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TAGIKISTAN

di *, Emma Ansovini - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)
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TAGIKISTAN

*
Emma Ansovini

(XXXIII, p. 179; App. III, II, p. 895; v. URSS, XXXIV, p. 816; App. I, p. 1098; II, II, p. 1065; III, II, p. 1043; IV, III, p. 754)

La Repubblica socialista sovietica del Tagikistan si è proclamata stato indipendente il 9 settembre 1991; il 21 dicembre 1991 ha aderito alla Comunità di Stati Indipendenti nata dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, con altre dieci ex repubbliche socialiste. È stata ammessa alle Nazioni Unite il 2 marzo 1992 e dal 1993 è membro del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.

Nel corso del 1992-93 la regione è stata sconvolta da una guerra civile che ha visto fronteggiarsi da una parte le regioni di Dušanbe e di Kurgan-Tjube, dominate da una coalizione islamico-democratica, e, dall'altra, i distretti di Kuljab (a sud) e di Hodžand (a nord), fedeli all'antico Partito comunista. La vittoria dello schieramento comunista non ha risolto i contrasti di fondo, e il T. corre il pericolo di vedere lo stato centrale messo in crisi dall'affermarsi dei poteri locali, analogamente a quanto è avvenuto in Afghānistān. Il localismo, inteso come forte senso di appartenenza e di fedeltà a una particolare regione, trae origine dall'accentuata compartimentazione geografica del territorio della repubblica e dai marcati contrasti tra le diverse etnie che popolano la regione: su 5.465.000 ab. (stima 1991) i Tagiki rappresentano poco più del 62%, gli Uzbeki il 23,5%, i Russi il 7,6%; forte è la presenza di ismailiti, nella regione autonoma di Gorno-Badahšan, che hanno sviluppato un forte particolarismo, tanto da dar vita a un partito politico che rivendica l'indipendenza. La fragilità del T. è accentuata dalla sua lunga frontiera con l'Afghānistān, attraversata senza difficoltà da carichi di armi, combattenti e contrabbandieri; nel corso della guerra civile circa 80.000 Tagiki si sono rifugiati nel paese vicino.

L'economia del T. è ancora prevalentemente agricola, nonostante l'esigua estensione delle terre coltivabili (7% della superficie territoriale, in massima parte montuosa e impervia). Nel 1991 l'agricoltura ha fornito il 44% circa del prodotto interno lordo e ha dato occupazione al 45% delle forze di lavoro. La risorsa agricola più importante è il cotone (256.000 t di fibra nel 1990, ma 109.000 nel 1992), seguito in ordine d'importanza da grano (200.000 t nel 1992), prodotti orticoli e frutta. Nel 1990 il settore industriale ha contribuito nella misura del 43,5% al PIL e ha assicurato il 20,4% dell'occupazione. Ma fra il 1990 e il 1993 il volume della produzione industriale ha subito una drastica riduzione (40%) per gli sconvolgimenti causati dalla guerra civile che, secondo valutazioni governative − sicuramente sottostimate − avrebbero provocato 20.000 morti e 600.000 profughi. Il T. dispone di modeste risorse energetiche fossili (nel 1990: carbone, 500.000 t; petrolio, 200.000 t; gas naturale, 300 milioni di m3), ma può contare su energia di origine idroelettrica prodotta sfruttando il potenziale dei suoi corsi d'acqua montani, in quantità tale da soddisfare circa il 75% della domanda interna, prima della guerra civile. Complessivamente le risorse energetiche interne non consentono l'autosufficienza, e il T., che in passato faceva assegnamento su importazioni di idrocarburi dall'URSS, si è trovato in grandi difficoltà in anni recenti, non potendo più contare sulla continuità degli approvvigionamenti. Fra gli altri prodotti minerari si segnalano l'oro (705 kg nel 1992; 305 nel 1993), minerali di alluminio, piombo, mercurio e stagno. L'industria manifatturiera è prevalentemente dedita alla produzione di generi alimentari, tessili e tappeti.

