ZUCCARI (Zuccaro, Zucchero, Zuccarelli), Taddeo
Primogenito del pittore Ottaviano e di Antonia Nari, nacque a Sant’Angelo in Vado, nel ducato di Urbino, il 1° settembre 1529: la data è riportata da Giorgio Vasari e attestata dall’epitaffio della tomba di Taddeo ideato da suo fratello Federico (1539/1540-1609).
Molte delle notizie biografiche di Taddeo si ricavano da tre fonti legate una all’altra, ma talvolta discordanti: la Vita di Taddeo Zuccaro pubblicata da Vasari nel 1568 (e in parte basata su informazioni richieste a Federico nel 1566: Frey, 1930, pp. 281 s.), una serie di venti disegni di Federico (Los Angeles, Getty Museum, 99.GA.6, 1-20: Brooks, in Taddeo e Federico Zuccari…, 2007) e alcune postille da lui scritte al margine delle Vite di Vasari in tre distinti volumi: le più interessanti riguardo a Taddeo, databili non molto dopo la stampa della Giuntina, furono pubblicate da Gaetano Milanesi (in Vasari, 1568, 1881, pp. 73-131). L’attendibilità di queste fonti è in parte viziata dal desiderio di Federico di glorificare il proprio fratello e maestro attraverso una biografia ideale.
Taddeo apprese i rudimenti dell’arte dal padre, modesto pittore (Sposalizio mistico di s. Caterina, chiesa di S. Stefano a Candelara, Pesaro), e dal fanese Pompeo di Bartolomeo Morganti (Vasari, 1568, 1881, p. 73; Cleri, 1990). Intorno al 1543 si trasferì a Roma, in una città ancora provata dalla diaspora degli artisti seguita al Sacco. Nell’affabulazione di Vasari e Federico (Los Angeles, Getty Museum, 99.GA.6, 5-14) la sua difficoltà a trovare un maestro è trasfigurata in una saga epica dell’artista virtuoso che perviene alla fama superando fatiche e angherie, quali quelle inflittegli dal «maestraccio» Giovanpietro Condopulos (detto il Calabrese), che ospitò Taddeo in casa sua a Campo Marzio. Pittore non estraneo all’entourage di Perin del Vaga, Condopulos era già affermato prima del Sacco, come dimostra il suo ruolo di spicco nella successiva riorganizzazione della corporazione (Universitas) dei pittori (Compagnia di S. Luca), di cui fu console tre volte nel 1533-34, nel 1540-41 e nel 1545-46 (Rossi, 2004, pp. 380 e ss.; Salvagni, 2012, pp. 55 e 420). Dal 1548 al 1554 subì un’azione giudiziaria da parte dei membri della corporazione, fra i quali, in una riunione che discusse la questione il 10 giugno 1554, era presente anche «magister Thadeus de Sancto Angelo pictor» (Leproux, 1991a, p. 316, doc. 19).
Secondo Vasari, Taddeo «tornato a Roma» dopo un breve rientro in patria, «sotto un Jacopone [Giacomo Bertucci] imparò tanto, che venne in qualche credito» (1568, 1881, p. 76). Il faentino Bertucci, attivo nel 1537 nella delizia estense di Belriguardo con Battista Dossi e Gerolamo da Carpi, lavorò probabilmente nell’affollata équipe di Perino a Castel Sant’Angelo: l’intreccio di cultura emiliana, con cui Taddeo entrò in contatto a varie riprese nel primo decennio della sua attività, e perinesca si rivelò cruciale nella definizione del suo stile. Anche Francesco Nardini «cognominato il Sant’Agnolo» (figlio del pittore Giacomo, fratello della nonna paterna di Taddeo), che con il giovane Taddeo fece «molti fregi di camere e di loggie a fresco», lavorava «di grottesche con Perino» (p. 74).
Il fascino esercitato da Perino, artista che dominava la scena romana negli anni Quaranta, si avverte nel segno fluido e vibrante della grafica sia giovanile sia matura di Taddeo (Gere, 1969). Il ductus elegante e flessuoso, il cromatismo estroso e il tono fiabesco di Perino rappresentarono per Taddeo un filtro prezioso attraverso cui guardare ai modelli, allora normativi, di Raffaello e Michelangelo.
