cesareo, taglio
Operazione che espleta il parto per la via addominale attraverso un’incisione prima dell’addome e poi della parete uterina.
Sulla donna morta il taglio c. è stato eseguito fin nei tempi più antichi ed era definito con la locuz. sectio caesarea, derivata, a sua volta dal latino Caesar, erroneamente interpretato come derivante da «a caeso matris utero» cioè «(nato) dall’utero tagliato della madre».
I successi operatori per la madre e per il figlio hanno portato negli ultimi decenni alla sempre più diffusa adozione del parto per via addominale nelle più varie contingenze ostetriche. Il taglio c. è l’operazione laparatomica più diffusa: nei paesi occidentali, quali l’Italia o gli Stati Uniti d’America, l’incidenza è del 30-40% dei parti.
La tecnica operatoria del taglio c. è stata ormai ben studiata in studi randomizzati. La medicina basata sull’evidenza (EBM) raccomanda la profilassi antibiotica con penicillina o cefalosporina di prima generazione prima dell’incisione sulla cute. Il taglio è di solito orizzontale sul segmento uterino inferiore con espansione manuale, fuoriuscita spontanea della placenta, non-chiusura delle pareti peritoneali, chiusura della fascia e chiusura del tessuto adiposo sottocutaneo se superiore a 2 cm di spessore.
Il taglio c. viene eseguito nell’interesse del figlio, della madre o di entrambi. In ordine di incidenza decrescente, le indicazioni più diffuse sono: l’arresto della dilatazione cervicale o l’arresto di discesa della parte presentata durante il travaglio di parto (anche detta disproporzione cefalo-pelvica), il pregresso taglio cesareo e l’intolleranza del feto al travaglio (sofferenza fetale). Altre indicazioni sono la presentazione podalica o transversa del feto, la placenta previa, la gravidanza gemellare, se il primo feto non si presenta di vertice. Il taglio c. si può anche effettuare post mortem.
Il taglio c. è oggi molto sicuro. Il rischio di mortalità fetale o materna è molto inferiore all’1%, se viene eseguito con la tecnica già descritta, sotto anestesia regionale (di solito spinale), in centri adeguati e da operatori esperti. Il rischio più comune è l’endometrite post-operatoria, molto diminuito ormai con la profilassi antibiotica. I rischi aumentano con il numero di cesarei. Per esempio, dopo 3 cesarei il rischio di lesioni gravi alla vescica è di circa l’1%, di placenta accreta (aderente in conseguenza a ispessimento) di circa il 2%, e di isterectomia di circa il 2,4%. La mortalità materna rimane sotto lo 0,1% fino ad almeno 6 cesarei.