Il T., che era la più povera di tutte le repubbliche dell'ex URSS, ha visto sensibilmente peggiorare la sua situazione nei primi anni Novanta, in cui tutti i settori dell'economia hanno risentito pesantemente delle vicende interne e dello smantellamento del sistema di scambi commerciali tra le repubbliche dell'URSS, in vigore prima della dissoluzione dell'Unione. È stato stimato che il prodotto interno lordo nel 1992 (2,7 miliardi di dollari, equivalenti a 480 dollari pro capite, il più basso di tutte le ex repubbliche socialiste sovietiche) ha subito un declino del 31% rispetto all'anno precedente, e che la tendenza, per quanto meno accentuata, è continuata nell'anno successivo.

Bibl.: B. Nahaylo, V. Swoboda, Le nazionalità sovietiche, Milano 1992; C. e R. Choukourov, Peuples d'Asie centrale, Parigi 1994.

Storia. - Il cambiamento della situazione politica in URSS, con l'avvento al potere di M. Gorbačëv, avviò anche in T. un rapido processo di trasformazione che portò alla destituzione nel 1985 di R. Nabiyev, segretario del Partito comunista dal 1982, al riconoscimento di una, seppur limitata, libertà di espressione, a un atteggiamento di tolleranza verso la formazione di partiti politici di opposizione e all'emergere di un rinnovato interesse verso le tradizioni culturali del popolo tagiko, a lungo represso dal controllo sovietico sul governo. Le tappe di relativa liberalizzazione furono: nel 1989 il riconoscimento della lingua tagika come lingua di stato con la reintroduzione del suo insegnamento in caratteri arabi (tale grafia era stata vietata dal potere sovietico), la dichiarazione di sovranità il 25 agosto 1990 e infine la dichiarazione d'indipendenza il 9 settembre 1991 con l'assunzione del nome di Repubblica del Tagikistan.

Nonostante il riconoscimento ufficiale dei diritti di tutte le comunità etniche e religiose presenti nel paese, compresa quella islamica, il Soviet Supremo, eletto nel marzo 1990 nella sostanziale assenza delle forze di opposizione, e il governo cercarono di mantenere saldi legami con la Russia, come testimonia il sostegno immediato al nuovo Trattato dell'Unione, approvato con un referendum nel marzo 1991, ma anche l'ambiguo atteggiamento assunto, prima che il nuovo trattato fosse ufficialmente firmato, verso il tentativo di colpo di stato a Mosca nell'agosto 1991. Il processo di democratizzazione rimase connotato da una profonda fragilità e la situazione politica divenne sempre più critica, anche per il susseguirsi, seppur circoscritte alla capitale, di manifestazioni popolari. Le forze di opposizione − le principali erano il Partito Democratico del T. (PDT), il movimento Rastohez (Rinascita), il Partito della Rinascita Islamica (PRI) − avevano una libertà d'azione assai limitata. Il potere rimaneva di fatto nelle mani degli uomini del vecchio regime, e il tentativo di dichiarare illegale il Partito comunista riportò ai vertici dello stato Nabiyev, che accettò infine di convocare elezioni presidenziali multipartitiche.