Negli anni Quaranta anche «Daniello da Parma» (Daniele Porri) contribuì alla formazione di Taddeo, affrescando con lui in S. Maria ad Alvito (Frosinone) e insegnandogli «con le parole» la maniera «morbida» di Correggio e Parmigianino (Vasari, 1568, 1881, p. 77; Armenini, 1587, 1988, p. 258). In assenza di opere note di Porri, ciò è difficile da valutare; resta però valida l’indicazione dell’importanza dell’arte emiliana, le cui suggestioni trovarono nel raffinato stile di ascendenza perinesca adottato da Taddeo un terreno fertile su cui innestarsi. È quindi da intendersi come topos letterario la sua formazione da autodidatta (Getty, 99.GA.6, 9; 12-13; 17-18) su opere quali il Giudizio di Michelangelo, gli affreschi di Raffaello alla Farnesina, le facciate di Polidoro da Caravaggio e le antichità in Belvedere, opere tutte peraltro rilevanti per il suo stile, che affondava le radici nella più pura tradizione romana.
Nei disegni per la perduta decorazione della facciata del palazzo del nobile Jacopo Mattei, sua prima opera pubblica ottenuta grazie a Nardini, Taddeo elesse a modello Polidoro, maestro in quel genere pittorico. Sui due lati esterni del palazzo, affacciati su piazza Mattei e vicolo Paganica, si dispiegavano le Storie di Furio Camillo a chiaroscuro. L’opera, finita nel 1548, fu un successo (Vasari, 1568, 1881, p. 78; Getty, 99.GA.6, 18) tanto che Taddeo fu subito prescelto per altre decorazioni di esterni (tutte perdute).
Nel 1550 si distinse per «alcune istorie» di chiaro e scuro per «la creazione di Julio 3» (F. Zuccari, in Vasari, 1568, 1881, p. 79 nota 1) e accolse presso di sé Federico; nel 1551 fu coinvolto da Stefano Veltroni nella decorazione della «vigna che fu del cardinal Poggio [Giovanni Poggi]» fuori porta del Popolo (Vasari, 1568, 1881, p. 81).
Alla Compagnia di S. Luca pagò una prima rata d’iscrizione l’8 agosto 1550, una seconda il 17 maggio 1551, una terza il 21 ottobre 1553 (Rossi, 1997, p. 57). Fra queste ultime due date si potrà verosimilmente situare il soggiorno di due anni a Urbino al servizio di Guidubaldo II Della Rovere: Vasari specifica che Taddeo rientrò a Roma nel 1553 (non molto dopo che il duca fu designato capitano della Chiesa) e che, nel corso di quei due anni, visitò Verona al seguito del duca (1568, 1881, pp. 80 s.; Gere, 1969, pp. 19 s.; Acidini, 1998-1999, I, p. 26). Problematico, alla luce di questi dati, anticipare la partenza di Taddeo da Roma (e la visita a Verona) al 1550, scalando gli anni a Urbino al 1551-52 (Agosti, 2014, p. 141). Il viaggio a Verona fu probabilmente nel 1552, quando Guidubaldo vi è documentato dal 4 maggio al 30 giugno (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat.1002, cc. 40v e 71r).
Il viaggio poté essere occasione di visita a Venezia e, dati gli stretti legami fra i Gonzaga e i Della Rovere, è possibile che includesse una sosta a Mantova (dove Guidubaldo, figlio di Eleonora Gonzaga, aveva trascorso l’infanzia): la Venere, cupido e un satiro del Correggio, che là si trovava, è citata in un disegno di Taddeo (Londra, British Museum, Pp, 2-127). Per il duca, Taddeo eseguì alcuni studi per la decorazione del coro del duomo di Urbino, una grande Conversione di Saulo (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), ritratti e pitture in uno studiolo a Pesaro, non identificati con certezza.
Nella decorazione di villa Giulia, avviata fra l’aprile 1553 e il marzo 1555, il bolognese Prospero Fontana «si servì assai di Taddeo»: ancora discusso è l’apporto di Taddeo, ma la sua mano si ravvisa nelle ariose scene mitologiche della sala a sud, al pian terreno (Gere, 1965; Acidini,1998-1999, I, pp. 31-38).
Secondo Raffaello Borghini (1584, p. 566), Bartolomeo Passerotti, nel ritornare a Roma da Bologna, abitò e collaborò con Taddeo.
