolo fu eccezionalmente convocato per decretare la successione al potere dei figli Giacomo e Giovanni. Ai suoi eredi, fra i quali non aveva scelto un successore, Taddeo consegnava una situazione politica molto delicata e dagli esiti indecifrabili, di cui egli stesso doveva essere ben consapevole, dato che poco prima di morire aveva concluso un importante accordo con Luchino Visconti, signore di Milano (Trombetti Budriesi, 2007, p. 795). Si trattava di un’alleanza di ambito specificamente militare e circoscritta nel tempo, che però di fatto indirizzava verso Milano i destini della città: proprio ai Visconti, tre anni dopo, i figli di Taddeo Pepoli avrebbero ceduto, per denaro sonante, la signoria di Bologna.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Comune. Governo, Signoria Pepoli, bb. 1-46; Capitano del popolo, Venticinquine (1247-1404), b. 16; Capitano del popolo, Libri matricularum societatum artium et armorum (1272-1796): Liber matricularum artium 1294-1321, Liber matricularum armorum 1314-1365; Famiglia Pepoli, Istrumenti, serie I/A, Sommari, 141-142.
N. Rodolico, Dal comune alla signoria. Saggio sul governo di Taddeo Pepoli in Bologna, Bologna 1898, ripr. facs. Bologna 1974; G. Orlandelli, La supplica a Taddeo Pepoli, Bologna 1962; M. Giansante, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli, banchiere bolognese (1250c-1322), Bologna 1991; G. Antonioli, Conservator pacis et iustitie. La signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Bologna 2004; A.L. Trombetti Budriesi, Bologna 1334-1376, in Storia di Bologna, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 761-866.