Le elezioni del novembre 1991, vinte da Nabiyev, non frenarono le spinte centrifughe dei diversi gruppi etnici, e la situazione di disordine sociale sfociò in una vera e propria guerra civile, che continuò anche dopo la costituzione di un governo comprendente ministri indicati dalle forze di opposizione. Il conflitto assunse sempre più caratteri religiosi ed etnici, nonché territoriali, con le regioni industriali e settentrionali a favore del presidente Nabiyev, e con quelle meridionali e orientali, verso i confini con l'Afghānistān, a favore dell'opposizione democratica e islamica. Si formarono gruppi armati filo o antigovernativi; tra i più attivi, nella regione settentrionale del Kuljab, una milizia di irregolari (Fronte del popolo tagiko), guidata da S. Safarov, un comandante con precedenti penali per reati diversi, tra cui il contrabbando, e con alle spalle 23 anni di carcere, che si rese responsabile di varie azioni clamorose tra le quali l'assassinio di esponenti del PDT e del movimento della comunità Pamiri. Il precario equilibrio raggiunto nel governo non poté sostenere quest'ulteriore inasprirsi della situazione politica, e una sommossa scoppiata nella capitale portò prima alla fuga di Nabiyev e quindi alla sua cattura, il 7 settembre. Il nuovo presidente ad interim, A. Iskandarov, segretario del Soviet Supremo, e il fragile governo, costituito sotto la guida di A. Abdullojonov, pur godendo dell'appoggio di tutti i partiti, non riuscirono a estendere la loro giurisdizione al di fuori della capitale, mentre il resto del paese rimaneva in gran parte controllato dai vari gruppi armati e in particolare dalle milizie di Safarov. Il 10 novembre 1992 il governo ammetteva la sua incapacità di fermare la guerra civile e rassegnava le sue dimissioni insieme a quelle del presidente Iskandrov; il Soviet Supremo, almeno in teoria l'unica istituzione legittima rimasta, anche se espressione di elezioni alle quali i principali partiti di opposizione non erano stati ammessi, si riunì a Hodžand, una città nel Nord del paese, costituì un nuovo governo dal quale erano esclusi tutti i rappresentanti dei partiti islamici e democratici, abolì la carica di presidente per sostituirla con quella di segretario del Soviet Supremo e nominò a quest'ultima carica I. Rahmanov. Il nuovo governo riprese il possesso della capitale nel dicembre 1992 con un bilancio di centinaia di vittime e nel marzo 1993 dichiarò di avere ormai il controllo completo del territorio, nonostante un iniziale tentativo delle forze islamiche di costituire una repubblica islamica nella vallata orientale di Garm.

Molti oppositori rifugiatisi in Afghānistān riorganizzarono gruppi armati e continuarono a infiltrarsi nel paese attraverso l'impervia regione del Pamir. Il nuovo governo ricevette un consistente appoggio militare dalle truppe russe di stanza in T., espressamente chiamate a difendere il paese dalle ''minacce esterne'' in particolare dell'Afghānistān, accusato di offrire protezione logistico-militare ai ribelli islamici. L'Uzbekistan, timoroso di essere contagiato da un eventuale prevalere del movimento islamico, decise un massiccio invio di truppe. Anche le altre repubbliche centro-asiatiche, escluso il Turkmenistan, tutte governate da ex comunisti, si fecero parte attiva nella difesa dei confini e così, nel dicembre del 1992, 25.000 soldati della CSI risultavano schierati lungo il confine afghano. Nel corso di tutto il 1993 e il 1994 si verificarono continui scontri tra questi ultimi e i ribelli, mentre numerosi villaggi afghani di confine subirono ripetuti bombardamenti.

Una stima di 20.000 vittime (per alcune fonti 50.000), interi villaggi distrutti, 600.000 profughi (circa il 12% della popolazione), furono il bilancio provvisorio di questa guerra civile; l'economia, già fragile per l'eccessiva dipendenza dalla Russia, subì danni enormi. Il governo, peraltro segnato da contrasti interni, andò nel corso del 1993 restringendo sostanzialmente le libertà di espressione e organizzazione fino a mettere fuori legge i partiti di opposizione; i nuovi partiti di cui fu autorizzata la costituzione erano invece sostenuti da esponenti del governo. Soltanto nell'aprile 1994, in un clima difficile, sotto l'egida delle Nazioni Unite, furono avviati a Mosca colloqui tra le parti in conflitto. L'avvio del negoziato non coincise con la fine delle ostilità, né favorirono il dialogo le elezioni del novembre 1994, che videro le opposizioni ancora costrette alla clandestinità o all'esilio.

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