Fra il 1553 e il 1556 Taddeo affrescò la cappella di Jacopo Mattei in S. Maria della Consolazione, che s’impose «as the stylistic watershed of the middle sixteenth century in Rome» (Gere, 1969, p. 62): vi confluivano una sintesi della tradizione tosco-romana, da Perino a Francesco Salviati, a Daniele da Volterra (talvolta mediato da Pellegrino Tibaldi) e l’inaugurarsi di uno stile audace e fantasioso, una maniera «dolce e pastosa» (Vasari, 1568, 1881, p. 103) che stupì i contemporanei, affermando senza più dubbi la sua fama. La volta è spartita in quattro riquadri con scene della Passione di Cristo impaginate con quell’inversione fra primo e secondo piano (collocando, cioè, l’episodio principale nel fondo per assecondare il percorso dello sguardo dal basso) che diverrà cifra stilistica della Maniera. Sia l’Orazione nell’orto che la Cattura di Cristo rivelano lo studio di due opere del Correggio (Voss, 1920, 2007, p. 280) – copie di entrambe erano presenti a Roma nella collezione del parmense Girolamo Garimberto, familiare di Alessandro Farnese (Spagnolo, 2005, p. 114) – e l’interesse per la «pittura di paesi» di Girolamo Muziano (a Roma dal 1549 circa e, secondo Ridolfi, 1648, 1914, p. 280, in stretto contatto con Taddeo). Nelle pareti la Flagellazione spicca per il lucido equilibrio formale e per la riduzione a poche «figure grandi» ritmicamente disposte sul proscenio.
Fra il novembre 1555 e il febbraio 1556 Taddeo fu pagato per gli affreschi perduti nella torre di Niccolò V in Vaticano; il 15 maggio 1556 fu discussa al tribunale del Senatore una sua causa contro Jacopino del Conte (Leproux, 1991b, p. 126, doc. 17), intromessosi in un suo incarico ricevuto da un cardinale del Monte (Innocenzo, per cui Taddeo fece due quadretti: Vasari, 1568, 1881, p. 131; o Cristoforo, allora vescovo di Cagli). Intorno a questi anni dipinse l’Orazione nell’orto (Zagabria) e l’Adorazione dei magi (Cambridge): entrambi nutriti di suggestioni emiliane, in particolare dal Correggio.
Il successo della cappella Mattei guadagnò a Taddeo fra il 1556 e il 1565 numerose commissioni sovrapposte una all’altra, per cui cominciò a servirsi di aiuti, in primis Federico. Forse già nel 1556 Mario Frangipani (membro, come il Mattei, della Confraternita di S. Maria della Consolazione, e cancelliere del Senato del Popolo romano) gli allogò gli affreschi e la pala d’altare dedicati alla Vita di s. Paolo nella cappella di famiglia in S. Marcello al Corso: Taddeo vi lavorò a più riprese ma, lasciandoli incompiuti alla sua morte, spettò a Federico completarli (Vasari, 1568, 1881, p. 97; F. Zuccari, ibid., pp. 84 nota 1, 97 nota 1, 103 nota 3).
Nella seconda metà degli anni Cinquanta Taddeo eseguì, fra altri lavori, gli affreschi in S. Maria dell’Orto (con Federico) e, per il casino di Stefano del Bufalo (distrutto nel 1885), il Parnaso (trasferito su tela e oggi a palazzo Barberini), in cui la scena mitologica si scioglie in un tono sognante e aggraziato intrecciando suggestioni dall’Antico a riflessi raffaelleschi e correggeschi.
Il 5 marzo 1558 fu pagato per il disegno di un paliotto destinato alla cappella Sistina; il 4 marzo 1559 partecipò agli apparati per le esequie dell’imperatore Carlo V. Volendo «il più eccellente mastro che si possa havere», i fabbricieri del duomo di Orvieto affidarono a lui il 18 maggio vari lavori per la «Cappella dello Stucco», prevedendo un impegno «fino alla fiera di San Brixio [13 novembre]» (Luzi, 1866, p. 497; Fumi, 1891, p. 411; Tosini, 2010, p. 468), che fu però interrotto per una malattia di Taddeo (e di Federico, là presente come suo aiuto), e constò in poco più che «due figurone», la Vita attiva e la Vita contemplativa. L’8 ottobre 1559 fu eletto, con Daniele da Volterra e altri, consigliere della Compagnia di S. Luca.
