Vedi Tagikistan dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Repubblica del Tagikistan è una delle pedine più fragili dell’intero scacchiere geopolitico centroasiatico. Una combinazione di autoritarismo, povertà e carenze energetiche contribuisce all’instabilità di un’area dalla forte rilevanza strategica. Racchiuso tra Uzbekistan, Afghanistan, Cina e Kirghizistan, il paese è divenuto indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991 ed è stato segnato fino al 1996 da una tragica guerra civile tra ribelli islamici e forze governative sostenute da Mosca.
Al potere, da più di vent’anni, siede Emomali Rahmon, riconfermato alla guida del paese nella tornata elettorale del novembre 2013. Le elezioni, definite dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa «non libere e non trasparenti», hanno affidato a Rahmon un altro mandato settennale che gli consentirà di rimanere alla guida del paese fino al 2020. Sebbene il sistema politico sia formalmente multipartitico, le principali formazioni diverse dal Partito democratico del popolo di Rahmon vengono sistematicamente represse. Le più strutturate, comunque, sono il Partito socialdemocratico (Psd) e il Partito della rinascita islamica (Pri). Quest’ultimo, tuttavia, nel settembre 2015 è stato dichiarato dalla Corte Suprema ‘organizzazione estremista e terrorista’ e bandita. Nel 2015, in seguito al peggioramento della situazione economica, il governo ha attuato un’ulteriore ondata di repressione delle opposizioni.
L’esigenza di mantenere stabilità e sicurezza regionale in un’area dalla forte rilevanza strategica, esposta ai pericoli dell’integralismo islamico, garantisce al Tagikistan di Rahmon il saldo supporto di Stati Uniti, Russia e Cina. Per gli Usa il Tagikistan rimane un paese chiave per la gestione della transizione afghana: non a caso è parte del Northern Distribution Network, il corridoio di approvvigionamento logistico per le truppe che operano a Kabul, e che è stato utilizzato in senso contrario per completare il ritiro della Nato dall’Afghanistan nel corso del 2014. Per la Russia, il Tagikistan, oltre a rappresentare un ex ‘giardino di casa’, costituisce una barriera contro l’islamismo radicale e il narcotraffico che prosperano lungo il poroso confine con l’Afghanistan. La Russia, inoltre, ospita nei suoi confini quasi un milione e mezzo di tagiki. Essi costituiscono circa il 50% della forza lavoro tagika, generando la gran parte delle rimesse, che rappresentano una voce fondamentale delle entrate nazionali (47% circa del pil nel 2014). Il rallentamento dell’economia russa tra il 2014 e il 2015 ha causato una drastica riduzione di tale flusso, danneggiando in conseguenza anche l’economia tagika. La Federazione Russa è inoltre il maggior garante della sicurezza nazionale tagika. Mosca è presente nel paese con la 201° divisione Motor Rifle, ospitata in una base militare a 50 chilometri dalla capitale Dušanbe.
Per la Cina, infine, il paese rappresenta, oltre che una delle principali destinazioni di investimento, una garanzia per preservare la regione dello Xinjiang da pericolose infiltrazioni terroristiche. Pesano ancora sugli equilibri regionali le dispute territoriali del Tagikistan con l’Uzbekistan e la Repubblica del Kirghizistan, provocate dalla tripartizione sovietica della Valle di Fergana e mai del tutto risolte. Tensioni con il vicino Uzbekistan sono state generate dal progetto tagiko di espansione della propria centrale idroelettrica lungo il confine.