Fra il 1559 e il 1560 (secondo due iscrizioni non più leggibili) affrescò la conca absidale di S. Sabina per il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, titolare della basilica e allora in contatto con Onofrio Panvinio: la commissione si rifaceva all’originaria decorazione musiva anticipando quel revival paleocristiano diffusosi tempo dopo; tale intento condizionò lo stile dell’opera, peraltro in parte ridipinta nel primo Ottocento.
Un rinnovato interesse perinesco informa i vivaci affreschi (1559-60 circa) nel castello di Paolo Giordano Orsini a Bracciano, con Storie di Psiche e di Alessandro Magno (proprio i temi svolti da Perino a Castel Sant’Angelo), in cui Taddeo raggiunse vertici di estrosa freschezza narrativa. Con lui lavorava Federico, che lo aiutò anche negli affreschi (Storie di Alessandro Magno) per Alessandro Mattei in palazzo Mattei Caetani.
Fra il maggio e il novembre 1560 Taddeo fu assorbito da molte commissioni per Pio IV, di cui restano solo le note di pagamento (Bertolotti, 1881, p. 17): affreschi nel palazzo di Aracoeli (la cosiddetta torre di Paolo III, demolita nel 1886), fra maggio e luglio; risarcimento di affreschi di Raffaello nella sala dei Palafrenieri, 3 maggio; affreschi «nella loggia del piano dello appartamento d’Innocenzo [VIII]», 30 settembre-31 ottobre; «pittura ne’ duoi camerini dello appartamento dove alloggia l’ill. Cardinal Borromeo», 30 novembre. Un successivo pagamento (30 agosto 1561) attesta «più opere di pitture» nella torre Borgia.
«Quasi nel medesimo tempo» che lavorava all’Aracoeli (Vasari, 1568, 1881, p. 90), Taddeo andò a Urbino per Pio IV a ritrarre Virginia Della Rovere, sposa di Federico di Giberto Borromeo, nipote del papa; prima di tornare a Roma fece «tutti i disegni d’una credenza» per Guidubaldo, destinata a Filippo II di Spagna (il sontuoso servizio in maiolica, la Credenza spagnola, era pronto entro il 17 settembre 1562). L’8 settembre 1560 fu eletto in absentia 'virtuoso' del Pantheon: «essendo conosciuto da molti di noi, fu accettato a viva voce» (Orbaan, 1915, p. 26); il 6 ottobre è documentato a Roma (Salvagni, 2012, p. 304).
Ottenne quindi dal potente cardinal Alessandro Farnese il suo incarico più prestigioso, protratto (per almeno due o tre mesi l’anno) fino alla morte: la decorazione della villa di Caprarola, che lo obbligò a confrontarsi, non senza insofferenza, con i minuziosi dettami iconografici di Annibal Caro e di Panvinio: restano due lettere del Caro sui soggetti da raffigurare, di cui una indirizzata a Taddeo (1562) e pubblicata per la prima volta da Vasari.
Nel 1561 iniziò ad affrescare le sale di Giove e delle Stagioni al pian terreno: per incorniciare le scene mitologiche ideò un impianto decorativo ricchissimo, brulicante di grottesche e cornici ornamentali, vivacizzato da particolari squisiti. Il 29 maggio del 1562 si dimise temporaneamente dalla carica di console della Compagnia di S. Luca (ottenuta nell’ottobre 1561) per recarsi «ad castrum Caprarola pro servitiis […] cardinalis de Farnesio» (Leproux, 1991a, p. 328, doc. 31). La sala delle Gesta Farnese al piano nobile era «quasi alla fine della pittura» nell’agosto 1563 (Partridge, 1978, p. 496); le scene, improntate a un compassato tono celebrativo meno congeniale alla straordinaria inventiva di Taddeo e corredate da moltissimi ritratti e iscrizioni di Paolo Manuzio, ambivano ad esaltare la storia dei Farnese incarnando le ambizioni politiche del cardinale. Seguirono la decorazione della stanza del Concilio e quindi dell’appartamento privato del cardinale (camere dell’Aurora, dei Lanefici e della Solitudine), che si protrasse nel 1565, e progetti grafici per altri ambienti affrescati dopo la morte di Taddeo.
Alla morte di Salviati (novembre 1563), Taddeo gli subentrò nella sala dei Fasti Farnesiani a palazzo Farnese a Roma. Dal 29 aprile 1564 al 14 aprile 1565 (Böck, 1997, p. 129 nota 94) fu pagato per gli affreschi nella sala Regia, commissione ambita da cui era stato inizialmente escluso: per ragioni di competizione artistica ma forse anche perché il Farnese, che con Marcantonio da Mula selezionava i pittori per Pio IV, lo voleva a Caprarola (Vasari, 1568, 1881, p. 96; F. Zuccari, ibid., nota 2). La sua Donazione di Carlo Magno si discosta dagli altri affreschi della sala per un suasivo classicismo tessuto su rime visive fra le pose scultoree delle figure (come i due eleganti repoussoirs che a chiasmo aprono e chiudono la scena), fra i gesti e perfino le cromie, tutte virate su dolci toni pastello. Pio IV ne rimase così soddisfatto da affidargli la decorazione dell’intera parete confinante con la cappella Paolina, che Taddeo poté dipingere solo parzialmente. Così come non poté completare gli affreschi nel «cortile della libraria» in Vaticano, per cui iniziò a essere pagato nel marzo 1564 (Acidini, 1998-1999, I, p. 155 nota 82).
Un 24 giugno, circoscrivibile fra il 1563 e il 1565, Taddeo visitò Firenze con Tiberio Calcagni per vedere, fra le altre cose, il «principio della Sala Grande [il Salone dei Cinquecento]» (Vasari, 1568, 1881, p. 99). Il viaggio fu probabilmente nel 1564 ed ebbe come conseguenza alcuni amichevoli scambi epistolari: poco prima del 5 agosto (Frey, 1930, pp. 93-95; Acidini, 1998-1999, I, p. 216) Taddeo inviò a Vasari e a Vincenzio Borghini suoi disegni, fra cui forse uno per la sala Regia (Vasari, 1568, 1881, p. 95), e a settembre scrisse ancora a Vasari, secondo Calcagni (Frey, 1930, pp. 112-114). Per contro, il 9 e ancora il 29 giugno del 1565 era malato e documentato a Roma (Caro, 1957-1961, III, pp. 241 e 244).
Il 1° ottobre 1564 Taddeo fu eletto sindaco della Compagnia di S. Luca (Leproux, 1991a, p. 332, doc. 35); il 20 ottobre Caro (1957-1961, III, p. 211) lo propose a Vicino Orsini come il più adatto a dipingere una complessa invenzione per una loggia a Bomarzo; il 1° novembre la Compagnia della Pietà dei Fiorentini gli pagò, tramite Calcagni, l’acconto per una Pietà (Gere, 1969, p. 23; Vicioso, 2010, p. 194 nota 35; Ottonelli - Berrettini, 1652, p. 210).
Fra le ultime opere, la Pietà per la cappella di Caprarola (coll. privata) e gli studi (Oxford, Ashmolean Museum, e Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi) per la pala destinata a S. Lorenzo in Damaso, titolo di Alessandro Farnese, rivelano nuovi interessi, densi di conseguenze per la pittura a venire. La prima, un’assorta meditazione a lume di candela di cinque angeli sul corpo morto del Cristo, preannuncia l’«arte senza tempo» della pittura riformata; i secondi, condotti in dialogo serrato con la Madonna di Foligno di Raffaello, prefigurano quel lucido ritorno al classicismo primo-cinquecentesco che sarebbe stato cruciale nel superamento della Maniera.
Secondo Vasari e Federico, Taddeo morì mentre affrescava la cappella Pucci-Cauco alla Trinità dei Monti. Il compito, assunto formalmente l’8 giugno 1563, fu dilazionato nel tempo ed eseguito in buona parte dal tardo 1565 (Vasari, 1568, 1881, pp. 100 s.); nel gennaio 1566 Federico, rientrato stabilmente a Roma, ebbe un ruolo non secondario in quest’opera (Mundy, 2005).
Il 2 settembre 1566 Federico scrisse al cardinal Farnese: «Taddeo mio fratello questa notte è mancato», offrendosi di succedergli a Caprarola.
Fu sepolto nella cappella di S. Giuseppe al Pantheon, in concessione alla Congregazione dei Virtuosi: Federico volle decorare la tomba con un busto ritratto (oggi alla Protomoteca Capitolina) e un’epigrafe che esaltava il legame con il conterraneo, ammiratissimo Raffaello: «D.O.M. / TADÆO ZVCCARO / IN OPPIDO DIVI ANGELI / AD RIPAS METAVRI NATO / PICTORI EXIMIO / VT PATRIA MORIBVS PICTVRA / RAPHAELI VRBINATI SIMILLIMO / ET VT ILLE NATALI DIE / ET POST ANNVM SEPTIMVM ET TRIGE / SIMVM VITA FVNCTO ITA TVMVLVM / EIDEM PROXIMVM / FOEDERICVS FRATRI SVAVISS MOERENS / POS. ANNO CHRISTIANAE SAL. / MDLXVI. / MAGNA QVOD IN MAGNO TIMVIT / RAPHAELE PERAEQVE / TADÆO IN MAGNO / PERTIMVIT GENITRIX».
Il vero monumento che Federico innalzò per l’amato fratello, ritratto più e più volte nelle sue opere, fu la costruzione di una biografia ideale in parte confluita nella Vita vasariana e in parte trasposta in immagini destinate a decorare, con intento didattico-moralistico, una sala di palazzo Zuccari a Roma (Strunck, in Taddeo e Federico Zuccari, 2007).
A Taddeo sopravvisse una figlia naturale, Maddalena, ritiratasi in convento nel 1579, e di cui Federico curò gli interessi.
G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze1881, pp. 39, 73-134; R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, pp. 21, 503, 506-509, 566, 570, 572; G.B. Armenini, De’ veri precetti della pittura (1587), a cura di M. Gorreri, Torino 1988, pp. 122, 241, 252, 258; C. Ridolfi, Le meraviglie dell’arte (1648), a cura di D. von Hadeln, Berlin 1914, ad ind.; G.B. Ottonelli - P. Berrettini, Trattato della Pittura e Scultura, uso et abuso loro, Firenze 1652, p. 210; L. Luzi, Il Duomo di Orvieto, Firenze 1866, p. 497; A. Bertolotti, Artisti urbinati in Roma prima del sec. XVIII: notizie e documenti raccolti negli archivi romani, Urbino 1881, ad ind.; L. Fumi, Il Duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, ad ind.; J.A.F. Orbaan, ‘Virtuosi al Pantheon’. Archivalische Beiträge zur römischen Kunstgeschichte, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XXXVII (1915), pp. 17-52; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920 (trad. it. Roma 2007, pp. 278-284); K. Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, I-II, München 1923-1930, II, 1930, ad ind.; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, ad ind.; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I-III, Firenze 1957-1961, III, ad ind.; J.A. Gere, Two panel-pictures by T. Z., and some related compositions – I: the Adoration of the Magi in the Fitzwilliam Museume e II: the Agony in the garden in the Strossmayer Gallery, Zagreb, in The Burlington Magazine, CV (1963), pp. 363-367, 390-395; Id., The decoration of the Villa Giulia, ibid., CVII (1965), pp. 198-207; Id., Two of T. Z.’s last commissions, completed by Federico Zuccaro – I: the Pucci chapel in S. Trinità dei Monti e II: the high altar-piece in S. Lorenzo in Damaso, ibid., CVIII (1966), pp. 286-294, 341-345; Id., Girolamo Muziano and T. Z: a note on an early work by Muziano, ibid., pp. 417-419; Id., Mostra di disegni degli Z. (Taddeo e Federico Zuccari, e Raffaellino da Reggio), Firenze 1966; Id., T. Z. His development studied in his drawings, London 1969; O. Berendsen, T. Z.’s paintings for Charles V’s obsequies in Rome, in The Burlington Magazine, CXII (1970), pp. 809-811; L. Partridge, Divinity and dynasty at Caprarola: perfect history in the room of Farnese Deeds, in The Art Bulletin, LX (1978), pp. 494-530; D. Coffin, The Villa in the life of Renaissance Rome, Princeton 1979, pp. 281-311; I. Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, Torino 1981, ad ind.; Z.Wazbinski, Lo studio: la scuola fiorentina di Federico Zuccari, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXIX (1985), pp. 275-346; V. Farinella, “Fatti di Furio Camillo”: l’esordio romano di T. Z, in Ricerche di storia dell’arte, XXX (1986), pp. 43-60; J. Mundy, Renaissance into Baroque: Italian master drawings by the Zuccari, 1550-1600, Milwaukee (Wis.) 1989; B. Cleri, Ottaviano Zuccari ed il “suo amicissimo pittore ordinario” Pompeo Morganti, in Notizie da Palazzo Albani, XIX (1990), 2, pp. 75-80; L. 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